giovedì 31 marzo 2011

Le anime nere dell'Africa: Sani Abacha

Sani Abacha è stato un moderno dittatore, un uomo che ha istituito nella ricca Nigeria (il petrolio abbonda soprattutto nel delta del fiume Niger) una "cleptocrazia" che non ha avuto uguali nella recente storia africana e, forse, del mondo.
Nato a Borno nel Nord-Est della Nigeria, di etnia Kanuri, il 20 settembre 1943. Cresce a Kano. Intraprende la carriera militare, studiando e addestrandosi prima in Inghilterra, poi a Kaduna. Prende parte, in quanto ufficiale, il 29 luglio 1966 al controgolpe che porterà alla Guerra del Biafra. Fu poi tra i protagonisti dei colpi di stato che a partire dal 1983 portarono prima al potere e poi alla destituzione Muhammadu Buhari e successivamente, nel 1985, il generale Ibrahim Babangida, di cui divenne prima Capo di Stato Maggiore e poi, a partire dal 1990, Ministro della Difesa.
Abacha prese il potere il 17 novembre 1993, a seguito dell'annullamento delle elezioni del giugno 1993 vinte da Moshood Abiola che fu arrestato e detenuto fino alla sua morte nel 1998.
Durante i 5 anni in cui guidò la Nigeria riuscì a rubare almeno 5 miliardi di dollari con la complicità della sua famiglia (moglie, 6 figli e 3 figlie), che fu definita dai giudici svizzeri una "organizzazione criminale". Dopo la sua morte, fu appurato (vedi Transparency International) che nei 5 anni che guidò la Nigeria Abacha fece uscire dal paese dai 12 ai 16 miliardi di dollari che furono depositati in 130 conti bancari in Europa e negli Stati Uniti. Si legò ad oltre 3000 uomini armati che lo proteggevano perchè temeva sopra ogni cosa un'attentato, schiacciò e represse brutalmente l'opposizione giustiziando i leader delle lotte contro le multinazionali petrolifere, in particolare il leader Ogoni Ken Saro-Wiwa. A poco a poco imprigionò tutti i suoi collaboratori accusandoli di tramare contro di lui.

L'8 giugno 1998 alle 6.15 Abacha muore, ufficialmente di attacco cardiaco presso la residenza presidenziale ad Abuja. Sulla sua morte si sono aperte molte discussioni e sospetti (non fu fatta l'autopsia). Fino a poche ore prima egli era stato in compagnia di sei giovani prostitute indiane, giunte per l'occasione da Dubai, assieme ad altri militari di alto rango. Secondo alcuni avrebbe fatto uso di droghe e Viagra. Secondo altri sarebbe stato avvelenato.
Poche settimane dopo la moglie Maryam fu arrestata in aereoporto con alcune (per l'esattezza 38) valigie piene di denaro mentre tentava di imbarcarsi.
Tra il 1999 e il 2002 furono restituiti alla Nigeria 1,2 miliardi di dollari, fu poi nel 2005 rigettato il ricorso della famiglia Abacha, mentre altri fondi sono ancora congelati (vedi questo rapporto al 2007).

Un mese dopo la sua morte, esattamente l'8 luglio 1997 anche Moshood Abiola morì in circostanze poco chiare e poco prima di essere rilasciato (era detenuto dal 1994), alimentando una serie di leggittimi sospetti sulla dinamica della morte di questi due protagonisti della vita nigeriana degli anni '90.

I cinque anni del regime di Abacha hanno contribuito ad aggravare le sorti di un paese come la Nigeria, che nonostante le ingenti risorse petrolifere, continua ad essere un paese ad alta intensità di conflitti sociali e di povertà. Solo pochi, dei circa 150 milioni di nigeriani, traggono beneficio dal petrolio.

Naturalmente su Abacha esiste anche un sito che ne glorifica, contro ogni logica, la memoria.

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mercoledì 30 marzo 2011

Musica: Toure Kunda, i pionieri della World Music

Il gruppo nasce a Parigi nel 1977 ad opera dei fratelli Ismaila (che era giunto a Parigi nel 1975) e Sixu Toure (nati a 22 giorni di intervallo, nel 1950) nati a Ziguinchour, capoluogo della Casamance, in Senegal.
Il nome in lingua mandinka significa "famiglia elefante". Provengono infatti da una numerosissima famiglia di ciabattini. E' il loro fratello maggiore, Amadou ad iniziarli alla musica.
Nel 1979 esce in Francia il loro primo album, E'Mma Africa, dalle sonorità reggae.
Nel 1982 incidono Toure Kunda assieme al fratello Amadou che intanto li ha raggiunti a Parigi, e sono conosciuti nel mondo come avanguardia della world music. Nel 1983, durante un concerto, Amadou muore per arresto cardiaco, segnando naturalmente un momento difficile per il gruppo.
Fino al 1990 il gruppo resta in tournè in Europa, Stati Uniti e Giappone (dopo aver effettuato una serie di concerti in Africa Occidentale, da dove viene ricavato il live Parigi-Ziguinchor).
Nel 2000 partecipano ad una tournè con Carlos Santana (con cui nel 1999 avevano scritto un pezzo, Africa Bamba, che appare nell'album Supernatural).
Nel 2002, a seguito del naufragio della nave "Joola" (avvenuto il 26 settembre nelle acque antistanti al Gambia) che effettuava servizio di traghetto tra Dakar e Ziguinchor e dove persero la vita 1865 persone, registararono una canzone in omaggio delle vittime e lanciarono una campagna di solidarietà "una barca per il Senegal".Nel 2007 con il loro album Nitè resero omaggio a Leopold Sedar Senghor straordinario poeta e primo presidente della Repubblica del Senegal.
I Toure Kunda cantano in Soninkè, Wolof, Fula, Mandingo, Diola e Creolo Portoghese, sottolineando l'estrema varietà linguistica della Casamance.
L'ultimo album è del 2008 ed è intitolato Santhiaba (che è la zona di Ziguinchor dove sono nati e cresciuti).




Il sito ufficiale dei Toure Kunda

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martedì 29 marzo 2011

La pena di morte in Africa

E' stato pubblicato da Amnesty International il Rapporto 2010 sulla pena di morte. Dai dati emerge che i paesi che matengono la pena di morte nel mondo, sono sempre meno e sempre più isolati. Nel 1977, quando iniziò la campagna contro la pena di morte erano solo 16 i paesi che avevano abolito la pena di morte. Oggi sono 139. Nel 2010 tra i paesi che hanno abolito la pena di morte vi è anche il Gabon. Sono rimasti in 58 i paesi nel mondo che hanno ancora nel loro ordinamento giuridico la pena di morte, bensì siano molti di meno quelli che in realtà la applicano (23).
In Africa 36 paesi su 53 sono abolizionisti per legge
(16) o per pratica (20). Ma nonostante tutto nel 2010, nel mondo, sono state eseguite (escludendo la Cina da cui non si hanno dati ufficiali e dove però i numeri sono nell'ordine delle migliaia) 527 pene capitali in 21 paesi diversi.

Al primo posto di questa orrenda classifica vi è, escludendo la Cina appunto, l'Iran con 252 esecuzioni , poi la Corea del Nord con 60, lo Yemen con 53 e gli Stati Uniti con 46. Tra i paesi africani in testa vi è la Libia con 18 esecuzioni, la Somalia con 8, il Sudan con 6, l'Egitto e la Guinea Equatoriale con 4 e il Botswana con 1. E' da notare che in Africa Sub-Sahariana nel 2009 vi erano state solo due esecuzioni, in Botswana e in Sudan.
In Sudan, Egitto e Botswana la sentenza è stata eseguita tramite impiccagione, mentre in Guinea Equatoriale e Somalia mediante fucilazione.
Sorprendono in particolare le quattro esecuzioni in Guinea Equatoriale, che sono state eseguite, mediante fucilazione, 1 ora dopo la condanna ad opera di un tribunale militare per attentato al Capo dello Stato.


