mercoledì 22 giugno 2011

In arrivo nuovi siti Patrimonio dell'Umanità

E' in corso a Parigi la 35° Sessione del Comitato per i Siti Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Il comitato, composto da 21 membri eletti tra i 191 paesi che hanno sottoscritto la convenzione sul patrimonio dell'umanità, è chiamato a discutere (i lavori sono iniziati il 19 giugno e si chiuderanno il 29 giugno) di oltre 169 siti (dei 911 iscritti al Patrimonio dell'Umanità) del mondo di cui i 34 oggi dichiarati in pericolo (tra questi 14 sono africani).
Inoltre il Comitato dovrà discutere e votare la candidatura di 37 nuovi siti.
Tra le candidature vi sono 7 siti africani, tra cui 3 nella tipologia siti naturali, 1 nella tipologia mista e 3 nella tipologia culturale.

1- Il National Park di Pendijari (Benin) estensione del confinante Parco Nazionale W del Niger, iscritto nel 1996. Un parco di quasi 3000 km quadrati nel nord-ovest del Benin.
2- Il sistema dei laghi nella Rift Valley in Kenya, vero paradiso ornitologico.
3- La riserva del Tri-National Sangha (Congo, Camerun e Repubblica Centroafricana) - un sistema di parchie nel bacino del Congo, istituito nel 2007.
4- Il Delta del Saloum (Senegal) (nella foto), un'area al sud di Dakar, in cui nel 1976 è stato creato un parco naturale ed è abitato da oltre 200 mila persone;
5- Il sistema culturale dei Konso (Etiopia), il popolo conosciuto per le stele funerarie chiamate wagas,
6- Il Fort Jesus di Mombasa (Kenya), costruito dai portoghesi dopo la conquista di Mombasa nel 1593.
7- Sito archeologico dell'isola di Meroe (Sudan)

Dovessero essere accettati, questi siti si aggiungerebbero ai 116 siti già esistenti in Africa e considerati Patrimonio dell'Umanità, da salvaguardare e proteggere.

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martedì 21 giugno 2011

Musica: Orchestre Poly-Rythmo de Cotonou, The Best Kept Secrets of West Africa

La band naque a Cotonou, in Benin (allora si chiamava Dahomey), nel 1968, quando Clement Melomè, cantante, sassofonista e fisarmonicista, già leader dei Meloclem, assieme ad altri amici e musicisti (tra cui il bassista Gustav Bentho, il chitarrista Bernard Zoundegnon e Vincent Ahehehinnou) fonda il nuovo collettivo musicale. Hanno subito successo grazie ad un mix di afrobeat, musica tradizionale e il funky con canti ispirati alla tradizione del vodun del Benin (voodoo).
Iniziano anche le collaborazioni con i grandi artisti della musica africana: Miriam Makeba, Manu Dibango e Fela Kuti. In pochi anni registrano più di 500 45 giri.
Seguirà poi un periodo di declino, iniziato agli inizi degli anni '80 a seguito della morte di due componenti della band, che grosso modo corrisponde anche alle difficoltà, economiche e politiche, interne del paese, che nel frattempo, dal 1975, aveva cambiato nome in Benin.



Si racconta anche che un giorno a Tripoli, per il Festival des Arts Negres, arrivati all'aereoporto gli sequestano gli strumenti (convinti che trasportassero alcolici) - affittarono gli strumenti di volta in volta - iniziò anche così il loro declino.
A seguito della riscoperta di alcuni loro brani, rinascono nel 2005, dopo un ventennio di silenzio, grazie alla volontà dell'etichetta Analog Africa. In realtà sembra che non si sono mai sciolti.
Degli undici dell'attuale band, solo 5 appartengono alla compagine storica (Clement Melomè, Vincent Ahehehinnou, Gustave Bentho, Pierre Loko e Anago Cosme).
I quasi vent'anni di silenzio discografico, gli è valso per essere soprannominati come The Best Kept Segrets of West Africa.


Ecco il loro sito
Vi segnalo anche questo recente post su T.P.Africa, che riporta anche una intervista a Clement Melomè.

