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domenica 31 ottobre 2010

Musica: Salif Keita, the Golden Voice of Africa

Salif Keita è nato in Mali, a Djoliba il 25 agosto 1949. Terzo di tredici figli, a causa del suo albinismo (in molte culture ritenuto un segno di brutto auspicio) venne emarginato dalla famiglia e dalla società. Una famiglia nobile, essendo parte della diretta discendenza di Soundjata Keita, unificatore dell''impero del Mali. Nel 1967 si trasferì a Bamako, la capitale del Mali, dov affidò alla musica la sua sopravvivenza. Nel 1970 la sua voce impressionò il sassofonista Tidiane Kone, che lo volle nella sua banda: la Rail Band de Bamako. Un'orchesta che, sovvenzionata dalle Ferrovie, suonava tutti i giorni nel buffet della stazione di Bamako. Si racconta che le prime volte Salif Keita, cantava coperto da un turbante per nascondere il suo albinismo. Nel 1973 si aggregò al gruppo Les Ambassadeurs du Motel e il suo posto nella band della stazione fu preso da un altro grande della musica maliana, Mory Kantè. Incise i primi dischi con la band (con cui fece anche una tournè negli Stati Uniti) tra cui il successo Mandjou. In questi anni le band di Bamako, in rivalità tra di loro, producevano un'ottima musica e sfornarono una grande quantità di talenti musicali.
Nel 1984 si trasferì a Parigi dove dapprima ricominciò a suonare nei locali e alle feste private, coniugando lo stile della musica africana con la world music. Nel 1985 fu chiamato a suonare con Manu Dibango e nel 1987 escì il suo primo album di successo, Soro. Da allora iniziò a collaborare con artisti affermati della musica internazionale come Joe Zawinul (ex Weather Report), Steve Hillage, Vernon Reid, Grace Jones e molti altri.
Nel 2001 Salif Keita apre un night club a Bamako, il Moffou.
La sua voce gli è valsa l'appellatico di Golden Voice of Africa.





Sito ufficiale di Salif Keita.
Vi linko anche questa scheda su Salif Keita tratta da T.P.Africa, uno dei più aggiornati, precisi e appassionati blog sulla musica e sui ritmi dell'Africa Sub-Sahariana.

venerdì 29 ottobre 2010

Sud Sudan, in attesa del referendum

Si terrà il 9 gennaio 2011 il referendum per l'indipendenza del Sud Sudan, un'area vasta quanto la Francia con circa 10 milioni di abitanti, che a seguito degli accordi di pace di Addis Abeba del 2005, e dopo 22 anni di guerra civile, chiederà alla popolazioni di pronunciarsi sull'indipendenza.
Mancano meno di tre mesi e la situazione è tutt'altro che tranquilla al punto tale che il segretario di stato degli Stati Uniti (il ministro degli esteri per noi) , Hillary Clinton, l'ha definita una "bomba ad orologeria". Mentre il governo di Khartoum, guidato da Omar Al -Bashir (incriminato per crimini contro l'umanità dal Tribunale Internazionale per il genocidio del Darfur - altra zona "calda" del Sudan e considerata la più grave emergenza umanitaria in corso nel pianeta) ha fatto sapere già, attraverso i suoi ministri, che non considera nemmeno l'idea di dividere il Paese e molti sostengono che di fatto il referendum non si svolgerà mai.

La storia del conflitto tra il nord e il sud del Sudan ha origini antiche e risale ad ancora prima dell'indipendenza (ottenuta nel 1956 dal codominio anglo-egiziano). La questione alla base, seppur non sufficiente a spiegare tutto, è la differenza religiosa tra le due parti. Mussulmana al nord, cristiana e animista al sud. Vi sono poi questioni etniche, ideologiche e la gestione delle risorse , il petrolio in primis. Nel Sud del Sudan si estrae l'80% del petrolio del paese, che è il terzo produttore di petrolio dell'Africa Sub Sahariana (dopo Angola e Nigeria) con oltre 24 milioni di tonnellate annue. Una prima parte del conflitto durò fino al 1972, quando l'allora presidente del Sudan Nimeiri (salito al potere con un golpe nel 1969) firmò il 27 febbraio 1972 un accordo con il sud del paese concedendo un'ampia autonomia. Vi fu un decennio di relativa pace e dal 1983 (quando fu revocata l'autonomia al Sud e instaurata la legge islamica in tutto il paese) al 2005, ventidue anni di guerra che hanno causato 2 milioni di morti.
Da una parte il governo di Khartoum (l'attuale presidente, Omar Al-Bashir è diventato capo di stato con un golpe 1989), che aveva il supporto di Francia e successivamente della Cina. Al fianco di Al Bashir vi è sempre stato (fino a pochi mesi orsono quando questo rapporto si è rotto) quello che molti ritengono il leader "occulto" del paese, ovvero Hassan Al Turabi, guida spirituale del Fronte Nazionale Islamico, che ha studiato in Inghilterra e Francia tra la fine degli anni '50 e gli inizia degli anni '60. Dall'altra la SPLM (Sudan People Liberation Movement) e soprattutto il suo braccio armato SPLA (Sudan People Liberation Army), nato nel 1983 ad opera del col. JohnGareng (che morirà il 30 luglio 2005, pochi mesi dopo l'accordo di pace in un incidente di elicottero, quando era vice-presidente del Sudan) e appoggiata da Stati Uniti e Inghilterra.
Dal 1991 al 1996 il Sudan fu la patria di Osama bin Laden (da cui venne espulso nel 1996) e pare luogo di addestramento e organizzazione della rete islamica integralista dello sceicco arabo. Le tensioni con gli Stati Uniti sono sempre state evidenti al punto tale che il 20 agosto 1998, come ritorsione contro gli attentati alle ambasciate di Nairobi e Dar El Salam, gli USA lanciarono alcuni missili da crociera su di una fabbrica farmaceutica alla periferia di Khartoum (salvo poi ammettere che vi fu un errore).

Nell'avvicinarsi al referendum - oltre agli storici ostacoli - vi sono altre due questioni che complicano la vicenda. La prima riguarda la regione petrolifera di Abyei la cui definizione dei confini, stabiliti recentemente (luglio 2009) dalla Corte permanente per l'arbitrato dell'Aia, continua a creare fortissime tensioni. L'altra è la regione dei Monti Nuba (abitata dai Nuba), che pur non partecipando al referendum di gennaio 2011, è da sempre controllata dal Sud.

Intanto nella capitale del Sud, Juba, ci si prepara. Quella che era una cittadina con edifici fatiscenti si sta rapidamente trasformando. Sono giunti in città investitori da tutto il mondo, le organizzazioni internazionali e le ONG. L'aereoporto di Juba (il nuovo terminal è in costruzione dal 2007) in poco tempo è diventato uno dei più trafficati dell'East Africa. Le banche d'affari africane sono sbarcate. Cosa c'è di più appetitoso di una città che si appresta a diventare la capitale di una ricca regione petrolifera, dopo 40 anni di conflitto? Intanto il presidente della regione autonoma (e futuro stato) Silva Kiir, fondatore assieme a Garang della SPLA nel 1983 e a lui subentrato dopo la sua morte, forte della sua elezione con il 93% dei voti nel 2010, si appresta a diventare il 54° Capo di Stato Africano.


Per un approfondimento vi rimando ad esempio a questa dettagliata analisi di Fulvio Beltrami, al sito SOSA-South Sudan Analysys, oppure al documentario prodotto da Repubblica TV andato recentemente in onda (fatto da Pietro Del Re), oppure agli articoli di Secondo Protocollo che segue costantemente l' evolversi della situazione, oppure la Campagna Italiana per la Pace in Sudan.