Altra questione sono invece le condanne a morte inflitte nel corso del 2010. Sono state almeno 2024 nel mondo. Al primo posto il Pakistan con 365, seguito da Iraq 279, Malesia 114, Stati Uniti 110 e India 105. Di queste quasi 700 sono state inflitte in 29 paesi dell'Africa ed in particolare in Egitto 185, in Nigeria 151, in Algeria 130, in Zambia 35, in Tunisia 22, in Ghana 17, in Mauritania 16, in Centrafrica e Mali 14, in Gambia 13, in Liberia 11, in Sudan 10, in Zimbabwe e Somalia 8, in Tanzania, Uganda, Kenya e Etiopia 5, in Guinea Equatoriale e Marocco 4, in Madagascar e Malawi 2, , in Sierra Leone, Benin, Burkina Faso e Ciad 1. Mentre non si conoscono i numeri in Libia, Repubblica Democratica del Congo e Camerun.

Bisogna ancora fare molto lavoro per giungere ad avere dati precisi da tutte le nazioni al fine di giungere ad una completa moratoria sulla pena di morte

Resta fermo il principio che, indipendentemente dalla regolarità del processo - che in alcuni Paesi sembra ancora un miraggio - la condanna a morte, a prescindere dalla tipologia di reato, è un atto disumano che non attiene al senso della giustizia. Altra questione è invece la certezza della pena che deve restare un diritto inviolabile di tutti, in particolare per i delitti contro le persone e l'umanità.

Libri: Passione d'Africa

Claude Njikè-Bergeret scrive questo libro autobiografico nel 1997 (Ma passion africaine), che viene poi tradotto in Passione d'Africa e pubblicato in Italia nel 1999 da Mondadori nella collana Ingrandimenti.
Un libro piacevole, ben scritto, che oltre tutto trasmette un'amore incondizionato per l'Africa e per la sua gente.
La storia è sotto molti aspetti semplice. Claude è figlia di missionari francesi protestanti e fino a 13 anni vive in Camerun dove nasce il 5 giugno 1943. Ritornata in Francia, si laurea, vive gli intesi anni sessanta, si sposa ed ha due figli. Ad un certo punto della sua vita , trascorsi orami 18 anni dal suo ritorno in Francia, abbandona tutto e, richiamata appunto da un amore intenso per la terra, delle sue radici in Camerun.
Si innamora e sposa, entrando nel suo harem - cosa che per una bianca rappresentava una novità assoluta - il re dell'etnia Bamilekè, Njike Pokam Francois, da cui avrà due figli. Alla sua morte resterà a gestire un'azienda agricola.

Il libro inoltre ha il pregio di essere stato il primo ad approfondiamento la cultura del popolo Bamilekè, i cui studi antropologici sono successivi alla pubblicazione del libro della Bergeret.

Al suo primo libro ha fatto seguito Le sagesse de mon village (2000) e Agis d'un seul coeur (2009), entrambi non ancora tradotti in italiano.

Curioso il fatto che il libro non sia mai stato tradotto in inglese (lo è, invece, in tedesco).


Per chi volesse approfondire vi segnalo questa recensione di Maria Vittoria Sbordoni per la rivista Piroga

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lunedì 28 marzo 2011

1 settembre 1969, ufficiali prendono il potere in Libia

Dal giorno dell'indipendenza, il 24 dicembre 1951, in Libia regnava Re Idris I Senussi, nipote del fondatore della confraternita dei Senussi Sayyid Muhammar e dal 1916 Emiro della Cirenaica. Un re molto legato a Stati Uniti e Gran Bretagna (secondo alcuni un vero e proprio fantoccio carrotto al servizio degli inglesi) che deludeva fortemente i sostenitori del nazionalismo arabo e del panarabismo, soprattutto di ispirazione egiziana. Il malcontento divenne ancora più marcato quando durante la guerra dei sei giorni, nel 1967, re Idris non appoggiò la causa comune araba contro Israele.
Malato e bisognoso di cure, decise di abdicate a favore del nipote Sayyid Hassan il 5 settembre 1969. Pochi giorni prima del passaggio di consegna dei poteri, il 1 settembre 1969, mentre si trovava in Turchia per curarsi, un gruppo di ufficiali "nasseriani" guidati da Gheddafi (nella foto con Nasser), giovane capitano di 27 anni (poi autopromosso colonnello) presero il potere in modo incruento. All'epoca era il più giovane Capo di Stato al mondo.
La Libia fu ribattezzata Repubblica Araba di Libia - fu adottata fino al 1979 (anno in cui Sadat firmò la pace con Israele) una bandiera con gli stessi colori dell'Egitto e furono avviate una serie di nazionalizzazioni delle imprese e dei possedementi stranieri. Inoltre furono effettuate riforme (aumentati salari minimi, diminuti i salari dei ministri, costruiti ospedali e scuole) e restaurata la legge islamica. Solo un'anno dopo, nell'ottobre 1970, tutti gli italiani (circa 20 mila) furono costretti a lasciare il paese (Ministro degli Esteri in Italia era Aldo Moro) , da allora in Libia è stata istituita la festività del 7 ottobre, come "giorno della vendetta". Da questa confisca si salvarono solo ENI e FIAT. Furono inoltre chiuse le basi militari statunitensi e britanniche.



La storia degli oltre 40 anni di potere di Gheddafi è complessa e può essere sinteticamente suddivisa in tre periodi: quello del panarabismo, quello dell'estremismo e quello di una moderazione di facciata che è giunta fino ai giorni nostri.
Nella prima fase (1969-1979) il riferimento politico e culturale fu l'Egitto, il panarabismo e l'islam egli lavorò per una causa comune araba, sposando la comune tesi anti-israeliana. Nel 1976 (lo stesso anno in cui salvò la FIAT acquistando il 10% delle azioni) pubblicò anche il Libro Verde, una sorta di invito al risveglio del mondo arabo. verso un socialismo islamico. A seguito della firma di Sadat degli accordi di pace con Israele, che Gheddafi visse come un tradimento, si legò fortemente all'estremismo islamico e al terrorismo internazionale, in particolare quello palestinese, ospitando basi e centri di addestramento che formarono militari e golpisti di molte aree africane. Questi suoi legami gli valsero il titolo di nemico numero uno degli Stati Uniti (a partire dal 1990 questo titolo fu assunto dall'iracheno Saddam Hussein) i quali giunsero a tentare di ucciderlo il 15 aprile 1986 quando fu salvato, dal bombardamento della sua residenza, da una telefonata del primo ministro italiano Bettino Craxi. Nel 1988 ordinò l'attentato al Boeing 747 che a Lockerbie costò la vita a 259 passaggeri mentre l'anno dopo nel 1989, la stessa cosa avvenne per un aereo in Ciad. Mentre resta ancora avvolto nel mistero il coinvolgimento libico nell'abbattimento del DC9 dell'Itavia a Ustica il 27 giugno 1980. Seguirono dieci anni in cui Gheddafi apparve isolato dal resto del mondo fino a costringerlo, nel 1999, a consegnare i due autori dell'attentato di Lockerbie. Nell'ultimo decennio l'atteggiamento di Gheddafi cambiò nuovamente: ruppe con l'integralismo islamico, si riavvicinò agli americani e strinse forti legami commerciali con l'Europa e con l'Italia in particolare. Tale atteggiamento sembrò più dettato dalle minacce che da una reale convinzione.

Sancara ha recentemente pubblicato sulla Libia:

- Gheddafi in Italia - in occasione della recente visita in Italia
- In Libia un'altra storia - in occasione dell'inizio delle recenti rivolte in Libia
- Ancora Libia - in occasione delle prime repressioni di Gheddafi
- Libia: alcune riflessioni - a seguito dell'intervento militare
- Libia: per ora solo interrogativi - a seguito arrivo dei ribelli a Tripoli

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venerdì 25 marzo 2011

Cinema: Nowhere in Africa

Nowhere in Africa è un film del 2001 della regista tedesca Caroline Link che nel 2003 ha vinto l'Oscar come miglior film straniero. Il film è uscito in Italia nel 2004.
E' la storia di una famiglia tedesca ebrea (madre, padre e una bambina piccola) che poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale fugge in Kenya.
La storia, che è tratta dal romanzo autobiografico di Stefanie Zweig, si sviluppa a partire dal 1938, attorno "agli occhi" di Regina, la figlia della coppia che ha 9 anni, e che osserva con partecipazione e trasporto la vita africana, seppure il suo sentire non sia condiviso dagli adulti.
Il film affronta più temi: la questione ebrea durante la guerra, il tema della fuga, la guerra stessa, seppure nella ovattata situazione dell'Africa coloniale inglese, l'essere in terra straniera, il rapporto interrazziale, la relazione di coppia, l'adolescenza e infine la difficile scelta del ritorno nella propria patria dopo la guerra.
Tutti questi temi vengono affrontati senza mai sconfinare eccessivamente nel campo del drammatico e della retorica. Semmai l'unico difetto che può essere trovato è la mancanza di sintesi (il fim dura oltre le due ore) e una certa lentezza soprattutto nel finale.
Straordinaria invece è l'Africa vista dalla macchina da presa attraverso gli occhi di Regina, degli occhi liberi da preconcetti che fanno dell'avventura africana una continua scoperta ed un'occasione di crescita e di relazioni. Una curiosità ed una disponibilità, quelle di Regina, che si contrappongono, in modo netto ed evidente, a quelle della madre.
Del resto la grande capacità dei bambini - che noi adulti dovremmo imitare - è quello di vedere gli altri per quello che sono e non per quello che la nostra storia e la nostra cultura ci porta a vedere.


