venerdì 30 marzo 2012

L'ultimo golpe in Africa

Quello del 22 marzo scorso, in Mali, è stato l'ultimo di una lunghissima serie di colpi di stato avvenuti in Africa negli ultimi 50 anni. Per il Mali si tratta della terza esperienza di rovesciamento militare delle sua storia di paese indipendente. Il primo avvenne il 19 novembre 1968, quando un sanguinoso golpe depose Modido Keita - che venne incarcerato (morì in carcere nel 1977) - portando al potere Moussa Traorè, che a sua volta venne deposto con un golpe militare il 26 marzo 1991 dopo la spinta forte di una rivolta studentesca. Quest'ultimo golpe portò alla costituzione di un governo di transizione e alle prime elezioni "libere" nel 1992, vinte da Oumar Konarè.
Al netto delle rivolte che nel corso del 2011 hanno spodestato alcuni capi di stato di vecchia data (in Egitto e in Libia, oltre che in Kirghizistan nel 2010), l'ultimo golpe nel mondo risaliva al 18 febbraio 2010 quando in Niger rovesciò Tandja Mamadou. 
Nel 2009 invece avvennero due colpi di stato : il 17 marzo in Madagascar, quando l'esercito e il leader dell'opposzione depongono il Presidente Ravalomanana  e il 28 giugno in Honduras, quando l'esercito, con l'appoggio della Corte Suprema, depose il presidente Manuel Zelaya Rosales.

Foto Harouna Traore
Vi sono stati anni in cui i colpi di stato di susseguivano con grande rapidità e spesso con inaudita violenza. Erano sicuramente anni diversi, dove quasi sempre vi era la complicità (che andava dalla semplice informazione alla partecipazione attiva con uomini e soprattutto mezzi) dei servizi dei paesi ex-coloni e delle due grandi potenze, intenti a ristabilire il controllo delle risorse o delle strategie geopolitche. E' il caso del 1966, quando già nella notte di Capodanno nella Repubblica Centrafricana il colonnello Jean Bedel Bokassa (che diventerà poi uno dei più feroci dittatori africani) prese militarmente il potere. Solo pochi giorni dopo, il 3 gennaio, in Alto Volta (ora Burkina Faso) avvenne il primo colpo di stato (l'ultimo nel 1987 portò all'assassinio di Thomas Sankara) che destituì il presidente Maurice Yameogo, portando al potere i militari con Sangooulè Lamizana.
Il 15 gennaio, avvenne il sanguinoso golpe in Nigeria che mise fine alla prima Repubblica e che portò al potere prima Johnson Aguiyi-Ironsi e successivamente con un secondo golpe il 29 luglio il generale Yakubu Gowon.
Il 24 febbraio in Ghana, i militari guidati da Joseph Arthur Ankrah, deposero il presidente Kwame Nkrumah mentre si trovava in missione ad Hanoi, nello stesso giorno, in Uganda, il Primo Ministro Milton Obote prese il potere sospendendo le funzioni del Parlamento e del Presidente. Infine, il 1 settembre in Burundi Ntare V, destituì il padre Mwambutsa e il 29 novembre dello stesso anno fu a sua volta destituito dal Primo Ministro, il capitano Michael Micombero.
Per la cronaca nel 1966, vi furono anche i colpi di stato in Argentina e in Siria.

