venerdì 29 aprile 2011

Popoli d'Africa: Shilluk

I Shilluk (o Chollo) sono una popolazione del Sudan centrale e meridionale (una zona tra il bacino del Sobat e quello del Nilo Bianco), per un numero stimato di 600 mila individui (secondo altre fonti superano il milione). Sono il terzo gruppo etnico del Sudan dopo i Dinka e i Nuer. Parlano la lingua nilo-sahariana shilluk.
Secondo gli storici i Shilluk sono migrati dalla zona dell'Uganda.
Oltre che di agricoltura e all'allevamento, vivono anche di caccia e pesca.
L'allevamento dei bovini rappresenta un punto centrale della vita dei Shilluk. Nessuno si sognerebbe si sposarsi senza aver prima aquistato un numero sufficiente di mucche da consegnare alla famiglia della sposa.
Hanno una struttura societaria complessa organizzata in clan e vivono in grandi villaggi con capanne di forma conica. Nei villaggi il capo viene eletto, mentre vi è un re (secondo alcuni il Regno Shilluk è tra i più antichi oggi ancora vivi in Africa), che trasmette il potere ereditario ai suoi figli, che rappresenta l'intero popolo shilluk. Il re ha anche una rapppresentazione divina, sebbene una buona parte della popolazione ha abbracciato il cristianesimo (sono presenti sia cattolici che protestanti).
I Shilluk sono conosciuti anche per le scarificazioni della pelle, poichè per loro "la pelle liscia si adatta solo ai bambini".
Dal 2003 gran parte dell'area dove vivono è stata interessata dal conflitto tra il governo centrale e la SPLA del Sud e successivamente da questioni interne allo stesso Sud Sudan. Molti Shilluk sono stati costretti ad abbandonare le loro terre.
Nell'estate del 2010 vi fu anche un massiccio attacco degli uomini della SPLA ai villaggi dei Shilluk allo scopo di bloccare la ribellione locale e disarmarli. Vi posto questo approfondimento di Al Jazeera.

Il sito Pachodo.org (dal nome della maggior città dell'area del Sudan abitata dai Shilluk) fornisce molte informazioni sulla storia e l'attualità di questo popolo.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

giovedì 28 aprile 2011

Comunicare in Africa, alcuni numeri

Nel post pubblicato ieri, L'Africa attraverso i numeri, ho affrontato, seppur in modo superficiale, la questione demografica africana, che proprio in questi ultimi mesi è tornata fortemente d'attualità a seguito delle rivolte nel nord Africa che hanno coinvolto le giovani generazioni. Assieme ad una forte presenza di giovani tra i manifestanti si è anche, soprattutto in Tunisia ed in Egitto, sottolineato l'importanza della rete e delle comunicazione nel diffondere appuntamenti ed immagini.
Internet in Africa cresce a ritmi straordinari (nel periodo 2000-2008 i collegamenti sono cresciuti del 1030%, contro il 290% dello stesso periodo nel mondo), ma nonostante tutto il mercato è ancora molto ampio e in parte completamente da scoprire.
Oggi l'accceso alla rete riguarda alle Seychelles il 40,4% della popolazione, in Tunisia il 34,1%, in Marocco il 32,2%, a Capo Verde il 29,7%, in Nigeria il 28,4%, alle Maurizio il 22% e il Egitto il 20%. Per avere un metro di paragone negli Stati Uniti siamo al 76,2% e in Italia al 48,8%. Vi sono però paesi come la Sierra Leone dove il tasso è fermo allo 0,3%, mentre in Liberia, Etiopia e Centrafrica siamo allo 0,5%.
Nel prossimo mese di maggio sarà completato il posizionamento del nuovo cavo a fibre ottiche sottomarino AWCC (African West Cable Connection) (vedi mappa a lato) partito da Londra e in procinto di giungere, dopo 14 mila chilometri e 15 paesi collegati, in Sudafrica. Andrà a sostituire il vecchio (è del 2001) SAT3 oramai datato. AWCC permetterà, stando agli esperti, un nuovo decollo delle telecomunicazioni in Africa.

Del resto oramai in alcuni paesi, come la Nigeria, il numero di cellulari hanno raggiunto cifre enormi, soprattutto se confrontato con le linee telefoniche classiche. Infatti sono 73 milioni i cellulari della Nigeria (16°posto al mondo), contro le 853 mila linee telefoniche (in Italia, per fare un raffronto, vi sono 90 milioni di cellulari - 12° posto mondiale, ma oltre 26 milioni di linee classiche telefoniche).
In Africa il maggior numero di linee telefoniche si trovano in Egitto (11,2 milioni), in Sudafrica (4,7 milioni), in Algeria (3, 1 milioni), in Marocco (1,3 milioni), in Tunisia (1,3 milioni) e in Nigeria (853 mila).
Di contro in alcuni paesi come la Liberia (6.900 linee), Sao Tomè (7.600) e la RD del Congo (9.700) il telefono rappresenta ancora una rarità.

Anche tra i sistemi più "tradizionali" di comunicazione, l'Africa è ancora lontana dai livelli di diffusione europei. In Gabon vi sono 251 televisori ogni 1000 abitanti, alle Maurizio 248, a S. Tomè 229, alle Seychelles 214, in Tunisia 190, in Sudan 173 e in Egitto 170 (in Italia vi sono 492 televisori ogni 1000 abitanti, negli Stati Uniti 844).
Ai limiti inferiori, che per ora significa la quasi assenza della televisione, vi è il Ruanda 0,1 per 1000 abitanti, il Ciad 1 per 1000 e la RD del Congo 2 per 1000.
La radio - nonostante sia uno strumento molto diffuso in Africa, come avevo già sottolineato in un precedente post - è ancora lontana dai nostri livelli di diffusione. Infatti in Ghana vi sono 680 radio ogni 1000 abitanti, alle Seychelles 560, in gabon 501, in Etiopia 484 e in Sudan 480 ( in Italia sono 880 ogni 1000 abitanti). Ai livelli inferiori vi sono il Burkina Faso 34/1000, il Niger 36/1000 e il Mozambico 40/1000.
Infine i quotidiani, lo strumento più antico d'informazione, è presente alle Maurizio con 116 giornali ogni 1000 abitanti (dato perfino superiore all'Italia che si attesta a 109 per 1000), in Egitto 31,3/1000, in marocco 29,1/1000, in Gabon 29/1000, in Sudafrica 25,4/1000 e in Botswana 24,7/1000. Negli Stati Uniti, ad esempio, sono 193 i quotidiani ogni 1000 persone.
Ai limiti inferiori in Africa troviamo il Ruanda 0,1/1000, il Ciad e il Niger con 0,2/1000.