Il fim è girato interamente in Kenya.

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giovedì 24 marzo 2011

Popoli d'Africa: Baggara

I Baggara (o Baqqarah) sono un popolo semi-nomade beduino - composto da circa un milione di individui (secondo altre fonti 600 mila) - che abitano l'area compresa dal lago Chad al Nilo. Vivono quindi in Sudan (Darfur e Kordofan) e in Ciad (est) principalmente, oltre che in Niger, Nigeria, Camerun e Repubblica Centroafricana (vedi mappa).
Con i nome Baggara si identificano almeno sette tribù differenti, accumunate da similitudini culturali e linguistiche. Il nome significa essenzialmente "allevatore di mucche".
Essi sono ritenuti i discenti delle migrazioni di tribù arabe, della famiglia Juhayna, che a partire dal XIII sec., e fino al XVIII sec., migrarono dalla Penisola Araba, attraverso l'Egitto verso ovest. Gli stessi che poi andarono in Andalusia e successivamente fecero ritorno nel nord Africa., dove si stabilirono.
Parlano la lingua shuwa (assieme ad altri dialetti arabi), una varietà di arabo chiamato anche Chadian e sono per la quasi totalità Mussulmani Sunniti.
Durante il XVIII secolo i Baggara prosperarono grazie al commercio degli schiavi nel sud della Nubia.
Oggi i Baggara vivono essenzialmente del proprio bestiame, con cui hanno un rapporto quasi devoto. E' dagli animali che ricavano non solo il cibo, ma anche le pelli per costruire tende e ripari. Durante gli spostamenti in cerca di pascoli e di acqua, essi coltivano anche sorgo, miglio e sesamo. Alcuni Baggara sono diventati, negli ultimi decenni, stanziali, vivendo in villaggi o città.
Sono degli abili scultori del legno.
Tra i Baggara è praticata la poligamia.
In Sudan, i Baggara hanno per secoli condiviso la terra con i Nuba, con cui vi erano scambi commerciali e perfino matrimoni tra le due etnie. Dalla metà degli anni '80, il governo di Khartoum ha spinto i Baggara (ovvero milizie proveniente da questa etnia) a ingaggiare una vera e propria "jihad" contro i Nuba, che avevano stretto alleanza con il Sud del Sudan. Questo processo si è inserito appieno nella sanguinosa guerra civile che per decenni ha contrapposto il nord del paese al sud. Anche in Darfur, molti dei miliziani guidati dal governo di Khartoum e che hanno devastato a partire dal 2003 quell'area del Sudan, appartengono all'etnia Baggara.

Per tutti gli approfondimenti vi rimando al sito Everyculture

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mercoledì 23 marzo 2011

Libia: alcune riflessioni

Il tardivo intervento della comunità internazionale in Libia - che come altri avevo auspicato- ha immediatamente costretto tutti a riflettere sul quello che sta accadendo e sulle prospettive per il futuro. Resta chiaro, a scanso di equivoci, che la guerra è guerra.
Non voglio addentrarmi in analisi sulle strategie militari, sulla titolarità dell'intervento e sull'oramai evidente gioco di forza tra le potenze all'interno della coalizione e all'interno del fronte non interventista. Il dibattito è acceso e le dichiarazioni dei capi di stato e le analisi che sono in corso permettono a tutti di farsi un'idea chiara.
Vorrei però sottolineare alcune questioni:

- quando Gheddafi ha fatto levare gli aerei e bombardare gli insorti, tutti abbiamo gridato - non senza ragioni - al massacro. Quando poi le sue deliranti dichiarazioni hanno confermato che "avrebbe schiacciato fino all'ultimo quella banda di drogati" è parso evidente che bisognava intervenire;
- la comunità internazionale è un insieme di interessi e di strategie che difficilmente trovano sintesi. Interrogarsi sul perchè della lentezza, delle divisioni o sul perchè non si interviene in altri Paesi dove si violano sistematicamente i diritti umani, è un utile esercizio per la comprensione, ma non risolve la questione libica;
- che dietro all'aspetto umanitario - molto più spendibile per il "popolo" - vi siano interessi per il petrolio e il gas, nonchè per gli interessi economici che da oltre due decenni la Libia ha in Europa, mi sembra non solo evidente ma, perfino banale;
- che la Francia abbia accelerato l'attacco militare, sorprendendo perfino gli alleati, è chiaro. Quello che è successo in questi giorni di attacchi - soprattutto la richiesta di un "cappello" della NATO - ben inquadra le divisioni e le contraddizioni dell'Europa;
- che l'Italia, alle prese com'è con ben più importanti problemi, conti nello scacchiere internazionale "come il due di briscola" pare chiaro perfino ad un bambino;
-che per il passato la comunità internazionale - e l'ONU in particolare - possa essere più accusata di immobilismo che di interventismo mi sembra una questione scontata. Si permise il massacro di 1 milione di ruandesi, nel 1994, facendo gli osservatori di un film horror (vorrei ricordare che l'ONU autorizzò l'uso delle armi solo quando si colpivano i non-ruandesi), si osservò in silenzio quanto accadeva in Bosnia. Non a caso nel 2005 si approvò il principio della "Responsabilità di proteggere" ovvero che l'ONU si impegnava a proteggere le popolazioni civili dai propri tiranni. Principio evocato anche nella risoluzione 1973;
- che la Libia, essendo nel centro del Mediterraneo, riveste un ruolo, per contiguità e importanza, nel futuro quadro geopolitico dell'area a cui nessuno è disposto a rinunciare in termine di partnership;
- che nel passato i rapporti con Gheddafi siano stati viziati da opportunismo e ipocrisia, è sempre apparso evidente;
- oggi noi possiamo essere critici o meno sull'intervento militare. Ma deve essere chiaro che l'alternativa era lasciar fare, qualsiasi cosa;
- che per la comunità internazionale è più facile decidere di radere al suolo un paese piuttosto che sequestrare i beni personali dei dittatori è un'amara verità (la questione Mobutu insegna).

Fatte queste considerazioni, vi sono alcuni interrogativi a cui non possiamo sottrarci. Quando nel dicembre del 2010 iniziarono le prime sommosse nel Nord Africa, si intravide in quelle tenaci proteste, pagate con il sangue, una speranza di cambiamento in tutto il mondo arabo e nord-africano. Una speranza che aveva il volto di tanti giovani, di donne e di lavoratori, che chiedevano giustizia, democrazia e diritti. Oggi con l'intevento militare tutto questo è passato in secondo piano, anzi si mette persino in discussione la bontà di quelle proteste e il loro fine.
La domanda è quindi semplice, quanto giova alla causa democratica e al vento di cambiamento, l'intervento militare in Libia?
E ancora, una nuova classe politica, giovane e dinamica nel mondo arabo, continuerebbe ad affamare la propria popolazione, permettendo solo agli altri di usare petrolio e gas, senza che le ingenti risorse che da essi si ricavano possano contribuire allo sviluppo del proprio Paese?
Per il nostro mondo - che ribadiamolo ancora una volta - dipende dal petrolio e dal gas del mondo arabo, non è forse conveniente sostituire un dittatore con un altro, magari sventolando il pericolo del fondamentalismo, facendo in modo che tutto più o meno resti come prima?
Rispondere a queste domande forse aiuta, oltre le ipocrisie, a comprendere dove stiamo andando.
Credo che bisogna essere onesti, l'intervento umanitario e le strategie economiche e geopolitiche, si sono incontrate in questa occasione. In altre occasioni, putroppo, no.


