mercoledì 31 agosto 2011

Libia: per ora solo interrogativi

Parlare oggi della situazione in Libia, e in particolare del suo futuro, è complesso. Da quando quelli che tutti oggi chiamano "ribelli" sono giunti alle porte di Tripoli, l'esposizione mediatica è stata straordinaria. Giornali e televisioni hanno seguito, quasi minuto per minuto, l'avanzare degli uomini guidati dal Consiglio Nazionale di Transizione. Per giorni giornali e cronisti hanno scritto e detto fiumi di parole, ora lentamente l'attenzione cala come avviene nella moderna comunicazione.
Sul campo la situazione non è ancora stabilizzata, tutt'altro.
Già in febbraio, quando era incominciata la protesta in Libia, avevo scritto in alcuni post (In Libia un'altra storia, Ancora Libia e Libia: alcune riflessioni ) che in quel paese la situazione non sarebbe stata come in Tunisia o in Egitto. Credo che alcune riflessioni siano ancora attuali e pongono, ancora oggi, alcuni interrogativi, che sinteticamente, senza nessun ordine d'importanza, vi sottopongo:

- come finirà la guerra civile in corso? ad oggi la situazione militare, pur trovandosi in un punto di non ritorno per il regime di Gheddafi, non è assolutamente chiara. La voglia di vendetta e di giustizia sommaria rischia di prevalere sul buon senso, mentre non vi è ancora stata la resa del regime. 
- chi guiderà il paese dopo la caduta di Gheddafi? gli uomini che hanno guidato l'azione militare e il Consiglio Transitorio non è detto che siano quelli che guideranno nel futuro il paese. Mahmoud Jibril, oggi segretario generale del CNT e primo ministro provvisorio, un tecnocrate che è stato Direttore del Dipartimento Economico di Gheddafi dal 2007 al 2011, nonostante sia molto gradito ad americani e inglesi (secondo alcuni testa d'ariete nella rivolta) appare debole. Mustafa Abdel Jalil, già Ministro della Giustizia di Gheddafi dal 2007 al 2011, risulta essre troppo compromesso con il vecchio regime e Abdel Hafiz Ghoqa, avvocato degli uccisi della prigione di Abu Salim, non ha nessuna esperienza politica.Qualcosa potrebbe ancora succedere.
- riuscirà la Libia, a breve, a costruire delle istituzioni democratiche? La Libia, contrariamente a Tunisia e Egitto, è praticamente da sempre priva di istituzioni democratiche. A partire dalla Rivoluzione del settembre 1969 furono abolite tutte le istituzioni e la costituzione. Ufficialmente il paese era guidato dal popolo (Jamahiriya) attraverso i consigli locali, di fatto uno stato autoritario. Lo stesso Congresso Generale del Popolo, una sorta di Parlamento senza poteri, costituito da 760 persone di fatto nominate, non aveva voci in capitolo sulle questioni importanti. Lo stesso Muammar al-Qadhafi (Gheddafi) non aveva nessun titolo ufficiale, ma solo custode della rivoluzione. Il sistema legale, costituito da un'insieme di norme civili e legge islamiche, era gestito in modo autoritario. I partiti politici non erano consentiti e oggi si parla già di 130 partiti pronti a entrare nella scena politica.
- quali saranno gli interlocutori occidentali privilegiati del futuro? La Libia è un paese di soli 6 milioni di abitanti (1 milione dei quali vive a Tripoli), ma molto ricco, grazie al petrolio e al gas che rappresentano il 95% della sua ricchezza. Fino ad oggi i partner commerciali ed economici (gli investimenti Libici in Europa, oggi congelati, valgono decine e decine di miliardi di euro) privilegiati della Libia erano l'Italia, la Francia, la Turchia, la Germania e ovviamente i paesi limitrofi (Egitto e Tunisia). Negli ultimi anni si erano inseriti molto velocemente Cina e Corea del Sud. Nel futuro Stati Uniti e Gran Bretagna ( e ovviamente la Francia) chiederanno maggiori spazi. L'Italia è legata da "una canna del gas" alla Libia (il gasdotto Greenstream, inaugurato solo nel 2004 e oggi chiuso) che garantisce una parte importante del fabbisogno di gas e petrolio all'Italia. Per questa ragione l'azienda petrolifera italiana, l'ENI (in Libia da sempre), ha cercato subito di stringere accordi per il futuro e far ripartire il flusso del gas.
- quali saranno le libertà concesse nei prossimi mesi? Il regime di Gheddafi ha retto per oltre 40 anni grazie al rigido controllo dell'informazione, radio e televisioni in particolare, che consentivano, assieme al populismo esasperato del suo leader, di far passare solo poche e filtrate informazioni da fuori paese. Perfino l'accesso alla rete, in Libia si collocava intorno alla 120esima posizione nel mondo (altra grande differenza rispetto alle altre rivolte della primavera araba). Capire che strada prenderà l'infromazione nel paese è di fondamentale importanza.
- riuscirà la Libia a costruire un'identità di stato? La Libia non ha mai avuto una forte identità etnica o religiosa. Il paese pur composto per la totalità da berberi mussulmani sunniti è diviso per grandi clan o famiglie, in eterno contrasto tra di loro. Costruire un'idea di nazione sarà un'altra scommessa per il futuro.
- quale sarà il ruolo dell'Algeria nella crisi libica? L'Algeria oltre ad ospitare la famiglia Gheddafi in fuga e a non aver riconosciuto (per ora insieme al Venezuela) il Consiglio Nazionale di Transizione, non ha esitato a definire "mercenari" i cosidetti ribelli. Tutto può fermarsi alle parole, ma anche no.
- vi sarà una crescita delll'islamismo più radicale anche in Libia? Inutile nascondere che Gheddafi dopo aver costituito una minaccia per l'Occidente e per gli Stati Uniti (supportava i palestinesi, addestrava i terroristi e i golpisti africani, si era avvicinato al radicalismo islamico) è diventato il baluardo nel Mediterraneo contro l'integralismo islamico grazie ad una durissima e sanguinosa repressione. Cosa succederà ora?


Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui oggi credo nessuno sia in grado di dare una risposta chiara e definitiva. La sensazione diffusa, ben condensata in questa simpatica vignetta a lato, è che contrariamente agli altri regimi "saltati" nel Nord Africa di recente, in Libia assisteremo sicuramente ad una dura lotta per il controllo delle risorse e degli accordi commerciali. I libici sono avvisati.

martedì 30 agosto 2011

Parco nazionale di El Kala

Il Parco Nazionale di El Kala, situato nel nord-est dell'Algeria, divenuto parco nazionale il 23 luglio 1983, dal 1990 è riconosciuto come Riserva della Biosfera da parte dell'UNESCO.
E' un'area di circa 76.000 ettari,  al confine con la Tunisia, dove si trovano molti laghi, tra cui il lago Tonga. E' un ambiente di grande importanza per la sua biodiversità e per una varietà di ambienti. Vi è una parte marina, vi sono spiaggie e zone umide, colline con foreste, laghi e corsi d'acqua. La'timetria del parco copre il range da 0 a 1200 metri. Secondo alcuni studi sono oltre 1200 le specie vegetali, vi è una quantità significativa di uccelli (con 60.000 presenze durante la stagione migratoria) rappresentate da quasi 200 specie - tra cui 21 specie di rapaci nidificanti, mammiferi e rettili anche si specie rare, tra cui il Cervo berbero (Cervus elephnus barbarus) unico cervide africano.
Ovviamente come avviene in tutte le Riserve della Biosfera vi sono anche attività umane, quali la pesca. l'agricoltura, l'allevamento e l'apicoltura, sostenute dalla popolazione locale, che soprattutto nella città di El Kala ammonta a circa 87.000 abitanti. Nella zona vi sono anche 30.000 presenze turistiche all'anno, quasi esclusivamente di turismo interno.
Nell'ambito della zonizzazione, come è previsto per le Riserve della Biosfera, la zone centrale (core) è costituita da 18 mila ettari, la zona tampone (buffer) da 56 mila e la zona di transizione da 1791 ettari.

Il parco oggi è minacciato dalla costruzione di un'autostrada che alla fine, con 1200 chilometri, dovrebbe collegare il Marocco con la Tunisa passando per l'Algeria. Nel 2007 - grazie ad una intensa campagna internazionale, i lavori dei 20 chilometri di autostrada all'interno del parco vennero fermati e il governo algerino, nel luglio 2007, si impegnò a rivedere il progetto. E' sorto anche un Comitato per la Salvaguardia del Parco. Intanto, come si evince da questo recente articolo di France 24, l'austostrada avanza.


Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

lunedì 29 agosto 2011

Alla fine del secolo, un terzo della popolazione mondiale sarà africana

L'Institut National d'Etudies Demographiques (INED), istituto francese che si occupa di studi demografici, ha recentemente pubblicato uno studio sulla popolazione mondiale del 2011 e le previsioni per il futuro. Secondo questi studi, ripresi anche da un articolo del Corriere della Sera il 17 agosto scorso, a fine del 2011 la popolazione mondiale raggiungerà i 7 miliardi (era arrivata a 6 miliardi 12 anni fa, nel 1999) e arriverà a 8 miliardi tra 14 anni, nel 2025. L'istituto prevede anche che la popolazione si stabilizzi intorno ai 9-10 miliardi nel 2100.
Nel 2011 la crescita mondiale sarà del 1,1% (era intorno al 2% nel 1960, quando ha raggiunto la massima crescita). E' l'Africa il continente che cresce di più (in alcune aree si supera il 3%), e con queste proiezioni si prevede che nel 2100 l'Africa conterà 3,9 miliardi di individui (oggi sono poco più di un miliardo), quando appunto la popolazione mondiale è previsto sia intorno ai 10 miliardi. Un terzo abbondante dell'umanità nel 2100 vivrà in Africa.


Il bollettino dell'istituto di luglio-agosto, opera di Gilles Pison,  è dedicato appunto alla Popolazione Mondiale del 2011, evidenzia anche alcuni altri dati. L'Africa, con meno di un quinto della superficie del mondo, è abitata oggi da un settimo della popolazione mondiale. Nel mondo la densità di popolazione è di 51 abitanti per chilometro quadrato (378 in India, 202 in Italia, 141 in Cina), mentre in Africa siamo a 35 per chilometro quadrato.

Un dato interessante è che nel 2050 è previsto il sorpasso dell'India ai danni della Cina. Infatti per quella data l'India sarà il paese più popolato al mondo poichè avrà 1,6 miliardi di abitanti (oggi sono 1,2 miliardi) e la Cina 1,3 miliardi (più o meno come oggi). Il terzo paese più popoloso al mondo sarà la Nigeria con 433 milioni di abitanti (oggi al 7° posto con 162 milioni di abitanti) che per quell'epoca scavalcherà gli Stati Uniti  che ne avranno 423 milioni ( oggi terzi con 306 milioni). L'Etiopia sarà al 9° posto con 174 milioni di abitanti ( oggi 14° con 87 milioni), la R.D. Congo sarà 11° con 149 milioni (oggi 20° con 68 milioni), la Tanzania 13° con 138 milioni (oggi è 28° con 46 milioni) e l'Egitto al 15° posto con 123 milioni (oggi è lo stesso 15° con 82 milioni).

sabato 27 agosto 2011

Donne africane sul tetto del mondo.

Sono incominciati solo oggi i Mondiali di Atletica Leggera a Daeugu in Corea del Sud, che già vi è un risultato straordinario. Nelle prime due gare in programma, la Maratona Femminile e i 10.000 metri femminili le sei medaglie sono andate tutte al Kenya! A completare queste due straordinarie triplette vi è anche il quarto posto nei 10.000 di un'altra kenyana. Una straordinaria prova di forza delle donne africane!
Queste sono le protagoniste di questa impresa che resterà nella storia dell'atletica e dello sport: nella maratona ha vinto la medaglia d'oro Edna Kiplacat (nella foto) la più anziana ed esperta di questo gruppo essendo nata nel 1979, dietro di lei, argento per Priscah Jeptoo (1984) e bronzo per Sharon Cherop (1984).

Nei 10.000 metri, vittoria di Vivian Cheruiyot (1983), argento per Sally Kipyego (1985) e bronzo per la più giovane di questo gruppo, Lanet Masai (1989) che era campionessa mondiale uscente avento vinto i 10.000 metri a Berlino nel 2009. Infine, quarta senza medaglia, Priscah Jepleting Cherono (1980), che ha comunque festeggiato meritatamente assieme alle compagne nel dopo gara.

Insomma uno straordinario inizio di questi mondiali per il Kenya (che comunque già era terzo nel medagliere generale dei mondiali di atletica dopo Stati Uniti e Russia), un'impresa senza precendenti (due triplette nello stesso giorno) e la conferma della grandezza delle donne africane. 

