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giovedì 30 settembre 2010

Mortalità materna in Africa, una sfida difficile

Morire di parto è difficile. Nel nostro vivere quotidiano la notizia di una morte durante il lieto evento riempe le pagine dei giornali e solitamente è dovuta ad errori diagnostici e/o imperizia durante l'assistenza al parto.
In altri luoghi del mondo invece la morte di parto è un evento da mettere in conto. In Sierra Leone - paese al mondo con il più alto tasso di mortalità materna - su ogni 100.000 parti di bambini nati vivi, vi sono 2100 morti materne.
In Italia, uno dei paesi al mondo con minor mortalità (il primo in assoluto è l'Irlanda con un tasso di 1/100.mila), il tasso si ferma a 3 ogni 100.000 nati vivi. Un abisso.
Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, vi è la riduzione di tre quarti, nel periodo 1990-2015, del tasso di mortalità materna nel mondo.
Un obiettivo, che stando agli ultimi aggiornamenti appare quantomai lontano. Nonostante i progressi (soprattutto nel Sud Est asiatico, in particolare), il calo di mortalità resta intorno al 2%. annuo. Per raggiungere l'obiettivo 2015 dovrebbe essere del 5,5% annuo.

Oltre alla Sierra Leone, il tasso di mortalità materna (il parto resta un evento naturale e non una malattia!) permane inaccettabilmente alto in Niger (1800), Ciad (1500), Angola e Somalia (1400), Ruanda (1300), Liberia (1200), Burundi, Guinea Bissau, Malawi, RD Congo e Nigeria (1100) e Camerun (1000).
Nel mondo fatto salvo l'Afghanistan che ha un tasso di 1800/100mila, nessun altro paese supera i 1000.
Tra i paesi Africani, a parte le Maurizio, che vanta un tasso di 15/100.000, è il Nord Africa ad avere tassi di mortalità, che seppur ancora alti, si avvicinano maggiormente al mondo sviluppato. In Libia (97), in Tunisia (100), in Egitto (130), in Algeria (180), Marocco (240).
In Africa Sub-Sahariana sono la Namibia e Capo Verde, con un tasso di 210/100.000 a garantire più adeguatamente la maternità.
Tra i paesi del mondo oltre all'Irlanda che ha il minor tasso di mortalità materna (1), vi sono l'Italia, la Danimarca, la Grecia, la Svezia e la Bosnia Erzegovina che con un tasso 3/100mila rappresentano l'eccellenza. La Germania è a 4, la Francia a 8, gli Stati Uniti a 11, la Russia a 28 e la Cina a 45.

Questi i numeri.

Le cause di questa strage, prevenibile, stanno in una molteplicità di fattori. Il primo è relativo alla percentuale di parti assistiti da personale sanitario. Vi è una diretta correlazione tra la bassa percentuale di parti assistiti ( 14,4% in Ciad, 32,9% in Niger, 42,4% in Sierra Leone, 47,3% in Angola) e la mortalità materna. Nei "paesi sviluppati" il 98-99% dei parti sono assistiti da personale sanitario. Il legame appare evidente poichè il 35% dei casi di morte materna è dovuta a emorragie post-partum, l'11% a cause direttamente collegate con il parto (come complicazioni del parto o del cesareo) e l'8% a infezioni , cause tutte facilmente trattatibili da persone qualificate.
Il secondo fattore che incide sulla mortalità è l'accesso ai controlli durante la gravidanza (Antenatal Care Coverage). Infatti mentre nei "paesi sviluppati" il 99% delle donne vengono seguite durante la gravidanza, in alcuni paesi questo tasso è estremamente ridotto. In Etiopia solo il 5,7% vengono visitate durante la gravidanza, in Ciad il 14,4%, in Eritrea il 28,3%, in Somalia il 33%, in Burundi il 33,6% e in Nigeria il 38,9%. Poichè il 18% delle morti materne è determinato dall'ipertensione (ovvero dalla gestosi - sindrome più complessa) risulta evidente che un controllo durante la gestazione è in grado di prevenire complicanze molto gravi.
A questi fattori si debbono ovviamente aggiungere il numero dei parti (in alcune zone dell'Africa il tasso di fertilità - ovvero il numero medio di figli per donna - è superiore a 6), la giovanissima età al momento del parto (in Africa sub-sahariana il 12% dello donne che partoriscono ha meno di 19 anni). Inoltre la povertà e la bassa scolarità rappresentano una concausa poichè esse si traducono in termini di minor accesso ai servizi sanitari e minor accesso alla contraccezione.

Per approfondire si veda il rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità "Trands in Maternal Mortality - 1990-2008"

La strada verso l'obiettivo del 2015 (riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna) appare ancora molto, molto in salita.