Da questi numeri - che come sempre permettono di intuire la realtà - si può evincere che il livello di conoscenza "di cosa accade nel mondo" è per ora ancora basso in Africa. Come abbiamo detto altre volte vi sono livelli di pura eccellenza, che nulla hanno da invidiare al resto del mondo (Università, Istituti di Ricerca, Organizzazioni Finanziarie, Imprese, Ospedali) e una grande fetta della popolazione che spesso resta ai margini della conoscenza e quindi delle decisioni.
Oggi i dati sull'alfabetizzazione generale sono in crescita molti paesi: africani : le Seychelles, lo Zimbabwe, il Sudafrica, le Maurizio, la Guinea Equatoriale, la Libia e la RD del Congo superano o si avvicinano al 90% (in Italia siamo al 98,9%). Purtroppo in altri luoghi, come il Mali si raggiunge appena il 24%, in Ciad il 25,2% e in Bukina Faso e Niger il 28,7.

Possiamo scommettere che il futuro per l'Africa sarà diverso. L'Africa corre.



martedì 26 aprile 2011

L'Africa attraverso i numeri

Spesso i numeri (le statistiche) aiutano a comprendere la realtà. Conoscere alcuni dati essenziali permette di orientarsi tra le molte informazioni che, soprattutto in un'epoca veloce come la nostra, ci giungono ad un ritmo spesso frenetico.
Ad esempio negli ultimi mesi, a seguito delle rivolte scoppiate nel Nord Africa (e nel mondo arabo in particolare) si è parlato molto di una "popolazione giovane" e della "forte presenza della rete" ad informare verso l'interno e verso l'esterno.

Oggi in Africa vivono circa 1.123.800.000 persone, che rappresentano il 16% della popolazione mondiale (che si attesta intorno ai 6,9 miliardi). La popolazione dell'intera Africa è poco meno dell'India, circa 200 milioni in meno della Cina e quattro volte la popolazione degli Stati Uniti (20 volte quella dell'Italia). La Nigeria, con circa 155 milioni di abitanti è l'8° paese al mondo per popolazione (dopo Cina, India, Stati Uniti, Indonesia, Brasile, Pakistan e Bangladesh). L'Etiopia, con 90 milioni di abitanti è al 13° posto nel mondo.
L'Africa rappresenta il 20% delle superficie emersa del pianeta. Il Sudan, ancora per poco, è al 10° posto nel mondo per superficie (dopo Russia, Canada, Stati Uniti, Cina, Brasile, Australia, India, Argentina e Kazakistan), seguito all'11° dall'Algeria e al 12° dalla Repubblica Democratica del Congo.

L'Africa è il continente dove avviene la maggior crescita della popolazione. Nel 1960 l'Africa contava circa 284 milioni di abitanti, oggi oltre un miliardo. Per capirci se l'Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo oggi gli italiani sarebbero 185 milioni! Infatti le prime dieci posizioni della crescita nel mondo sono occupate da paesi africani: Zimbabwe (+4,31% all'anno), Niger (+3,64), Uganda (+3,58), Burundi ( +3,46), Emirati Arabi Uniti ( +3,28), Etiopia (+3,19), Burkina Faso (+3,09), Zambia ( +3,06), Madagascar (+2,97) e Benin (+2,91).
Il mondo intero cresce al ritmo di 1,09% all'anno. La Cina al lo 0,49%, l'India all'1,34%, l'Italia allo 0,42%.
L'est europeo è la zona del mondo a tasso di crescita demografico negativo ( Russia -0,5%, Bulgaria - 0,78%). Anche il Sudafrica ha il segno negativo (-0,38%).

Dicevamo che l'Africa è un continente giovane per età. L'immagine in alto raffigura la stratificazione per classi d'età tra un paese africano (Uganda) e l'Italia. Come si vede chiaramente le differenze per quanto attiene i giovanissimi e gli ultra 65 enni sono enormi. Infatti se si entra nel dettaglio, l'Uganda ha il 50% della popolazione compresa tra i 0 e i 14 anni (contro l'Italia che ne ha il 13,4%). Sempre l'Uganda ha solo il 2,1% della popolazione oltre i 65 anni (in Italia sopra i 65 anni vi è il 20,3% della popolazione).
Ecco le percentuali di alcuni paesi africani per quanto attiene la popolazione 0-14 anni: Uganda 50%, Niger 49,7%, Mali 47,5%, RD Congo 46,4%, Ciad 46,4%, Etiopia 46,2, Burundi 46%.
Nei valori inferiori invece troviamo la Tunisia, le Maurizio e le Seychelles intorno al 22%, l'Algeria al 24%, il Marocco e il Sudafrica al 28%. Come riferimento l'Italia è al 13,4% mentre gli Stati Uniti sono al 20%.
Queste invece le percentuali sulla popolazione sopra i 65 anni: Tunisia 7,3%, Maurizio 7,2%, Seychelles 7,1%, Marocco 6%, Capo Verde 5,5%, Sudafrica 5,5%. Ai limiti inferiori invece: Uganda 2,1%, Niger 2,2%, Zambia 2,3%, Ruanda 2,4%, Sudan 2,5%. Come riferimento l'Italia è al 20,3% e gli Stati Uniti sono al 13%.