E' fondamentale che la comunità internazionale e l'opinione pubblica siano vigili su quello che succederà nei prossimi giorni, il pericolo (sempre più evidente) di una nuova guerra, di un nuovo genocidio è alle porte. Le divisioni in ambito internazionali sono palesi. Tra chi vorrebbe rinviare il referendum di qualche anno, chi teme che la questione Sud Sudan sia un grave precedente per tutta l'Africa (quindi da evitare), chi chiede l'intervento delle forze delle Nazioni Unite ( che si sono già espresse declinando l'invito) e di chi è sostiene che la guerra è inevitabile.
Da parte mia ho inserito un "conto alla rovescia" su questo blog, che segnala il tempo che ci separa dal 9 gennaio 2011, spero possa arrivare alla fine.

Aggiornamento del 9 gennaio 2011

mercoledì 27 ottobre 2010

Cost of Live 2010..... Luanda la città più cara al mondo

Può sembrare strano ma, la città dove vivere è più caro nel mondo si trova in Angola ed è la sua capitale, Luanda (nella foto)
Questo è quanto emerge dall'annuale World Cost of Living 2010 della Mercer. Mercer è una società leader nella consulenza alle aziende nell'ambito della pianificazione delle risorse umane e, tra le altre cose, stila appunto il rapporto annuale sul costo della vita nelle città del mondo.
Il rapporto è stato pubblicato nel giugno scorso, ma vale la pena sottolineare che tra 214 città del mondo analizzate - su ognuna vengono testati 200 indicatori (come prezzi degli affitti delle case, dei ristoranti, del trasporto, dei vestiti) che possono indicare il costo della vita di chi, per un periodo più o meno lungo debba vivere nelle città della lista. Infatti il rapporto è usato dalle aziende, dalle multinazionali e dalle organizzazioni per stabilire il budget dei propri funzionari.
Il costo della vita è quindi inteso per turisti e non residenti.

Dicevamo che Luanda è al primo posto nel mondo seguita da Tokyo (che da molti anni era in testa alla classifica), da N'djamena (capitale del Ciad), da Mosca, da Ginevra, da Osaka, da Libreville (capitale del Gabon), da Zurigo e Hong Kong (appaiate) e da Copenhagen.
Nelle prime dieci città più care del mondo vi sono 3 città africane.
Milano, al 15° posto, è la prima città italiana (tra Seoul e Pechino), Parigi e Londra sono al 17° posto appaiate, San Paolo, al 21° posto, è la città più cara del continente americano, la capitale del Niger Niamey è al 23° posto, mentre Roma, seconda italiana e 26° del mondo, è tra Shangai e New York.
Tra le città meno care Johannesburg (151°), Cape Town (171°) e Addis Abeba (208°) in Africa, Sarajevo (156°) e Skopje (197°) in Europa, Wellington (163°) in Oceania e Ottawa (130°) nelle Americhe.

Luanda (che per la cronaca lo scorso anno non era nemmeno nelle prime 50 città più care del mondo), chiamata oramai la Monaco d'Africa, ha oggi quasi 5 milioni di abitanti e da quando è finita la guerra civile in Angola (2002) è cresciuta a dismisura, sfruttando molto gli investimenti stranieri e la ricchezza derivata dall'estrazione del petrolio offshore. Ovviamente se da un lato affittare una casa di due stanze in zona lussuosa a Luanda vale circa 7000 dollari al mese, il resto della città (e della gente che ci vive) è un'altra cosa.
Vi posto una descrizione di Luanda, di una volontaria di Medici senza Frontiere, che seppur datata 2007, contrasta con l'idea della città più cara al mondo.

Musica: Angelique Kidjo, the Africa's Premier Dive

Nata a Cotonou, in Benin, il 14 luglio 1960, di etnia yoruba la madre, fon il padre, Angelique Kidjo cresce nel suo paese dove viene influenzata dalla musica tradizionale e dai mostri sacri della musica africana, Miriam Makeba in primis, e internazionale come James Brown, Otis Redding, Steve Wonder e Santana. La sua musica infatti spazia in svariati generi della world music. Incide i primi dischi, ma nel 1983 decide di lasciare il paese trasferendosi in Francia a Parigi.
A Parigi, dopo essersi sposata, suona in band locali e si lega discograficamente alla Island Records, con cui nel 1991 incide il suo primo disco "Logozo" in cui partecipa anche il sassofonista Manu Dibango.
Da allora ottiene il successo internazionale, grazie ad una voce meravigliosa e ad un mix tra tradizione e modernità, tra contaminazioni di stili apprentemente distanti che accompagna, da sempre, il suo itinerario musicale.
Nel panorama internazionale collabora con Peter Gabriel, che la consacra definitivamente nella "musica che conta", e con Youssou N'Dour.
La rivista Time Magazine le attribuisce il titolo di "Africa's Premier Diva". Ancora una volta, dopo Miriam Makeba, è una donna ad eccellere, nell'ambito musicale, nel continente nero.

Dal 2002 Angelique è ambasciatrice dell'UNICEF e in questa veste viaggia molto tra i paesi africani.
Nel 2006 costituisce una fondazione, The Batonga Foundation, che si occupa di favorire una maggiore scolarizzazione delle bambine in Africa. Attualmente è attiva in 5 paesi africani.







Nel 2010 Angelique Kidjo esce con un album chiamato Oyo (che è il nome di un sottogruppo dell'etnia Yoruba), dove in qualche modo ritorna alla tradizione musicale africana, rielaborando pezzi e testi di altri artisti, tra cui una versione di Samba Pa Ti, di Carlos Santana.

Il sito ufficiale di Angelique Kidjo.

martedì 26 ottobre 2010

XX Dossier Statistico Immigrazione 2010

Presentato oggi (26 ottobre 2010), in tutta Italia (per l'esattezza una trentina di diverse città, dal Nord al Sud) il XX Dossier Statistico sull'Immigrazione 2010, curato dalla Caritas/Migrantes e quest'anno sotto il motto "per una cultura dell'altro".
Vi posto una sintesi del ricco dossier, che nella forma completa affronta (la prima edizione risale al 1991), in oltre 500 pagine, tutti gli aspetti più rilevanti del fenomeno migratorio.
Dal 1 gennaio 2009 al 1 gennaio 2010 gli stranieri residenti in Italia sono aumentati di 343.764 unità, arrivando a superare i 4 milioni di persone (4.235.059).
In un precedente post avevo parlato dell'immigrazione africana in Italia e stilato la lista delle maggiori comunità africane presenti in Italia.
Gli africani sono aumentati in un anno di 60.265 (pari al 24,7% dell'incremento).


Una piccola parte (sono meno di 20 mila dal 1990 al 2009) è costituita da rifugiati, ovvero persone che hanno richiesto, e ottenuto, l'asilo politico. Sono persone che scappano da guerre e da persecuzioni.
Nel 2009 a fronte di 17.680 domande inoltrate in Italia di asilo politico (sono state esaminate 23.015 domande). Solo il 9,8% (2.250) ha ottenuto lo status di rifugiato (altri 6.815 una protezione umanitaria) e altri 13.950 domande sono state respinte.
La maggior parte dei richiedenti asilo giunti in Italia nel 2009 proveniva dall'Africa. Dalla Nigeria (3710), dalla Somalia (1490) e dall'Eritrea (865) in particolare.