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lunedì 20 giugno 2011

Giornata Mondiale del Rifugiato

Oggi si celebra la Giornata mondiale del rifugiato che l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha voluto dedicare al 60° anniversario della convenzione di Ginevra relativa appunto allo status del rifugiato (mentre l'anno scorso si era commemorato il 60° anno dalla creazione dell'UNHCR - vedi post).
La giornata è stata istituita con una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che nel 2000 ha voluto far coincidere il Giorno del Rifugiato con il Giorno del Rifugiato in Africa.
La Convenzione di Ginevra , sottoscritta il 28 luglio del 1951, ha sancito, con l'impegno degli Stati sottoscrittori (sono 147 gli Stati che hanno aderito alla Convenzione o ai successivi Protocolli), il principio della protezione internazionale di chi fugge dal proprio paese e non può rientrarvi per paura di essere perseguitato.

Solo negli ultimi mesi sono almeno 6 le nuove emergenze profughi nel Mondo, alcune delle quali quasi ignorate dalla stampa: quella della Costa d'Avorio (a seguito degli scontri post elettorali) che coinvolge oltre 500 mila profughi (ci cui 300 mila sfollati interni), quella del Kirghizistan, a causa degli scontri nel Sud del paese (decine di migliaia), quella del Sudan, a seguito degli scontri ad Abyei (oltre 100 mila persone coinvolte), quella del Pakistan, a causa degli scontri tribali al Sud (38 mila i profughi), quella della Libia, a causa della guerra civile e del successivo intervento internazionale (oltre 500 mila) e recentemente quella della Siria a seguito della repressione del regime.

Proprio in questa giornata si riaccendono le polemiche sull'accoglienza dei profughi in Italia, perchè mentre l'azione dell'Alto Commissariato, delle Organizzazioni Internazionali (governative e non) e dei Volontari è intensa e di grande responsabilità e umanità in tutto il mondo, non si può dire altrettanto degli atteggiamenti dei governi, soprattutto di quelli Europei.

Purtroppo quando qualcuno scappa dal proprio paese pensa solo a fuggire, lasciandosi dietro la propria vita, i propri averi, ma anche il lutto, il dolore e l'orrore. Certo non pensa a dove andrà. Purtroppo vi sono esperienze di profughi che non sanno, a distanza di decenni, se mai torneranno nelle loro case o comunque nella loro patria. E' il caso degli oltre 2 milioni di profughi fuggiti da genocidio del Ruanda nel 1994 o dalla guerra civile in Somalia a partire del 1991.

Vi è un popolo quello dei Saharawi che è ritenuto il più vecchio gruppo esteso di profughi ancora fuori dai confini del loro stato (quel Sahara Occidentale, che di fatto non esiste) e che vivono (sono circa 200 mila) in un'oasi nel deserto della Algeria. Fuggirono tra il 1975 e il 1980 e mai hanno fatto ritorno.

Dedicare oggi un pensiero a chi scappa dal proprio paese (sono molte le iniziative in Italia e nel Mondo) vuole essere un modo di dare uno sguardo al mondo che offre magnifiche e straordinarie opportunità, ma anche miserie e orrori indescrivibili. Solo la generazione degli ultra settantenni italiani ha vissuto la guerra (che è la causa che percentualmente provoca più rifugiati, soprattutto grandi numeri insieme) ed ha purtroppo un'esperienza diretta del dramma che essa comporta. Proprio dall'esperienza della seconda guerra mondiale nacque l'esigenza di proteggere e assistere i profughi. Noi non possiamo nemmeno immaginare.