I numeri parlano chiaro. In Africa - in particolare quella sub-sahariana - vi è una enorme popolazione giovanile e una piccolissima quota di anziani. Il motivo è semplice: la vita media è bassa poichè la mortalità infantile è molto elevata. Inoltre la percentuale di giovani e di adulti che muoiono a causa di malattie o di guerre è ancora alta. Solo pochi arrivano quindi a diventare anziani. Per capirci l'esatto contrario di quello che avviene da noi, dove nascono pochi bambini, ma tutti (o quasi) arrivano a diventare adulti, di malattie di muore sempre meno (aspettativa di vita molto alta) e gli anziani aumentano.
Questi numeri devono però farci riflettere sugli scenari futuri.
Ricordo che circa vent'anni fa, eravamo credo nel 1993, un funzionario olandese dell'UNICEF, una sera a cena mi confessò la sua preoccupazione dicendomi più o meno queste parole: "Noi stiamo lavorando per impedire ai bambini africani di morire per stupide malattie, facciamo di tutto perchè possano studiare, alimentarsi ed essere protagonisti della propria esistenza. Il nostro obiettivo è fare in modo che nel futuro vi siano giovani, in salute e con una buona scolarità. Allora questi giovani chiederanno lavoro, denaro e democrazia.... succederà un casino!".
Credo che quel momento si stia avvicinando.

lunedì 25 aprile 2011

Musica: Ladysmith Black Mambazo, gli ambasciatori culturali del Sudafrica

I Ladysmith Black Mambazo sono un gruppo vocale (famoso per il canto a cappella, ovvero senza strumenti musicali) del Sudafrica nati nel 1960 per iniziativa di Joseph Shabalala.
Quando nacque il gruppo, tra i parenti di Shabalala, si chiamava Ezimnyama Ngenkani ( "i neri"), solo nel 1964 assunse l'attuale nome che era l'insieme del nome della cittadina dove Shabalala era nato (Ladysmith), il nome di una tipologia di bue molto comune tra le fattorie del Kwa Zulu-Natal (black ox) e la parola "mambazo" che significa accetta (nel senso di strumento dei falegnami) a simboleggiare il modo in cui il gruppo avrebbe stravinto nelle competizioni canore.
E' stato un gruppo funestrato da cruenti lutti che hanno colpito soprattutto la famiglia di Shabalala.
Nel 1973 il gruppo incise il primo album, Amabutho. Nel 1975 Shabalala si converì al cristianesimo ed il gruppo cominciò ad incidere ed ad essere conosciuto per i loro inni sacri anche in Europa, soprattutto in Germania. Parallelamente svilupparono una ricerca sulle tradizioni vocali zulu e sui canti dei lavoratori delle miniere nel XIX secolo che hanno dato origine alla musica corale denominata mbube.




Nel 1985 Paul Simon - che si era recato in Sudafrica in cerca di collaboratori (violando in questo modo l'embargo sostenuto anche da molti artisti)- incise con loro il fortunato album Graceland , che ha venduto oltre 16 milioni di copie, (in cui era contenuto anche il brano di Shabalala, Homeless). Simon produsse anche i tre album successivi del gruppo lanciandoli così nel mercato statunitense e mondiale. Il 10 dicembre 1991 il bassista Headman Shabala, fratello di Joseph fu ucciso da un colpo di arma da fuoco da una guardia giurata bianca. L'evento scosse il gruppo che fino al 1993 di fatto si sciolse. Nel 1993 Jospeh rifondò la band chiamando a suonare anche quattro dei suoi figli. Il gruppo è stato molto amato da Nelson Mandela (che ha sempre riconosciuto il loro impegno alla causa anti-segregazionista) che li volle accanto a se sia quando ritirò il premio Nobel per la Pace nel 1993 sia alle cerimonie ufficiali nel corso del suo mandato di Presidente del Sudafrica. Mandela non ha esitato a definirli "gli ambasciatori culturali del Sudafrica".
Nel 1999 Joseph creò una fondazione (la LBM Foundation) che ha lo scopo di tramandare alle giovani generazioni zulu la cultura tradizionale e in particolare quella musicale. Infatti assieme allo "zulu bianco", Johhny Clegg, i LBM hanno avuto il merito di far conoscere al mondo intero la musica del popolo zulu.
Nel 2000 durante la registrazione dell'album Wenyukela (che fu poi pubblicato nel 2003) fu assassinata, da un uomo a volto coperto, la moglie di Shabala, Nellie. Per quasi tre anni il gruppo si fermò nuovamente ad elaborare questo nuovo e grave lutto.
Il loro ultimo album è del 2011. A maggio inizierà una loro tournè in Europa che partirà dal Regno Unito.

Recentemente il gruppo ha reso noto il proprio boicottaggio, come altri artisti, nel suonare in Israele (dove avevano suonato nel 2007) per protesta contro l'occupazione della Palestina.

Il sito ufficiale dei Ladysmith Black Mambazo: www.mambazo.com.

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domenica 24 aprile 2011

10 settembre 1960, il giorno di Abebe Bikila

A Roma nel 1960 si svolsero le XVII Olimpiadi estive dell'era moderna. I giochi si aprirono il 25 agosto 1960 e si chiusero l'11 settembre 1960. Il 10 settembre 1960 si corse la maratona. Quella maratona fu segnata dalla presenza di un personaggio il cui ricordo è ancora oggi vivo per gli sportivi, e non solo, del mondo intero. Si trattava di Abebe Bikila, giovane (all'epoca aveva 28 anni) poliziotto etiope che corse, vincendola, la maratona a piedi scalzi.
Abebe (questo era il cognome) era nato in un piccolo villaggio dell'Etiopia, il 7 agosto 1932, proprio nello stesso giorno in cui a Los Angeles si correva la maratona della X Olimpiade (per la cronaca vinta dall'argentino Juan Carlos Zabala).
Prestava servizio nella guardia imperiale e fu scoperto dall'allenatore finladese Onni Niskanen che era stato chiamato a scoprire talenti sportivi proprio dall'Imperatore etiope Haile Salassie. Abebe non era però stato selezionato per le Olimpiadi, ma solo all'ultimo momento sostituì Wami Biratu che si infortunò durante una partita di calcio.
Anche la questione del perchè Bikila corse scalzo la maratona è stata oggetto di numerose versioni ed ipotesi. Quella più accreditata, e come sempre la più semplice, è che le scarpe nuove, fornite dallo sponsor Adidas, gli erano strette ed egli decise si toglierle. Abebe Bikila, con il numero 11 sulle spalle, vinse la maratona, superando di 26 secondi il favorito della vigilia, il marocchino Rhadi, conquistando la prima medaglia d'oro della storia dell'Africa nera.
Bikila divenne non solo un'eroe nazionale etiope, ma un simbolo del riscatto africano che proprio quell'anno aveva visto l'affermarsi dei nuovi stati indipendenti a seguito del difficile processo di decolonizzazione.
Quattro anni dopo, nel 1964, Abebe Bikila vinse nuovamente la maratona olimpica di Tokyo, nonostante appena 40 giorni prima fosse stato operato di appendicectomia. Assieme al tedesco orientale Cierpinski (che vinse a Montreal nel 1976 e a Mosca nel 1980) è ancora oggi l'unico ad aver vinto due maratone olimpiche. Partecipò, ritirandosi dopo 17 chilometri, anche alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 (la maratona fu vinta dal connazionale e amico Mamo Wolde).