mercoledì 29 settembre 2010

Le anime nere dell'Africa: Mobutu Sese Seko

Mobutu è stato definito nelle versioni più morbide come il "padre e padrone dello Zaire" e il " baluardo anti-comunista in Africa Centrale" , in altre come un "assassino alcolista cleptomane".
Nato come Joseph Desirè Mobuto a Lisala, nel nord del Congo Belga il 14 ottobre 1930 era di etnia ngbandi. Suo padre, un cuoco, morì quando Joseph aveva 8 anni. Fu allevato dallo zio e studiò nella scuola cattolica divenendo contabile. Durante il servizio militare arrivò al grado di sergente maggiore e successivamente cominciò la pratica di giornalista scrivendo per il quotidiano L'Avenir di Leopoldville (futura Kinshasa)
Nel 1958 andò per la prima volta in Europa, dove a Bruxelles incontrò i giovani intellettuali congolesi, strinse amicizia con Patrice Lumumba ed entrando nel Movimento Nazionale Congolese (MNC). Partecipò, non ufficialmente (in quanto "segretario" di Lumumba), alle trattative del 1960 per l'indipendenza congolese (gennaio-febbraio 1960). Dopo l'indipendenza (30 giugno 1960), Lumumba, divenuto primo ministro lo nominò a Capo dell'Esercito Congolese. A seguito del tentativo di secessione del Katanga (sostenuta dai belgi con l'appoggio di un nutrito gruppo di mercenari, tra cui alcuni italiani) Lumumba chiese assistenza all'Unione Sovietica entrando il conflitto con il presidente Kasavubu. In questa situazione Mobutu, appoggiato dalla CIA (gli americani temevano l'influenza comunista nell'Africa Centrale) prese il potere arrestando Lumumba e lasciando al suo posto Kasavubu. Poco dopo fece assassinare Lumumba. Infine, il 25 novembre 1965, Mobutu prese definitivamente il potere con lo slogan "i politici hanno rovinato il paese in 5 anni, ora per 5 anni non sarà permessa attività politica nel paese" e assunse pieni poteri. Nel 1967 costituì il Movimento Popolare della Rivoluzione (MPR) che fino al 1990 resterà il partito unico del paese.
Nel 1966 fece arrestare, e successivamente giustiziare davanti a 50 mila persone, 4 membri del governo (tra cui l'ex Primo Ministro Evariste Kimba) accusati di aver tentato un golpe.
Nel 1968 toccò all'ex Ministro all'Educazione di Lumumba, Pierre Mulele, che fu torturato e ucciso dagli uomini di Mobutu. Da allora la lista dei dissidenti assassinati si allungò enormemente.
Nel 1970 - anno della visita del Re Baldovino I di Belgio- fece anche svolgere delle elezioni farsa. Alle legislative il suo partito unico ottenne il 98,33% mentre alle presidenziali agli elettori furono date due possibilità: verde=speranza e rosso=caos. Mobutu vinse con 10.131.699 voti contro 157.
Nell'ottobre 1971 - intraprendendo una campagna per la cultura africana - cambiò il nome del paese in Zaire. Agli zairesi fu ordinato di cambiare i nomi europei e proibito di usarli (pena 5 anni di prigione). Egli stesso, nel 1972, assunse il nome "Mobuto Sese Seko Nkuku Ngbendu Wa Za Banga" (che più o meno significa "guerriero irresistibile che andrà di conquista in conquista lasciando il fuoco dietro di se").
Lavorò molto al suo arricchimento personale (di fatto instaurò una cleptocrazia). Nel 1984 il suo patrimonio fu stimato in 5 miliardi di dollari (tutto depositato in conti svizzeri), l'equivalente del debito estero dello Zaire.
Trasformò il suo villaggio natale, Gbadolite, in una moderna "citta" (chiamata la "Versailles della giungla") con tre palazzi presidenziali (uno sullo stile di una pagoda cinese), - oggi tutti abbandonati - con un aereoporto con una pista da 3200 metri (nella foto) adatta a far atterrare il Concord che amava affittare dall'Air France,. Costruì un moderno ospedale con strumentazioni ad alta tecnologia (distrutto nel 1997) e un bunker anti-atomico.
Il 30 ottobre 1974 a Kinshasa (ex Leopoldville) si tenne l'incontro di boxe (Rumble in the Jungle) tra Muhammad Ali e George Foreman (da cui è stato ricavato uno straordinario documentario "Quando eravamo re"). Mobutu per ottenere l'incontro pagò 5 milioni di dollari ad ogni pugile.
Fino alla fine della guerra fredda Mobutu godeva dell'appoggio incondizionato di Belgio, Francia e Stati Uniti, in quanto "baluardo anti-comunista" in un'area dove Unione Sovietica e Cuba fornivano un grande appoggio al governo dell'Angola. Inoltre le immense ricchezze del sottosuolo congolese - le cui concessioni, in cambio di tangenti - erano affidate a società belghe, americane e francesi, contribuivano a "far chiudere entrambi gli occhi" alle potenze mondiali in tema di violenze, diritti umani e furti sistematici ed ingenti del denaro statale.
Finita la guerra fredda Mobutu perse le sue protezioni (le tangenti che le società straniere versavano per sfruttare le risorse minerarie erano oramai sempre più alte). In pochi anni il regime si sfaldò e il 18 maggio 1997 i ribelli guidati da Laurent Desirè Kabila (che Che Guevara, quando era stato in Congo negli anni '60 con le truppe cubane, aveva definito come un arrivista poco incline alla lotta per gli ideali) conquistarono Kinshasa e Mobutu abbandonò il paese, prima per il Togo e infine per il Marocco, dove morì il 7 settembre 1997 per cancro alla prostata.
Mobutu si sposò 2 volte ed ebbe 17 figli. Uno di essi, Francois Joseph Nzanga Mobutu Ngangawe è stato candidato presidente nel 2006 ed è oggi Vice Primo Ministro e Ministro della Sicurezza Sociale.
Alla morte di Mobutu la Svizzera congelò 8 milioni d franchi svizzeri depositati nelle banche elvetiche. Da allora e fino al 2009 i soldi furono trattenuti per impedire di consegnarli agli eredi e restituirli invece alla popolazione della Repubblica Democratica del Congo. Purtroppo l'esito è stato negativo poichè il 15 luglio 2009 i beni furono sbloccati a favore degli eredi. La Svizzera denunciava la scarsa collaborazione delle autorità congolesi (del resto nel governo siede uno dei figli di Mobutu).

La scheda, in inglese, su Wikipedia di Mobuto Sese Seko è completa e ricca di particolari.
Vi linko anche l'ottima e precisa scheda fatta, qualche anno addietro, dall'amico giornalista Alessio Antonini su Peacelink

martedì 28 settembre 2010

Donne in Parlamento, il Ruanda al primo posto nel mondo

Per la prima volta nel mondo un Parlamento eletto è composto in maggioranza da donne. Si tratta del Parlamento del Ruanda, eletto recentemente (i risultati sono stati pubblicati il 18 settembre scorso), in cui 44 donne (54,9%) siedono in un Parlamento di 80 eletti. E' un fatto straordinario che avviene in uno dei paesi più martoriati dell'ultimo ventennio (e forse anche in questo, stando agli analisti, risiede questo risultato).
Il Ruanda supera la Svezia che ha il 46,5% (162) di rappresentanza femminile, il Sudafrica 44,5% (178), Cuba 43,5% (265) , l'Islanda 42,9% (27), l'Olanda 42% (63) e la Finlandia 40% (80).
La presenza delle donne nei Parlamenti del mondo rappresenta uno degli obiettivi di sviluppo del millennio ( ovvero per il 2015 è portare al 50% le donne nei parlamenti).
Purtroppo, salvo l'esperienza del Ruanda e qualche altro isolato caso, l'obiettivo del millennio è lontano in gran parte del resto del mondo, anche in quello ricco.