Per quanto riguarda quello che accade in Mali, vi rimando a questa interessante analisi su Il Post, che titola "L'improbabile golpe in Mali" e naturalmente a quanto la rete e i media offrono in tema di aggiornamento sulla situazione che appare tutt'altro che stabile e definita.
Quel che preme sottolineare è che se da un lato gli uomini del capitano Amadou Sanogo appaiono poco organizzati e per nulla con le idee chiare, dall'altro lato la situazione geopolitica che si è venuta a creare, a seguito della caduta di Gheddafi in Libia, lascia ampia spazi a qualsiasi soluzione sul terreno.
Ufficialmente i golpisti hanno dichiarato di essere insoddisfatti della politica del governo maliano nei confronti della rivolta dei Tuareg (che è in realtà una sempre maggiore richiesta di indipendenza) nel nord del Paese e che il loro obiettivo è stroncare le rivendicazioni berbere nel nord.
Tuareg in appoggio alle milizie di Gheddafi in Libia
Il Mali è un paese strategico in quanto cerniera tra il nord Africa (quella che impropriamente chiamiamo Africa araba) e l'Africa Nera. Un' area che negli ultimi decenni ha visto una forte presenza di un paese come la Libia, con il suo leader capace di dialogare con il mondo arabo (quello del golfo, naturalmente), di avere l'appoggio del blocco socialista, di addestrare gruppi politici e rivoltosi dell'intera Africa Nera, di avere contatti con i gruppi terroristici del mondo intero, di colloquiare ed essere protetto da molti paesi Europei, di intimorire militarmente i vicini e infine di "tener testa", propagandisticamente, agli Stati Uniti d'America. Un paese che di fatto non esiste più (oggi la Libia è ancora una paese di scontri, senza uno stato e senza interlocutori credibili) e che rischia di divenire la "Somalia del Mediterraneo".
In queste situazioni si muovono le nuove offensive dei Tuareg (fedeli a Gheddafi fino alla fine) che cercano di alzare la posta (stanno avanzando militarmente verso Timbuctu), di cercare nuove alleanze con l'Algeria, che a sua volta si candida ad essere, più per assenza di concorrenti credibili, il nuovo centro strategico dell'Africa del Nord.
Forse è all'interno di queste logiche che il golpe del Mali, che come dicevamo appare disorganizzato e forse perfino anacronistico, deve essere letto. E deve far riflettere ancora di più il futuro assetto di questa importante area del nostro pianeta che guarda con mutato interesse al Mediterraneo e all'Africa Nera. 

Quando iniziai a scrivere questo blog, raccontai in un post intitolato Il golpe delle noccioline sulla mia esperienza durante il golpe, incruento e tranquillo, in Gambia nel  1994.

giovedì 29 marzo 2012

Popoli d'Africa: Luo

I Luo (chiamati anche Joluo o Lwo) sono un gruppo etnico dell'Africa Orientale. Vivono in Kenya dove sono il terzo gruppo etnico (dopo i Kikuyu e i Luhya, con circa il 12-13% della popolazione), in Uganda (nell'est), in Tanzania (nel nord) e in piccoli gruppi in Sud Sudan e nella R.D. del Congo.
Complessivamente si stima siano un numero vicino ai 4,5 milioni le persone di etnia Luo, di cui circa 3,2 milioni in Kenya.
Parlano una lingua nilotica, che in Kenya è chiamata Dholuo, che è condivisa anche da altri popoli dell'area che hanno adottato la loro lingua.
Oggi sono per lo più cristiani, sebbene permangono, nelle aree rurali, ancora tradizioni e antichi riti religiosi.
Secondo gli storici i Luo abitavano l'area che è oggi è il Sud Sudan fin dal 3000 A.C., iniziando poi verso il XIII secolo una discesa verso Sud (sebbene alcuni studi parlano di una prima migrazione già a partire dal 1500 A.C.) fino agli attuali luoghi di penetrazione. Secondo gli stessi studi, i Shilluk, oggi piccolo gruppo etnico del Sudan, hanno origine da questa migrazione dei Luo e con cui condividono le origini.
Tradizionalmente sono pastori nomadi, divenuti poi agricoltori e pescatori delle acque del Lago Vittoria. Sono, per intenderci, i pescatori del Pesce Persico del Nilo, conosciuto nei nostri banchi del pesce (viene esportato in grandi quantità verso l' Europa) e che è alla base del film-documentario del 2004 dell'austriaco Hubert Sauper, L'incubo di Darwin.