La vita di Abebe Bikile, che fino ad allora gli aveva riservato grandi soddisfazioni, ebbe una brusca frenata quando a seguito di un incidente d'auto avvenuto ad una settantina di chilometri Addis Abeba restò paralizzato. Per un uomo che aveva fatto dell'uso delle gambe, che non smettevano mai di correre, la propria fortuna, quell'incidente fu un duro colpo da cui non si riprese mai. Nonostante tutto continuò a gareggiare nel tiro con l'arco e perfino nella corse con le slitte in Norvegia. Ma, il 25 ottobre 1973 ad Addis Abeba, a soli 41 anni il mito Abebe Bikila morì per un'emorragia cerebrale. Ai suoi funerali parteciparono 75 mila persone e lo stesso imperatore.
Si spegneva l'uomo che con le sue gesta atletiche, aveva saputo anticipare quel movimento di atleti provenienti inizialmente dal Corno d'Africa e successivamente dal resto dell'Africa, che ancora oggi non hanno rivali nel mezzofono e nel fondo. A livello maschile i record del mondo di atletica leggera dagli 800 metri (mezzo fondo) alla maratona, sono tutti detenuti da atleti africani (keniani, etiopici e marocchini).


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giovedì 21 aprile 2011

Libri: L'invenzione dell'Africa

L'invenzione dell'Africa, pubblicato da La Meridiana nel 2005 è un libro scritto da Niccolò Rinaldi con un sottotitolo Un viaggio, un dizionario, che ben si addice a questo racconto sull'Africa in ordine alfabetico.
Aereo, baobab, città, dono, esploratori, frontiera, guerra, hotel, isola, laguna, museo, nome, ottimismo, pangea, qualità, Ruanda, segreto, tempo, uguaglianza, villaggio, Zanzibar.
Per ognuna di queste parole, Rinaldi, confeziona un racconto, una riflessione o un resoconto frutto di una duplice conoscenza, quella del viaggiatore e quella dell'osservatore politico (oggi è Parlamentare Europeo).
E' un libro che si legge per le sue curiosità, per la sua capacità di essere da stimolo ad approfondire alcune delle tematiche che Rinaldi porta all'attenzione con semplicità e con schiettezza rara.
Le pagine sul genocidio del Ruanda sono una chiaro e triste atto d'accusa alla comunità internazionale e a Kofi Annan in particolare, allora a capo delle operazioni di peace-keeping dell'ONU, infatti Rinaldi sottolinea come "il Ruanda ha certificato che può accadere di tutto senza che nessuno muova un dito".
Vi sottolineo anche un'altro delizioso passaggio alla lettera T di tempo, quando l'autore scrive "L'uomo non rinuncia al tempo. Non vuole, non sa e non può rinunciarvi. Ma se in qualche angolo del pianeta è andato più vicino a questa rinuncia, e' in Africa. Anche se non si vede, questa è la principale ragione del fascino dell'Africa". Chiunque abbia frequentato, anche se per poco, l'Africa non può che sorridere a questa fantastica verità.

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mercoledì 20 aprile 2011

Gli ahellil di Gourara

Gli ahellil (o ahellel) sono genericamente delle composizioni poetiche e musicali polifoniche in lingua berbera che in diverse zone del nordafrica hanno lunghezza, metrica e argomento diverso.
Nella regione a sud-ovest dell'Algeria, chiamata Gourara (o Gouara), tra i villaggi (ksour) berberi zeneti del deserto (nella zona vi sono un centinaio di oasi) questa tradizione - che secondo alcuni studi risale a oltre 15 secoli fa - è ancora viva. Nel 2005 l'UNESCO, proprio per tutelarne la storicità e la cultura, l'ha inserita all'interno del Patrimoni Immateriali dell'Umanità con la dizione gli ahellil di Gourara (dell' UNESCO è il video).
Vengono interpretati - attraverso recitazione, canto polifonico, musica e danza - da un flauto (temja) e a volte da un liuto (bengri) e da un tamburo (gellal), un cantante e un coro di anche cento persone. Tutti - il coinvolgimento è di tutta la comunità - ruotano, danzando, attorno al musicista e al cantante. Gli ahellil si svolgono durante particolari cerimonie religiose e pellegrinaggi, nonchè nei matrimoni e nelle celebrazioni collettive che riguardo la comunità berbera e possono durare l'intera notte concludendosi quando le prime luci dell'alba iniziano a riscaldare le fredde notti del deserto.




E' una tradizione molto antica che precede l'arrivo della religione islamica nell'area (qualcono ha perfino ipotizzato l'influsso ebraico negli ahellil). L'islam ha poi decisamente contaminato l'esistente, arricchendolo di nuovi elementi.

La necessità di tutelare questa tradizione si è resa evidente dal continuo ridursi delle occasioni in cui tali canti e danze venivano praticati. La migrazione costante delle giovani generazioni berbere verso le città sono alla base delle riduzioni delle cerimonie tipiche e del lento allontanarsi dalle tradizioni. Ovviamente non sono mancate critiche che sostengono la tesi contraria, ovvero che l'averne dato risalto attraverso l'UNESCO, ne ha snaturato la funzione originaria facendolo entrare maggiormente nella sfera del folclore turistico.

Tra le azioni che l'UNESCO ha stabilito per la tutela degli Ahellil di Gourara vi sono la costituzione di un comitato di salvaguardia, l'incoraggiamento all'insegnamento nelle scuole per trasmettere ai giovani la cultura della tradizione, l'organizzazione di workshop e training specifici, l'organizzazione di un festival annuale e la comunicazione, anche attraverso la rete, delle conoscenze relative agli ahellil.

Tra le maggiori opera sugli Allehil di Gourara vi segnalo quella di Mouloud Mammeri "L'ahellil du Gourara", pubblicato nel 1984 a cura dell' Editions de la Maison des Sciences de l'Homme e più volte ristampato e aggiornato fino al 2003.
Vi segnalo anche questo sito dove tra le altre cose è anche possibile trovare una ricca bibliografia.