Se in alcuni stati le donne non sono assolutamente rappresentate (è il caso dell'Arabia Saudita, dell'Oman, del Belize, delle Isole Solomone e altri piccoli stati dell'Oceania), il altri la percentuale è ridicola: in Yemen lo 0,3% (1), in Egitto l'1,8% (8), in Iran il 2,8% (8), in Libano il 3,1% (4), in Mongolia il 3,9% (3), ad Haiti il 4,1% (4), in Georgia il 5,1% (7) e in Ciad il 5,2% (8).

Non sono nemmeno entusiasmanti i dati dei grandi paesi del mondo: il Brasile 8,8% (45), l'India 10,8% (59), il Giappone 11,3% (54), la Russia 14% (63), gli Stati Uniti 16,8% (73), la Francia 18,9% (109), la Gran Bretagna 19, 5 (126), l'Italia 21,3% (134) e la Cina 21,3% (637).
Meglio, tra i paesi che contano nel mondo, la Spagna 36,6% (128), la Germania 32,8% (204)

In Africa, con più alta percentuale di donne in Parlamento, dopo il Ruanda e il Sudafrica, troviamo il Mozambico 39,2% (98), l'Angola 38,6% (85), l'Uganda 31,5 (102) , il Burundi 31,4 (37) e la Tanzania 30,7% (99).
Vi è una singolare relazione tra l'alta percentuale di donne nei Parlamenti e momenti vissuti di forti crisi (in qualche modo superati) nei paesi (Ruanda, Sudafrica, Mozambico, Angola, Burundi) quasi a dire che una volta che gli uomini hanno fallito nel compito di governare sono le donne a prendere il controllo della situazione.
Ad una relativa forte presenza in Parlamento delle donne non corrisponde, in Africa, una reale gestione del potere di governo (vedi post sul potere delle donne africane). Ad oggi in tutto il continenete africano solo la Liberia è guidata da un presidente donna. Thomas Sankara aveva, forse per primo, intuito la potenzialità delle donne africane (vedi post) e la necessità di affidarle la gestione degli stati.

Vale la pena sottolineare i dati negativi africani nei parlamenti di Egitto 1,8% (8), del Ciad 5,2% (8), della Somalia 6,9% (37), della Nigeria 7% (25), del Congo 7,3% (10), dell'Algeria 7,7% (30) e della Libia 7,7% (36).

Al 2015 mancano solo 5 anni, è la strada da percorrere è ancora lunga e difficile.



lunedì 27 settembre 2010

Obiettivi di Sviluppo del Millennio


In questi giorni si è parlato molto degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals o MDGs) in relazione alla 65° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove sono stati evidenziati, dai media mondiali, gli interventi del presidente francese Sarkozy e del presidente americano Obama sulla riduzione della povertà nel mondo.
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio furono assunti con la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel corso della 55° Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2000, da tutte le 191 nazioni aderenti all'ONU. Esse si sono impegnate a raggiungere gli otto obiettivi prefissi entro il 2015.

Gli obiettivi e i sottobiettivi sono i seguenti:

1- Sradicare la povertà estrema e la fame
Ovvero: Ridurre del 50% la popolazione mondiale che vive con meno di 1 dollaro al giorno (rispetto al 1990), garantire piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso a tutti, compreso donne e giovani, ridurre del 50% (tra 1990 e 2015) la percentuale di popolazione che soffre la fame (vedi post su questo tema).
2- Garantire l'educazione primaria universale
Assicurare entro il 2015 che tutti, maschi e femmine, possano terminare il ciclo completo della scuola primaria.
3
- Promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne
Ovvero: eliminare la disparità dei sessi nell'insegnamento primario, uguale retribuzioni nel lavoro alle donne e pari rappresentatività nei Parlamenti.
4- Ridurre la mortalità infantile
Ridurre di 2/3 la mortalità infantile sotto i 5 anni ( vedi post sul tema)
5- Migliorare la salute materna
Ovvero: ridurre di tre quarti la mortalità materna e rendere possibile, entro il 2015, l'accesso ai sistemi di salute riproduttiva
6- Combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie
Ovvero: bloccare la diffusione dell'HIV/AIDS e invertire la tendenza, garantire l'accesso universale alle cure e bloccare entro il 2015 l'incidenza della malaria e delle altre malattie importanti (come la tubercolosi).
7-Garantire la sostenibilità ambientale
Ovvero: invertire la perdita di foreste e risorse ambientali, ridurre del 50% il tasso di popolazione senza accesso all'acqua potabile e agli impianti igienici e ottenere un miglioramento significativo della vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli (entro il 2020).
8-Svilup
pare un partenariato mondiale per lo sviluppo
Sviluppare il sistema commerciale e finanziario fondato su regole non discriminatorie, tenere conto dei bisogni dei paesi meno sviluppati (compresa la cancellazione dei debiti), rivolgersi ai bisogni speciali dei paesi senza accesso al mare e insulari, occuparsi in maniera globale dei debiti dei paesi in via di sviluppo, favorire la cooperazione tra aziende farmaceutiche per rendere le medicine essenziali disponibili ed economicamente accessibili, favorire l'accesso alla comunicazione e all'informazione (internet).

Gli obietti
vi vengono monitorati attraverso 60 indicatori ufficiali che sono aggiornati e consultabili on line nel sito indicato. Questo permette a tutti di verificare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi medesimi.
Nel sito ufficiale delle Nazioni Unite sugli Obiettivi del Millennio è possibile avere inoltre tutte le informazioni, i database completi e il resoconto delle iniziative in corso.
L'ultimo r
eport (datato giugno 2010) aggiorna sullo stato complessivo degli obiettivi.
Vi segnalo anche la campagna Stand Up Take Action - Campagna del Millennio voluta dalle Nazioni Unite.