La mappa dei popoli del Kenya
I Luo ebbero contatti tardivi con i coloni inglesi e successivamente stabilirono rapporti con essi non conflittuali (grazie anche al fatto che gli inglesi non occuparono mai le loro terre). Ancora oggi, ad esempio, l'elite Luo (molto influente in politica ed in economia) vengono ritenuti dei corretti padroni delle lingua inglese. Infatti, pur annotando tra i fautori dell'indipendenza membri dell'etnia Luo, essi non aderirono mai, se non in forma residuale e al contrario dei Kikuyu, a movimenti radicali quali i Mau Mau. A seguito dell'indipendenza avvenuta nel 1963, il leader luo Oginga Odinga (1911-1994), divenne vice-presidente di Yomo Kenyatta, ma contrasti tra i due crearono una spaccatura, avvvenuta nel 1966, che marginalizzarono politicamente l'etnia Luo (Odinga fu arrestato nel 1969 e dopo la morte di Kenyatta, avvenuta nel 1978, egli andò in contrasto anche con il nuovo Presidente Arap Moi e nel 1982 fu nuovo arrestato per tentato golpe). Il figlio Raila Odinga è divenuto Primo Ministro il 17 aprile 2008, sotto la presidenza di Mwai Kibaki. Ancora oggi le rivalità tra i due gruppi etnici, che necessariamente si mescolano con rivalità politiche e con il controllo economico del paese, costituiscono un serio problema che, tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 (a seguito della rielezione di Kibaki), è sfociato in sanguinosi scontri.

Nelle tradizione del popolo Luo erano previsti complessi riti di iniziazione (molti dei quali oggi abbandonati) che ad esempio prevedevano la rimozione di alcuni denti inferiori e che, contrariamente ad altre etnie vicine, non contemplavano la circoncisione.
Inoltre vi era un obbligo dei fratelli di prendere in moglie la vedova dei loro congiunti eventualmente defunti.
Vivono in clan con una struttura sociale patrilineare. Come avviene per ogni popolo africano, non mancano rituali in cui la danza, con costumi risalenti alla tradizione e la musica (con percussioni, strumenti a corda tipo lira e flauti) sono al centro delle cerimonie. Ai Luo si deve anche la nascita, tra gli anni '40 e gli anni '60, di uno stile musicale, chiamato benga, suonato con il nyatiti (una sorta di lira e 5 corde) e cantato in Dholuo, Swahili e Inglese.

Un giovane Barak Obama con la nonna paterna di etnia Luo
L'etnia Luo è anche stata conosciuta nel mondo poichè è il gruppo etnico da cui discende la famiglia (per linea paterna) dell'attuale presidente degli Stati Uniti d'America, Barak Obama.




Tra gli approfondimenti possibili sui Luo, vi è questo libro di Daniela Chiapperini, Luo del Kenya (Stilo, 2011)

 
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martedì 27 marzo 2012

Libri: Stati Uniti d'Africa

Gli Stati Uniti d'Africa, è un libro dallo scrittore dello GibutiAbdourahman Waberi pubblicato nel 2007 da Morellini (e successivamente da Feltrinelli). E' un libro senz'altro originale, perchè rovescia il mondo così come noi lo conosciamo. L'Africa - ovvero gli Stati Uniti d'Africa -  è un continente evoluto, moderno e ricco, che accoglie flotte di poveri disperati che giungono dalla miseria dell'Europa e dell'America (Euroamerica), alle prese con sanguinose guerre etniche. In questo ipotetico mondo è stata costruita una strada che collega Tangeri a Città del Capo e una, che intersecandola collega Gibuti a Dakar, una sorta di "transafricana". In questo mondo alla rovescia prostitute giungono dall'Europa partendo dalle favelas di Zurigo. In quel mondo la sede dell'Organizzazione Mondiale della Sanità è nella tranquilla Banjul.
Il romanzo è una sorta di storia fantastica narrata da una voce fuori campo che parla direttamente alla protagonista, la giovane Maya. Una bimba francese adottata da un pediatra in missione umanitaria in Francia. Allevata ad Asmara (capitale degli Stati Uniti d'Africa) da una coppia benestante africana, una volta cresciuta, tornerà dopo la morte della madre adottiva, in Europa alla ricerca della madre naturale e delle sue radici.

Un mondo rovesciato con ironia a volte feroce, che ha il merito di scoprire "i nervi" della nostra ambizione di conoscenza del mondo. Una prospettiva che prova  a mettere il lettore nelle condizioni di chi oggi "subisce" il mondo ricco e moderno.