Una grandezza e una forza, quelle delle donne africane, che si manifesta in tutti i campi e che da tempo vede molte associazioni e governi impegnati nella candidatura delle donne africane al Premio Nobel per la Pace, di cui già Sancara aveva parlato.


giovedì 25 agosto 2011

E' africano il calciatore più pagato al mondo

Da oggi il calciatore camerunese, Samuel Eto's Fills (nato in Camerun nel 1981) è il calciatore al mondo più pagato. Egli infatti guadagnerà, per i prossimi tre anni, 20,5 milioni di euro all'anno (per capirci dopo di lui Cristiano Ronaldo guadagna circa 12 milioni di euro). A pagare questa folle cifra sarà una modesta squadretta di Machackala, capitale della Repubblica del Daghestan (circa 2,5 milioni di abitanti) conosciuta al mondo perchè confinate con la Cecenia e quindi coinvolta nella guerra di Cecenia che ha travolto l'ex Unione Sovietica dopo il suo crollo.
La squadra in questione si chiama FC Anzhi ed è nata nel 1991 e sei mesi fa è stata acquistata da un magnate russo, il quantacinquenne Suleyman Kerimov, uno degli uomini più ricchi del mondo. Kerimov, dal 1999 nel Parlamento Russo (la Duma), e', tra le altre cose, uno degli azionisti del colosso energetico Gazprom e di una delle più grandi banche d'affari russa, la Sberbank. Secondo la rivista Forbes possiede un patrimonio di 17,8 miliardi di dollari. Qualcuno forse ricorda che nel 2004 Kerimov aveva tentato di comprare la squadra di calcio della Roma.
Samuel Eto's, considerato uno dei migliori giocatori al mondo, quando aveva 15 anni fu prelevato dal suo paese e portato nelle giovanili del Real Madrid, giocando poi nel Majorca, nel Real Madrid, nel Barcellona e infine nell'Inter. Nella sua carriera ha vinto quasi tutto. Per ora nessun africano ha potuto vincere un mondiale per nazioni.
Oltre allo stipendio del calciatore, che ricordiamo è netto, l'Anzhi ha anche pagato complessivamente circa 27 milioni di euro all'Inter per l'acquisto del cartellino.
C'e ancora un particolare di quest'affare che merita di essere raccontato. Poichè il  Daghestan è ritenuta ancora un'area pericolosa, il calciatore (come del resto i suoi compagni di squadra) vivrà a Mosca (che dista 1600 km) raggiungendo Machackala solo nel week-end della partita.
Fin qui la cronaca sportiva.

Credo che a qualsiasi persona questi numeri, in un momento storico ed economico particolare come questo, fanno riflettere. Inutile sottolineare che lo stipendio di Samuel è 1000 volte quello di un dipendente medio (20.000 euro annui netti), che vi sono quasi un miliardo di individui nel mondo che vivono con meno di 2 dollari al giorno (ovvero 750 dollari all'anno, circa 500 euro all'anno) o che con gli stessi soldi in Camerun si mantiene mezza popolazione per un anno.
Non è nemmeno mia intenzione criticare il calciatore, che legittimamente cerca di capitalizzare al massimo i 15-20 anni di carriera.
La questione però non può lasciarci indifferenti. Dobbiamo avere almeno l'onestà di dire che vi è qualcosa che in questo sistema mondo non funziona.

Vi sono giovani, in tutto il mondo ,che dedicano la loro vita allo studio, alla pratica della loro professione riuscendo magari ad incidere significativamente per il futuro del mondo, che ovunque reclamano un futuro che non intravedono nemmeno.
Vi sono uomini e donne, e purtroppo bambini, che lavorano 15 ore al giorno per un pezzo di pane.
Vi sono persone che vendono il proprio corpo, i propri figli o un pezzo del loro organismo per poter sopravvivere.
Vi sono bambini che quando nascono sanno già che non supereranno i 5 anni.
Vi sono esseri umani che muoiono perchè non hanno da mangiare.

Poi leggo su Forbes che l'origine della ricchezza di Kerimov è "self made", si è fatto da solo. Allora vi è una speranza per tutti.




Khaled, The King of Rai

Khaled, il cui vero nome è Khaled Haji Ibrahim è un cantante algerino, nato a Orano il 29 febbraio 1960, ritenuto la massima espressione del pop rai, una mistura di musica algerina contaminata dal pop occidentale. Infatti molti dei testi delle sue canzoni sono in arabo e in francese, a testimoniare questo legame tra il mondo arabo e quello francofono (entrambe le lingue sono ufficiali in Algeria). Khaled ha avuto il merito di aver fatto diventare il rai, una tendenza musicale algerina, in un fenomeno mondiale.
Inizia giovanissimo a cantare alle cerimonie e alle feste e a 16 anni incide il primo 45 giri. In un paese come l'Algeria i testi e la musica rai, i qualii spesso parlavano di trasgressioni e comunque tentavano di infrangere regole e dogmi religiosi, furono ritenute offensive dalla parte più conservatrice della religione islamica. Quando nel 1985 il governo algerino decise di considerare il rai come "musica tipica algerina", i fondamentalisti islamici scatenarono "la guerra" agli artisti rai e Khaled nel 1986 decise di migrare in Francia.



La scelta di abbandonare il paese gli ha probabilmente salvato la vita. Altri interpreti rai, come Cheb Hasni che restarono nel paese, furono assasinati durante i bui anni della guerra civile algerina. Cheb fu assassinato il 29 settembre 1994.
In Francia incise il suo primo album, Kutche, ma il successo mondiale di Khaleb arriva nel 1992 con l'album (prodotto negli USA) Khaleb che contiene anche il brano Didi, una canzone che è stata poi tradotta in molte lingue, dal greco al pasi, dall'hindi al serbo. E' lo stesso anno in cui Khaleb abbandona il suffisso Cheb (che significa piccolo) davanti al suo nome, con cui fino ad allora era stato conosciuto.
La sua carriera è poi un susseguirsi di successi e di collaborazioni come quella con l'ex -Gong Stev Hillage o altre molto coraggiose, come quella con Noa in cui cantano Imagine in arabo ed ebraico.
Nella sua musica ha sempre tenuto conto nella componente strumentale (Khaled è un'ottimo polistrumentista) degli elementi della tradizione araba, in particolare  l'utilizzo dell'Ub, uno strumento a corde simile al liuto, accompagna spesso le sue performance.
Un critico ha definito Khaled come "uno dei più efficaci interpreti del sodalizio tra tradizione arabo-orientale e discoteche occidentali" che credo meglio descriva il personaggio e l'arte di Khaled.
Nel 2003 Khaled è stato nominato dalla FAO ambasciatore della buona volontà.
Il suo ultimo lavorò, Libertè è del 2009.

Ecco il sito internet di Khaled.

Vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa

mercoledì 24 agosto 2011

Kilamba, una nuova città in Angola

Per noi l'idea di costruire una nuova città ci appare un pò bizzarra. La nostra densità abitativa (oltre 200 abitanti per km quadrato) è tale che possiamo al massimo pensare di costruire qualche nuovo quartiere e un piccolo paesello.

In Angola gli spazi sono enormi. Tanto per fare un raffronto in un'area di circa 1,2 milioni di chilometri quadrati (4 volte l'Italia) vi abitano circa 14 milioni di persone (un quarto della popolazione italiana) di cui quasi 5 milioni concentrati in un'unica città, Luanda. Per una densità di popolazione che è di 8,6 persone al km quadrato.
Insomma, provate ad immaginare l'Italia con 2,6 milioni di abitanti o se preferite l'Angola con 250 milioni di abitanti!
Il governo angolano, attraverso il National Reconstrucion Commitee, ha in parte finanziato (è un progetto pubblico-privato di social housing, con fondi della compagnia petrolifera statale, Sonangol e con capitali stranieri) la costruzione di nuove città nel paese. In tutto sono 36 città o estensioni importanti delle stesse.