Vi rimando anche ad una discussione su questo tema su Secondo Protocollo a cui ho partecipato

martedì 22 marzo 2011

Giornata Mondiale dell'Acqua: la storia del lago Ciad

L'acqua abbonda sulla Terra. Il 97,5% di essa però è salata, il 2,5% è acqua dolce (di cui il 70% è ghiaccio) e solo lo 0,02% del totale è utilizzabile dall'uomo. L'accesso all'acqua è mal distribuito. Oltre 2 miliardi di individui nel mondo non hanno accesso all'acqua dolce e si trovano ben al disotto della soglia minima stabilita dalle Nazioni Unite (1000 metri cubi pro capite d'anno).
Oggi nel mondo il 70% di acqua è usato per l'agricoltura, il 22% per l'industria e l'8% per uso domestico.
Tanto per fare un esempio per produrre un chilo di patate servono dai 500 ai 1000 litri di acqua, per un chilo di grano tra i 900 e i 2000 litri di acqua, per un chilo di riso tra i 1900 e 5000 litri di acqua e per un chilo di manzo tra i 15000 e i 70000 litri di acqua.
L'acqua non potabile (assieme all'assenza di rete fognaria) è causa dell'80% delle malattie nei paesi in via di sviluppo.

E' sorprendente che solo nel luglio 2010 una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Uniteha dichiarato l'acqua come un diritto fondamentale e inviolabile dell'uomo. Purtroppo si tratta di una risoluzione di principio, senza alcun obbligo per gli Stati.

La Giornata Mondiale dell'Acqua, voluta dalle Nazioni Unite a partire dal 1992, ha lo scopo di portare all'attenzione del mondo intero la questione idrica, come elemento essenziale e strategico della vita umana. Al tempo stesso vuole sottolineare la necessità di un intervento della comunità internazionale a favore di chi non ha accesso all'acqua.



Tra le storie che meritano di essere raccontate vi è quella del Lago Ciad. E' un lago endoreico - cioè che ha un immissario che porta l'acqua, il fiume Chari, ma non ha un emissario che la fa uscire - che negli anni sessanta aveva una superficie di 26 mila chilometri quadrati (per capirci grande quanto il Ruanda o la Macedonia) e che oggi arriva a malapena a 2 mila chilometri quadrati (vedi mappa).
E' un lago che si trova al confine tra Ciad, Nigeria, Niger e Camerun, ma il cui bacino idrologico è condiviso anche dalla Repubblica Centroafricana, dall'Algeria, dal Sudan e dall'Egitto, e che da da vivere a circa 30 milioni di persone che vi abitano intorno.
L'allarme è già stato lanciato. Gli effetti della così drastica riduzione dell'acqua rischiano di diventare drammatici. Secondo la FAO i prodotti della pesca si sono già ridotti del 60%, così come la varietà dei pesci presenti. Allevatori e agricoltori, che dipendono dall'acqua del lago, sono costretti ad abbandonare le proprie attività ( si stima che nell'area sia diminuita del 46,5% la quantità di mangime disponibile). Lascio a voi immaginare le conseguenze nell'ambito sociale e dei rapporti tra le popolazioni e gli stati.
I motivi che hanno prosciugato il Lago Ciad sono da attribuirsi da un lato ai cambiamenti climatici e dall'altra allo sfruttamento intesivo. Il fiume Chari, che fino agli anni '60 portava nel lago 40 miliardi di metri cubi d'acqua all'anno, oggi non supera i 20 miliardi di metri cubi. Inoltre la riduzione delle piogge ha dato un ulteriore contributo. Nello stesso tempo in cui il bacino diminuiva, cresceva la richiesta delle popolazioni locali per l'agricoltura e per l'allevamento.
E' chiaro a tutti che il completo prosciugamento del lago (ipotizzato in circa un ventennio) porterebbe ad una catastrofe umanitaria senza precedenti.
Già da tempo si è iniziato a ottimizzare l'uso dell'acqua, ma appare evidente che il destino sembra segnato. Allora si è ipotizzato di deviare il corso del fiume Oubangui ( uno dei principali affluenti del Congo) nel fiume Chari, in modo da aumentarne la portata. Il progetto, che prevede la costruzione di una diga sul Oubangui a Palambo, la creazuione di due canali artificiali (di cui uno navigabile) e di due porti fluviali, è oggi allo studio di fattibilità da parte di una società canadese.
Inutile nascondere che la comunità internazionale si trova di fronte ad un dilemma di non poco conto. Salvare il Lago Ciad, rischiando di arrecare un danno all'ecosistema del bacino del Congo oppure lasciare 30 milioni di individui al loro inesorabile destino.

Quando nel 1995 l'ex vicepresidente della Banca Mondiale, l'egiziano Ismail Serageldin affermava che "le guerre del venetsimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del prossimo secolo saranno combattute per l'acqua", forse aveva visto giusto.

Per tutti gli approfondimenti sul tema della Giornata Mondiale dell'Acqua , vi rimando ad alcuni siti:
Sito della Giornata Mondiale dell'Acqua.
Sito del Consiglio Mondiale dell'Acqua.
Sito delle Nazioni Unite sull'Acqua.

lunedì 21 marzo 2011

Parco Nazionale di Kahuzi-Biega

Il Parco Nazionale di Kahuzi-Biega (che prende il nome da due vulcani spenti) si trova nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, nella provincia del Sud-Kivu, al confine con il Ruanda. Ha una superficie di 6000 km quadrati. Il Parco nel 1980 è stato incluso nei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO grazie alla presenza dei gorilla di montagna (gorilla beringei). Inoltre in quest'area iniziarono, nel 1966, gli studi sui gorilla di Dian Fossey, prima che si trasferisse in Ruanda, dove poi fu uccisa nel 1985.
Alla fine degli anni '90 i gorilla presenti nel parco erano 600. A seguito del conflitto scoppiato nel Kivu (generato dopo il genocidio del Ruanda del 1994) e allo spostamento dello stesso nei confini del parco sono aumentati i saccheggi, gli incendi e il bracconaggio. Inoltre all'interno del territorio vi sono miniere illegali di coltan. Infatti dal 1997 l'UNESCO è stata costretta ad inserire questo parco tra i siti in pericolo. Uno studio del 2005 ha stimato in circa il 60% gli animali morti a causa del conflitto. Oggi i gorilla sono 300 (secondo altre stime 220).
Il Parco fu istituito nel 1970 su una superficie di 750 km quadrati e solo nel 1975 si estenderà agli attuali confini. Nel parco vivono anche elefanti, diverse specie di scimmie e innumerevoli uccelli.


Un sito che parla del Parco. Vi posto anche la pagina del sito Bergorilla.com sulla situazione dei gorilla nel Parco.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità UNESCO in Africa

sabato 19 marzo 2011

African Voices: un importante contributo alla conoscenza

Da quando è nato Sancara, l'obiettivo di questo blog è sempre stato quello di parlare dell'Africa. Parlarne per sottolinearne alcuni aspetti che a mio avviso sono importanti, evidenziando limiti e i pregi di un continente vasto e complesso. Un continente dove a pochi chilometri convivono popoli che hanno un'organizzazione sociale simile a uomini della preistoria e una delle più prestigiose università del mondo. Un continente ricco di contraddizioni e di paradossi, di ingiustizie terribili e di generosità assoluta, di luoghi affascinanti e unici e di miserie grandiose. Un continente che è difficile da raccontare, ma allo stesso tempo offre spunti e riflessioni continui.
In rete si trovano siti, blog e approfondimenti gestiti da studiosi, associazioni, organizzazioni, istituzioni, viaggiatori e semplici appassionati che quotidianamente raccontano e fotografano i più diversi, e impensabili, aspetti dell'Africa. Metterli insieme non è facile.
Eppure grazie al grande lavoro di African Voices (http://www.facebook.com/pages/AFRICAN-VOICES/265628161638?ref=ts), un pagina di Facebook curata con puntualità e capacità da Marco Pugliese, l'immensa produzione di informazioni, notizie, foto e commenti da e sull'Africa viene messa a disposizione di chi ha voglia di approfondire e di capire cosa avviene nel continenete africano.
Un'idea semplice, ma efficace. African Voices, oltre a produrre contributi propri, linka da siti, blog e agenzie di stampa tutto quello che riguarda l'Africa, foto e filmati compresi, permettendo agli oltre 13 mila fans di leggere le notizie, di commentarle e dialogare tra di loro. Appassionati che oramai arrivano da tutto il mondo (la pagina è in italiano e in inglese).
Sento profondamente di dover ringraziare African Voices, non certamente per il fatto che pubblica anche post di Sancara (la qual cosa, ci mancherebbe, fa molto piacere), ma per l'inteso e appassionato contributo alla conoscenza del continente africano, della sua gente e dei fatti (e sono molti, ma molti più di quelle che raramente si leggono sui nostri giornali) che in esso avvengono. Un luogo dove approfondire, conoscere e scambiare opinioni, a servizio di chi vuol capire e di chi vuol fare. Grazie African Voices e grazie Marco.