Appare evidente che gli obiettivi, ambiziosi e sotto alcuni versi idealistici, rappresentano una "battaglia per un altro mondo possibile", perchè in altre parole significa dare un futuro a tutti. Forte è stato il richiamo ai governanti dei paesi ricchi che "spendono troppo per proteggersi da se stessi e troppo poco per creare le condizioni per un mondo di pace".
Il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio deve essere una priorità politica. Il non concentrarsi su questi temi equivale ad essere miopi, poichè le conseguenze ricadranno sulle generazioni future, sui nostri figli. Non solo le questioni legate alla povertà (ingiusta per definizione in questa epoca), ma anche i problemi legati al clima, alla biodiversità, alle foreste e all'acqua sono talmente universali che richiedono un intervento, ora.
Certo alcuni segnali di attenzione vi sono stati nella recente Conferenza di verifica per l'attuazione degli obiettivi, conclusasi il 22 settembre scorso (vedi documento finale) come la centralità attribuita al tema del raggiungimento degli obiettivi e al suo coordinamento (questione non scontata) e alcuni investimenti specifici, come quello sull'obiettimo madre-bambino. Certo permangono dubbi ed ostacoli, così come resta la centralità del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale che certo non sono del tutto esenti (anzi) da responsabilità sullo stato attuale del pianeta e in particolare dei Paesi in via di Sviluppo.



domenica 26 settembre 2010

Bandiere africane, l'importanza dei colori

L'origine delle bandiere nazionali e il simbolismo che in esse si raffigura rappresenta uno studio antico e di assoluto interesse. Le bandiere hanno sempre lo scopo di comunicare e tutte costituscono segnalibri tra le pagine della storia. Tutti i grandi momenti della storia sono stati segnati da una bandiera: la rivoluzione francese e il tricolore sono oggi un'unica immagine.
Sulla trattazione delle bandiere del mondo vi rimando ad alcuni siti, come quello di Roberto Breschi o al Flags of The World.

In Africa la prima bandiera fu quella della Liberia (risalente al 1847 e ancor oggi in uso) che chiaramente derivata da quella americana. La seconda fu invece quella dell'Etiopia (datata 1897, ancor oggi in uso) e costituita da tre colori: il rosso, il giallo e il verde, che in seguito sarebbero diventati simbolo del panafricanismo. Sono anche i colori del rastafarianesimo -i rasta per semplificare - movimento nato appunto in Etiopia negli anni trenta e diffusosi nel mondo, a partir dagli anni '70 - grazie al musicista Bob Marley.
Oggi infatti 18 stati africani contengono, nella loro bandiera, i colori rosso, giallo e verde (la bandiera nella foto è della Guinea, che è uguale a quella del Mali).
Pur con variazioni da paese a paese, il rosso che originariamente rappresentava la forza è stato usato per simboleggiare il sacrificio per l'indipendenza (quindi, il sangue versato nella lotta di liberazione), il giallo, che nella bandiera etiope rappresentava la pace e l'amore, è diventato il sole e la ricchezza della terra (spesso l'oro e le risorse minerarie), mentre il verde, che per gli etiopici simboleggiava la terra e la speranza per il futuro ha mantenuto lo stesso significto anche nel simbolismo panafricano.
E' interessante notare che il Ghana, primo paese dell'Africa nera a giungere all'indipendenza enl 1958 e quindi a dotarsi di una bandiera nazionale, aggiungerà ai colori panafricani una stella nera al centro, che da allora simboleggerà la libertà e l'unità africana.
Nelle bandiere africane fu poi adottato il blu - simbolo del mare e dei fiumi e in genere dell'acqua e il bianco, simbolo di pace e giustizia. Tutti i colori, quelli panafricani, assieme al nero, il blu e il bianco si trovano oggi nella nuova bandiera del Sudafrica adottata nel 1994 all'indomani della Costituzione multirazziale (vedi foto).

Il verde, rappresenta anche i colori dell'islam ed è usato, con tale simbolismo, nei paesi del nord Africa come la Libia e l'Algeria, ma anche in Mauritania e nelle Comore.

sabato 25 settembre 2010

Cinema: La battaglia di Algeri (1966)

La battaglia di Algeri è l'opera più nota , uscita nel 1966, del regista toscano Gillo Pontecorvo, da un soggetto dello stesso Pontecorvo e di Franco Solinas.
Un film neorealista, in bianco e nero, asciutto e con uno stile quasi documentarista, che drammatizza una delle lotte anti-coloniali più sanguinose del XX secolo: la ribellione algerina, iniziata nel 1954 e conclusa nel 1962 contro il dominio coloniale francese.
In realtà il film si concentra su quella che è conosciuta come la battaglia di Algeri, durante il periodo 1954-1957. Due i protagonisti principali: Ali La Pointe, interpretato da Brahim Haggiag (attore analfabeta che non era mai stato al cinema prima di essere scelto per la parte, membro del Fronte Nazionale di Liberazione (FNL) e il comandante dei parà, il francese Colonnello Mathieu - interpretato da Jean Martin, unico attore professionista del cast, bandito dalla Francia per il suo sostegno alla lotta algerina.
Il film, Leone d'Oro a Venezia nel 1996, nominato per tre Oscar, venne proibito in Francia e Gran Bretagna fino al 1971, In Francia gli ex-coloni algerini e i membri dell'OAS (Organizzazione dell'Armata Segreta-organizzazione clandestina nata nel 1961, e composta da militari francesi favorevoli al mantenimento della colonia) si opposero violentemente al film.
Nel 1972 anche in Italia, a Roma, vi fu un episodio di intolleranza di una banda di fascisti che attaccarono il pubblico durante una proiezione, ferendo uno spettatore.

Un film impegnato, che nonostante alcuni limiti politici - come il non mostrare le fazioni avverse interne al FNL (che saranno poi fondamentali nel post-indipendenza), o non evidenziare l'effetto che la resistenza algerina ebbe sulle masse lavoratrici francesi (scioperi e proteste contro De Gaulle) o trascurare l'opposizione dei soldati di leva francese - rappresenta molto bene la lotta al colonialismo e il diritto legittimo a resistere all'occupazione.
In un passaggio un leader del FNL, parlando con La Pointe, avverte il giovane " che la lotta rivooluzionaria è ardua, ma vincere è il più difficile di tutti. E, solo dopo che abbiamo vinto iniziano le vere difficoltà".



L'Algeria, alla fine della lunga guerra di liberazione, durata dal 1954 al 1962, diventa indipendente il 5 luglio 1962. Ufficialmente morirono circa 200 mila persone, secondo altri dati si arrivò a sfiorare il milione. Subito a seguito dell'indipendenza scoppiarono dei conflitti in seno ai leader del FNL, che nonostante la nuova Costituzione del 1963 e il 3° Congresso del FNL dell'aprile 1964, portarono, il 19 luglio 1965 al colpo di stato di Houari Boumediane, che resterà alla guida del paese fino alla sua morte nel 1978.