La prima, Kilamba Kiaxi, è stata inaugurata per la sua prima fase nel luglio scorso e in questi giorni sono iniziate le vendite dei primi 3000 appartamenti. 
La nuova città, situata a 30 km da Luanda (il sovraffollamento di Luanda è stato uno dei motivi che ha spinto alle nuove costruzioni)
I progetti sono stati eseguiti dalla  TPF Planage, una delle maggiori aziende di progettazione ingegneristica Portoghese, che ha progettato anche altre 2 nuove città in Angola (Dundo e Cacuaco). La costruzione (il general contractor) è opera della cinese CITIC (che nel suo massimo ha impiegato nei cantieri 12.000 persone, tutte cinesi) per un costo complessivo di 3.585 miliardi di dollari.

La città è inizialmente "tarata" per 120 mila persone. La prima fase ha portato alla costruizione di 710 edifici, 20000 appartamenti (degli 80.000 complessivi previsti), 24 asili, 9 scuole primarie, 8 scuole superiori e oltre 50 chilometri di strade. Sono in costruzioni l'ospedale, gli health center, tre banche e tutta una serie di servizi. Inoltre sono previti tutti gli spazi per le attività private dai negozi agli uffici.

Gli appartamenti a seconda della tipologia vengono venduti tra i 69.000 e i 200.000 dollari.Ovviamente per la parte in Social Housing, bisogna avere alcuni requisiti per poter comprare le case come essere cittadini angolani residenti in angola, non avere una casa di proprietà, avere un contratto di lavoro e essere incensurati. Vi linko le modalità di accesso all'acquisto dal blog angolano Hukalilile.

Certo se l'Angola, il cui PIL corre come un treno, incomincia a spendere qualche soldo delle enormi ricchezze (petrolio e diamanti) per ammodernare il Paese o addirittura ricostruirlo dopo decenni di guerra civile, le cose possono decisamente cambiare, e molto.
I problemi sono ancora enormi, la povertà è grande e, come del resto purtroppo avviene in tutto il mondo, la forbice tra i ricchi e i poveri aumenta drasticamente.

martedì 23 agosto 2011

Giornata Internazionale per il ricordo della tratta degli schiavi e la sua abolizione

Vi è il rischio che questa giornata della memoria, voluta dall'UNESCO, per ricordare una tragedia dell'umanità, trascorra in sordina, in questo periodo estivo e alle prese con questioni nazionali e internazionali di grande rilievo.
E' bene invece sottolineare come questo esercizio di memoria sia fondamentale, non solo per richiamare un dramma a lungo occultato o sconosciuto, ma per ricordare a noi e alle giovani generazioni come l'uomo può essere crudele e come l'economia mondiale e i luoghi dove essa si è sviluppata affondino le loro radici sullo sfruttamento e sulla tratta degli esseri umani.
La giornata commemora la notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791, quando a Santo Domingo vi fu la prima grande rivolta degli schiavi, guidata da Toussaint Louvertoure, il primo generale maggiore di colore, che segnò la prima vittoria degli schiavi contro gli oppressori.
Gli studi sulla tratta atlantica degli schiavi, che durò con diversa intensità oltre tre secoli, non sono stati ancora in grado di quantificare con precisione il numero degli schiavi africani forzatamente portati sulle coste del continente americano. Si parla comunque di un numero tra i 9,5 e i 13 milioni di individui che sbarcarono nelle Americhe. Date le crudeli condizioni di trasporto e la lunghezza del viaggio, sono stati circa 20 milioni gli uomini e le donne che furono imbarcati sulle coste africane.

Dedichiamo allora in questa giornata un pensiero o un momento di riflessione a questa tragedia che non possiamo dimenticare e non possiamo più tollerare.

Perchè se è vero che la schiavitù è stata ufficialmente abolita sul finire del XIX secolo, ancora oggi la schiavitù e la tratta degli esseri umani, esistono e spesso molto vicino ai nostri occhi.

L'UNESCO ogni anno invita i Ministri della Cultura di tutti gli stati membri ad organizzare eventi in questa data, coinvolgendo la popolazione ed in particolare i giovani. Spiace vedere che nel nostro Paese, nel sito istituzionale dei Beni Culturali non vi sia traccia di questa giornata. Del resto non mi sembra di aver visto neppure nei giornali il minimo accenno alla questione.Vi sono invece in Italia eventi organizzati principalmente dall'UNESCO.
(A modi esempio vi segnalo il sito del Museo Nazionale di Liverpool, con tutte le iniziative di questi due giorni).

L'11 agosto 2010, quando morì il produttore televisivo David Wolpert, scrissi questo post per ricordare lo sceneggiato che aveva prodotto, Radici, che alla fine degli anni 70' fece conoscere al grande pubblico italiano il dramma della tratta degli schiavi.

lunedì 22 agosto 2011

Riserva naturale del Monte Nimba

La Riserva naturale del Monte Nimba è un riserva integrale naturale che si trova al confine tra la Guinea e la Costa d'Avorio (in realtà per gran parte nel territorio della Guinea). Dal 1981 il sito è Patrimonio dell'Umanità Unesco (da tempo si propone l'estensione anche alla vicina Liberia dove la riserva naturale continua).  La zona della Guinea della Riserva del Monte Nimba è dal 1980 anche Riserva della Biosfera.
Il Monte Nimba e una catena montuosa denominata anche "Guinean Backbone" che con il Monte Richard Molard - chiamato così in onore del geografo francese Jacques morto su queste montagne nel 1951- costituisce il punto più alto dell'Africa Occidentale con i suoi 1752 metri.
La riserva fu istituita nel 1943 in Costa d'Avorio e nel 1944 in Guinea. Oggi è un'area di 180 chilometri quadrati, costituita oltre che dalla montagna, da savana e foreste pluviali. E' una zona ricca di specie endemiche (oltre 200) sia animali che vegetali. Tra le più studiate il rospo viviparo e lo scimpanzè di Bossou. E' un'area anche ricca di ferro (e in parte di cobalto). L'area è ricca di ferro e in parte di cobalto. Infatti in Liberia a partire dal 1963 e fino al 1989 la zona fu intensamente sfruttata per l'estrazione dei minerali (ed è, assieme alla scarsa protezione del luogo che la Liberia offre, uno dei motivi per cui non è stato ancora esteso il sito nella Liberia). Nel 1992 il governo della Guinea, adducendo alcune errori sulla definizione  dei confini della riserva, tentò di concedere ad una consorzio la concessione per l'apertura di una miniera di ferro sui Monti Nimba. Per tale ragione dal 1992 la Riserva è inserita nella lista dei Siti patrimonio dell'Umanità in pericolo, anche a causa dal massiccio arrivo di rifugiati nell'area durante la guerra civile in Liberia.
La Riserva è integrale, quindi non sono possibili visite turistiche, ma è possibile l'ascesa alla montagna, come lo studio e la ricerca.
Infatti dal 1980 l'area della Guinea della Riserva è una Riserva della Biosfera, dove si cerca un sistema ecocompatibile per fra convivere una decina di villaggio (alcune  migliaia di persone) che storicamente vivono attorno al Monte Nimba e che utilizzano l'area della Riserva per l'agricoltura.