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martedì 19 aprile 2011

La Bassa valle dell'Awash

La bassa valle dell'Awash (dal fiume omonimo che nasce dai monti Warque e dopo 1200 chilometri si riversa nel lago Abbe) è una zona dell'Etiopia abitata dagli Afar. La sua straordinaria importanza è derivata dal fatto che sono stati trovati fossili di ominidi del Pleistocene che fanno pensare che la valle sia stata abitata dagli uomini fin dalle origini della specie. Il 24 novembre 1974, nella zona di Hadar, venne trovato - da Donald Johanson - lo scheletro femminile di un ominide (Australopithecus afarensis) che successivamente fu chiamato Lucy (dal nome di una canzone dei Beatles, Lucy in the Sky with Diamonds). Stando agli studi ed ai dati in possesso della comunità scientfica, Lucy sarebbe vissuta circa 3,18 milioni di anni fa. Era alta poco più di un metro.
Sono inoltre stati trovati molti strumenti olduvaiani (costruiti con tecniche e pietre risalenti al paleolitico inferiore).








Per la ricchezza scientifica del suo parco archeologico, il sito è divenuto, nel 1980, Patrimonio dell'Umanità UNESCO.


Vi segnalo anche questo interessante articolo su Scientific American su Lucy.

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lunedì 18 aprile 2011

Nollywood

L'UNESCO nel 2009 ha evidenziato che l'industria cinematografica della Nigeria (Nollywood - Nigeria e Hollywood) nell'anno 2006 aveva superato, per produzione di film, quella statunitense - Hollywood - ed era seconda solo a quella indiana di Bollywood (Bombay e Holliwood).
Stiamo parlando di una produzione enorme di film, iniziata all'inizio degli anni novanta, che ha letteralmente invaso il continente africano. Film girati in grande economia destinati per la quasi totalità alla visione casalinga (in cassetta o DVD) data la ancora scarsa presenza di sale cinematografiche in Africa ed i costi elevati dell'accesso al cinema.
Sono film destinati al grande pubblico (nulla a che vedere con le produzioni del Senegal, del Burkina o del Sudafrica, ad esempio, che seguono un filone molto più simile al cinema europeo), che adattano temi quotidiani all'azione o alle tradizioni. Tutto realizzato con bassa tecnologia, in poco tempo, girati in esterni o in interni casalinghi, con budget che spesso non superano i 15 mila dollari. Secondo alcuni film "fast food". Il cinema nigeriano però piace, in quasi tutta l'Africa nonostante alcuni governi abbiano tentato, per ora invano, di limitarne la distribuzione e la diffusione. Nel condannare l'eccesso spesso di violenza e stregoneria nei film nigeriani, i governi cercano di mettersi a riparo dai nuovi film che iniziano a sconfinare nel campo del sociale e dei diritti.
Il ritmo delle produzioni è incessante. Trascorsi i primi 15 giorni dall'uscita del film in DVD, la pirateria entra in gioco, e in poco tempo il mercato viene invaso da copie contraffatte. Allora si esce con un nuovo film.
Intanto il modello nigeriano inizia ad essere imitato; in Liberia, in Ghana, in Kenya, in Tanzania e in Camerun la produzione di film cresce.

Il sito nollywood.com permette si seguire - guardando i trailers - tutte le novità che riguardano il cinema nigeriano.

Per chi volesse approfondire recentemente (a metà marzo) la rivista Internazionale ha pubblicato un ampio articolo tratto da The Economist proprio sul cinema nigeriano.
Consiglio anche l'articolo di Leonardo De Franceschi sul sito Cinemafrica.
Nel 2005 il regista italiano, nato in Zambia, Franco Sacchi ha girato un film-documentario (This is Nollywood) su Nollywood (ecco il sito dove è possibile avere tutte le informazioni e vedere qualche scena).

mercoledì 13 aprile 2011

Patrimoni orali e immateriali dell'umanità UNESCO in Africa

L'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) fin dal 1972 ha deciso di proteggere i siti, naturali o costruiti dall'uomo, che per la loro unicità, rappresentano un patrimonio per l'umanità da non disperdere.
La scelta di tutelare il patrimonio dell'umanità si è rivelata di storica e straordinaria importanza.
Nel 2001 l'UNESCO si è posta, giustamente, il tema di salvaguardare anche quel patrimonio culturale immateriale che l'umanità ha prodotto e che in taluni casi rischia di essere disperso. E' nata così nel 2001 la lista dei Patrimoni orali e immateriali dell'umanità, che comprende tradizioni orali, riti, festività, arte e artigianato, pratiche sociali e conoscenze antiche concernenti la natura e l'universo (in realtà il programma fu lanciato nel 1999).
Una prima lista di 19 elementi fu stilata nel 2001, nel 2003 furono aggiunti altri 28, nel 2005 altri 43. Di questi primi 90 elementi, 18 appartenevano a tradizioni e conoscenze africane.
Nel 2008 entrò in vigore la Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'umanità del 2003 e ratificata a oggi da 134 stati.
Venne allora ufficialmente istituita la Lista dei Patrimoni Culturali Immateriali dell'UNESCO, che oltre ad inglobare i 90 elementi già protetti dal 2001, ne aggiunse altri 91 nel 2009 e altri 51 nel 2010. Ogni anno si aggiungeranno quindi nuovi patrimoni da tutelare.

Oggi (2013) sono 281 gli elementi nella lista e 35 quelli che richiedono urgente salvaguardia. Di questi , di cui 37 in Africa.
Eccoli, nella pagina di Sancara dedicata a questi patrimoni.

Sancara, così come per i Patrimoni dell'Umanità dell'Africa, proporrà degli approfondimenti su tutti gli elementi africani appartenenti al patrimonio immateriale dell'umanità.

martedì 12 aprile 2011

Popoli d'Africa: Shona

Gli Shona o Karanga (dal nome di uno dei principali clan) sono un gruppo etnico che vive, da oltre 2000 anni, nello Zimbabwe, nel Mozambico e una piccola comunità nello Zambia (dove migrarono verso la fine del XIX secolo), per un totale di circa 9 milioni di individui. Parlano la lingua shona che è del gruppo delle lingue bantu. Sono principalmente agricoltori ,in particolare coltivano piselli, arachidi, mais e patate. Allevano inoltre bovini, capre e pollame.
Nonostante l'influenza del cristianesimo, gli Shona hanno ancora una ricca tradizione animista che si basa su di una spiritualità legata alla vita quotidiana ed ai loro vicini.
Tradizionalmente vivono in gruppi familiare isolati: un anziano e la sua famiglia allargata.
Cinque sono i clan più importanti: i Karanga, i Zezuru, i Manyika, i Ndau e i Kerokore.
Quando nel XVI sec. i Portoghesi giunsero nell'area, appresero dagli Shona dell'esistenza del regno, oramai scomparso, del Grande Zimbabwe di cui restavano importanti testimonianze monumentali come il complesso in pietra situato in una valle tra i fiumi Zambesi e Limpopo., divenuto Patrimonio dell'UNESCO nel 1986. Grande Zimbabwe (che in shona significa "case di pietra") i cui insediamenti risalgono al V sec. a.c. (datato con radio carbonio), raggiunse il suo apice tra il 1300 e il 1450.
La distruzione del grande impero fu dovuta all'arrivo nell'area di altri gruppi quali i Ndebele e all'arrivo dei coloni portoghesi e poi inglesi.