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venerdì 24 settembre 2010

Squalo a Mogadiscio, un ricordo

Ieri Repubblica.it ha pubblicato alcune immagini - bellissime - di un ragazzo a Mogadiscio che trasportava, sulla schiena, un grande squalo per venderlo.
Vedendo le foto mi è tornata in mente una storia. Nel 1995 ero in procinto di recarmi, per conto di una ONG italiana, in Somalia (cosa che poi non ho mai fatto). Mentre discutevamo sulle problematiche logistiche (la Somalia era nel pieno caos - vedi questo post di Sancara) un medico, che era appena rientrato da Mogadiscio, mi raccontò di un bambino morso da uno squalo mentre faceva il bagno. Incuriosito lo incalzai di domande sull'accaduto. Quando arrivarono gli americani - con la missione Restore Hope - dalle portaaerei alla fonda era difficile arrivare sulle spiagge a causa della barriera corallina. Gli americani decisero allora di aprire dei varchi (usando esplosivi) nella barriera per permettere il passaggio di mezzi anfibi e altre imbarcazioni in modo da favorire lo sbarco di truppe e mezzi. Ovviamente l'ecosistema naturale (e la protezione) fu alterato in modo permanente. In quel tratto di spiaggia vi erano i luoghi dove gli abitanti - soprattutto bambini - usavano fare il bagno. Gli squali iniziarono ad entrare, attraverso i varchi provocati dalle esplosioni, e vi furono i primi casi di attacchi all'uomo. Del resto da generazioni si sapeva che quella zona, a causa della barriera corallina, era protetta dalla presenza di squali più grandi. Quel medico (mi spiace non ricordarne il nome) mi raccontò che nell'ultimo anno vi erano stati diversi attacchi in quel tratto di mare - qualcuno anche molto grave (amputazioni di arti) - tutti a carico di bambini.
Oggi guardando le foto di Repubblica mi è tornata in mente quella chiacchierata. Questa volta, forse, i ragazzi hanno avuto la meglio sugli squali.

Naturalmente essendo una notizia di "seconda mano" non sono in grado di conoscerne maggiore dettagli , resta a mio parere interessante. Resta il fatto che il collegamento con la foto di Repubblica mi apparso sensato.

La città archeologica di Abu Mena (Egitto)

Il sito archeologico di Abu Mena (chiamata anche Abu Mina) si trova nel deserto Maryout a 45 km da Alessandria d'Egitto. Si tratta di una città, di un complesso di monasteri e di un luogo di pellegrinaggio dell'antico Egitto. Dal 1979 è inserito nei Siti patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO.
Pochi edifici sono oggi in piedi, essi si riconoscono dalle fondamenta.
Abu Mena è il luogo dove fu sepolto San Menna d'Egitto (deceduto, secondo alcuni, nel 296 d.c.). Esistono diverse versioni in merito alla sua sepoltura e sull'edificazione del santuario a lui dedicato. Ben presto Abu Mena divenne un luogo di pellegrinaggio e restò tale fino al VII sec., quando la città fu distrutta dagli Arabi. Ancora oggi è uno dei santi più venerati in Egitto.
Gli scavi che riportarono alla luce la Basilica furono fatti tra il 1905 e il 1908. Nel 1979 il sito fu inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dell'Unesco per il suo valore culturale. Fino al 1998 gli scavi sono stati continuati dai tedeschi.
Dal 2001 Abu Mena è inserito nei siti patrimonio dell'umanità in pericolo, a causa dello sfruttamento agricolo dell'area che ha innalzato la falda freatica che a sua volta ha provocato il crollo di alcuni edifici.
Per maggiori informazioni vi segnalo il sito del St.Mina Monastery, dove si trovano immagini, video e schede storiche su Abu Mena.

mercoledì 22 settembre 2010

UNICEF: i dati sulla mortalità infantile nel mondo, un commento

L'UNICEF ha recentemente diffuso le nuove stime sulla mortalità infantile (Child Mortality - Report 2010) nel mondo. Nonostante l'ottimismo - in parte giustificato - per la riduzione di un terzo della mortalità a partire dal 1990, i dati sono sconcertanti. Se è vero che si è passati da 12,4 milioni di decessi all'anno nel 1990 agli attuali 8,1 milioni, resta pur vero che ogni giorno muoiono 22.000 bambini, di cui il 70% nel primo anno di vita.
Il tasso più elevato di mortalità (l'indice è la mortalità nei primi 5 anni di vita) è registrato in Africa Sub-Sahariana con 3,9 milioni di morti all'anno (un bambino su 8 non arriva a 5 anni).
Se poi si analizzano i dati riferiti ai singoli stati scopriamo che nel periodo 1990-2009 5 stati del mondo non hanno ridotto, bensì aumentato, il tasso di mortalità infantile. Essi sono: Il Ciad (da 201/1000, a 209/1000), il Camerun (da 148 a 154), il Congo (da 104 a 128), lo Zimbabwe (da 81 a 90) e Trinidad e Tobago (da 34 a 35). Come al solito l'Africa primeggia.
Inoltre sono altri 5 gli stati africani che nello stesso periodo (1990-2009) hanno mantenuto lo stesso livello di mortalità. Sono: Botswana, Centrafrica, Rd Congo, Somalia e, sorprendentemente, il Sudafrica (62/1000).
In questa triste classifica il tasso di mortalità più alto nel mondo - i cui primi 15 posti sono occupati solo da paesi africani - è detenuto dal Ciad (con 209 su 1000), che tanto per semplificare significa che un bambino su 5 non arriva ai 5 anni di vita.
Seguono la Repubblica Democratica del Congo e l'Afghanistan (unica nazione non africana) con un tasso di 199/1000, poi la Guinea Bissau (193/1000), la Sierra Leone (192/1000), il Mali (191/1000), la Somalia (180/1000), il Centrafrica (171/1000), il Burkina Faso e il Burundi (166/1000), l'Angola (161/1000), il Niger 160/1000) e il Camerun (154/1000).
In numeri assoluti è invece la Nigeria, con 794 mila bambini under 5 morti nel 2009 che detiene il primato.
Confrontando questi dati con i dati sugli "stati in via di fallimento" è possibile cogliere la semplice correlazione tra l'incapacità dei governi di controllare il territorio e di offrire servizi ai cittadini. con l'alto tasso di mortalità infantile. Nonostante gli sforzi, nonostante gli obbiettivi del 2015, che la comunità internazionale si è data, la situazione resta tutt'altro che ottimistica.