Ecco il sito sugli Scimpanzè di Bossou curato dall'a Kyoto University, da cui è possibile avere notizia dei progetti di conservazione.
Ecco anche qualche informazione turistica su Bossou, il luogo più vicino alla Riserva.




Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità Unesco in Africa
vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

venerdì 19 agosto 2011

Viaggiare, si viaggiare

Perchè si viaggia? Cosa ci spinge a partire? Ho sempre pensato che il conoscere sia il primo motivo che spinge l'uomo, nel senso di genere umano, a mettersi in cammino. Del resto solo andando verso gli altri si ha la possibilità di comprenderli e, attraverso le relazioni che si possono instaurare, di conoscerne idee, tradizioni e pensieri. Vi sono alcuni Paesi in cui viaggiare, per noi europei, è un'esperienza unica. Colori e profumi, costumi e paesaggi, grandezze e minuzie. Da sempre l'uomo è stato spinto - da qualcosa di non sempre chiaro - ad "andare oltre", a superare le barriere dello spazio (sia stato esso lo stretto di Gibilterra, un grande Oceano, una montagna o un fiume) e del tempo (che necessitano mesi o anni o l'intera esistenza). Un tempo si viaggiava in luoghi quasi inaccessibili, si raccontavano, al ritorno (e non sempre si tornava), storie a cui spesso nessuno credeva - a volte anche perchè erano inventate di sana pianta o in gran parte modificate - o a cui nessuno poteva opporre tesi diverse.
Oggi viaggiare è semplice. Con il denaro si arriva ovunque. Un aereo, dei mezzi veloci, guide in qualsiasi angolo - anche il più sperduto- della terra, immagini che ci giungono da qualsiasi luogo del pianeta e che in tempo reale sono visibili, grazie alla rete, in ogni parte del globo.
Certo non tutti i motivi per cui si viaggia sono nobili e compatibili con il sistema mondo. Oramai il turismo globalizzato consente a chiunque abbia i mezzi economici, di giungere ovunque. Con lo stesso atteggiamento mentale si visita una grande metropoli o una remota zona del deserto del Kalahari dove vivono popoli oramai d'altri tempi. La chiamano civiltà.
Si viaggia per affari, per religione, per studio o per professione, per conoscere, per piacere e perfino per sesso.

Ho avuto la fortuna di vivere in un tempo ove un viaggio si programmava per mesi, tra affascinanti letture di racconti di altri viaggiatori e qualche guida. Quando non ci si collegava ad Internet e le comunicazioni avvenivano solo attraverso un telefono rigidamente connesso con l'arredamento. Quando di fronte ad una grande carta geografica si decideva quale strada percorrere, calcolando distanze e possibili alternative: programmi ed itinerari che sistematicamente sul campo venivano disattesi. Ho avuto la fortuna di viaggiare da solo, con uno zaino in spalle. Di partire e di non conoscere la data del rientro. Di vivere momenti straordinari e esperienze difficili, di conoscere persone magnifiche e di percorrere pezzi del mio cammino assieme a compagni di viaggio che non ho mai più incontrato e di cui mi rimane il nome annotato su di uno dei miei diari. Ho avuto il piacere di scrivere delle lunghe lettere indirizzate a persone care e di passare per i giorni successivi in una cassetta postale ad attendere la risposta. Ma, soprattutto, ho avuto la fortuna di conoscere gli altri, di sentirne e apparezzarne la diversità, come elemento di estrema ricchezza. Ho imparato molte cose e in primo luogo ad indignarmi, con forza, verso qualsiasi forma, anche sottile, di razzismo, di intolleranza e di violenza verso gli altri. Ho percepito che l'essenza di un uomo è contenuta all'interno di un involucro costruito dalla pelle e dal suo colore, dalle tradizioni, dalla religione e dal sistema linguistico e che solo attraverso la reciproca conoscenza si può comprendere gli altri.
Ho scoperto che la stupidità, la cattiveria, la violenza, il fanatismo, l'intolleranza, il razzismo, l'individualismo e l'arroganza sono intimamente legate e albergano nel genere umano.
Viaggiare, sì viaggiare rende più liberi. Più liberi di pensare.

martedì 16 agosto 2011

Le riserve della biosfera in Africa

Le riserve della biosfera sono aree di ecosistemi terrestri o marini, in cui si associa la conservazione della biodiversità e lo sfruttamento sostenibile, ad opera delle popolazioni locali, delle risorse in esse presenti. Tale definizione fu introdotta dall'UNESCO negli anni '70, all'interno del programma "L'uomo e la biosfera" (Man and Biosphere) lanciato nel 1971.
Il tentativo è quello di coinvolgere le comunità locali nella governance, nella gestione, nella ricerca, nella conservazione e nei controlli delle singole aree. I programmi sono affidati all'impegno dei singoli stati membri e sono monitorati dall'UNESCO. Salvo situazioni eccezionali ogni 10 anni viene validata dall'UNESCO la possibilità di rimanere all'interno della lista.
Tutte le Riserve della Biosfera sono costruite in base al critrerio della zonizzazione, ovvero una divisione in tre aree. La zona centrale (core areas) dove è possibile solo attività di ricerca scientifica, le zone tampone (buffer areas) dove vi sono attività di turismo sostenibile e gestione delle risorse e infine la zona di trasizione esterna (transition areas) dove esistono attività di residenza ed economiche e dove tutte le attività (agricole, industriali, commerciali) devono eccendere nel senso del rispetto dell'ambiente.
Attualmente sono 598 le riserve della biosfera inserite nella rete mondiale, distribuite in 117 paesi del mondo (aggiornamento 2012)

In Africa le riserve della biosfera sono sono 77 in 34 stati. Di queste 77 riserve 9 sono anche Patrimonio dell'Umanità.

Ecco la pagina di Sancara con la Lista completa delle Riserve della Biosfera in Africa, dove via via saranno descritte e approfonditi alcuni aspetti delle singole aree.

Per la cronaca sono 8 le Riserve della Biosfera italiane, ovvero: Collemeluccio-Montedimezzo (Isernia) (1977), Circeo (1977). Miramare a Trieste (1979), Cilento e Valle di Diano (1997), Somma Vesuvio e Miglio d'Oro (1997), Valle del Ticino (2002), Isole dell'Arcipelago Toscano (2003) e la Selva Pisana (2004).