venerdì 18 marzo 2011

Scarificazioni, un segno distintivo

Seppur oramai praticata in pochi gruppi etnici africani (oltre che in Nuova Guinea e tra gli aborigeni australiani) quella della scarificazione è una singolare e, per certi versi, antica tradizione.
La scarificazione (il cui termine deriva dall'inglese scar, ovvero cicatrice) altro non è che una cicatrizzazione della pelle che, attraverso varie tecniche, viene indotta ad essere ipertrofica (abnorme). In termini medici la cicatrice così prodotta si chiama cheloide.
In pratica si incidono gli strati più superficiali della pelle, spesso più volte, con strumenti quali conchiglie, pietre affilate, frecce, coltelli o lamette e non lasciano guarire normalmente. Si inseriscono, dopo aver sollevato i lembi con ami da pesca, a volte pezzi di legno, semi o cenere in modo da rigonfiare la cicatrice o, in altre occasioni, la si incide più volte. Altre volte vengono utilizzati - inserendoli nella ferita - coloranti naturali. Il risultato è quello che si può vedere in queste fotografie tratte dalla rete.
La scarificazione ha origini antiche poichè sono stati ritrovati dipinti risalenti a quasi 10.000 anni fa in cui sono ritratti uomini con scarificazioni corporee o descritte tecniche per effettuarle.
Le scarificazioni sono ancora oggi legate a riti di passaggio in classi di età differenti - una sorta di iniziazione - e allo stesso tempo rispondono a canoni estetici precisi. Tra i Shilluk del Sudan la pelle liscia è vista in modo negativo ed è adatta solo ai bambini.
Inoltre particolari peculiarità dei disegni e delle forme che vengono scarificate costituiscono una sorta di "carta d'identità stampata sulla pelle" che differisce gruppi appartenenti a diverse etnie.
Infine vi sono alcuni antichi rituali magici che fanno in alcuni gruppi, come i Boscimani, delle scarificazioni un sistema di protezione o di rafforzamento delle capacità di caccia.
Tra i diversi gruppi etnici che ancora oggi praticano la scarificazione - da piccoli segni sul volto a veri e propri disegni corporei - oltre ai già citati Shilluk, ricordiamo i Mursi dell'Etiopia, i Boscimani, i Dinka, gli Yoruba, i Sokoro, i Mongo, i Bobo, i Mossi, gli Yakoma, i Sanga e i Baulè, tanto per citarne solo alcuni.
Il processo per ottenere risultati come quelli definitivi è lungo, per certi versi doloroso e certamente non privo di complicanze, quali ad esempio le infezioni.
In termini occidentali la scarificazione (che trova sempre più appassionati) rientra in quella che viene definita la body art allo stesso modo dei tatuaggi e del piercing.
Nonostante alcuni timidi tentativi da parte dei governi per proibirle, le scarificazioni restano ampiamente tollerate.
Da un mio personalissimo punto di vista ho sempre giudicato le scarificazioni un elemento estetico di affascinante bellezza.

Ricca galleria fotografica su questo sito d'arte africana (a dire che anche la pelle può essere un'opera d'arte).

mercoledì 16 marzo 2011

Libri: Racconti Africani

Racconti africani è una raccolta di undici storie brevi scritte dal Premio Nobel per la Letteratura del 2007, Doris Lessing tra il 1951 e il 1973 e tradotti e pubblicati da Feltrinelli nel 1989.
Sono racconti che appartengono ai ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, in un momento in cui si affacciava alla coscienza dei giovani, figli o nipoti dei coloni, la questione razziale. Ella si rende conto della meschinità con cui i bianchi marginalizzano i neri, privandoli della loro terra e alterando profondamente tradizioni e culture antiche. Nello stesso tempo Doris descrive anche l'insicurezza dei bianchi, spesso mascherata da un'arroganza senza limiti, avvolti del loro conformismo che mal si adatta a luoghi suggestivi e lussureggianti come quelli africani. Luoghi che a seguito dell'arrivo dei coloni vengono a loro volta depredati prima dalle miniere e poi dalle coltivazioni intensive.
Quello della Lessing è un modo suggestivo, per raccontare un'Africa con un'occhio nuovo - rispetto a quel tempo - dove il disprezzo dei bianco sul nero lasciava il posto ad un primo e storico tentativo di comprendere la realtà.
Doris dirà che "l'Africa ti insegna che l'uomo è una piccola creatura, in mezzo a tante creature, in un grande panorama"

Doris May Tayler, Lessing dopo il secondo matrimonio - è nata in Iran (a Kermanshah) il 22 ottobre 1919 - da una famiglia inglese (padre bancario, ex militare che aveva subito l'amputazione di una gamba e madre ex infermiera).
All'età di 6 anni, nel 1925 si trasferisce con la famiglia in Sud Rhodesia (attuale Zimbabwe) per iniziare a coltivare mais. Le cose non andranno così bene per la famiglia Tayler per cui Doris descriverà un'infanzia, assieme al fratello Harry, piena di dolori e di sacrifici. Educata presso il convento cattolici di Salisbury (oggi Harare) a 14 anni lascia la scuola, divenendo una autodidatta. Studia politica e sociologia. Nel 1937 si trasferisce a Salisbury dove lavora come telefonista e inizia a scrivere. Sposa Frank Wisdow, da cui ha due figli. I due si separano nel 1943. Doris entra in contatto con i gruppi comunisti letterari, (legati al Parito Comunista illegale) dove incontra e sposa nel 1944 Gottfried Lessing (un avvocato e attivista tedesco nato a San Pietroburgo il quale morirà nel 1979 in Uganda, dove era divenuto ambasciatore della Germania dell'Est, durante la ribellione contro Amin Dada), da cui ebbe un figlio. Il loro matrimonio durerà fino al 1949 quando Doris si trasferirà a Londra dove, oltre a continuare la sua vita di attivista comunista, nel 1950 pubblicherà il suo primo romanzo. Per le sue critiche aspre ai regimi razziali dello Zimbabwe e del Sudafrica, gli fu impedito, a partire dal 1956, di recarsi in entrambi i paesi. A partire dagli anni '70 i suoi interessi saranno rivolti al sufismo.
Nel 2007, a 87 anni vincerà il Premio Nobel per la Letteratura (vi segnalo questo articolo sul Corriere della Sera sullla sua vittoria).

Aggiornamento novembre 2013 : Doris Lessing è morta a Londra il 15 novembre 2013 all'età di 94 anni.

Sul sito web su Doris Lessing è possibile trovare la sua completa bibliografia.