Diciamo subito che non è un libro che scorre tranquillamente. A tratti troppo complesso nella scrittura, zeppo di citazioni ironiche che non sempre riescono facili da comprendere a chi non conosce se Gustavio Mbembe è un personaggio reale come lo è Miriam Makeba, o a chi non apprezza la battuta sulla canzone Faccetta Nera che diventa, per l'occasione, Faccetta Alba. Perfino la forma scelta del racconto, fatta di brevi e brevissimi capitoli, spesso senza relazione tra loro, non aiuta a farlo diventare un libro che si legge con piacere. Un peccato perchè forse senza la presunzione di creare un mondo rovesciato, fotocopia di quello esistente, riproducendo ogni cosa nel suo rovescio, ha reso meno fluido e leggibile un'idea brillante. Resta comunque un libro da leggere e che fa riflettere, molto.


Abdourahman Waberi, poeta, narratore e saggista è nato il 20 luglio 1965 a Gibuti (alla sua nascita ancora Territorio Francese degli Afar e degli Issa, diventerà indipendente come Gibuti nel 1977). A 20 anni lascia il suo paese per andare a studiare in Francia. Gli italiani lo conoscono perchè ha scritto per Internazionale.

Ecco il sito personale dell'autore.

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lunedì 26 marzo 2012

Tassili n'Ajjer

Tassili n'Ajjer è una catena montuosa del sud-est dell'Algeria (letteralmente significa "altopiano dei Tuareg") al confine con la Libia, il Mali e il Niger. E' un massiccio che si estende, di fatto nel deserto del Sahara, per circa 500 km ed è dominato dal monte Afao che raggiunge i 2160 metri. E' un sito di straordinaria importanza per molteplici aspetti. Quelli geologici, poichè di tratta di una catena montuosa di arenaria (roccia sedimentaria) che è stata livellata dal vento e dalle acque per millenni e che oggi presenta oltre 300 archi di roccia che danno al paesaggio una immagine fantastica. Vi è una - nonostante la collocazione desertica della catena montuosa - ricca vegetazione nella parte montana, costituita anche da arberi e arbusti rari, che fa di Tassili N'Ajjer un ecosistema molto particolare. Infine, nell'area sono stati scoperti siti archeologici di epoca preistorica che contengono elementi di arte rupestre risalenti al neolitico. Per tutte queste ragioni l'area è diventata prima un Parco Naturale, poi un sito Patrimonio dell 'Umanità dell'UNESCO (1982) e in fine una Riserva della Biosfera (1986).
Il sito complessivamente occupa 72.000 km quadrati

Gli elementi più straordinari del sito sono le pitture e le incisioni ruspestri che hanno permesso approfonditi studi sull'epoca preistorica. Nel sito sono stati, fino ad oggi, scoperte oltre 15000 incisioni che attraversano il periodo tra il 10.000 A.C. e il primo secolo D.C. Un patrimonio di conoscenze ed informazioni che fu scoperto nel 1933 dalle guide tuareg a seguito dei soldati francesi in Algeria e che successivamente ha visto il grande lavoro dell'etnografo, esploratore e studioso francese Henri Lhote (1903-1991) a cui si devono decenni di studi e di scoperte sui Tuareg, sul Sahara e sul Tassili. Lhote che visse negli anni '50 alcuni anni nell'area, catalogò e ricopiò ogni incisione. Del suo lavoro scrisse anche un libro, Alla scoperta del Tassili (tradotto in italiano nel 1959 da Il Saggiatore e ripubblicato nel 2006 da Robin Editore).
da Natural Arches
Un'altro aspetto di meravigliosa bellezza del Parco di Tassili n'Ajjer sono gli archi di pietra (ne sono catalogati circa 300) prodotti nei secoli dall'erosione di vento, sabbia e acqua. Questo sito (Natural Arches) ne cataloga molti, con fotografie, descrizione e georeferenziazione. Sono sculture naturali di rara bellezza.
Infine vi sono aspetti legati alla vegetazione delle montagne di Tassili che vedono la presenza di alcune rare piante, tra cui il Cipresso del Sahara (Cupressus depreziane), un albero millenario, che oggi non riesce, a causa delle condizioni climatiche estreme, a riprodursi. Ne sono stati censiti 230 esemplari. Non manca poi l'olivo selvatico e alcune specie di mirto.
Come tutte le Riserve della Biosfera, anche quella di Tassili n'Ajjer, vede la presenza di un popolazione, stimata tra i 1000 e 3000 persone, di Tuareg nomadi e sedentari, che vivono di pastorizia, agricoltura e recentemente con il turismo che ha visto un grande sviluppo nell'ultimo decennio.