Gli Shona sono conosciuti per le loro sculture di pietra e per la musica, in particolare per lo strumento mbira. Gli artisti che lavorano la pietra (serpentite o verdite) sono molto apprezzati per la finezza delle sculture, modernizzate nelle loro forme, che vengono rese lucenti attraverso l'abrasione e la levigatura con cera.
La mbira (altrove chiamata kalimba o sanza) invece è uno strumento che si basa sulla vibrazione di lamelle metalliche (utilizzando i pollici) su tavoletta di legno, con o senza cassa di risonanza (strumento idiofono) ed è suonato accompagnato dalla voce.




Acquisto di sculture Shona on line

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lunedì 11 aprile 2011

Musica: Tata Dindin

Tata Dindin è il nome d'arte di Ebraima Jobarteh, un suonatore di kora nato a Brikama in Gambia nel 1965. Discendente da una famiglia che ha prodotto grandi suonatori di kora, è il figlio maggiore di Malamini Jobarteh, anch'esso grande suonatore di kora, che lo inizia allo strumento a partire dai 6 anni. Jobarteh iniziò a studiare la storia e la musica tradizionale mandinka, approfondendo la tecnica della kora (che appartiene alla tradizione musicale mandinka), tipica della tradizione dei cantastorie (griot), divenendo uno dei più talentuosi e innovatori strumentisti. La kora è uno strumento a 21-28 corde, con un suono che ricorda un'arpa, con una cassa armonica costituita da un grande zucca ricoperta da una pelle di mucca o di antilope.
In Africa Occidentale dove la kora è molto diffusa è chiamato lo "strumento dei re".

Tata Dindin costituisce negli anni '90 in Gambia un gruppo di 8 elementi chiamato Salam, che mette insieme oltre alla kora a 23 corde, anche il basso elettrico, la chitarra elettrica e la batteria e il balafhon. Con il suo gruppo nel 1995 incide il primo album Salam. ben presto diventa un idolo tra i giovani del suo paese.


Oggi Ebraima Tata Dindin è considerato uno dei più virtuosi suonatori di kora.
Nel 2008 ha inciso il suo ultimo lavoro chiamato Kanadè.

Tata Dindin ha anche stretto, a partire dal 1997, un rapporto musicale con il pianista tedesco Hans Ludemann, con cui nel 2000 ha inciso un album dal vivo "Piano meets Kora - African Dialogues".

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sabato 9 aprile 2011

La seconda donna al potere in Africa

Da alcuni giorni un'altra donna guida un paese o un governo in Africa. Si tratta di Cissè Mariam Kaidama Sidibè (nella foto), che dal 3 aprile scorso è diventata Primo Ministro del Mali.
La seconda appunto perchè fino al 3 aprile solo una donna, come già indicato in un vecchio post, guidava uno stato ed era il Presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, eletta nel 2006.

La Sidibè (Cissè è il nome del marito) è nata a Timbuctu il 4 gennaio del 1948, ha studiato pubblica amministrazione a Bamako, e dal 1974 al 1989 ha lavorato presso il Ministero per la Tutela delle Società e delle Imprese Statali e studiato in varie parti del mondo, tra cui in Italia. Nel 1987 è diventata assistente del Ministro.

Dal 1991 al 1992 è stata Ministro della Programmazione Internazionale e della Cooperazione, nel 1992 Ministro dell'Agricoltura. Dal 1993 al 2000 ha diretto l'Agenzia Internazionale contro la deforestazione con sede in Burkina Faso. Nel 2001 è stata chiamata come assistente dall'amico Amadou Tourè, che nel 2002 è diventato presidente del Mali nominandola Ministro dello Sviluppo Rurale. A partire dal 2003 è stata presidente del SONTAM, la società ministeriale dell'insutria del tabacco.
Ha quattro figli.

Per il Mali è la prima volta che una donna assume la carica di Primo Ministro ( o di Capo di Stato).
Il Mali è il 15° paese africano ad aver avuto nel corso della propria storia, anche per un solo giorno, una donna nelle più alte cariche dello stato (Capo di Stato o Capo del Governo). Gli altri 14 paesi sono: Etiopia, Lesotho e Swaziland (Regina), Gabon, Guinea Bissau, Liberia e Sudafrica (Capo di Stato) e Burundi, Madagascar, Mozambico, Centrafrica, Ruanda, Sao Tomè e Principe e Senegal (Primo Ministro).

Quello che è avvenuto in Mali, con la nomina della Sidibè, aggiunge un piccolo tassello alla lotta per aumentare la rappresentanza femminile nelle istituzioni, in Africa come nel Mondo. Ricordiamoci, ad esempio, che l'Italia è tra i tanti paesi che non hanno mai avuto una donna a Capo dello Stato o del governo.

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giovedì 7 aprile 2011

Immigrazione e ipocrisie

Che il migrare sia un fenomeno complesso, di grande portata e capace di incidere profondamente sulle società è un fatto arcinoto. In un paese come l'Italia, che è stato protagonista di una delle più intense e complicate emigrazioni della storia - nel periodo dal 1861 al 1985 emigrarono circa 29 milioni di italiani - e che solo recentemente (a partire dall'inizio degli anni '90) ha visto l'affermarsi del fenomeno immigratorio, le ripercussioni sulla società, sulla cultura, sull'economia e sulla vita quotidiana dovrebbero essere note e ben studiate. Amaramente, quello che si legge o, peggio, si sente sull'immigrazione lascia quantomento sgomenti.

Vorrei solo rimarcare alcune ipocrisie, che hanno il gusto più dello slogan fatto in malafede, che della reale conoscenza di un fenomeno, che come dicevo in premessa, è molto, molto complesso. Ben consapevole di toccare un livello superficiale.