Ma quali sono i motivi di questa strage? Stando all'UNICEF un terzo abbondante di queste morti sono direttamente collegabili alla denutrizione. Recentemente la FAO, nel suo rapporto annuale, ha fornito i dati aggiornati della fame del mondo.
Nello specifico (i dati si riferiscono al 2008) , il 41% delle morti sono neonatali - ovvero nei primi 30 giorni di vita. Di cui il 21% patologie legate alle complicanze da parto, il 12% a malattie infettive , il 3% a patologie congenite e il restante 5% al altre cause. Il 14% appartengono alla categoria delle polmoniti e un'altro 14% alla categoria delle "malattia diarroiche" (ovvero tutta una serie di malattie da agenti patogeni - batteri, virus etc- del tratto gastro-intestinale che determinano diarrea e disidratazione). L'8% è dovuto alla Malaria, il 3% ad incidenti (ferite, morsi di animali etc), il 2% all'AIDS e l'1% al morbillo. Infine un 16% dovuto ad altre cause (comprese le guerre).
La maggioranza di queste morti risultano essere prevenibili (quelle di polmoniti e diarrea, quelle delle complicanze da parto e neonatali, ma anche quelle da altre patologie che in un fisico con una sufficiente alimentazione sarebbero meno aggressive). E' evidente che la povertà è l'elemento centrale che determina questa strage di bambini.
Per fare un raffronto con il mondo ricco, l'Italia ha un tasso di mortalità di 4 su 1000, gli Stati Uniti 8 su 1000, la Francia 4 su 1000, la Germania 4 su 1000, il Giappone 3 su 1000, i paesi scandinavi 3 su 1000, la Cina 19 su 1000. Il Liechtenstein con 2 su 1000, rappresenta l'eccellenza mondiale.

Infine è bene sottolineare - anche per nutrire delle flebili speranza - che il questo quadro disastroso esistono anche delle situazioni virtuose. Il paese che nel mondo ha inciso di più sul declino della mortalità infantile sono le Maldive (11,4% annuo, passando da 113 su 1000 nel 1990 a 13 su 1000 nel 2009), è semplice capire perchè.
Sono interessanti i progressi fatti a Timor Est (6,3%, da 184 a 56), in Turchia (7,6%, da 84 a 20), in Mongolia (6,6%, da 101 a 29), in Perù (6,9%, da 78 a 21) e in Egitto (7,7%, da 90 a 21).
Se si osservano solo il gruppo dei paesi con alto tasso di mortalità, in Africa hanno ridotto drasticamente il tasso di mortalità il Madagascar (da 167 a 58), l'Eritrea (da 155 a 55), la Liberia (da 247 a 112) e l'Etiopia (da 210 a 104).

In Africa Sub-Sahariana (l'area mediterranea - ha dei tassi che vanno dai 19/1000 della Libia ai 38/1000 del Marocco, mentre le isole Seychelles e Maurizio, sono rispettivamente a 12/1000 e 17/1000) è Capo Verde, con un tasso di 28/1000 che detiene il primato positivo. Vi sono poi la Namibia (48/1000), l'Eritrea (55/1000), il Botswana (57/1000) e il Madagascar (58/1000).

La povertà dovrebbe colpire paesi dove le risorse sono scarse. In Africa, tolte alcune eccezioni, non è affatto così.





martedì 21 settembre 2010

Le Nazioni Unite e Sarkozy

Alla Nazioni Unite il presidente Sarkozy ha rilanciato (perchè al di là dell'importanza data alla notizia dai media mondiali, si tratta di una proposta già più volte enunciata da altri) la proposta di una tassa universale sugli scambi (transazioni) finanziari al fine di ridurre la povertà nel mondo - che trova nell'Africa un "terreno fertile".
Nel suo discorso, da leader consumato, Sarkozy ha esortato la platea, riunita in occasione della 65° Assemblea delle Nazioni Unite sugli Obiettivi del Millennio (stabiliti per il 2015), ad agire subito. Lo ha fatto con tono deciso quasi a dire "ma che aspettiamo?".
Premesso che - come sostengono molti commentatori internazionali - la necessità di una Tobin Tax sulle operazioni finanziarie (e sulle speculazioni) è doverosa, la sede in cui la tassa è stata proposta risulta inopportuna.
In primo luogo perchè le Nazioni Unite non hanno nessuna competenza in materia di tassazione, ma al massimo possono esortare i governi o la Banca Mondiale ad attivarsi verso tale proposta (considerati gli insuccessi delle Nazioni Unite negli ultimi 20 anni, la cosa fa sorridere...). Inoltre, spiace ricordarlo, le Nazioni Unite vivono forse il peggior periodo della storia, incapaci di essere determinanti nelle dinamiche della geopolitica globale ed inefficaci nelle crisi locali o di macroaree. Inoltre, come ha avuto modo di ricordare il Segreteario Generale Ban Ki-Moon le Nazioni Unite hanno "un buco di 26 miliardi di dollari " dovuto a fondi promessi e mai erogati (da Stati Uniti e Italia in testa). Allora quale può essere il potere di esattore (e di controllo) di un organismo che non è capace nemmeno di far pagare ai suoi più illustri membri? Cosa può fare un organismo che da oltre 50 anni si base su di un'organizzazione - quella del Consiglio di Sicurezza - frutto degli esiti della seconda guerra mondiale e che ancora vede il diritto di veto da parte di 5 nazioni sul resto del mondo?
L'impressione è che Sarkozy, da uomo politico, nel mezzo di un calo di consensi clamoroso in patria e in Europa, abbia trovato l'asso nella manica mediatico per rilanciarsi quale statista mondiale.
Da poco la FAO ha pubblicato il rapporto sulla povertà e l'UNICEF quello sulla mortalità infantile: gli obiettivi del Millennio, con scadenza 2015, sono ancora molto lontani.


lunedì 20 settembre 2010

Parco Nazionale del Simien (Etiopia)

Il Parco Nazionale del Simien (o Semien), localizzato nella regione Amhara dell'Etiopia è stato inserito tra i Siti Patrimonio dell'Umanità UNESCO nel 1978 per il suo valore naturalistico.
Il parco fu istituito nel 1969 grazie anche al lavoro dello scrittore e attore scozzese Clive Williams Nicol. Tra il 1983 e il 1999 il Parco fu chiuso al pubblico a causa della guerra civile. Nel 1995 l'area fu estesa includendo le riserve di Mesareriya e Lemalino (portando l'area da 13.600 ettari a 23.200 ettari).
La specificità (e unicità) del Parco è data dalla presenza di alcune specie, animali e vegetali, endemiche ed in pericolo.
Tra gli animali sono state segnalate 21 specie di mammferi, tra cui 7 specie endemiche.
Tra queste il Lupo dell'Abissinia, il babbuino gelada e lo stambecco del Simien.
Dal 1996 il sito è inserito nella lista dei siti patrimonio dell'umanità in pericolo a causa del calo delle specie native della regione.