E' ovvio che la stragande maggioranza del flusso migratorio avviene per motivi di lavoro (oltre all'asilo politico vi è una piccola componente legata alla tratta di esseri umani, prostituzione in testa), ovvero di persone che cercano di migliorare la propria vita (proprio come fecero nel passato milioni di italiani).

Un dato che mi sembra importante: gli iscritti stranieri nelle scuole italiane sono, per l'anno scolastico 2009/2010 673.592 (+ 7,1% rispetto all'anno scolastico-precedente - l'Africa aumenta del 8,4%). Ma la cosa interessante è che il 40% di questi ragazzi sono nati in Italia.
Gli stranieri rappresentano mediamente il 7,5% degli iscritti alle scuole italiane. Sono invece il 3,1% degli iscritti nelle nostre Università (ovvero 54.707).
Nello specifico, gli stranieri sono l'8,7% degli studenti delle scuole primarie (di cui 48,6% nati in Italia), l'8,5% delle scuole secondarie di I grado ( il 20,5% nati in Italia) e il 5,3% delle scuole secondarie di II grado ( l'8,7 % nati in Italia).
E' interessante notare come nella scuola d'infanzia (materne), che come è noto non appartiene al ciclo obbligatorio scolastico, gli stranieri sono il 8,1% (di cui il 74,9% nati in Italia).

La Caritas continua a rimarcare come "pregiudizi e chiusura sono il maggior ostacolo alla convivenza" e che " è tempo di rendersi conto che integrazione e pari opportunità vanno di pari passo, in un'intreccio di doveri ma anche di diritti".

Leggendo il lavoro minuzioso della Caritas/Migrantes sorge spontanea una domanda. Quanti, tra coloro i quali oggi occupano posti di rilievo in ambito politico italiano e che quotidianamente sono in televisione a sentenziare su i mali dell'immigrazione e sulla necessità di chiudere le frontiere con il filo spinato, si sono presi la briga, e il tempo (del resto sono pagati per questo) di leggere i dossier sull'immigrazione? Perchè l'impressione diffusa è che usino il verbo solo perchè dotati di tale virtù.

lunedì 25 ottobre 2010

Libri: Cuore Nero

Giovanni Porzio, giornalista milanese, già inviato speciale (di guerra) del settimanale "Panorama", incontra nelle sue scorribande africane (Ex Zaire, Ruanda, Burundi, Gibuti, Algeria, Somalia, Sud Sudan, Etiopia, Kenya) i personaggi che rappresentano, sotto molti aspetti, l'Africa: missionari, guerriglieri, mercenari, prostitute, cercatori di diamanti, medici, statisti, guaritori, contrabbandieri e giornalisti.
Sono storie, reportages di viaggi, che, preceduti da un breve introduzione storica, non trovano posto nelle pagine dei giornali e che descrivono la spietata bellezza e la misera, spesso mista a desolazione, dell' Africa. Edito da Feltrinelli Traveller nel 2001, è un libro che non si dimentica per la sua capacità di raccontare lotta alla sopravvivenza di una parte del mondo.
Cuore Nero è senz'altro un modo per conoscere ed approfondire alcune delle questioni, che ancor oggi, sono "calde" in Africa.
Porzio non risparmia descrizioni - sempre con gli occhi non solo di chi guarda, ma anche di cerca di capire - a volte crude e intese che lasciano attoniti ed increduli.
Le prime trenta pagine di Cuore Nero sono in realtà un saggio breve sull'Africa di oggi, la natura dei suoi mali e delle sue bellezze, da leggere per comprendere.
L'unico racconto sul Sudan si chiama "In cammino", una fuga dalla guerra da cui in realtà non si può fuggire, ma vi è un passaggio in cui Porzio si sofferma sul rapporto tra l'etnia dinka e le vacche, ve lo riporto perchè a mio avviso è una stupenda descrizione, di un rapporto con l'animale che non ha eguali nemmeno in India, dove la vacca è sacra:

"L'esistenza del popolo dinka dipendeva dalle vacche. Il latte, il formaggio, il sangue vivo succhiato dal collo degli animali erano il loro principale nutrimento. Lo sterco fresco veniva usato come intonaco nelle capanne, quello secco come combustibile per cucinare, quello semiasciutto per accendere i falò che sprigionavono un fumo denso e acre, utile ad allontanare le zanzare anofele. Anche la cenere era preziosa: per pulirsi i denti, decorare il corpo, difendersi dalle punture degli insetti. Con l'urina si lavavano il viso e si tingevano i capelli, facevano cagliare il latte, conciavano le pelli.
Le vacche bianche dalle corna ricurve erano l'orgoglio e la ricchezza dei dinka, accudite e venerate come doni divini. Di ognuna conoscevano il carattere e le abitudini, la discendenza e il nome. A ciascuna dedicavano poesie e canzoni. Tori e giovenche popolavano le fiabe, la mitologia, i racconti degli anziani e nei dialetti locali esistevano parole per descrivere ogni singola parte del corpo dell'animale, l'età, il peso, le sfumature di colore del mantello, l'inclinazione e le dimensioni delle corna, la generosità delle mammelle. Il bestiame era il prezzo del matrimonio: i giovani portavano in dote fino a 150 capi per una sposa giovane e bella. Senza vacche, diceva un antico proverbio, niente moglie, senza moglie niente figli; e senza figli la tribù muore"

Anche questa è l'Africa e Porzio ci regala un fantastico angolo di vista, con il cuore nero.

sabato 23 ottobre 2010

Cinema: Gorilla nella nebbia (1988)

Nel 1988 Michael Apted, regista inglese che aveva già girato Gorky Park e la Ragazza di Nashville, dirige questo film sulla storia di Dian Fossey, una primatologa americana che concentrò i suoi studi sui gorilla, uccisa in Ruanda il 26 dicembre del 1985.
Il ruolo della Fossey è affidato ad una bravissima Sigourney Weaver (già protagonista straordinaria di Alien e di Un anno vissuto pericolosamente).
E' la storia di Dian Fossey (basato su un suo libro autobiografico), dei suoi studi sui gorilla in Ruanda (iniziati nel 1967) , della sua lotta contro i bracconieri e che si conclude con il suo omicidio alla fine del 1985.
Il film è interamente girato in Ruanda, mentre i gorilla sono a volte sostituiti da umani travestiti.
E' un film che merita di essere visto, non solo per una storia che appassiona per la sua straordinarietà e drammaticità o per gli splendidi paesaggi delle montagne del Ruanda, ma perchè capace - pur non essendo un documentario - di "istruire" sui gorilla e sul loro comportamento. Un film che racconta di un sogno e di un ossessione.
Come spesso accade, il film ha fatto conoscere al grande pubblico una storia - umana e professionale - di quella che è stata ritenuta una delle più grandi studiose di gorilla nel mondo. Allo stesso tempo - come avviene spesso nei film biografici - si può notare una certa superficialità e qualche ripetizione.