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giovedì 22 marzo 2012

Il giorno dell'acqua

Oggi è la Giornata mondiale dell'acqua, che fu stabilita il 22 marzo 1993 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, su una proposta della Conferenza delle Nazioni Unite per l'ambiente e lo sviluppo (UNCED).
Parlare di acqua significa stabilire un semplice, ma complesso principio: l'acqua è una merce o un diritto?
Per molti di noi la risposta è chiara. Senza acqua non c'è vita, quindi l'acqua è un diritto dell'uomo.
Questa semplice definizione è stato oggetto, e lo è ancora, di enormi discussioni. Solo il 28 luglio 2010 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite emese una dichiarazione che recita testualmente "E' oramai tempo di considerare l'accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani....". Tra le righe si legge la grande difficoltà a giungere ad una simile risoluzione, frutto di oltre 15 anni di trattative, che nonostante non costituisca impegno per le Nazioni firmatarie, ha visto l'astensione al voto di 41 paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Australia.

Di acqua si discute molto, mentre oltre un miliardo di persone al mondo non hanno accesso ad acqua potabile, mentre l'80% delle malattie, in Africa, sono dovute alla contaminazione dell'acqua, mentre un americano consuma mediamente oltre 450 litri di acqua al giorno, mentre in alcuni Paesi africani si definisce soddisfacente un consumo di 20 litri pro capite al giorno.


Da qualche giorno si è chiuso a Marsiglia il 6° Forum Mondiale dell'Acqua. Organizzato, a partire dal 1997, dal Consiglio Mondiale sull'Acqua, un organismo composto da 300 delegati di 60 nazioni, in cui siedono i governi,gli organismi finanziari mondiali, gli istituti di ricerca, i gestori dell'acqua e le grandi multinazionali (tra cui Suez Environment, secondo gruppo mondiale per la gestione dell'acqua e dei rifiuti, la Shell International, la Hundai, la Tyco, la Samsung e tante altre - vedi i membri del Consiglio).
E' chiaro che sarà difficile far passare la linea dell'acqua come diritto da parte di chi guadagna vendendo acqua.

L'hanno capito bene molte Organizzazioni Non Governative che hanno proposto, in contemporanea al Forum Mondiale, un Forum alternativo dell'Acqua (FAME). Il Forum delle ONG ha chiuso con alcune importanti risoluzioni quali il principio che l'acqua non è una marce, ma un diritto e un bene comune, che deve essere superato il concetto della Full Cost Recovery (essendo un bene comune i governi devono intervenire, così come avviene per scuola, sicurezza e sanità), che bisogna garantire a tutti l'accesso all'acqua e che il cittadino deve partecipare alla gestione del servizio idrico. Dal Forum è nata la Rete Europea dell'acqua.


Come già Sancara sottolineava nel post dello scorso anno sulla Giornata Mondiale dell'Acqua, nel mondo esiste una questione reale di distribuzione delle risorse idriche. L'acqua dolce (il 2,5 dell'acqua totale, di cui il 70% ghiaccio) è distribuita per il 60% in 10 Paesi del Mondo, lasciando altri (non solo nei paesi poveri) quasi all'asciutto. Vi sono questioni climatiche importanti (vedi quello che accade nel Sahel), vi sono diatribe geopolitiche sull'acqua (ecco un interessante post di Luca Troiano su Ecoinchiesta), vi sono stati errori politici e strategici importanti (come ad esempio i difetti di prevenzione delle siccità nel Corno d'Africa). Infine l'uomo con i suoi comportamenti rende sempre più l'acqua imbevibile con l'inquinamento.