Il Lupo dell'Abissinia o Lupo dell'Etiopia o Sciacallo Rosso o Volpe del Simien (nome latino canis simensis) vive soprattutto sulle montagne di Bale oltre che nel Parco del Simien. E' ritenuto il canide più raro del mondo. Nel 1990 un'epidemia di rabbia ridusse in poche settimane la popolazione da 440 unità a 160. Un'altra epidemia fu scongiurata, grazie all'intervento umano nel 2003. Il sito Wildlife Conservation Network (WCN) segue i progetti di protezione del Lupo dell'Etiopia. Il maggior esperto del lupo è lo zoologo argentino Claudio Silleri-Zubiri dell'Università di Oxford.
E' ritenuta una specie in pericolo.


Il Babbuino Gelada (Theropithecus gelada) è una scimmia che vive solo in Etiopia, nel terreno pietroso intorno al Lago di Tana, tra i 2000 e 4000 metri. E' l'unica scimmia brucatrice - passa il tempo a camminare a 4 zampe brucando l'erba.






Lo stambecco del Simien (Capra walie) invece è un bovide che vive solo in Etiopia (ed esclusivamente nel Parco del Simien). Oggi sopravvivono solo 500 esemplari e lo stato di conservazione è ritenuto critico. Grazie al rischio della sua estinzione alla fine degli anni '60 (sie ra giunta ad una popolazione di soli 150 esemplari) le organizzazioni internazionali "costrinsero" l'Etiopia a istituire il Parco nazionale del Simien.






Il parco è amministrato dalla Ahmara Parks Development and Protection Authority (PaDPA). Il Parco ha visto aumentare il numero dei visitatori negli ultimi anni (655 nel 1999, oltre 7.000 nel 2007). Nel 2006 erano 57 le guardie addette al parco.
 Dal 1996 e fino al 2017 il sito è stato inserito tra i Patrimoni dell'Umanità in pericolo a causa di una strada che doveva passare al suo interno, di un aumento dell'invasione umana e di uno scarso sistema di management.

(siti patrimonio dell'umanità africani)

domenica 19 settembre 2010

Esce il libro di Ken Saro-Wiwa, eroe Ogoni

Uscirà il 21 settembre il libro "Un mese e un giorno. Storia del mio assassinio", del nigeriano Ken Saro-Wiwa, edito da Dalai. E' il diario della prima prigionia (31 giorni, nel 1993) che l'autore affrontò prima di essere nuovamente arrestato nel 1994 ed impiccato (nel 1995) dal regime nigeriano, assieme ad altri 8 attivisti del MOSOP (Moviment for the Survival of the Ogoni People).
Ken Saro-Wiwa era un poeta, scrittore, drammaturgo e autore televisivo nigeriano, che dopo aver ricoperto incarichi istituzionali negli anni '70, a partire dagli anni '80 si fece promotore delle rivendicazioni del suo popolo (gli Ogoni), e in generale delle popolazioni del Delta del Niger (oggi uno dei luoghi più inquinati del mondo), contro lo sfruttamento da parte delle multinazionali - Shell in testa- del territorio per l'estrazione del petrolio (la Nigeria è il maggior produttore di petrolio africano - vedi post). Saro-Wiwa accusava la Shell di uccidere gli Ogoni inquinando l'ambiente con i rifiuti industriali prodotti dallo sfruttamento del petrolio.
Arresto una prima volta nel 1993, rilasciato, venne imprigionato nel 1994 con l'accusa di aver incitato all'omicidio di quattro oppositori contrari alla linea del Mosop. A seguito di un processo - da tutti ritenuto una farsa - fu condannato all'impiccagione. Il 10 novembre 1995 la sentenza fu eseguita a Port Harcourt.
L'anno dopo, nel 1996, Jenny Green, avvocatessa americana, avviò una causa contro la Shell, per dimostrare la sua complicità nell'assassinio di Ken Saro-Wiwa. La Shell, al processo iniziato nel maggio 2009, patteggiò, pagando un risarcimento di 11,1 milioni di euro pur di non dar corso al dibattimento, che secondo molti avrebbe fatto scoprire molti "affari poco chiari" della multinazionale in Nigeria.
All'epoca dell'assassinio (perchè di questo si tratta) di Ken Saro-Wiwa la Nigeria era guidata dal Gen. Sani Abacha (che il 17 novembre 1993, a seguito dell'annullamento delle elezioni che avevano decretato la vittoria del ricco uomo d'affari Abiola, aveva preso il potere) che a fine del 1994 aveva istituito un tribunale speciale militare per far condannare gli Ogoni per i disordini nel Delta del Niger. La sentenza fu pronunciata il 31 ottobre 1995 e nonostante gli interventi di Bill Clinton (allora presidente americano), di Nelson Mandela e del Commonwealth (che a seguito espulse la Nigeria), la sentenza fu rapidamente eseguita. Abacha morì poi improvvisamente l'8 giugno 1998 (per infarto mentre festeggiava assieme a due-tre prostitute). A seguito della sua morte - la moglie fu arrestata all'aereoporto di Lagos con 38 valigie piene di denaro. Si pensa che la famiglia Abacha (moglie e 9 figli) abbia sottratto al popolo nigeriano una cifra vicina ai 4 miliardi di dollari. Per la Svizzera (che aveva "congelato" quasi 750 milioni di dollari di Abacha) la famiglia Abacha è ritenuta una "famiglia criminale". Recentemente il Liechtstein ha iniziato la restituizione alla Nigeria di 188 milioni di euro rubati della famiglia Abacha.
E' evidente che l'assassinio di Ken Saro-Wiwa (che più volte aveva proposto di dividere con le popolazioni locali i grandi guadagni del petrolio), l'avidità di Sani Abacha (confermato dall'esportazione all'estero di 2,2 miliardi di dollari) e la sua scomparsa repentina, le enormi entrare della Shell (per le estrazioni del petrolio del Delta del Niger) e la volontà di chiudere presto il processo (patteggiando un rimborso), lasciano intravedere un legame da cui è difficile sottrarsi.