Vai alla pagina di Sancara su Libri e Film sull'Africa

lunedì 14 marzo 2011

Costa d'Avorio, crisi dimenticata

Quando all'inizio del dicembre 2010 era scoppiata la crisi in Costa d'Avorio si era ventilato il rischio concreto di una riacutizzazione della guerra civile che aveva caratterizzato il periodo tra il 1999 e il 2007 con una situazione di fatto di un paese spaccato in due.
Gli eventi, che a partire dalla seconda metà del dicembre 2010, con la caduta dei regimi in Tunisia e Egitto e della guerra di fatto in corso in Libia, hanno fatto passare in secondo piano quello che avviene in Costa d'Avorio.
Qualche giorno fa l'Alto Commisariato per i Rifugiati ha lanciato l'ennessimo apppello per la situazione che oramai rischia di diventare una vera e propria emergenza umanitaria. Sono infatti oltre 500 mila i rifugiati, che sono scappati soprattutto dalle città dove oramai gli scontri sono all'ordine del giorno. Mentre dei soldi promessi all'Alto Commissariato solo una piccola parte è stata versata dai governi.
Lo stallo politico è totale. Da un lato l'ex presidente Laurent Gbagbo che tenta in tutti i modi di mantenere il suo potere, dopo aver tentato di nazionalizzare le banche (molte delle quali sono chiuse per motivi di sicurezza) ora prova a nazionalizzare la filiera del cacao (che rappresenta il 20% del PIL del Paese) che da gennaio è sotto embargo dell'Unione Europea e dall'altra il vincitore delle ultime elezioni Alessane Ouattara che di fatto è barricato in un albergo.
Ho postato questo video che ha già girato (secondo me non abbastanza) nella rete, di una manifestazione di donne a favore di Ouattara che improvvisamente vengono assalite a colpi di mitra (avverto che le immagini sono toste a partire dalla metà del filmato).



E' l'ennesima dimostrazione di come sono spesso le donne (vedi post sulla candidatura delle donne africane al Premio Nobel per la Pace) a farsi carico della lotta e come esse paghino delle conseguenze molto pesanti.
Come sempre ci si pone l'interrogativo sulla presenza della Comunità Internazionale che osserva, nell'assoluto immobilismo, mentre qualcuno decide di sparare su di un corteo di donne. Purtroppo la tanto professata non ingerenza non può, e non deve, significare permettere abusi e massacri. Quello che è accaduto in Ruanda nel 1994 o a Srebrenica nel 1995, piuttosto che in Darfur dovrebbe aver insegnato quanto fallimentare sia la politica del non intervento quando qualsiasi regola viene a mancare.
Certo non è facile, ne sono consapevole. Ma quale credibilità ha una comunità internazionale che non è capace nemmeno di far svolgere con rapidità, e serietà, i processi per i crimini contro l'umanità? Che non è capace di infliggere condanne esemplari ai vari torturatori che il mondo produce oppure di fermare uomini come il Presidente del Sudan ricercato per i crimini in Darfur?
Credo che il primo passo sia quello di rendere chiaro a tutti che nessuno potrà scappare dalla condanna internazionale (e dalla pena) qualora si macchi di crimini contro l'umanità.

domenica 13 marzo 2011

11 novembre 1975, l'Angola è indipendente

Il giorno dell'indipendenza angolana, l'11 novembre del 1975, fu anche il giorno dell'inizio di una delle più lunghe guerre civili dell'Africa. Mentre il primo presidente dell'Angola, Agostinho Neto (nella foto), pronunciava con la voce rotta dall'emozione, a Luanda, il breve discorso per la proclamazione della Repubblica Popolare di Angola i cannoni e l'artiglieria rompevano il silenzio poco più in là, dove nella città di Huambo il FNLA e l'UNITA avevano proclamato la nascita di un'altro governo.



La strada per giungere a quel fatidico 11 novembre era stata molto lunga e ricca di insidie. Era cominciata simbolicamente nel 1948 quando un gruppo di giovani poeti angolani (Viriato da Cruz, Agostinho Neto e Mario de Andrade) avevano dato vita al movimento culturale Vamos descobrir Angola. Questo movimento fu l'embrione della lotta per l'indipendenza angolana al colonialismo portoghese, l'ultimo a cedere il passo agli africani. Infatti solo pochi anni dopo, nel 1953, nacque la prima organizzazione clandestina di liberazione dell'Angola, il Partido para a Luta Unida dos Africanos de Angola, il PLUA, embrione della futura MPLA. Nel 1954 a Kinshasa nacque invece l'UPNA (Uniao das Populacoes do Norte de Angola) da parte di esponeneti di etnia Bakongo del Nord (sarà il germe della successiva FNLA).
Il 10 dicembre 1956 dall'unione del PLUA e altri piccoli gruppi - tra cui il Partito Comunista angolano - nacque a Luanda il Movimento Popular para a Liberatacao de Angola (MPLA) guidata da Alves Machado. Nel 1958 l'UPNA cambia nome in Uniao das Populacoes de Angola (UPA). La situazione politica del vicino Congo con i fatti che porteranno prima all'indipendenza, poi al tentativo scissionista del Katanga, infine all'assassinio di Patrick Lumunba e avvento del dittatore Mobutu, influenzeranno fortemente la vita politica angolana.
Il 4 febbraio 1961, con l'assalto alla prigione di Luanda, dove erano rinchiusi i prigionieri politici, da parte dei guerriglieri dell'MPLA segnò l'inizio della lotta armata. La sede dell'MPLA venne spostata a Kinshasa in Congo. Poco dopo , il 15 marzo 1961, l'UPA nel nord attaccò con le sue bande armate tutti i residenti non Bakongo (civili portoghesi, mulatti angolani e membri delle altre etnie Ovimbundu e Kimbundu), dura fu la repressione dell'esercito portoghese che costrinse i Bakongo a rifugiarsi in Congo.
Il 23 marzo 1962 l'UPA cambiò il proprio nome in Frente Nacional da Libercao de Angola (FLNA) ed a capo si pose Roberto Holden, un ex impiegato di religione protestante che aveva vissuto quasi sempre in Congo, dove possedeva alberghi e ristoranti. Fu creato il governo rivoluzionario in esilio (GRAE).
Nel novembre 1963 l'MPLA (che dal 1962 era guidata dal medico e poeta Agostinho Neto) fu costretta a spostare il suo quartier generale da Kinshasa a Conakry e successivamente a Brezzaville.
Nel 1964 avvenne una scissione nell'ambito del FLNA, da dove fuoriuscì Jonas Savimbi, già Ministro degli Esteri del governo del Grae, un ovimbundu che accusò Roberto Holden di corruzione, nepotismo e di essere guidato dalla CIA. Savimbi il 13 marzo 1966 farà nascese l'Uniao Nacional para Independencia Total de Angola (UNITA) che sarà anche finanziata da coloni portoghesi, soprattutto militari.
La guerra di liberazione contro i portoghesi continuerà tra allenze e rotture dei tre gruppi e dei loro leader (Neto, Savimbi e Holden) che a partire dal 1972 faranno fronte comune contro i coloni.
Ma l'elemento che farà cambiare la situazione e che porterà alla fine del colonialismo portoghese non avverrà in Africa bensì in Portogallo, quando il 25 aprile 1974 una rivoluzione incruenta (Rivoluzione dei Garofani) abbatterà la dittatura portoghese rappresentata da Salazar (al potere dal 1932 e deceduto nel 1970) e successivamente da Caetano (al potere dal 1970).
Solo pochi mesi dopo, il 15 gennaio 1975, a Mombasa fu siglato l'accordo tra MPLA,UNITA, FLNA e governo Portoghese per la totale indipendenza dell'Angola l'11 novembre 1975 e la nascita, dal 30 gennaio 1975, di un governo provvisorio. L'accordo durerà molto poco: già dal marzo 1975 avvennero i primi scontri tra l'MPLA e il FNLA per il controllo di Luanda. Nell'agosto 1975 le truppe sudafricane, in appoggio all'UNITA e al FNLA, entrarono in Angola, oramai la guerra era in atto. Il 5 novembre 1975, ad una settimana dall'indipendenza sbarcarono in Angola truppe cubane a protezione della nascita della nuova Repubblica Popolare. Sugli ultimi giorni prima dell'indipendenza vi segnalo il libro di Ryszard Kapuscinski Ancora un giorno.
Dal 1975 e fino al 2002 in Angola si combatterà una delle più sanguinose guerre civili. Una guerra che vedrà vari interessi in campo: in una prima fase essa sarà fortemente legata alla geopolitica internazionale dei blocchi che porterà l'MPLA (guidata fino alla sua morte, avvenuta nel 1979 da Agostinho Neto e successivamente dall'attuale presidente Dos Santos) ad essere sostenuta da Cuba e dall'Unione Sovietica e l'UNITA (il FNLA di Holden, sconfitto, uscirà di scena ben presto) di Savimbi ad essere appoggiata dal Sudafrica e dagli Stati Uniti. Questa fase si concluderà agli inizi degli anni '90 con i ritiro di tutti i contigenti stranieri dal campo (cubani, sudafricani e mercenari di ogni tipo) contestualmente all'indipendenza della vicina Namibia e alla fine del regime segregazionista in Sudafrica.
Da allora la guerra assumerà - nonostante gli innumerevoli tentativi di accordi di pace alcuni anche suffragati, come nel 1992, da elezioni (vinte dall' MPLA) e da governi unitari falliti - i contorni di una contesa che non aveva più nessun valore ideologico ma che serviva alle parti a mantenere uno status determinato dagli ingenti interessi economici. Infatti la guerra d'Angola permetteva all'MPLA di controllare i pozzi petroliferi (oggi è il primo produttore africano) e all'UNITA di governare il commercio illegale dei diamanti. Con il tempo quella contesa che aveva coinvolto ideologicamente il mondo, per le sue implicazioni politiche e per gli ideali che in essa si riponevano, si era trasformata in una vile guerra per il controllo delle risorse.
Quando il 22 febbraio 2002 il leader dell'UNITA Jonas Savimbi, muore in battaglia (il 5 marzo morirà anche il suo successore Antonio Dambo), in pochi giorni si chiude un conflitto durato 27 anni e che aveva distrutto uno dei più ricchi paesi dell'Africa.
Per la popolazione civile non cambiava molto. Milioni di mine antiuomo rendono le attività come l'agricoltura praticamente impossibili in molte aree del paese.