giovedì 16 giugno 2011

16 giugno 1976, massacro a Soweto

La storia di quella che oggi si chiama "Youth Day" (Giorno della Gioventù) è una storia atroce, che a distanza di 35 ancora genera sdegno e rabbia. Quel 16 giugno del 1976, era una fredda giornata (in Sudafrica è inverno), oltre 10.000 studenti, di tutte le età, scesero in piazza a Soweto, sobborgo nero di Johannesburg per protestare contro il governo.
Il motivo della protesta fu un decreto (Afrikaans Medium Decree) con cui, nel pieno del vergognoso sistema di segregazione razziale (in vigore dal 1948), si impose alle scuole dei neri di adottare la lingua afrikaans (lingua derivata principalmente dall'olandese e parlata dai bianchi sudafricani, gli afrikaner e ritenuta dalla popolazione nera la lingua degli oppressori) assieme alla lingua inglese. Gia nel mese di aprile del 1976 vi erano state alcuni scioperi con i bambini e i professori che si rifiutavano d andare a scuola.
Il corteo fu fatto deviare, rimanendo sempre nella zona di Orlando (l'unico posto al mondo che ha avuto due premi nobel, Mandela e Tutu) e dopo un primo tentativo di disperdelo con i gas lacrimogeni, la polizia aprì il fuoco.
Ancora oggi non si conosce con esattezza il numero delle vittime tra le 200 e le 700, mentre fonti governative parlarono di 23 morti. Oltre 1000 i feriti. Quel che conta è che un'immagine di un bambino di 13 anni, Hector Peterson, assassinato della polizia, fece presto il giro del mondo e divenne il simbolo del massacro fatto dalla polizia a Soweto. Nel 2002 è stato aperto e a lui dedicato un Museo sui fatti di Soweto.
Tra i cartelli che vi erano in quella manifestazione, quello di testa diceva "non sparate siamo disarmati".
Nel 1991 l'Organizzazione dell'Unità Africana (oggi Unione Africana) in ricordo dei fatti di Soweto ha proclamato il 16 giugno, la Giornata del bambino africano.



Il 16 giugno portò il mondo a conoscere Soweto. Vi fu una reazione immediata, sebbene a mio avviso ancora morbida e accondiscendente, della comunità internazionale e dell'opinione pubblica. Furono inasprite le sanzioni economiche (già in essere) contro il Sudafrica. L'azione della polizia fu fortemente condannata anche dai bianchi sudafricani, gli studenti universitari scesero in piazza a protestare. Secondo alcuni questo episodio contribuì a far crescere il movimento anti-apartheid e a far cadere il regime, sebbene questo avverrà molti anni dopo (1994).
Quella dell'apartheid resta una pagina dolorosa della storia dell'umanità, non solo per averla pensata e concepita, ma ancor più per averla tollerata.

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martedì 14 giugno 2011

Aeroporti in Africa

In Africa vi sono 3.401 aeroporti (meglio 3401 piste, qualche raro aeroporto ne ha più di una), ovvero un quarto di quelli degli Stati Uniti (15.079) e poco meno di quelli del Brasile (4.072) che costituiscono i primi due paesi al mondo per numero di piste. Al terzo posto vi è il Messico con 1.819. Per fare un raffronto, l'Italia, con 132 piste è al 44° posto nel mondo.
Il primo paese africano per numero di aeroporti è il Sudafrica, che con 502 piste è all'11° posto nel mondo, seguito dallo Zimbabwe (216 piste, 28° posto mondiale), poi dalla Repubblica Democratica del Congo (198 piste, 31° posto mondiale), dall'Angola (193 piste, 32° posto), dal Kenya (191 piste, 33° posto) , dall'Algeria (143 piste, 39°), dal Sudan (140 piste, 41° posto) e dalla Libia (137 piste, 42°).
Fanalino di coda Sao Tomè e Principe con 2 piste (206° posto nel mondo) e la Gambia con l'unico aeroporto di Banjul (216° posto mondiale).
Da soli questi numeri ci dicono ben poco.
Circa il 24% delle piste (823) sono pavimentate (asfalto, cemento o altri materiali), mentre 2.578 piste sono in terra o in erba. Questi numeri non devono impressionare. Delle piste americane solo il 34% (5.194) sono pavimentate, mentre lo sono solo il 18% di quelle brasiliane e poco più del 13% di quelle messicane. Del resto l'uso di piccoli aeroporti (municipali) favorisce l'utilizzo di erba e terra per il fondo. Questo contrariamente alle nostre "abitudini", infatti in Italia le piste pavimentare sono il 76% (101 su 132).
Ovviamente il dato africano risente molto delle diffferenze geografiche e delle modalità (turismo, business, trasporto interno, trasporto militare, aiuti umanitari) di utilizzo degli aereoporti. L'Egitto ha l'85% di piste pavimentate (73 su 86), la Nigeria il 70% (38 su 54), il Marocco il 55% (32 su 58), la Tunisia il 50% (16 su 32), la Libia il 43% (59 su 137), l'Algeria il 40% (57 su 143).
Molto sotto la media africana la Repubblica Centroafricana 5,5% (2 su 37), La Liberia 7% (2 su 29), la Tanzania 7% (9 su 124), lo Zambia 8,5% (8 su 94), lo Zimbabwe 9% (19 su 216), il Kenya 9% (17 su 191), l'Uganda 11 % (5 su 46) e la Somalia 12% (7 su 59).