Nel suo ultimo discorso presso il tribunale speciale militare che lo condannò a morte, Ken Saro Wiwa ebbe modo di dire: "inorridito dall'umiliante povertà del mio popolo, che pure vive in una terra ricca, angosciato della sua emarginazione politica e per lo strangolamento economico, indignato per la devastazione del suo territorio..... ho investito le mie risorse intellettuali e materiali, tutta la mia vita in una causa in cui credo ciecamente e per la quale non posso accettare intimidazioni e ricatti... la prigionia, la morte potranno impedirci di avere successo" concludendo "sono convintissimo che molto presto la Shell sarà chiamata a rispondere della guerra ecologica iniziata nel delta del Niger".

venerdì 17 settembre 2010

Il nucleare in Africa

Mentre il mondo intero discute (e si interroga) della nuova centrale nucleare in Iran- prossima all'avvio della produzione- altri 54 reattori (stando al rapporto 2009 dell'Iaea - International Atomic Energy Agency) sono in costruzione sul nostro pianeta (20 in Cina, 9 in Russia, 6 in Korea, 5 in India, 2 in Bulgaria, Slovacchia, Ucraina e uno in Argentina, Finlandia, Francia, Giappone, Pakistan, e Stati Uniti).
Certo la centrale iraniana ha un nome singolarmente ironico Bushehr (che sia dedicata alla famiglia Bush?). Progettata nel 1979 (prima della rivoluzione islamica di Khomeini), la costruzione fu interrotta nel 1980 allo scoppio della guerra Iran-Iraq. Solo nel 1994 i russi (perchè sono loro a costruirla) ripresero i lavori che il 21 agosto scorso hanno permesso di iniziate a caricare il combustibile.
Sono 437 i reattori oggi in attività nel mondo e di essi, 339 sono in attività da più di 20 anni.
Sono 104 i reattori negli USA, 59 in Francia, 54 in Giappone, 31 in Russia, 20 in Corea, 19 nel Regno Unito, 18 in Canada e India, 17 in Germania, 15 in Ucraina, 11 in Cina, 10 in Svezia, 8 in Spagna, 7 in Belgio, 6 in Repubblica Ceca, 5 in Svizzera, 4 in Slovacchia, Finlandia e Ungheria, 2 in Argentina, Brasile, Messico, Pakistan, Romania, Sud Africa e una in Armenia, Olanda, Slovenia.

In Africa esiste un'unica centrale nucleare (nella foto), con due reattori da 900 megawatt ed è in Sudafrica precisamente a Koeberg, vicino a Cape Town. Nella sede delle centrale viene anche stoccato tutto il combustibile esausto (scorie) non avendo ancora deciso, il Sudafrica, una politica seria sullo smaltimento. Costrita nel periodo 1976-1985 dalla francese Framatome (che era stata fondata nel 1958) (oggi Areva (già Cogema)- conosciuta agli amanti della vela per essere sponsor dell'imbarcazione francese in Coppa America, ma anche coproprietaria delle miniere di uranio in Niger e Gabon) ed entrata in funzione il 4 aprile 1984 (il primo reattore) e il 25 luglio 1985 (il secondo reattore). La centrale nel 2009 ha prodotto il poco meno del 5% dell'energia sudafricana.
La cosa curiosa è che la centrale nucleare è stata costruita durante il periodo in cui il Sudafrica - a causa dell'apartheid - era soggetta a sanzioni internazionali. Infatti nel 1973 le Nazioni Unite decretarono che l'apartheid fosse dichiarato un crimine internazionale. Così nel 1976 mentre entrava in vigore la Convenzione Internazionale per la Soppressione e la Condanna del Crimine dell'Apartheid, i francesi cominciarono a costruire la centrale nucleare di Koeberg. Insomma in quegli anni il Sudafrica a causa dell'apartheid non poteva partecipare, ad esempio, alle Olimpiadi (fu infatti esclusa dal 1964 al 1988) mentre poteva tranquillamente costruire con la cooperazione francese l'unica centrale nucleare di tutta l'Africa (e poi molti si chiedono perchè non funzionano le sanzioni internazionali).

Naturalmente sono molti i paesi che premono per entrare nel club nucleare. Sempre secondo il rapporto 2009 dell'Aiea, sono 60 i paesi (per la maggioranza in via di svuluppo) che hanno informato l'agenzia che sono interessanti a sviluppare un programma nucleare. Di questi stando all'agenzia, 17 paesi sono ad uno stato avanzato dello sviluppo (Emirati Arabi Uniti in testa).
In Africa in testa l'Egitto (quello che è più avanti e che ha già identificato il sito nella località di Al-Daaba, a pochi chilometri da Alessandria), poi Algeria, Marocco, Libia, Namibia, Nigeria, Ghana e Sudan.
Del resto il rapporto con l'uranio in Africa è molto stretto. Namibia e Niger sono tra i primi cinque estrattori di uranio a mondo (dopo Canada, Australia e Kazakistan), mentre il Sudafrica è nei primi 10 del mondo. Dalle miniere dell'attuale Repubblica Democratica del Congo proveniva l'uranio usato per la bomba americana che colpì Hiroshima, mentre il deserto del Sahara fu oggetto di una grande quantità di test atomici francesi negli anni '60). Al tempo stesso è un rapporto complesso e complicato anche sul versante bellico del nucleare (linko un interessante articolo del 2005 di Unimondo sugli intrecci nucleari in Africa, per chi avesse voglia di seguire questo filone).
Certo alcune cose lasciano sconcertati, come il regalino fatto dagli americani a Mobutu (allora presidente dello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo) negli anni '70. Un piccolo reattore nucleare sperimentale. Delle barre di uranio di quel reattore si sono perse le tracce nel 2001 , finite nell'ormai enorme commercio parallelo e criminale di uranio e suoi simili.