Aggiornamento 2016 : sono complessivamente 669 le Riserve della Biosfera tutelate dall'UNESCO, distribuite in 120 paesi.

domenica 14 agosto 2011

Libri: La vittoria dei vinti

La vittoria dei vinti è un libro di Jean Ziegler del 1988, pubblicato in Italia nel 1992 dalle Edizioni Sonda.
Il libro reca il sottotitolo una speranza dal terzo mondo, poichè appare come un libro profetico (è stato scritto un anno prima del crollo del muro di Berlino) e teorizza la morte del comunismo e il successivo crollo del capitalismo mercantile, a favore di una nuova via, alternativa e autonoma, che tragga origine dalla tradizione e dallo stretto rapporto con l'ambiente che vige nel Terzo Mondo e in particolare in Africa. Dopo aver evidenziato come i quattro cavalieri dell'Apocalisse (Banca Mondiale, Fondo Monetario, GATT e Club di Parigi) devastano le terre lontane, egli giunge ad affermare che "Il Terzo Mondo salverà l'Occidente, i poveri sono l'avvenire dei ricchi. La saggezza è vestita di stracci".
E' un libro che naturalmente tocca tutti gli aspetti terzomondisti in tutti gli angoli del pianeta, ma che vale la pena suggerire, in un blog che parla d'Africa, al di là dell'ancora attuale analisi generale, per un capitolo, appassionato ed intenso, dedicato alla figura di Thomas Sankara (ne avevo già parlato nel primo post di questo blog). 
E' un libro decisamente da leggere, con attenzione, perchè seppur datato di oltre vent'anni, intravedeva già allora i possibili sviluppi del sistema mondo, analizzandone con occhio attento e sapiente, aspetti allora magari ritenuti insignificanti o marginali e che oggi rivestono importanza diversa.
Non a caso, la prefazione all'edizione italiana, datata 1992, è aperta da Ziegler, con questa frase: "La forza morale di un popolo, la sua capacità di indignazione, il suo desisderio di libertà sono simili al vulcano Monotombo in Nicaragua: a lungo addormentato, sopporta con indifferenza il peso delle rocce che lo soffocano, per poi svegliarsi bruscamente, proiettando  verso il cielo le fiamme del suo rifiuto". Pensando a quanto accade nel mondo......


Jean Ziegler, svizzero, professore universitario di Sociologia (a Ginevra e Parigi), esperto di Terzo Mondo, è stato parlamentare svizzero, membro della Commissione Affari Esteri e Relatore sul diritto all'alimentazione presso le Nazioni Unite. E' autore di numerosi saggi sui temi della povertà e sulle storture del sistema finanziario internazionale. In Italia è diventato conosciuto al grande pubblico nel 2000, grazie ad un suo libro divulgtivo intitolato La fame nel mondo spiegata a mio figlio, edito da Tropea.

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mercoledì 10 agosto 2011

Popoli d'Africa: Herero

Gli Herero sono un gruppo etnico bantu, oggi composto da circa 120 mila persone (secondo altre fonti 200 mila), che vivono prevalentemente in Namibia (piccoli gruppi anche in Angola e Botswana).
Sono un popolo di allevatori in cui il bestiame è considerato la ricchezza più grande. Oggi molti herero lavorano nelle fattorie, nelle miniere o esercitano il commercio nelle città. Sono principalmente cristiani, seppure permangono alcune credenze tradizionali.
Le donne herero sono conosciute in tutto il mondo per i loro vestiti in "stile vittoriano" - eredità del periodo coloniale e del loro rapporto con i missionari - e per il caratteristico copricapo a forma di corno.
Storicamente gli herero giunsero dall'est verso la Namibia a partire dal XVII secolo, fermandosi nell'attuale Kaokoland. Successivamente, nel XVIII secolo, alcuni gruppi si spostarono verso sud occupando l'altopiano centrale dell'attuale Namibia (Damaraland). A partire dall'inizio del XIX secolo di herero si scontrarono con i Nama. Alla fine del 1800, un gruppo di herero fuggirono dalle sanguinose lotte contro i Nama varcando il fiume Kunene (oggi confine con l'Angola): quel gruppo diede origine a quello che oggi sono gli Himba.
Quando nel 1884 - nell'atto di spartizione dell'Africa - la Namibia (ovvero quella che sarà conosciuta come Africa Sud-Occidentale tedesca) fu dichiarata "protettorato" tedesco, i coloni che vi giunsero iniziarono a sottrarre terre alle popolazioni locali e ad usare gli herero come schiavi. I coloni tedeschi e gli herero iniziarono a scontrarsi e a partire dal 1904 (e fino al 1907) vi furono quelle che storicamente vengono ricordate come guerre herero.
In realtà si trattò di un vero e proprio genocidio (il primo e purtroppo il meno conosciuto del XX secolo), poichè il generale tedesco Lothar von Trotha, dal 1894 comandante delle forze coloniali tedesche, mise in atto una vera e propria guerra di sterminio del popolo herero. Avvelenò i pozzi d'acqua, scacciò le popolazioni verso il deserto mandandole incontro a morte sicura, ordinò di sparare a vista su uomini, donne e bambini herero e istituì un campo di concentramento nell'isola di Shark (oggi centro turistico). Secondo un rapporto delle Nazioni Unite tra il 1904 e il 1908 furono sterminati tra il 70-80% degli Herero e il 50% dei Nama (che in questa triste circostanza si ritrovarono alleati con gli herero), per un totale di oltre 80.000 mila morti. Secondo alcune fonti gli herero passarono in 4 anni da 80.000 individui a 15.000.

Nel campo di concentramento dell'isola di Shark i tedeschi diedero avvio a partire dal 1908 ai primi esperimenti di quella che successivamente sarà conosciuta come eugenetica nazista. Infatti giunse in quel campo il medico e antropologo tedesco Eugen Fischer che condusse esperimenti, in particolare sulla sterilizzazione delle donne herero, molto oltre i principi dell'etica. Fischer divenuto poi direttore di un istituto di antropologia e infine rettore universitario, continuò i suoi studi con l'obiettivo di giungere ad una "razza superiore". Lasciò in eredità i "suoi studi" al suo allievo prediletto, Joseph Mengele ("l'angelo della morte" come fu poi nominato) che diventerà il principale macellaio dei campi di concentramento nazisti.

Il riconoscimento del genocidio herero è storia recente. Solo a partire dalla fine degli anni '90 i rappresentanti delle popolazioni herero cominciarono a chiedere pubbliche scuse e indennizzi ai rappresentanti tedeschi. Solo nel 2004, in occasione del centesimo anniversario della battaglia di Hamakari vicino Waterberg (che diede avvio allo sterminio), vi fu una prima ammissione "di responsabilità" da parte della ministra tedesca per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Heidemarie Wieczorek-Zeul).

Conoscere questi tasselli della storia passata africana, affermandone responsabilità, non è solo un esercizio per gli storici, ma è un modo per aiutare a comprendere le ragioni del presente.