Il 4,8% (163) delle piste supera i 3.047 metri di lunghezza. Tale misura viene usata come standard nella classificazione per l'atterraggio e il decollo di grandi aerei (in realtà intervengono altri fattori come il carico del vettore, l'altitudine dell'aeroporto, i venti etc). Anche qui vi sono notevoli variazioni, tra il 20% di piste superiori ai 3.047 metri della Libia, il 19% del Marocco, il 18,5% della Nigeria e il 17,5% dell'Egitto, rispetto a nessuna pista di quelle dimensioni in Botswana e in Mauritania, all'1% in Mozambico e Zambia, al 1,4% in Zimbabwe o a 1,9% in Sudafrica.
Per avere un paragone negli Stati Uniti sono l'1,3% le piste maggiori di 3.047 metri (ma i numeri sono molto diversi!), lo 0,2% in Brasile e lo 0,7% in Messico. In Italia quasi il 7% delle piste ha dimensione superiori ai 3.047 metri.
Da notare che in Sudafrica, nell'aeroporto di Uppington, si trova una delle piste più lunghe al mondo che misura 4.900 metri (la pista più lunga credo sia quella cinese di Qambo Bangda, lunga 5500 metri, ma posta a 4300 metri di altitudine!).

Naturalmente l'importanza di una aeroporto è data dal numero di passeggeri che lo usano. Tra i primi 30 aeroporti del mondo (dati del 2010) non figura nessun aeroporto africano. A guidare questa speciale classifica è l'aeroporto di Atlanta (Stati Uniti) con 89 milioni di passeggeri all'anno. Al 30° posto vi è quello di Monaco (Germania) con 34 milioni.
L'aeroporto più importante africano è l'Oliver Tambo di Johannesburg (Sudafrica) (nella foto dal satellite)con 18,3 milioni di passeggeri, seguito dal Cairo (Egitto) con 16,1 milioni, da Sharm el Sheikh (Egitto) 8,7 milioni, da Cape Town (Sudafrica) 8,1 milioni, daHurghada (Egitto) 8 milioni, dal Mohammar V di Casablanca (Marocco) 7,2 milioni, dal Murtala di Lagos (Nigeria) 6,2 milioni, dal Kenyatta di Nairobi (Kenya) 5,5 milioni, da quello di Durban (Sudafrica) 4,2 milioni e al 10° posto da quello di Carthage (Tunisia) 4 milioni.
Vi è un dato importante: la crescita di passeggeri negli aeroporti africani viaggia ad un ritmo elevato, a volte con incrementi annui a doppia cifra. La stima in tutto il continente è di una media annua di crescita del numero di passeggeri del 7% fino al 2015.
Certo gli standard e la qualità del servizio non è uniforme in tutto il continente, ci mancherebbe. Si passa da livelli di eccellenza assoluta a stantard, anche di sicurezza, ridicoli (vi posto il link della balck list delle compagnie aeree voluta dall'Unione Europea)


Per chi vuole approfondire, curiosare e vedere immagini sull'aviazione e sugli aereoporti africani, vi segnalo il blog Flight Africa, molto interessante.