Dian Fossey era nata a San Francisco (USA) nel 1932. Dopo un'infanzia difficile, i genitori si separarono quando lei aveva 3 anni, il padre era alcolista (si suiciderà ne l 1968) e il nuovo compagno della madre non la considererà mai come una figlia, cresce con un forte interesse per gli animali. Studia veterinaria e si laurea in terapia occupazionale. Nel 1957 fece il primo viaggio in Africa, ma fu nel 1963 che in Tanzania incontrò il Prof. Louis Leakey e la moglie, uno dei maggiori studiosi sulle scimmie antropomorfe che gli fecero cambiare la vita. Nel 1966 ottenne un finanziamento per studiare i gorilla in Zaire, ma opportunità politiche, la fecero arrivare in Ruanda, dove nel 1967 fondò il Karisoke Research Centre (due tende e un fuoristrada). Così Dian descrisse il suo primo incontro con i gorilla: "Sbirciando tra il fogliame, riuscimmo a distinguere un curioso gruppo di gorilla neri come la pece, la testa pelosa, il volto che pareva una maschera di cuoio. Ci scrutavano a loro volta. Gli occhi scintillanti dardeggiavano nervosamente sotto le spesse sopracciglia, quasi cercassero di stabilire se avevano di fronte amici ben disposti o potenziali avversari. Fui all'istante colpita dalla magnificenza fisica dei giganteschi corpi nero-lucenti, in perfetta armonia con la verde tavolozza del fogliame della foresta …".
Nel 1970 Dian apparve sul National Geographic, consacrando così la sua fama di studiosa. Alla fine degli anni '70 la Fossey, a seguito dell'uccisione da parte dei bracconieri di alcuni gorilla, ingaggiò una vera e propria lotta contro il bracconaggio, colpendo gli autori dei reati con l'uccisione del loro bestiame o con l'incendio delle loro capanne. La tensione crebbe a tal punto che nel 1981 Dian Fossey fu costretta ad abbandonare il Ruanda. Ritornò nel 1983, ma il 26 dicembre del 1985 fu trovata morta con il cranio fracassato colpita dagli stessi strumenti con cui vengono uccisi i gorilla. E' seppellita insieme ai suoi amati gorilla. Grazie al suo lavoro, e al suo sacrificio, oggi i gorilla sono specie protetta (ma i bracconieri continuano a colpire).

Vedi la scheda WWF sui Gorilla e su i pericoli che essi corrono.

The Dian Fossey Gorilla Fund International, nata nel 1978 proprio per volere di Dian, continua a proteggere e studiare i gorilla nel mondo.

giovedì 21 ottobre 2010

Il World's Woman Report 2010 in occasione della Giornata Mondiale della Statistica

Ieri, 20 ottobre 2010, è stata la prima Giornata Mondiale della Statistica. Un evento voluto per sottolineare la grande importanza dei servizi di statistica, nazionali e internazionali, nell'ambito della conoscenza di innumerevoli settori della ricerca e dello studio sociale, culturale ed economico. Insomma un omaggio (doveroso) a quanti quotidianamente si dedicano a raccogliere ed elaborare dati che ci permettono di comprendere, meglio e a fondo, la realtà in cui viviamo.

Nell'occasione si è voluto far coincidere nella stessa giornata la pubblicazione del World's Woman Report 2010, la cui prima pubblicazione avvenne nel 1991 e che dal 1995 viene aggiornato ogni 5 anni. E' un lavoro di grande approfondimento che abbraccia tutti gli aspetti del vivere al femminile. Da quelli generali (nel mondo gli uomini sono 57 milioni in più delle donne), a quelli legati alla salute (ovunque nel mondo le donne vivono di più), all'educazione (2/3 dei 774 milioni di analfabeti del mondo sono donne), al lavoro (il 52% delle donne è inserita nel mondo del lavoro, mentre lo è il 77% degli uomini), all'ambiente, alla povertà alla violenza.

In questo blog ho gia affrontato la questione al femminile in Africa. Rispetto, ad esempio, alla presenza delle donne nella politica, alla mortalità materna o agli stupri di massa, in relazione anche agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Ritenendo che il ruolo femminile nel mondo, e in Africa in particolare, necessità di una grande attenzione perchè è la chiave principale della trasformazione (e dello sviluppo).

Dell'interessante rapporto sulle Donne del Mondo, vi sono alcune cose che mi preme sottolineare.
Premesso che ovunque le donne vivono di più, il Giappone è il paese dove l'aspettativa di vita femminile alla nascita è più alta, con 86 anni - l'Italia, al 5° posto è a 84 anni. Viceversa, lo Zimbabwe e l'Afghanistan con 44 anni è il luogo dove le donne vivono meno. Si vive poco in Swaziland (45), Lesotho (46), Nigeria e Centrafrica (48) o in Angola, RD Congo, Guinea Bissau, Mali, Sierra Leone e Mozambico (49).
Le donne vivono, in Africa, di più in Libia (77), Tunisia e Maurizio (76), Algeria e Capoverde (74), Egitto (72).

Nei paesi dell'est e nel nord del mondo in genere, il 99-100% delle donne adulte sono capaci di leggere e scrivere (in Italia, 99%). Non è così ovunque, anzi. In Niger solo 15% è in grado di farlo, in Mali il 18%, in Burkina Faso e Ciad il 22%, in Etiopia il 23% e in Sierra Leone il 29%.
Il primato positivo africano è della Guinea Equatoriale (89%), seguita dal Sudafrica (88%), dallo Swaziland (86%), il Gabon e Sao Tomè (83%) e la Libia (81%).

Il 50% dei 33 milioni di individui sieropositivi all'HIV del mondo sono donne. Diventano però il 59% in Africa dove vi sono 22 milioni di sieropositivi (ovvero il 66% dei sieropositivi del mondo).
I dati si riferiscono al 2007 e dicono anche un'altra cosa : che i sieropositivi all'HIV erano 29,5 milioni nel 2001 e sono diventati, appunto 33 milioni nel 2007. Che nel 2005 vi erano stati nel mondo 2,2 milioni di morti per HIV/AIDS e che nel 2007 sono scesi a 2 milioni.

Nel report vi sono anche dei dati, che seppur parziali, raccontano di una situazione drammatica - in ogni parte del mondo - rispetto alle violenze fisiche (e quella sessuale in particolare) verso le donne.
Dei paesi che hanno fornito i dati, il 12% delle donne hanno subito violenze fisiche nella loro vita ad Hong Kong, mentre il 59% in Zambia, il 51% nella Repubblica Ceca e il 48% in Mozambico e Australia. (l'Italia è al 19%).
Per quanto riguarda le violenze sessuali il dato è - ammesso che sia possibile - ancora più allarmante dal 4% delle donne dell'Azeibargian (il 5% in Francia, il 23% in Italia) al 44% delle donne in Messico.

Infine il report (pag.135) produce anche i dati sulle mutilazioni genitali femminile (sul tema ritornerò con un apposito post) che sottolinea come - nonostante alcuni sforzi delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni non governative - la situazione resta ancora drammaticamente tragica.
Oltre il 90% delle donne (15-49 anni) della Guinea, dell'Egitto e dell'Eritrea sono mutilate, mentre lo sono oltre il 50% delle donne del Burkina Faso, dell'Etiopia e del Mali.
Ma il vero dato sconcertante è che tra il 1999 e il 2005 i tassi sono calati di pochissimo e in alcuni casi come il Burkina Faso e lo Yemen, sono additittura aumentati.