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giovedì 10 marzo 2011

Cinema: All The Invisible Children

All The Invisible Children è un film del 2005 (presentato in anteprima alla 62° Mostra del Cinema di Venezia nel 2005 e uscito nelle sale italiane nel 2006) composto da 7 cortometraggi (di circa 16 minuti) sulla condizione di sofferenza dei bambini nel mondo. Nato da un'idea della produttrice italiana Chiara Tilesi (MK Film Productions), assieme a Maria Grazia Cucinotta e Stefano Veneruso.
E' un film che nonostante alcuni momenti eccessivamente retorici e "strappalacrime", che sembrano avvicinarsi ad una soap-opera, ha il pregio di mettere in evidenza un mondo di adulti che sembra non vedere affatto i bambini e la loro sofferenza.
Resta un film forte, di denuncia e che non può che generare sdegno e rabbia per le condizioni di vita di milioni di bambini nel mondo.

Il primo corto, chiamato Tanza è diretto dal regista francese di origini algerine Mehedi Charef e affronta, in un paese africano non ben identificato (il film è girato in Burkina faso) il tema dei bambini soldato.
Tanza (interpretato da Adama Bile) infatti è un dodicenne che già ha perso l'amico in battaglia e si appresta a mettere delle bombe in una scuola.

Gli altri cortometraggi sono Blue Gipsy di Emir Kusturica ambientato in Serbia sulla detenzione minorile e su un bambino costretto a vivere con un padre brutale, Jesus Children of America di Spike Lee sulla tossicodipendenza e la sieropositività da HIV in America, Joao e Bilù di Katia Lund sulla vita quotidiana dei bambini che riciclano rifiuti in Brasile, Jonathan di Ridley Scott e Jordan Scott su di un fotografo di guerra inglese che ritorna bambino, Ciro di Stefano Veneruso sui bambini scippatori di Napoli e Song Song e Little Cat di John Woo su di un anziano che diventa il guardiano di una bambina abbandonata trovata nelle immondizie.



Gli incassi del film sono stati devoluti ad un programma alimentare dell'UNICEF.

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martedì 8 marzo 2011

Donne da Nobel

Chiunque abbia viaggiato in Africa ha sicuramente avuto modo di rendersi conto della forza e della volontà delle donne africane. Una forza straordinaria che deriva da una volontà lucida che permette di subire suprusi intollerabili, ma allo stesso tempo consente di essere protagoniste della vita quotidiana e delle trasformazioni sociali.
E' per questo che la campagna per il Premio Nobel per la Pace alle donne africane 2011 (denominata Noppaw), promossa dal comitato composto originariamente da 48 associazoni e che oramai ha avuto l'appoggio di molti governi, non può che trovare il nostro convinto sostegno.



Le donne africane meritano questo premio collettivo (un Nobel ad una donna africana è già stato assegnato nel 2004) non solo per quanto detto e per il loro apporto determinante all'economia africana, ma e soprattutto per il loro ruolo nella risoluzione dei conflitti e nelle trattative di pace. Un ruolo che le ha viste protagoniste nel post-genocidio in Ruanda (non a caso è l'unico paese al mondo in cui nel Parlamento siedono più donne che uomini), come nel post-guerra civile in Mozambico o in Angola.
Come sosteneva Thomas Sankara, lo sviluppo dell'Africa passa inevitabilmente per le donne.

Sosteniamo insieme la Campagna per il Nobel alle donne Africane diffondendo la notizia, seguendo la campagna e firmando l'appello.

Il video è quello ufficiale della campagna Noppaw.

lunedì 7 marzo 2011

Musica: Alpha Blondy, il raggae africano

Alpha Blondy è lo pseudonimo del cantante della Costa d'Avorio Seydou Konè. Egli è istato il primo cantante raggae africano ad essere conosciuto fuori dal continente. Canta in inglese, in francese, in arabo, in ebraico e in alcuni dialetti africani come il baolè e il dioula. La sua musica che qualcuno ha definito afro-raggae, è densa di misticismo e spiritualità, elementi che hanno accompagnato la vita.
Nato a Dimbokro il 1 gennaio del 1953, primo di una famiglia di 9 fratelli composta da una madre mussulmana e un padre cristiano. Fu cresciuto dalla nonna Cherie fino a 9 anni (la quale gli diede il nome di Blondy, ovvero bandito), poi raggiunse il padre a Odiennè nel Nord Ovest della Costa d'Avorio. Appassionato di musica sin da giovane fonda un gruppo chiamato Atomic Vibration. Nel 1973, dopo un anno in Liberia a seguito dell'espulsione da scuola, si trasferisce negli Stati Uniti a New York dove studia economia alla New Yorker Columbia University e continua a suonare. Nel 1977 durante un concerto del giamaicano Burning Spear decide che la sua strada musicale sarà definitivamente il raggae. Ritornerà in Costa d'Avorio nel 1981 con qualche problema psichico (che costringerà anche la sua famiglia a ricoverarlo in un centro di igiene mentale per quasi due anni). Nel 1982 incide il suo primo album (Jah Glory) e nel 1985 farà la prima tournè in Europa. Sicuramente l'album più noto della sua carriera è Jerusalem del 1986 prodotto con il gruppo del defunto Bob Marley The Wailers. Nel 1992 attraversa un'altro periodo di profonda depressione, ma continua a incidere e a tenere concerti. Dal 1996 al 1998 vive per un periodo a Parigi, per poi ritornare nella sua Africa.
Nel 2005 è divenuto Ambasciatore di Pace delle Nazioni Unite per la Costa d'Avorio grazie al suo impegno contro il razzismo, contro le mine antiuomo e a favore della salute dei più deboli.
Esiste anche una Fondazione a suo nome - la Alpha Blondy Jah Glory Foundation che si occupa di bambini e donne in Africa.
Oggi è accompagnato da una band di 12 musicisti chiamata Solar System.



Il sito ufficiale di Alpha Blondy.

vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa.

venerdì 4 marzo 2011

Emergenza profughi ai confini tra Tunisia e Libia e tra Egitto e Libia.