lunedì 13 giugno 2011

Popoli d'Africa: Afar

Gli Afar (o Dancali) sono un gruppo etnico nomade, di circa 1,5 milioni di individui che vive in Etiopia (deserto della Dancalia) (in Etiopia sono circa 1,2 milioni), e in piccola parte anche in Eritrea e Gibuti.
Parlano la lingua afar della famiglia delle lingue cuscitiche (sottogruppo linguistico che prende il nome da Kush, che nella Bibbia era il figlio di Cam, stabilitosi in Africa).
Allevano cammelli, che sono anche il loro mezzo di trasporto, e altro bestiame (capre e pecore in particolare) e commerciano in sale, ricavato dall'evaporazione dei laghi costieri.
Sono ritenuti anche i baluardi contro l'estinzione dell'asino selvatico africano, che allevano.
Sono di religione islamica (mussulmani sunniti), poichè si convertirono nel X secolo a contatto con i mercanti arabi. Gli Afar fino a questo secolo sono stati coinvolti nella tratta degli schiavi.
La loro alimentazione è basata prevelentemente su pane e latte.
Essendo uin popolo nomade (solo una piccola parte, meno del 7-8% vive in aree urbane), costruiscono abitazioni semplici ed essenziali, ovvero piccole capanne con struttura di rami, coperte da pelli e altro materiali disponibile sul posto, a forma di semi-cupole.
Sono suddivisi in clans e la loro società è basata oggi su quattro sultanati ereditari. Praticano la circoncisione nei ragazzi in età pre puberale e, purtroppo, continuano ad usare pratiche di mutilazione genitale femminile.

Nel 1975 gli Afar diedero vita all'Afar Liberation Front, guidato fino ad aprile, quando è morto, dal sultano Ali Mirah, che ha ingaggiato una dura battaglia, anche armata, contro il governo Etiopico. A partire degli inizi degli anni 90, il movimento si è frammentato in tre tronconi. Oggi gruppi Afar siedono nel parlamento etiopico.

Il territorio degli Afar vive oggi un momento difficile alle prese con grandi cambiamenti ecologici grazie anche a scelte sbagliate del passato (soprattutto durante il regime del Dergue) come l'introduzione della pianta Prosopis juliflora, contro la deforestazione, che oggi è accusata di aver distrutto l'habitat degli Afar. Inoltre la scarsità di qcaua, l'inquinamento dei fiumi e la competizione sui terreni stanno minacciando fortemente la vita, e la conservazione delle tradizioni, del popolo Afar.


Per chi vuole approfondire vi segnalo il Blog AfarTriangle, sulla cultura Afar, con bellissime immagini. Oppure questo sito in francese o il sito dell'ONG svedese Afarfriends o il sito dell'ONG APDA (Afar Pastoralist Development Ass.) in Etiopia.

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domenica 12 giugno 2011

In ricordo di Albertina Sisulu

Il 2 giugno scorso, nel silenzio (per lo meno da noi) si è spenta, a quasi 93 anni, Albertina Nontisikelelo Sisulu, attivista sudafricana anti-apartheid e vedova di Walter Sisulu. Nata nel 1918, studia come infermiera e ostetrica e nel 1941 conosce Walter Sisulu, già giovane leader politico (dal 1949 al 1954 sarà segreteraio generale dell'ANC), che sposa nel 1944. I due, che sono stati sposati per 59 anni (fino alla morte di Walter, avvenuta nel 2003), hanno avuto 5 figli.
Inizialmente disinteressata alla politica, entra nel 1955 nella Lega delle Donne dell'African National Congress, nel 1956 sarà anche imprigionata (fu la prima donna arrestata a causa delle leggi razziali) per una protesta contro il sistema educativo razziale voluto dal governo sudafricano.
Da allora fu imprigionata più volte per le sue attività (il marito fu detenuto per 26 anni assieme a Nelson Mandela, dal 1963 al 1989).
Per oltre 50 anni Albertina, che ha sempre abitato a Soweto, fu molto attiva con la fondazione che porta il suo nome che si occupava dell'educazione dei bambini e della salute degli anziani. Il suo grande lavoro sociale, a favore della comunità nera è stato riconosciuto nel mondo intero.Inserisci link
Il marito fu liberato nell'ottobre 1989, pochi mesi prima della liberazione, l'11 febbraio 1990 di Nelson Mandela.
Albertina, nel 1986 ricevette la cittadinanza onoraria a Reggio Emilia.
Nel 1994 fu deputata nel peirmo Parlamento democratico del Sudafrica, lo lasciò alla fine del mandato nel 1998.
L'amico fraterno Nelson Mandela, per la forte commozione, date anche le sue condizioni di salute, non è intervenuto ai funerali di Albertina, affidando alla attuale compagna, Graca Machel, un sofferto discorso di saluto alla compagna di lotta.
La figura di Albertina è tra quelle che per impegno, sacrificio e forza nobilitano lo straordinario operato delle donne africane e valorizzano quegli ideali di libertà ed eguaglianza, per cui uomini e donne di ogni parte del pianeta hanno sacrificato la propria vita.
Il mondo intero non può che essere grato ad Albertina per la sua vita spesa per un Sudafrica, per un Africa e per un mondo migliore, un esempio di nobililtà e dedizione. Riposa in pace, guerriera.