Un report che vi consiglio di leggere, per conoscere.

mercoledì 20 ottobre 2010

Musica: Manu Dibango, il leone d'Africa

Manu Dibango (vero nome Emmanuel N'Djokè Dibango) è un sassofonista e vibrafonista camerunese nato a Douala il 12 dicembre 1933 di etnia Yabassi. Sviluppa uno stile jazz fusion, in cui coniuga funky e musica tradizionale camerunese.
Musicista estremamente versatile ha esplorato diversi stili musicali, dal jazz al reggae, dal soul al blues, dallo spiritual all'electro music, dal funky alla musica tradizionale africana.
Nel 1949 si trasferisce a Marsiglia, poi a Parigi. Ha iniziato la sua carriera di musicista in Belgio e a Parigi negli anni '50 suonando nei club jazz. Negli anni '60 è in Congo con gli African Jazz di Joseph Kabasele (Le Grand Kalle), che aveva conosciuto a Bruxelles, all'Anges Noir Club, nel 1960 quando Kabasele faceva parte della delegazione dei leaders congolesi ch negoziavano l'indipendenza. Nel 1963 fonda una sua band in Camerun. Il successo internazionale (in particolare negli Stati Uniti) arriva nel 1972 quando incide il suo primo singolo Soul Makossa (da alcuni critici considerato il primo album di disco music della storia).
Da allora collaborerà con artisti della World Musica fra cui Fela Kuti, Herbie Hancock, Bill Laswell, Bernie Worrell, Art Blakey, Ladysmith Black Mambazo, Don Cherry e Eliades Ochoa.
Nel 2005 compone la colonna sonora del cartone animato "Kirikou e gli animali selvaggi" di Michael Ocelot.
Nel 1989 Manu Dibango, assieme alla giornalista di Le Monde, Danielle Rouard, pubblica una autobiografia intitolata " Trois kilos de cafè". Il titolo deriva da un'episodio raccontato da Emmanuel che quando nel 1949 lasciò il Camerun per la Francia, mandato dai genitori a studiare, aveva in valigia solo tre chili di caffè, per pagarsi l'affitto.

Manu Dibango muore a Parigi il 24 marzo 2020 a seguito di un polmonite da Coronavirus, aveva 86 anni.






Nella sua autobiografia Manu Dibango scrive questa frase che forse meglio esprime il suo percorso musicale e artistico.
"Mozart non m'impedisce di essere africano. Il continente non ha bisogno di spirito di parrocchia; dispone dell'arcobaleno di tutti i regimi che esistono sullo scacchiere politico. La mia "versatilità" tanto condannata non mi preoccupa affatto. Mi piace la contaminazione. Sono un esploratore nato".

Sito ufficiale di Manu Dibango

martedì 19 ottobre 2010

Il sangue verde.

Ieri sera ho avuto l'occasione, nell'ambito delle iniziative della Giornata Europea contro la Tratta di Esseri Umani *, di vedere il film di Andrea Segre sui fatti di Rosarno del gennaio 2010. Un documentario, "Il sangue verde", che non lascia indifferenti e che colpisce dritto allo stomaco.
La storia è quella tristemente nota, avvenuta nel gennaio 2010, in cui i braccianti agricoli (immigrati africani), addetti alla raccolta delle arance e che vivevano in condizioni disumane nella città di Rosarno, si ribellarono alla loro sorte di "dannati della terra". Protestarono, si scontrarono con la popolazione locale e infine furono letteralmente "deportati" in altri luoghi. Furuno alla fine 1128 gli immigrati, di 26 diverse nazionalità africane, ad essere trasferiti in modo coatto. Poichè siamo in Calabria, in un contesto produttivo, la mano della ndrangheta avvolge, complica, determina e condiziona ogni azione.
Sulla vicenda vi rimando ad alcuni documenti come un articolo del Corriere delle Sera di quei giorni, questo articolo di Luca Falcone, l'articolo su Rai News24 , il resoconto della polizia o alla rete in cui si possono trovare analisi e resoconti di ogni tipo.

Il film è un percorso tra il narrato di molti dei protagonisti, che raccontano la loro storia, la fuga dal loro paese d'origine, il loro sfruttamento, la ribellione e il dopo Rosarno. Le loro storie si intrecciano, da un punto di vista delle immagini, con quelle dei braccianti agricoli di metà del secolo scorso, sfruttati e oppressi (e che oggi forse sono i proprietari terrieri). A seguire questo percorso storico e umano è l'ex sindaco di Rosarno, Peppino Lavorato.

Rosarno è una cittadina di circa 15.000 abitanti situata nella Piana di Gioia Tauro (detta anche piana di Rosarno), dove si coltivano agrumi (arance in particolare) e olivi. Rosarno è conosciuta per due episodi. Il primo quello di essere sede di uno (purtroppo dei tanti) ospedali costriuiti e mai entrati in funzione. Infatti nel 1967 l'allora Ministro dei Lavori Pubblici , il socialista cosentino Giacomo Mancini, inaugurò i cantieri dell'Ospedale (finanziato con 346 milioni di lire della Cassa del Mezzogiorno) che doveva diventare un gioiello della sanità calabrese.L 'opera fu conclusa nel 1991 (ovvero dopo 24 anni) e da allora non è mai stato utilizzato. Agli inizi degli anni 2000, e per molti anni, è stato il luogo dove vivevano i braccianti immigrati. Oggi vi trovano rifugio pecore e cavalli. L'altro episodio, ancora più grave, è del 11 giugno 1980 quando fu ucciso dalla ndrangheta il giovane professore, e segretario della locale sezione del PCI, Giuseppe Valarioti (che peraltro morì tra le braccia di Peppino Lavorato). Il PCI aveva appena vinto le elezioni amministrative.
Secondo alcuni Rosarno è tra i comuni d'Italia a più alta infiltrazione mafiosa.

Alcune considerazioni sul documentario credo siano opportune.
E' netta l'impressione di una non totale consapevolezza del fenomeno mafia da parte degli immigrati africani. La loro ribellione avviene contro delle condizioni di lavoro (e di vita) disumane e di sfruttamento umano ed economico (tale impressione è stata confermata anche dalle due testimonianze in sala dei protagonisti, nel successivo dibattito).
E chiara l'assenza (quando non la complicità) dello stato, in tutte le sue diramazioni, in questa vicenda. Del resto risulta difficilmente credibile che politica, forze dell'ordine e sindacati non fossero al corrente delle condizioni di vita e di lavoro degli africani, che costituivano circa il 10% della popolazione residente a Rosarno.
E' evidente lo spostamento di immigrati dal Nord al Sud del Paese, dovuto alla crisi economica che soprattutto nel nord Italia ha decimato le piccole aziende e di conseguenza i posti di lavoro. Questo fattore ha peggiorato le già pessime condizioni di lavoro dei braccianti e dato forza a chi sfruttava (e continua a sfruttare) questi lavoratori richiamati dalla necessità di sopravvivere.
E' complicata la comprensione del progetto migratorio che è a monte di queste persone. Le tipologie sono diverse: chi scappa da una guerra (e che avrebbe diritto a tutte le protezioni previste dai codici internazionali), chi fugge da una dittattura, chi cerca una vita migliore, chi spera di ritornare a casa. Tutti accomunati da una comune miseria ma differenti per culture vissuti e lingue.
E' preoccupante la reazione del mondo politico, che in parte viene vista nel film, tendente a colpevolizzare l'immigrato, a continuare nell'assurdo e demagogico ritornello dell'immigrazione come equivalente di criminalità, a confondere le idee ai cittadini (ad esempio affermando prima che a Rosarno erano tutti clandestini, per poi essere regolarmente smentiti dai fatti), ad essere irresponsabilmente complici degli sfruttatori.

Vi è infine un elemento che manca nel film. Ed è Rosarno. Sono i 15 mila cittadini della cittadina calabra che mi rifiuto di pensare siano tutti mafiosi e complici, tutti indifferenti e razzisti. Il regista nel suoi blog pubblica questa lettera aperta che evidenzia le contraddizioni , le ragioni e le difficoltà della popolazione di Rosarno.
Non vi sono su Rosarno - come qualcuno ha tentato di dire - due verità. Vi è un'unica triste e complessa realtà vista e vissuta con occhi diversi.