In primo luogo stiamo parlando di persone in carne e ossa, con delle storie spesso non felici e brillanti, e non di pacchi postali. Il linguaggio, le parole - che non sono solo un'opzional - fanno pensare a qualcosa che si possa "spedire", "rispedire" e "bloccare".

I motivi per cui le persone si spostano, sono assolutamente nobili: povertà, miseria, paura, persecuzioni, violenze. Questo non significa che tutti quelli che migrano sono nobili, ci mancherebbe. Tra di loro vi è di tutto, ma non possiamo permetterci di affermare, perchè totalmente insensato, che tutti sono deliquenti.

La differenza tra uno che migra per povertà, o comunque per ricercare una vita migliore, e uno che scappa dalle persecuzioni o dalla guerra (profughi o rifugiati) è certamente importante sotto l'aspetto del diritto internazionale e delle sue conseguenze, ma molto sottile da un punto di vista umano.

Pensare di arginare un fenomeno di tale intensità in condizioni normali - ovvero senza emergenze umanitarie - con pattugliamenti, accordi bilaterali di polizia, chiusura delle frontiere, istituzione di reati e altre alchimie del genere, è utile alla propaganda e forse attenua, nel breve, i flussi, ma non risolve il problema. Certo quando un fiume esonda anche i sacchetti di sabbia servono, ma pensare di arrestare l'acqua è un'altra cosa. Serve un intervento a monte o sulle cause.
Quando poi vi sono emergenze queste misure sono totalmente inadeguate.
A volte dalla nostra cara Europa sembra che le emergenze migratorie avvengano solo dalle nostre parti (l'ex Jugoslavia, poi l'Albania ora la Tunisia e la Libia). Quando, ad esempio, nel 1994 vi fu il genocidio del Ruanda, in poco tempo si riversarono nella Repubblica Democratica del Congo quasi due milioni di persone. Molte delle quali vivono ancora oggi in condizioni disumane nella quasi totale indifferenza. Solo in queste ultime settimane sono oltre 500 mila i profughi fuggiti dalla Libia in Tunisia e altrettanti gli sfollati nella Costa d'Avorio.
L'emergenza che oggi si chiama Tunisia domani sarà la Libia, dopodomani avrà un'altro nome. Tra i quasi duecento paesi del mondo vi è solo l'imbarazzo della scelta.

E' chiaro che un mondo intero, quello povero o comunque quello meno ricco, si sposta verso quello che ritiene essere un luogo dove si vive meglio. Questo - è bene sottolinearlo - indipendentemente dal fatto che nel nostro mondo vi sia o meno la possibilità di offrire lavoro e una vita decente.
Cosa può fermare una persona disposto a rischiare la vita in un barcone, in un viaggio a piedi nel deserto, nella stiva di una nave, dentro un camion? Cosa può bloccare un uomo disperato che non vede nessun futuro nel suo paese? Cosa può trattenere un uomo che vede morire di fame il proprio figlio tra le braccia o la propria figlia stuprata durante una guerra? Nulla.

Solo migliorando le condizioni di vita nei paesi di origine, solo facendo in modo che " a casa loro" vi siano opportunità di lavoro, di vita e si possa intravedere un futuro possibile, riusciremo a contenere la necessità di fuggire e di abbandonare le proprie radici anche a costo della vita. Perchè nel nostro pensare agli immigrati come qualcosa di diverso che a degli esseri umani, perdiamo di vista che coloro che partono abbandono, spesso per sempre, la loro famiglia, la loro casa, la loro storia. E questo, non piace a nessuno.

Certo - anche questo bisogna dirlo - tutto questo ha un prezzo. Saremo costretti a rinunciare a qualcosa.

martedì 5 aprile 2011

La Francia interviene anche in Costa d'Avorio

Sapevamo che non tutti i luoghi del mondo sono uguali. Se una cosa avviene vicino a casa nostra o colpisce nostri interessi, tutti si concentrano in modo intenso sul tema, si consumano pagine di giornali, si programmano trasmissioni televisive, ci si interroga su ogni particolare e su tutti i possibili scenari. Diversamente, se le stesse cose avvengono altrove, magari verso sud, il nostro distacco a volte appare sproporzionato.
La notte scorsa aerei e carri armati francesi, appartenenti al contingente militare delle Nazioni Unite (ONUCI) in Costa d'Avorio, hanno aperto il fuoco contro le basi e la residenza del presidente uscente Laurent Gbagbo, che oramai da mesi si rifiuta di riconoscere il leggittimo vincitore delle elezioni, Alassana Ouattara. La Francia interviene a seguito della risoluzione 1975 del 30 marzo scorso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che impegna la comunità internazionale "a difendere i civili con ogni mezzo".
Solo alcune righe su qualche giornale, e nemmeno in prima pagina.
Certo la Costa d'Avorio è lontana, degli oltre 500 mila sfollati solo pochissimi arriveranno in Europa. Inoltre la Costa d'Avorio non ci fornisce materie prime indispensabili per la nostra sopravvivenza, seppure in letteratura siano descritte vere e proprie sindromi da dipendenza al cioccolato. Insomma quello che accade a 21 milioni di ivoriani interessa poco ai nostri governi e alla comunità internazionale, mentre pare che i 6 milioni di libici siano una specie assolutamente da proteggere. In realtà sappiamo che dei civili a pochi interessa.
Tempo fa, avevo scritto questo post sulla crisi dimenticata in Costa d'Avorio, segnalando come a fronte della sistematica violazione dei diritti umani e delle violenze degli uomini di Gbagbo sui civili, la comunità internazionale restava ad osservare.
E' chiaro che intervenire, oggi durante l'emergenza, significa usare le armi. In queste ore i francesi, che mai come in questi tempi, vuoi per questioni interne elettorali, vuoi per la debolezza e la litigiosità dell'Europa, vuoi per la necessità di ricontare nello scacchiere internazionale sono particolarmente attivi e belligeranti, stanno mettendo in un angolo Gbagbo, che sembra sia sull'orlo di cedere.