sabato 11 giugno 2011

Cinema: L'incubo di Darwin

Presentato al Festival di Venezia nel 2004 (dove è stato premiato nelle Giornate del Cinema) L'incubo di Darwin (Darwin's Nightmare), girato dall'austriaco Hubert Sauper, è un documentario che racconta di una storia, poco conosciuta, che ha profondamente inciso su quello che è accaduto (e accade) intorno al lago Vittoria.
Il lago Vittoria (così chiamato da Spike in onore della regina Vittoria) è il più grande lago africano (68.870 km quadrati) diviso tra Uguanda, Kenya e Tanzania.
Nel 1954, a scopo commerciale, fu introdotta nel Lago Vittoria il Pesce Persico del Nilo (Lates Niloticus), un predatore che può arrivare ad essere lungo vicino al metro e mezzo e pesare oltre 200 chilogrammi.
Dalla sua introduzione il Pesce Persico (che troviamo nei nostri supermercati a filetti) ha lentamente estinto la fauna ittica locale e si è sostituito in toto ai pesci che abitavano il Lago Vittoria, con un grave danno alla biodiversità e all'ecosistema.
In poco tempo il commercio del pesce persico (vale circa 189 milioni di euro all'anno nel mercato europeo) e la sua lavorazione ha soppiantato qualsiasi economia locale. Oggi traggono sussistenza attorno al Lago Vittoria oltre 2 milioni di persone. Qualcuno potrebbe pensare che in aree come l'Africa, dove vi è una grande povertà, una situazione del genere sia una manna per la popolazione. Ogni giorno aerei cargo europei, russi e orientali, giungono nel piccolo aereoporto della Tanzania a caricare il pescato. Vi giungono, ed è questa l'inchiesta del documentario, non vuoti, bensì carichi di armi a servizio delle molte sanguinose guerre dell'area.
Un documentario duro, frutto di una intensa inchiesta giornalistica, che lascia l'amaro in bocca. L'incubo di quei luoghi non e solo quello evoluzionistico a cui fa riferimento Sauper, ma è l'incubo del degrado, della miseria e del dolore che accompagna la vita dei pescatori, dei lavoratori e delle prostitute coinvolte in questo girone dell'inferno dantesco.




Tra le altre cose alcuni studi sostengono che la scomparsa dell'ittiofauna del Lago Vittoria abbia contribuito alla crescita incontrollata del giacinto d'acqua, che a partire dal 1988, devasta le coste e i fiumi del lago, rendendo non navigabili alcune vie d'acqua.

Non ho mai amato il pesce d'acqua dolce - preferisco di gran lunga quello dei mari, più saporito e di maggiore varietà. Certamente però se qualcuno ama il sapore del "persico della Tanzania" che si trova già preparato a filetti in molti nostri supermercati, farebbe bene a guardare questo straordinario documentario.... con il rischio che non sarà più lo stesso filetto di prima!