L'immigrazione è un fenomeno che accompagna il genere umano e che non si può arrestare. Si scappa dalle guerre, si fugge dalla miseria, ma si migra anche, e soprattutto, alla ricerca di una vita migliore, ovunque si immagini vi siano maggiori possibilità. Gli italiani hanno una lunga storia di migrazioni. Nelle miniere di carbone del Belgio e della Germania, le condizioni di vita e di lavoro non erano tanto migliori di quelle di Rosarno. I tedeschi non amavano gli italiani, anzi li disprezzavano. Gli americani hanno discriminato per decenni gli italiani. Ovunque nel mondo gli italiani facevano i lavori più umili.

Oggi noi possiamo (e dobbiamo) solo conoscere il fenomeno e farlo conoscere, vigilare sulle derive criminali (interne ed esterne) e intervenire, anche duramente, quando è necessario, tutelare i più deboli e favorire l'integrazione e gli scambi reciproci, nel rispetto delle comunità locali e delle tradizioni. Serve quello che con un termine tecnico di chiama governance e con una nobile, e antica, terminologia si chiama Politica (non questo ignobile teatrino di quattro deficienti).


* Le iniziative della Giornata Europea contro la Tratta degli Esseri Umani, erano organizzate dal Servizio Anti-Tratta, del Comune di Venezia, una delle più avanzate realtà italiane.




lunedì 18 ottobre 2010

Africa: grande quanto?

In questi giorni gira molto nella rete questa immagine - prodotta dall'artista del web, il tedesco, Kai Krause, uno dei più influenti creatori della rete, che dimostra la reale grandezza (in termini di km quadrati) del continente africano. Egli con opportune rotazioni inserisce l'intera Europa, gli Stati Uniti, l'India, il Giappone e la Cina (a modi puzzle) nell'Africa dimostrando - anche visivamente - che le due superficie si equivalgono. La cosa era nota anche nei numeri (30.221.ooo km quadri l'Africa e 30.102.000 km quadri l'insieme Europa, Stati Uniti, India e Giappone e Cina), ma l'immagine visiva rende molto di più.

E' interessante leggere i post dei lettori dei vari siti o blog (che vi assicuro sono tantissimi) che hanno pubblicato questa mappa.
E' vero ad esempio che la Sardegna e la Corsica (così come le isole minori) sono state rimosse (mentre la Sicilia è presente) oppure che, cosa numericamente più importante, è sparita l'Alaska (che da sola è oltre 1,5 milioni di km quadri).
Così come è in corso una discussione sulla reale grandezza della Spagna che secondo alcuni è troppo grande rispetto agli Stati Uniti.



FAO, alcune (molto) timide decisioni

Avevo segnalato nel post precedente (Land Grabbing, l'Africa in vendita) del summit in corso presso la FAO a Roma nei giorni scorsi. Si trattava della 36° Sessione del Comitato Sicurezza Alimentare (sigla inglese CFS), ovvero l'organismo, istituito nel 1979, incaricato di guidare la governance globale sul cibo per la lotta alla fame e che, recentemente (2009), è stato riformato per darne maggiore incisività.
Il fatto stesso che, una volta conclusi i lavori, la notizia sembra essere quella che per la prima volta sono state assunte delle decisioni, la dice lunga sul livello di "fiducia" e di efficienza che sia ha di questi organismi.
La questione che pare più importante è che questa volta a trattare vi erano anche le organizzazioni dei piccoli contadini, dei pescatori e degli artigiani. Al summit erano presenti molte organizzazioni di contadini africani. Un confronto che si vuole mantenere permanente e delinea un timida inversione di tendenza.
Questa volta però pare che qualcosina si sia mosso e che la semplice bocciatura delle proposte delle Banca Mondiale sull'acquisto delle terre da parte dei grandi investitori (Land Grabbing), ritenuta sbagliata e inadeguata, sia già una decisione importante.
Il Comitato ha anche deciso di far avviare ai governi un negoziato (da concludersi entro un anno) con la partecipazione delle organizzazioni sociali per scrivere le nuove regole che tengano conto del diritto di "chi la terra la sta usando per produrre cibo".
Certo è mancato il coraggio - perchè questo serviva e questo chiedevano in molti - di stabilire una moratoria sull'acquisto di terre, in attesa di scrivere le nuove regole.

Per la cronaca il Comitato ha preso alcune blande decisioni sulla questione della volatilità dei prezzi (che ha dato origine a delle vere e proprio rivolte sull'aumento del prezzo del pane) e una importante sull'inserimento della Palestina nel gruppo dei 22 paesi s"ottoposti ad insicurezza alimentare a causa di crisi che si protaggono da tempo", modo elegante per dire paesi in guerra da anni (ingiustamente, la Palestina non era mai stata inserita in questa lista).

E' unanime la convinzione che per alimentare il futuro (ovvero produrre la quantità di cibo sufficiente a sfamare tutti i 9 miliardi di individui previsti nel 2050) vi è la necessità di una vera e propria "rivoluzione agricola" che tenga conto dell'equilibrio necessario tra l'uso di fertilizzanti e pesticidi, l'utilizzo delle risorse idriche e la sostenibilità ambientale. E' altrettanto evidente che solo un partenariato forte tra governi, istituti di ricerca, associazioni di agricoltori, Nazioni Unite, società civile e settore privato può avere l'ambizione di giungere al risultato. Non a caso è stato coniato lo slogan "Uniti contro la fame". (vedi il mio post sulla fame nel mondo)
Sul sito www.1billionhungry.org è possibile firmare una petizione (che chiede ai governi di fare della lotta alla fame una priorità) e seguire l'evoluzione della vicenda.

sabato 16 ottobre 2010

Land Grabbing: l'Africa in vendita

Oggi è la Giornata Mondiale dell'Alimentazione, ed a Roma, nel Palazzo della FAO, si tiene un importante summit tra governi, agenzie delle Nazioni Unite, esperti e società civile per assumere decisioni politiche in merito alla fame nel mondo e a a favore dei quasi un miliardo di affamati.
Tra le decisioni da prendere, con grande urgenza, vi è quella relativa al "furto di terra" (tecnicamente Land-Grabbing, dall'inglese "afferrare") che negli ultimi anni è diventato una nuova emergenza per il paesi in via di sviluppo è in particolare per l'Africa.
Purtroppo anche nel vertice dello scorso anno si discusse del tema, senza giungere ad un impegno preciso.
La situazione si riassume in questo modo. Alcuni Paesi del mondo (spesso economie emergenti) dispongono di grandi risorse economiche e per configurazione geografica del loro territorio o per l'elevata crescita demografica si trovano ad aver bisogno di nuove aree coltivabili. Cosa fanno? Si rivolgono ad altri Paesi che invece hanno grandi territori che, per povertà o per mancanza di investimenti, sono "scarsamente produttivi" (ovvero, sono coltivati da contadini locali) e chiedono di comprarli o in alcuni casi di affittarli.
Se aggiungiamo che spesso sotto alle terre vi sono anche risorse minerarie di discreta importanza e che qualche governante corrotto non disdegna dollari "ad uso personale", ecco che il gioco è fatto.
Questa forma che è stata definita la moderna strada del colonialismo. Alcuni aspetti rendono inquietante questo "neo-colonialismo" poichè questo sistema non incide assolutamente nello sviluppo del paese in cui viene praticato. Sia sotto l'aspetto produttivo (non entra nelle esportazioni in quanto è come se i beni fossero prodotti nel paese proprietario del terreno e non alimenta il mercato locale) sia sotto l'aspetto occupazionale (spesso a lavorarci sono contadini che provengono dagli stati proprietari o in altri casi carcerati). Inoltre, i "nuovi proprietari" hanno il totale controllo sul territorio anche se apparentemente sembra che non sia così (in quanto "permangono" in uno stato straniero).
Un tempo i colonizzatori occupavano i territori e ne gestivano il governo. Ora i nuovi coloni comprano il terreno, lo sfruttano, tenendosi fuori dal governo. Insomma un colossale affare che impoverisce ancora di pù i paesi poveri. La Coldiretti ha sostenuto che "siamo di fronte ad un salto di qualità della speculazione finanziaria internazionale che dopo aver "giocato" in borsa senza regole sulle materie prime agricole si è rivolta direttamente alla compravendita di terreni, sottraendo così una risorsa determinante per lo sviluppo dei Paesi poveri".