Per chi desidera approfondire questa macchia nera della storia, vi posto una delle più ricche bibliografie sul genocidio herero



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lunedì 8 agosto 2011

15 gennaio 1966, un golpe complesso e sanguinoso in Nigeria

Il 15 gennaio 1966, tra l'una e le tre di notte, in Nigeria avvenne un colpo di stato, che eliminando fisicamente la classe dirigente del momento, si svolse in modo contemporaneo in 5 città. Al tempo la Nigeria era una Federazione composta da 4 stati (oggi sono 36 gli stati) e da una capitale federale (allora Lagos, oggi Abuja). Il sincronismo fu perfetto, pochi uomini, per un paese immenso, agirono in modo spietato e preciso.
A Lagos, capitale federale,  in poco tempo furono occupati l'aeroporto, la stazione radio, la centrale dei telefoni e le poste. Nella sua casa verrà ucciso (il corpo sarà ritrovato solo 6 giorni dopo) il Primo Ministro Federale Abubakara Tafawa Belewa (nella foto in basso in una parata assieme a Ahmadu Bello). Assieme a lui moriranno il Ministro delle Finanze Festus Okotie Eboh e almeno cinque alti ufficiali dell'esercito. Venne invece risparmiato il Capo di Stato, Nnamdi Azikiwe.
Nelle stesse ore a Kaduna, capitale dello stato del Nord,  venne ucciso quello che da tutti era ritenuto il vero "padrone del paese", il premier del Nord, Ahmadu Bello, assieme a lui morirono una delle mogli, e altri 4 alti funzionari statali e militari.
A Ibadan, capitale dello stato Occidentale, venne ucciso  nel suo palazzo, con 13 colpi di pistola, il premier Samuel Akintola. A Ibadan da oltre 3 mesi vigeva il coprifuoco a seguito degli scontri che avevano fatto seguito alle elezioni amministrative. Akintola era un personaggio molto discusso, ex avvocato, in un solo anno alla guida dello stato si era arricchito enormemente. Nel suo palazzo vi erano, all'epoca, 12 limousine.
A Benin, capitale dello stato Centro-Occidentale, fu deposto il premier Denis Osadebaya.
A Enugu, capitale dello stato Orientale, venne deposto il premier Michael Okpara. Nel suo palazzo, quando i militari fecero irruzione, dormiva, quale suo ospite, l'arcivescovo e presidente di Cipro Makarios III.
In quella notte morirono almeno altri 6 ufficiali e 6 civili. Vi furono inoltre numerosi arresti. Complessivamente, furono uccise 27 persone durante il golpe e solo uno era di etnia igbo.

Il golpe, che mise fine alla Prima Repubblica (la Nigeria raggiunse l'indipendenza il 1 ottobre 1960 e divenne Repubblica nel 1963), fu ideato da un gruppo di ufficiali guidati dal maggiore Chukwuma Kaduna Nzeogwu (di etnia igbo, assassinato nel 1967 agli inizi della Guerra del Biafra) e dal maggiore Adewale Ademoyega. A guidare il primo governo militare dopo il golpe fu il generale Johnson Aguiyi-Ironsi (nella foto in alto), 40 anni, di etnia igbo. A sua volta sarà deposto e assassinato pochi mesi dopo, il 29 luglio 1966, quando un controgolpe farà cadere il Supremo Consiglio di Rivoluzione delle Forze Armate Nigeriane.

Il giorno dopo il golpe, il Consiglio militare fece questa dichiarazione "dopo 5 anni di indipendenza... la corsa alla ricchezza dei politici, l'anarchia generale e la delusione delle masse hanno reso necessario il golpe". In realtà, come spesso accade nei golpe in Africa, la popolazione acclamò con entusiamo il cambio di regime ed elesse ad eroi i militari golpisti. Del resto oramai dalle elezioni del 1965 (in parte mai riconosciute per brogli) la situazione era sfuggita dalla mani del governo civile e i casi di malcostume, corruzione e arricchimenti ai danni dello stato stavano diventando sempre più frequenti. La classe politica che aveva in parte lottato per l'indipendenza non era stata capace di fornire una svolta significativa al paese.


Gli ufficiali attuatori del golpe provenivano in gran parte dall'etnia igbo del sud-est e il fatto che nel colpo di stato furono risparmiati ufficiali e politici della stessa etnia, riattivò quella rivalità etnica che storicamente contrapponeva gli igbo del Sud agli Yoruba (e in parte gli Hausa) nel Nord. Inoltre Ironsi tentò di di abrogare il sistema federale, creando lo scontento di molti nelle gerarchie militari divenute oramai la classe politica dominante.
Infatti il 29 luglio 1966, poco più di sei mesi dopo quel 15 gennaio, vi fu un controgolpe che portò a potere un yoruba del nord, il generale Yakubo Gowon (già capo delle forze armate nigeriane) e all'assassionio del capo di stato Ironsi e del governatore dello Stato Occidentale, Adekunke Fajuyi. La successiva repressione (e massacro) degli igbo del nord, l'esclusione dal potere degli igbo e la creazione di altri 8 stati portarono precipitosamente a quella tristemente nota come secessione (guerra) del Biafra.

Da quel gennaio 1966 la Nigeria non ha avuto pace. Si sono susseguiti colpi di stato e tensioni tra i gruppi etnici. L'assetto statale, più volte riformato, non ha ancora prodotto quel risultato capace di stemperare antichi rancori e moderne rivendicazioni e di permettere ad uno dei piu grandi e ricchi stati africani di ottenere quello sviluppo che le sue enormi potenzialità potrebbero permettergli. Inultile dirlo, tutto a svantaggio delle popolazioni locali più deboli.


Nel libro Ebano, del reporter Ryszard Kapuscinki, vi è un capitolo, Anatomia di un colpo di stato, che raccoglie alcuni appunti del cronista, in Nigeria, in quei giorni.

Posto anche questa recente riflessione sui fatti del 15 gennaio 1966 scritta da Henry Chukwuemeka Onyem su The Nigerian Voice.
Mentre qui vi è il link ad un completo report della polizia Nigeriana sui fatti del gennaio 1966

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domenica 7 agosto 2011

Cinema: Samba Traorè

Samba Traorè è un film diretto nel 1992 (uscito nel 1993) dal regista del Burkina Faso Idrissa Ouedraogo. E' il suo quarto film (Sancara aveva già parlato del suo terzo film Tilai, in questo post).
Il film - essenziale in tutte le sue forme - affronta il delicato tema tra la vita del villaggio e quella della città, attraverso la narrazione della storia di Samba, un giovane grande e grosso, che dopo essere stato in città a lavorare ritorna al villaggio natio con molte idee e molti soldi. Non ci vorrà molto a scoprire da dove arrivano quei soldi, frutto di una rapina che Samba ha commesso prima di scappare dalla città. L'intero villaggio, una volta scoperto,  reagirà con sdegno bruciando la casa che Samba aveva costruito con quei soldi sporchi. Verrà arrestato e Saratou, la giovane che da poco lo ha reso padre, prometterà di aspettarlo dopo la galera. In realtà nonostante il furto, Samba è un personaggio positivo, che alla fine riuscirà ad ottenere la comprensione dei suoi amici. Film girato con grandi contrasti, come scene notturne in cui quasi si intravedono i personaggi e scene diurne accecanti sotto il sole africano.
E' un film che deve essere visto con "occhi africani", dove la narrazione è fatta per immagini e dove la morale assume risvolti diversi d quelli a cui noi siamo abituati.
Samba Traorè è interpretato dall'attore burkinabè Bakary Sangarè. Il film ha vinto l'Orso d'Argento al 43° Festival di Berlino.