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mercoledì 8 giugno 2011

Tiya

Tiya è un piccola città del sud del'Etiopia, nella provincia di Gurage.
La sua importanza è dovuta alla presenza di un sito archeologico, costituito da 36 monumenti, inclusi 32 stele che racchiudono un complesso cimiteriale di epoca preistorica e che contengono delle incisioni.
Il sito di Tiya è ritenuto il più importante dei 160 scoperti nella regione di Soddo, a testimonianaza della centralità che l'Etiopia ha avuto nello sviluppo della civiltà umana.
Nel 1980 il sito è divenuto Patrimonio dell'Umanità UNESCO.
Il sito, scoperto nel 1935 da una spedizione etnografica tedesca, è ancora oggi oggetto di studio, perchè l'origine e l'interpretazione dei disegni è ancora lontana da essere spiegata.
I monoliti, altri tra 1 e 5 metri, sono tutti incisi con grafiti di diverse categorie, tra cui spade e disegni antropomorfici. I corpi sepolti sono stati datati al radiocarbonio tra il XII e il XIV sec. e semprano appartenere a guerrieri morti in battaglia.




Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità UNESCO in Africa.

venerdì 3 giugno 2011

Popoli d'Africa: Chokwe

I Chokwe (si pronuncia Tchokwe) sono un gruppo etnico di circa 1,1 milioni di persone che vivono tra Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia. Parlano la lingua Chokwe, della famiglia delle lingue Bantu.
Secondo alcuni studi l'etnia Chokwe trae origine dal gruppo Mbundu e dai pigmei Mbuti.
Originariamente erano uno dei 12 clans che vivevano - tra il XVII e XVIII secolo - nell'Impero Lunda. Quando i Chokwe decisero di ribellarsi al pagamento dei tributi verso il Regno Lunda, grazie ai fucili ottenuti dai commercio con gli Ovimbundu, determinarono il collasso dell'Impero Lunda (circa 1887), assimilandone la cultura. Nacque così il regno Chokwe, che ebbe comunque vita breve.
Con i Portoghesi di fatto i Chokwe non ebbero contatti fino a circa il 1930, quando iniziarono i commerci di avorio, cera e gomme. In poco tempo i Portoghesi presero il controllo del loro territorio, mettendo di fatto fine al regno.
Coltivano la terra, in particolare cassava e arachidi, e sono ottimi allevatori e cacciatori.
Riconoscono nel dio Kalunga il creatore dell'universo, assieme ad una serie di spiriti ancestrali.
Sono anche abili scultori. Lavorano con maestria e intensità il legno, in particolare maschere e sedie. La loro arte ha fortemente influenzato anche i loro vicini, come i Lunda e i Mbunde. Le maschere appartengono ai riti e alla vita cerimoniale dei Chokwe. Tra le maschere più conosciute vi è la Chikunga, che viene usata nel rito di investitura del capo. E' una maschera ottenuta con tecnica barkcloth (ovvero ricavata dalla lavorazione delle fibre di piante), ricoperta di resina e dipinta in rosso e bianco.




Nel video una stupenda serie di immagini dell'arte scultorea dei Chokwe.


Un sito per chi è interessato alle maschere Chokwe, oppure questo altro sito.

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mercoledì 1 giugno 2011

I poemi epici Hilali

I poemi epici Hilali, appartengono alla tradizione orale beduina e costituiscono la saga che racconta la migrazione, avvenuta nel X secolo, della tribù beduina Bani Hilal dalla penisola araba verso il nord Africa e l'Egitto in particolare.
Sotto la guida di Abu Zahid al-Hilali, oltre 250 mila beduini, partirono dall'area del Najd nella Penisola Araba, migrando prima nel sud dell'Egitto e poi verso il Maghreb, dove furono respinti solo nella zona dell'attuale Marocco.
Dal 2003, questi poemi, per la loro integrità, sono inseriti nei Patrimoni Immateriali dell'UNESCO.
Infatti fin dal XIV secolo i versi sono cantati con l'appoggio musicale di percussioni e di uno strumento a due corde chiamato rabab. Il rabab è uno strumento fatto con un'unico pezzo di legno, con due corde, che viene suonato con un'arco. Secondo alcuni studiosi potrebbe essere un precursore del violino.



I poemi, che solo recentissimamente sono stati trascritti, narrano dello scontro tra i Bani Hilal e le tribù berbere guidate da Khalifa al-Zanati.

Vi segnalo questo approfondimento dalla rivista Orienti Moderni

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