Il primo a muoversi in questo verso fu l'Arabia Saudita, desiderosa di avere terreni coltivabili. Comprò terre in Etiopia e ne affittò in Tanzania e Zambia.
Per altre ragioni, la Cina e l'India, invasero questo mercato comprando terre in Congo, Etiopia, Madagascar, Camerun, Uganda, Tanzania, Angola, Mauritania, Botswana.
Infine giunsero la Corea del Sud, che attreverso le sue multinazionali, compra in tutta l'Africa. Gli ultimi arrivati in questo nuovo mercato sono il Qatar, gli Emirati Arabi, il Behrain e il Giappone.
Naturalmente terreni sono stati acquistati anche in Sud America

L'Unione Africana -con scarsi risultati - ha invitato i suoi stati a non vendere o affittare terreni.
L'ONG Farmlandgrab si occupa di monitorare e di lottare contro questo fenomeno. Mentre nel mondo sono in corso -da parte delle Organizzazioni non Governative e delle associazioni locali - campagne di sensibilizzazione sui rischi della cessione dei terreni.
Inutile dire che a pagare maggiormente il prezzo del moderno colonialismo sono i poveri del mondo.

Approfondimenti: Land Grabbing, di Stefano Liberti, Minimum Fax, 2011

Musica: Miriam Makeba, Mama Afrika

La voce di Miriam Makeba, è forse la più conosciuta d'Africa. Il suo timbro caldo e melodico gli ha fatto valere l'appellativo di Mama Africa.
Miriam, di etnia Xhosa, nasce alla periferia di Johannesburg in Sudafrica, il 4 marzo 1932. Sua madre è una sciamana , una sangoma, di un culto locale, il padre invece muore quando lei aveva 6 anni.
Sperimenta subito sulla sua pelle le sopraffazioni legate all'infame apartheid del Sudafrica. La sua vita subisce una svolta quando agli inizi degli anni '50 incontra Nelson Mandela con cui sarà legata, per tutta la vita, da un'amicizia forte e dalla comune lotta per i diritti civili dei neri.
Sono anche gli anni in cui Miriam comincia la sua carriera di cantante nel gruppo, già conosciuto in Sudafrica, dei Manhattan Brothers. Ben presto, abbracciando la causa anti-segregazionista, diventa un simbolo del dolore e della condizione degli oppressi nel mondo.
Queste sue posizioni le valsero l'esilio dal Sudafrica, che durerà per 30 lunghissimi anni. Si trasferì negli Stati Uniti, dove aiutata da Harry Belafonte, continuò la sua brillante carriera di cantante. Fu anche testimone, nel 1963, del comitato delle Nazioni Unite contro l'apartheid. Nel 1968 sposò l'attivista dei diritti civili e leader del movimento radicale nero Pantere Nere Stokely Carmichael (da cui si separerà nel 1973) . I suoi contratti discografici furono, a seguito del suo matrimonio, annullati e i due furono costretti, nel 1969, all'esilio volontario. Si stabilirono in Guinea (dove divennero amici del presidente Tourè) e dove Miriam continuò a cantare e a svolgere missioni diplomatiche alle Nazioni Unite per conto della sua nuova patria, la Guinea.
Nel 1985 muore di parto la sua unica figlia Bongi (nata nel 1950), anch'essa cantante. Miriam si trasferisce a Bruxellesì, da dove solo nel dicembre 1990 potrà rientrare in patria, convinta dall'amico Nelson Mandela.
Miriam ha collaborato artisticamente con personaggi del calibro di Paul Simon, Dizzy Gillespie, Hugh Masekela e Nina Simone, e nello stesso tempo ha continuato il suo impegno civile a favore dei deboli incontranto i potenti della Terra, da John Kennedy a Fidel Castro. Nel 1999 sarà nominata ambasciatrice di buona volontà dalla FAO.
Miriam Makeba è morta il Italia, il 10 novembre 2008, mentre a Castel Volturno (Caserta) partecipava ad un concerto anticamorra dedicato allo scrittore Roberto Saviano, che così l'ha ricordata dopo la sua morte.


Miriam è conosciuta nel mondo per una canzone Pata Pata, diventata negli ultimi anni anche un tormentone estivo, che lei una volta ebbe a definire una delle "canzoni più insignificanti che ho cantato". La canzone, pubblicata nel 1967, racconta di una ragazza che si prende la libertà di ballare. In quegli anni la musica della Makeba in Sudafrica era proibita e ascoltare Pata Pata divenne un reato.





Il sito che conserva le memorie di Miriam Makeba.

giovedì 14 ottobre 2010

Comunità di Sant'Egidio, l'ONU di Trastevere

Oggi Repubblica Online pubblica un interessante intervista a Marco Impagliazzo, attuale presidente della Comunità di Sant'Egidio a Roma.
L'Organizzazione non Governativa (ONG) della Comunità di Sant'Egidio, nata nel 1968 ad opera di Andrea Riccardi, storico e docente di Storia Contemporanea all'Università di Roma Tre, considerato uno dei più influenti laici nel mondo cattolico (proviene dalla file di Comunione e Liberazione), è da molti ritenuta una "piccola ONU" per il suo instancabile lavoro di mediazione nell'ambito dei conflitti dell'area africana e sud-americana.
L'intervista, curata da Daniele Mastrogiacomo, tocca molto l'Africa.
In questi giorni infatti la Comunità di Sant'Egidio media, lontano dai riflettori, sul conflitto in corso nel Niger. Mentre il risultato più tangibile resta l'accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992 con cui - dopo due anni di trattative - si pose fine alla guerra civile in Mozambico che durava dal momento dell'indipendenza nel 1975.
Certo, come ha avuto modo di ammettere lo stesso Impagliazzo, le condizioni internazionali di allora erano favorevoli poichè era finita la guerra fredda e cambiava la geopolitica mondiale. Personalmente aggiungerei anche che in Mozambico non vi era stato l'intreccio tra ideologia e strategia (che aveva dato origine alla guerra) e lo sfuttamento delle risorse (come invece è avvenuto ad esempio in Angola), poichè il paese è completamente privo di materie prime "appetibili".
Resta pur sempre il punto (l'accordo di pace ha funzionato molto bene) ha dato una grande visibilità e autorevolezza internazionale alla Comunità di Sant'Egidio facendola di fatto diventare una valida alternativa ai negoziati statali, una "diplomazia parallela".
Dell'intervista a Impagliazzo -che merita di essere letta con attenzione- vi è un punto che mi lascia perplesso e che mi ha fatto riflettere, ovvero quando sostiene che " in Africa i conflitti stanno diminuendo" e "che i veri problemi sono l'AIDS, la fame e le malattie".
Se è vero che in Africa alcuni conflitti storici hanno recentemente trovato soluzione - penso ad esempio agli accordi di pace in Etiopia - vi è un proliferare di crisi, (ad oggi sono 16 i paesi africani coinvolti in conflitti) in un contesto di "fallimento degli stati" (vedi il mio post su questo tema), che fanno ritenere la prima affermazione quantomeno da verificare.
Le vera questione africana è oggi quella del controllo delle enormi risorse del sottosuolo e dei fondali marini (e della terra e del mare). Solo potendo usare , per l'Africa e per la gente, queste risorse (ovvero gli enormi introiti che da essere derivano) sarà possibile avere una crescita economica (e quindi il famigerato sviluppo) dell'intero continente. Sarà possibile formare, in Africa, le prossime generazioni di dirigenti politici capaci di rompere quella catena di povertà e miseria, che ha nel furto delle risorse e nella corruzione la principale causa.
La fame in Africa non è frutto di carestie (a volte anche di queste) ma è figlia di una gestione scellerata della politica e delle risorse. I patrimoni personali - frutto della "cleptocrazia"- di alcuni capi di stato africani (di ieri e di oggi) sfamerebbero intere popolazioni.
Questo chiaramente senza nulla togliere all'effetto devastante che sta avendo in Africa l'epidemia di AIDS e la mancanza di farmaci per curarla.