Qualsiasi crisi politica, con situazioni che si avvicinano più o meno pesantemente alla guerra civile, tra le tante cose generano migliaia e migliaia di profughi. Gente che scappa, spesso donne, bambini e anziani impauriti dalle violenze e dalle repressioni. Raccolgono poche cose, quelle più care, e trasportandole a mano o con mezzi di fortuna cercano di superare il confine per trovare protezione. Ne sanno qualcosa gli operatori dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR in inglese o ACNUR in italiano) che proprio lo scorso anno hanno celebrato i sessanta anni di attività.
Come avviene in ogni crisi umanitaria nel mondo, gli uomini e le donne dell'UNHCR sono i primi a giungere sul posto fornendo la prima assistenza umanitaria. Sono state montate tende, forniti i generi di prima necessità, erogata la prima assistenza sanitaria e cercato di garantire delle minime condizioni igienico-sanitarie. E' stato immediatamente attivata una raccolta fondi per l'Emergenza Nord Africa.
Nel confine tra Libia e Tunisia sono giunti in queste ultime settimane (a partire dal 20 febbraio) 90 mila profughi, altri 80 mila sono approdati al confine tra Libia e Egitto. La situazione appare più grave nel confine con la Tunisia, poichè in quello egiziano per ora la grande maggioranza sono lavoratori egiziani che erano in Libia.
Tra di essi vi sono lavoratori stranieri in fuga dalla Libia (non dimentichiamo che il Libia vi erano/sono circa 2 milioni di lavoratori stranieri) e cittadini libici spaventati. Nonostante, come hanno avuto modo di dichiarare in ogni luogo i funzionari dell'Alto Commissariato, lo sforzo enorme che civili, Mezzaluna Rossa e esercito tunisino hanno messo in campo, la situazione con il passare delle ore diventa sempre più difficile. Non dimentichiamo che entrambi i paesi, Tunisia e Egitto, si trovano in una fase "post-rivoluzionaria" a seguito del collasso dei vecchi regimi, con delle strutture statali ancora molto fragili e con un'alta tensione interna. Certo non nelle condizioni ideali per accogliere profughi.
Da giorni l'UNHCR ha lanciato un'appello per un "urgente massiccia evacuazione delle persone giunte in Tunisia".

La discussione che si è sviluppata su questo tema in Italia ha assunto una strada singolare. Poichè questi paesi sono geograficamente vicini al nostro, si è immediatamente lanciato l'allarme "invasione". L'Italia, secondo qualche indovino, sarà a breve invasa da 300 mila persone in fuga dal Nord Africa (su questo tema vi rimando al Blog di Laura Boldrini, portavoce italiano dell'UNHCR che per prima ha denunciato questo eccessivo allarmismo).
Questo atteggiamento - decisamente incauto - ha fatto dimenticare che in primo luogo l'Italia dovrebbe guardare con attenzione ed essere protagonista dei cambiamenti storici che sono in corso in tutta l'area del Nord Africa. L'avvento della democrazia auspicata - che per ora è solo l'aver defenestrato il tiranno in Tunisia e Egitto o provare a farlo nel mezzo di una durissima repressione in Libia- dovrebbe far scattare ben altre idee e interventi che l'insensata paura dell'invasione.
Stando ai numeri dell'UNHCR sono quasi 20 milioni i rifugiati nel mondo. Vi sono paesi che da decenni vivono con milioni di rifugiati al proprio interno e di questo il nostro paese non sembra interessarsi minimamente. Certo sono lontani da noi.
Perfino la missione umanitaria italiana ai campi profughi, approvata di recente e che è in partenza in questi giorni, sembra più dettata dalla necessità di bloccare quante più persone in Nord Africa, impedendone la partenza, che da reali intenti umanitari. Del resto le dichiarazioni del Ministro dell'Interno sono state chiare: bisogna dare assistenza ai profughi in loco per evitare che, in mancanza di cibo e assistenza, decidano di fuggire e venire da noi.
Esattamente il contrario di quanto suggerisce l'UNHCR.

Un paese che vuole essere leader nel Mediterraneo come l'Italia, certo dovrebbe prepararsi a tutte le emergenze, fornire assistenza e aiuti umanitari, organizzare l'accoglienza nel proprio paese, ma soprattutto attivare tutti i canali diplomatici ed economici (perchè non usare l'ingente patrimonio della famiglia Gheddafi confiscato in Europa per pagare le spese della crisi umanitaria?) per incidere fortemente - pur nel l'assoluto rispetto delle sovranità territoriali - sull' assetto geopolitico dell'intera area. Certo è molto difficile farlo quando fino ad ieri si sono baciate le mani dei dittatori di turno.


giovedì 3 marzo 2011

Iroko e gli altri. E le foreste?

Africa significa anche legno. Dall’iroko al doussie, dal wengè al teak, dal badì all’afrormosia, all’ebano, al mogano, al palissandro sono tutte essenze lignee importate dall’Africa.
Le caratteristiche estetiche, accompagnate a quelle della compattezza e delle durezza, rendono i legni africani un patrimonio pregiato. In particolare le loro caratteristiche li rendono ideali per l'uso in esterno. Barche, edifici, giardini e arredo urbano usano legni di questo genere.
Fin qua nulla di male, il legno è una delle risorse economiche del continente africano e contribuisce allo sviluppo.
Gli alberi devono essere tagliati. I governi hanno posto limiti e regole al taglio. Attuando programmi di riforestazione e stabilendo aree per così dire produttive e aree di conservazione della foresta.
Per poter esportare sempre maggiori quantità di legno si distruggono, illegalmente, ettari e ettari di foreste.
Stando al recente rapporto della FAO State of World's Forest 2011, l'Africa è la regione del mondo dove si distrugge più foresta. Infatti nel 1990 vi erano 749 milioni di ettari di foresta, nel 2010 le foreste sono scese a 674 milioni di ettari. E' da notare che il 55% delle foreste africane si trova i 5 paesi: la Repubblica Democratica del Congo, il Sudan, l'Angola, lo Zambia e il Mozambico. Si perdono mediamente tra i 4 e i 3,5 milioni di ettari di foresta all'anno. Bisogna riconoscere che nell'ultimo decennio (2000-2010) si sono divorati meno ettari di foresta (3,4 milioni) rispetto al decennio (1990-2000) precedente (4,1 milioni), ma la situazione resta preoccupante.
Per fare un paragone, complessivamente nel mondo si sono persi 5,2 milioni di ettari di foreste all'anno nell'ultimo decennio. In Africa 3,4 milioni (-0,49% annuo), in Sudamerica 4,1 milioni (-0,46% annuo) mentre le foreste sono cresciute in Asia e Oceania di 1,4 milioni di ettari (+0,19% annuo), in Nord America di 0,4 milioni di ettari (+0,13% annuo), in Europa 0,7 milioni di ettari ( +0,07% annuo) e in Vicino Oriente di 0,09 milioni di ettari (+0,07% annuo).

Bisogna riconoscere che negli ultimi anni sono aumentati i programmi di riforestazione sia per usi produttivi che per scopi conservativi. Il rapporto infatti sottolinea come in quasi tutti i paesi africani siano aumentate le aree forestali destinate alla conservazione della biodiversità (che oggi rappresentano il 14% delle foreste della regione). Uniche eccezioni, che hanno un trend negativo, sono le isole Maurizio, il Mozambico, il Congo, il Senegal, il Sudan e il Togo.
Stando al rapporto della FAO ufficialmente solo il 10% del legno tagliato in Africa è destinato all'industria, mentre il restante 90% è destinato a legno da ardere. Stabilire il valore economico del mercato del legno è complesso per l'impossibilità di avere dati sul commercio informale del legno. Una stima indica in 2,9 miliardi di dollari nel 2005 il valore complessivo del commercio di legno.
In realtà il taglio illegale del legno rappresenta, stando ad altre fonti, tra il 20% e il 40% del commercio complessivo (su questo tema vi segnalo questo rapporto di Greepeace sul legno illegale in Congo) divenendo un business molto, molto più ampio. Quando si taglia indiscriminatamente si creano strade per il trasporto (a volte ampie quanto una grande autostrada), si distruggono villaggi, si mutano per sempre ecosistemi che ancora oggi danno da vivere a intere popolazioni e ad animali. Inutile dire che una volta entrato nel mercato internazionale, grazie alle multinazionali del legno, la distinzione tra legno legale e legno illegale è pressocchè impossibile.

Si deve infine sottolineare l'importanze delle foreste del mondo. In termini di clima, di contenimento dei gas serra e di anidride carbonica, nonchè di conservazione di un patrimonio che appartiene all'intera umanità. Per quanto riguarda la trattazione e l'approfondimento sul tema delle foreste vi rimando allo straordinario sito Salvaleforeste dove è possibile trovare tutte le informazioni, le novità, le campagne internazionali sulla salvaguardia delle foreste e del nostro pianeta.