La comunità internazionale dovrebbe riflettere su cosa fare oggi, domani e dopo domani, una volta passata l'emergenza, per prevenire situazioni come quelle che sono in corso. Vi sono enormi responsabilità in Libia come in Costa d'Avorio. Se è vero che Gheddafi è al potere dal 1969, è altrettanto vero che la situazione attuale in Costa d'Avorio ha un storia lunga e in diretta continuità (vedi post) con quanto avvenuto in quel paese a partire dall'indipendenza.

lunedì 4 aprile 2011

25 maggio 1963, nasce l'OUA (oggi Unione Africana)

Addis Abeba, 22 maggio 1963, l'imperatore etiope Haile Salassie, convoca i due blocchi di pensiero africani che si erano costituiti a partire dal 1961 (quello di Casablanca, guidato dal ghaniano Kwame Nkrumah, assieme ad Algeria, Egitto, Libia, Mali, Marocco e Guinea che spingeva per una federazione di stati africani e quello di Monrovia, guidato dal senegalese Leopold Senghor, assieme a Nigeria, Liberia ed Etiopia che voleva un accordo di cooperazione economico tra gli stati) per discutere della necessità, di far nascere un organismo transnazionale che tenesse insieme i nuovi paesi del continente.
Da tutti era condivisa la necessità di istituire un organismo capace di stimolare la solidarietà e l'unità tra gli stati africani, quasi tutti di recente formazione, e di eradicare tutte le forme di colonialismo. Ad Addis Abeba giunsero i rappresentati di 32 stati indipendenti africani che, il 25 maggio 1963, siglando la carta costitutiva, dettero vita all'Organizzazione dell'Unità Africana (abbreviata in OUA in italiano o Organisation of African Unity, OAU in inglese), guidata per il primo anno da Haile Salassie (il presidente cambiava di anno in anno a rotazione tra i capi di stato). Dall'organizzazione sarà escluso il Sudafrica, fino al 1994, al causa dell'apartheid.
Sicuramente la scelta fu importante da un punto di vista politico, purtroppo non altrettanto per quanto riguarda il futuro del continente.
Infatti l'OUA si dimostrò subito molto debole e con scarsissimi poteri, a causa delle sue grandi divisioni interne, dei rapporti spesso di dipendenza con gli ex-coloni, della politica di non interferenza che bloccherà qualsiasi azione contro le grandi violazioni dei diritti umani. Per alcuni sarà solo una macchina burocratica o peggio, un "club per dittatori".
Nel 1982 l'Organizzazione accetterà tra i suoi membri la Repubblica Araba Saharawi Democratica (Sahara Occidentale) , unico paese non indipendente e che porterà nel 1984 il Marocco (che occupa ancora oggi militarmente il Sahara) ad abbandonare la OUA.
Nel 1999 durante l'assemblea annuale a Sirte, in Libia, fu deciso di trasformare l'organizzazione in una nuova, e più incisiva, Unione Africana.
Cosi', il 9 luglio 2002, a Durban in Sudafrica, l'Organizzazione dell'Unità Africana fu sciolta e fu sostituita dall'Unione Africana che manterrà la sua sede ad Addis Abeba. Al momento dello scioglimento aderivano 53 su 54 paesi africani, solo il Marocco restava ancora escluso.
L'Unione Africana, che in gran parte riflette dell'organizzazione precedente, si differenzia per alcuni importanti principi. In primo luogo si stabilisce il diritto di ingerenza in caso di genocidi, gravi violazioni di diritti umani e di guerra. Si introduce l'obiettivo della democrazia e del rispetto dei diritti umani in tutti gli stati africani e si prevede l'esclusione, come è avvenuto per la Mauritania dopo il golpe del 2005, di stati membri in caso di accesso al potere in maniera non costituzionale
Sicuramente il fatto che oggi a capo dell'Organizzazione vi sia Teodoro Obiang Nguema, presidente golpista dal 1979 della Guinea Equatoriale e accusato di violazione di diritti umani, non giova al buon nome dell'Unione Africana e alla sua credibilità in campo internazionale.

La bandiera in alto fu quella adottata il 1 gennaio 1970, quella in basso è invece quella che dal 31 gennaio 2010 è ufficialmente la bandiera del'Unione Africana.

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sabato 2 aprile 2011

Axum

Axum è una città dell'Etiopia che fu al centro dell'Impero Axum (formatosi intorno al I secolo a.c. e declinato verso il X secolo) nel nord dell'Etiopia, nella regione del Tigrè, ai piedi delle montagne di Adua. Sicuramente una delle più antiche capitali africane.
Il sito di Axum (chiamato anche Aksum) dal 1980 è inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.
Nel sito di Axum - che è ancora un centro religioso - vi è anche la Chiesa di Nostra Signora di Sion, costruita nel 1665, e che secondo la Chiesa Ortodossa Etiopica è il luogo dove sarebbe custodita l'Arca dell'Alleanza e le tavole dei comandamenti.
Una delle caratteristiche dell'Impero Axum fu l'ereggere un numero consistente di obelischi, alcuni di dimensioni notevoli, che segnalavano la presenza di tombe sotterranee.
La più conosciuta, per la sua storia recente, è certamente la Stele di Axum (nella foto), un obelisco in basalto, alto 24 metri e pesante oltre 150 tonnellate. Costruito tra il I e il IV secolo probabilmente da artisti egiziani, fu trovata, rotta in tre tronconi, dai militari italiani nel 1935, che decisero di portarla in Italia. Dopo mesi di viaggio, il 27 marzo 1937 la stele giunse nel porto di Napoli, da dove fu trasportata a Roma e ricostruita il 28 ottobre 1937 in Piazza di Portra Capena in occasione del 15° anniversario della marcia su Roma.
Nel dopoguerra l'Italia si impegnò a restituire, assieme agli altri bottini di guerra, il maltolto agli Etiopi. La faccenda si complicò, anche per gli alti costi dello smontaggio, del trasporto, del restauro e della messa in opera. Inoltre vi fu un'ampia discussione rispetto al fatto che l'obelisco fu regalato o rubato. Si arrivò così al novembre del 2002, quando dopo lunghe polemiche, la stele venne smontata. Partirà per l'Etiopia il 18 aprile 2005, verso l'aereoporto di Axum costruito nel 2000, accolta da una festosa folla. Purtroppo l'odissea dell'obelisco non era ancora finita. Ci vorranno altri tre anni, fatti di abbandono e richieste di farlo ritornare in Italia, affinchè, il 4 settembre 2008 l'obelisco verrà innalzato nello stesso luogo ove fu costruito circa 2000 anni prima e dove, ci auguriamo, possa restare per altrettanti millenni.

Un sito per approfondire la storia di Axum

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