Idrissa Ouedraogo,nato nel 1954, è considerato uno dei più importanti registi africani (oltre a Tilai ha girato nel 1989 Yaaba). Ha girato uno dei cortometraggi nel film collettivo dedicato all'11 settembre. Se volete vederlo (dura solo 10 minuti), vi rimando al blog Gli appunti del Paz83, che recentemente, alla morte di Bin Laden, (il film racconta di alcuni bambini africani che scoprono Bin Laden) ha pubblicato questo post citando appunto il cortometraggio di Ouedraogo.

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mercoledì 3 agosto 2011

Mubarak a processo. E l'Egitto?

Oggi molti quotidiani riportano la notizia dell'inizio del processo a Hosni Mubarak, ex leader egiziano, a quasi sei mesi dalla sua deposizione e dopo trenta anni di potere assoluto. Già la sua presenza al processo ha del miracoloso, visto che in diverse occasioni era stato dato per morto o comunque molto vicino ad esserlo. Il processo è intentato contro l'ex-dittatore per la dura repressione effettuata, su suoi ordini, dalla polizia contro i manifestanti del nel gennaio-febbraio scorso riuscirono, non senza la neutralità dell'esercito, a detronizzarlo. La repressione costò la vita a 850 persone. Il processo è trasmesso in diretta alla televisione, ma nonostante questo le strade sono state invase dai manifestanti e gli scontri non sono mancati. Dopo la caduta del regime, e l'inevitabile euforia per la vittoria, da tempo piazza Tahrir è tornata al centro delle proteste e dei sit-in che vedono protagonisti "i rivoluzionari", che chiedono urgenti riforme, e il Consiglio supremo delle Forze Armate (SCAF) che oggi gestisce il potere in Egitto. E' ovvio che il processo a Mubarak, nonostante l'alto valore simbolico che assume, non sposterà di una virgola la necessità di ricercare soluzioni ai problemi egiziani.  In gioco vi è il futuro del paese e il suo assetto istituzionale (sono quasi una trentina i partiti politici sorti o rifondati negli ultimi mesi), in attesa delle elezioni presidenziali previste in autunno.
E' una situazione complessa e in divenire, e dove fare previsioni è come sempre molto difficile. Come molti ho letto in questi mesi articoli di analisti (giornalisti, politologi e geopolitologi), più o meno credibili, che profetizzavano futuri nefasti per l'Egitto. Un Egitto oramai in mano ai fondamentalisti islamici dove non vi era più spazio per quella che molti hanno battezzato come la "primavera araba". Spesso sono gli stessi specialisti che si sono ritrovati tra le mani "le rivolte arabe" senza una benchè minima previsione o un'analisi che ne anticipasse contenuti e possibili sviluppi. Verrebbe da dire, fonti non certo molto attendibili.
Allora, proprio ieri, mi è capitato di leggere l'ultimo post del blog Il Mio Egitto- Diario della Rivoluzione, scritto da Jasmine (ma il nome potrebbe essere di pura fantasia). italiana che vive al Cairo da oltre 13 anni, e che critica, stroncandoli in modo deciso, alcuni degli ultimi articoli sull'Egitto apparsi sulla stampa italiana e che contribusicono a costruire la nostra idea di quello che accade in Egitto. Vi consiglio vivamente di leggerlo.

Il Mio Egitto è una fonte da seguire con attenzione per chiunque voglia cercare di capire cosa avviene in quella parte del mondo. Con gli occhi di chi vive sul posto e ha partecipato alle manifestazioni, esso prova a rispondere, con fatti e commenti, alla domanda che molti egiziani si stanno facendo: Come sarà il nostro futuro? 

martedì 2 agosto 2011

Popoli d'Africa: Mossi

I Mossi sono il gruppo etnico maggioritario del Burkina Faso. Rappresentano oggi il 40% della popolazione con 6,2 milioni di individui. Un gruppo di circa un milione di persone vive nella Costa d'Avorio, mentre una comunità di circa 150 mila individui vive in Ghana. Piccolissime comunità vivono anche in altri paesi come Mali, Togo, Ghana e Benin.
Parlano la lingua Morè o Moore, della famiglia delle lingue del Niger-Congo. 
Nonostante la presenza di mussulmani e cristiani, la religiosità dei Mossi continua ad essere legata alla credenza di un Dio creatore dell'Universo chiamato Wende.
Gli storici concordano nel datare intorno al XI secolo la migrazione dei Mossi dal nord-est dell'attuale Ghana, verso le terre che oggi sono Burkina Faso. Secondo una tradizione, che come molte leggende contiene anche degli elementi storici comprovati, i Mossi derivano dal matrimonio tra una principessa Ashanti e un cacciatore Mende.
Originariamente i Mossi erano organizzati in tre diversi imperi: l'impero Tenkodogo (nato intorno al 1100), l'impero Yatenga (nato nel 1330) e l'impero Wagadugu (nato intono al 1440). A partire dal XV secolo si incomincia a parlare di Impero Mossi, che diventerà uno dei potenti e ricchi imperi africani pre-coloniali. Sarà conquistato dai francesi solo nel 1896-97. Alla conquista francese vi fu la migrazione, di una parte dei Mossi, verso l'attuale Costa d'Avorio.

Ancora oggi hanno un sistema politico-sociale molto centralizzato, che riconosce ancora un imperatore (Mogho Naaba) e dei notabili che dipendono direttamente dall'imperatore. Vivono in villaggi di famiglie estese (sono relativamente pochi gli abitanti nelle città), tradizionalmente in capanne dal tetto conico, mentre i granai (nella foto)sono costruiti su di una sorta di palafitta. Dalla nascita alla morte tutte le tappe della vita dei Mossi sono scandite da cerimonie e da riti di passaggio.
Sono allevatori e coltivatori (sorgo,miglio, sesamo e arachidi in particolare). 

La musica ha una funzione essenziale nella vita dei Mossi, non solo come intrattenimento e arte che accompagna le cerimonie, ma anche come elemento che scandisce il ritmo durante il lavoro agricolo. Infatti i Mossi usano molto gli strumenti a percussione ricavati da grandi zucche e suonati con le mani o in legno e suonati con bacchette durante il lavoro nei campi.
La costruzione di maschere, costruite da abili artigiani per le numerose cerimonie, ha un un doppio valore, quello sacro poichè mette in relazione gli uomini con gli spiriti ancestrali e quello politico poichè accompagna il potere della classe dominante.

Nell'agosto 1984, quando Thomas Sankara cambiò il nome dell'Alto Volta in Burkina Faso, utilizzo una parola in lingua diola (faso) e una parola in morè (burkina) per definire il nuovo corso del proprio paese: "terra degli uomini liberi". 

Per chi desidera approfondire  vi segnalo questo articolo di Christopher Roy dell'Università di Iowa, sugli Stili delle maschere Mossi


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