Ma l'intervista di Impagliazzo finisce con un monito all'Europa, incapace "di investire sulla cultura" e con l'accusa alla politica di "non avere pensieri lunghi".

Cairo islamica

Con Cairo Islamico, o Cairo Fatimida si vuole identificare quella parte della metropoli antecedente allo sviluppo dei quartieri europeizzati. Il sito, dal 1979, è patrimonio dell'Umanità UNESCO. I Fatimidi sono la dinastia sciita ismailita più importante dell'islam e nel 969 occuparono l'Egitto e fecero del Cairo la loro capitale. Oggi le mura sono perse, mentre permangono, ben conservati monumenti e moschee.
Le moschee, paragonabili alle grandi cattedrali europee, furono costruite durante il periodo di espansione islamico, dal X al XIX secolo. L'area del Cairo islamico è molto estesa e densamente popolata (contrariamente ad altri grandi centri storici del mondo).
Tra i luoghi di grande interesse nella Cairo Islamica vi sono il grande bazar medioevale Khan -el Khalili, cuore commerciale del quartiere e uno dei più grandi mercati del Medio-Oriente, costruito nel 1382 e successivamente distrutto nel XVI secolo. Vi è poi la moschea di Sayyidna al-Hussein, costruita nel 1870 ed aperta oggi solo ai mussulmani, la moschea di El Azhar, uno dei più grandi centri di cultura islamica, costruita nel 970, la moschea del Sultano Hassan, costruiita nel 1300, che ha una triste storia legata alla caduta dei minareti, il primo dei quali cadde uccidendo 300 persone. Inoltre vi è la cittadella (nella foto) fondata nel 1176 da Saladino e che fu sede del potere per oltre 700 anni.

Una buona guida in rete sul Cairo è quella di Egitto per Caso

martedì 12 ottobre 2010

Immigrazione africana in Italia

"L'immigrazione non è solo rappresentata dai flussi immigratori, ma è anche occasione di conoscenza e integrazione", a dirlo è stato il Direttore Centrale delle Politiche Immigrazione e Asilo del Ministero dell'Interno, il prefetto Angelo Malandrino, in una recente occasione a Roma, quando fu presentato il dossier "Africa-Italia. Scenari migratori" a cura di Caritas/Migrantes.
Il dossier - frutto un lungo lavoro che ha coinvolto svariati soggetti istituzionali e non, italiani ed africani - focalizza il rapporto migratorio tra i popoli africani e l'Italia nel contesto del quadro storico e sociale, approfondendo i temi dell'informazione, dell'economia e della criminalità.
Oggi in Italia vivono circa un milione di africani (erano 871.128 nel 2008 e rappresentavano quasi un quinto degli immigrati in Italia) , di cui circa il 40% sono donne, rispetto ad un miliardo di abitanti complessivi del continente africano.
La prima migrazione africana fu quella forzata degli schiavi, che tra il 1500 e il 1800, in cui a milioni (nella sola tratta atlantica si stimano siano stati trasportati 20 milioni di individui) furono portati nelle piantagioni del nuovo continente e non solo.
A partire dagli inizi del XX secolo vi fu un massiccio flusso migratorio dall'Africa verso i paesi colonizzatori (Francia, Gran Bretagna, Belgio, Portogallo in particolare). Una migrazione di lavoro, ma anche di formazione (la classe politica africana - che poi ha dato origine - a partire dalla fine degli anni '50 - alle indipendenze nazionali africane, si è formata in Europa e una minima parte negli Stati Uniti e in Unione Sovietica).
Oggi quelli che sono stati definiti i "dannati della terra" bussano alle porte dell'Occidente e lo fanno spesso scappando dalla fame (un bambino muore di fame ogni 6 secondi) , dalle guerre (in Africa sono in corso una buona parte dei conflitti in corso nel mondo), dalla povertà (metà della popolazione africana è sottoalimentata) e dalle persecuzioni.
Quando uno scappa, raramente chiede il permesso di farlo.
L'Africa sub-sahariana dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale, il reddito pro-capite è di circa 20 volte inferiore a quello dell'Unione Europea e ha una disoccupazione giovanile del 60%.
Studi demografici sostengono che, stando agli attuali tassi di crescita, per il 2050, in Africa vi sarà un quarto del genere umano, mentre in tutta Europa risiederà solo il 7% dell'umanità.
E' previdibile che i flussi migratori verso l'Europa non si arresteranno, bensì incrementeranno. Infatti, la stima dell'ISTAT per il 2050 è che vi saranno 2, 7 milioni di Africani (su circa 12 milioni di stranieri).

Oggi in Italia la comunità africana più rappresentata (residenti al 1 gennaio 2010, dati ISTAT) è quella proveniente dal Marocco che, con circa 430 mila persone è la terza in assoluto (dopo Romania e Albania). Dopo il Marocco vi è la Tunisia (105 mila), l'Egitto (78 mila), il Senegal (71 mila), la Nigeria (48 mila), il Ghana (44 mila), l'Algeria (26 mila), l'Eritrea (13 mila) e il Burkina Faso (11 mila).
Tutti i 53 stati africani sono presenti in Italia, 27 dei quali con più di mille persone residenti.
Più di 500 mila persone originarie dell'Africa sono inserite come lavoratori dipendenti nel sistema produttivo italiano (dati Inail).

Martedì 26 ottobre a Roma sarà presentato il Dossier Statistico Immigrazione 2010 elaborato dalla Caritas e giunto alla XX edizione.

Purtroppo in Italia fin dagli inizi degli anni '90 è in corso un dibattito - sempre slegato dai dati e tendente più a colpire l'immaginario ed ad essere usato ai fini politici - che associa l'immigrazione alla criminalità.
I dati invece suggeriscono che "l'immigrazione non ha portato ad un aumento significativo dei crimini" e che il "tasso di criminalità tra la popolazione autoctona e la popolazione straniera residente è uguale" (nonostante gli stranieri siano più giovani e più poveri).
Le campagne che vogliono descrivere le città italiane come sempre più insicure non trovano fondamenti nei dati ufficiali, mentre i fatti di cronaca, anche recenti, e le statistiche, dovrebbero indurci a vedere come meno sicure le mura domestiche.
Solo sfatando quell'equiparazione tra immigrazione e crimine - incompresibile in un Paese come l'Italia che per un secolo e mezzo ha inviato suoi emigrati nel mondo - si potrà accogliere l'invito di Angelo Malandrino a considerare l'immigrazione come un'occasione di conoscenza e integrazione.
La strada è ancora lunga.