Il manifesto dell'iniziativa della LVIA
Naturalmente in questo scenario, che rischia di diventare grave e pericoloso - la popolazione mondiale cresce e necessita di acqua, mentre altrove essa si sperpera - non manca chi quotidianamente, con professionalità e capacità, si dedica a superare i drammi quotidiani di intere popolazioni, che certo non hanno il tempo di aspettare le decisioni (che come abbiamo visto sono spesso lunghe) dei potenti della terra. Sono tutte quelle organizzazioni  non governative che si dedicano alla costruzioni di pozzi e di acquedotti, con la partecipazione attiva delle comunità locali. Tra tutti vi segnalo il grande lavoro dell'LVIA, che ha lanciato una interessante iniziativa di sensibilizzazione e di raccolta fondi, chiamata con intelligente ironia, "l'acqua non è un problema del cactus".


Resta chiaro che il "problema acqua" è una questione strategica di assoluta importanza, perfino più importante di quella energetica. All'acqua non c'è alternativa. Inoltre il problema investe , con differenti declinazioni, l'intero pianeta. Se dovesse passare il principio dell'acqua come merce - le pressioni in questo senso sono enormi e difficili da contenere - il futuro del nostro pianeta potrebbe essere gravemente compromesso. Oggi si specula sulle derrate alimentari - perfino e soprattutto durante le carestie - domani potrebbe essere la volta dell'acqua.



mercoledì 21 marzo 2012

21 marzo 1960, il massacro di Sherpeville

Dal sito Pambazuka News
Il 21 marzo 1960, circa 7000 persone disarmate, si trovarono nella piazza di Sherpeville in Sudafrica per protestare contro l'ennesima legge razziale, la quale confinava, sempre di più, i sudafricani di colore ai margini della società. Si trattava della Urban Areas Act, un decreto che obbligava gli abitanti di pelle nera ad esibire un lasciapassare (concesso solo a quelli che lavoravano all'interno) per recarsi nelle zone ad uso esclusivo dei bianchi. La protesta fu organizzata dal Pan Africanist Congress (PAC) guidato da Robert Mangaliso Sobukwe, che in seguito fu incarcerato fino al 1969. La polizia, dopo aver tentato con ogni mezzo di disperdere la folla, alle 13.15 iniziò a sparare. I dati ufficiali parlano di 69 morti (tra cui 8 donne e 10 bambini) e 180 feriti. La polizia continuò a sparare anche quando i dimostranti si diedero alla fuga, infatti molti furono colpiti alla schiena.

I funuerali delle vittime
Il massacro segnò un punto di rottura e di scontri tra il governo segregazionista e la popolazione nera. A seguito delle proteste che si susseguirono con intensità i giorni successivi, il 30 marzo 1960 il governo decretò la Legge Marziale che in poco tempo portò all'arresto di oltre 18 mila persone, tra cui il leader del PAC Robert Sobukwe. L'8 aprile il governo mise al bando l'ANC e il PAC, cosa che diede forza alla componenete militarista e armata del movimento che già a partire dal dicembre 1961 iniziò la sua azione contro gli obiettivi governativi.
Il 1 aprile 1960, con la Risoluzione 134 del Consiglio di Sicurezza, le Nazioni Unite condannarono il Sudafrica. Inizierà così un lungo isolamento, politico ed economico del paese (culminato anche nel 1961 con l'esplusione del Sudafrica dal Commonwealth), che di fatto contribuirà, con grande lentezza, agli sviluppi storici che portarono, a partire dagli anni '90, al superamento dell'odioso regime dell'apartheid.  

La data e il luogo di Sherpeville sono diventata un simbolo e un monito per il Sudafrica e per il mondo intero.
Dal 21 marzo 1994 in Sudafrica si celebra la Giornata dei Diritti Umani. L'8 maggio 1996, il primo Presidente nero del Sudafrica, Nelson Mandela, volle firmare a Sharpeville la nuova Costituzione del paese.
Il 21 marzo 2001 fu inaugurato un memoriale delle vittime del massacro, posto difronte alla Stazione di Polizia.
A partire dal 21 marzo 2005 le Nazioni Unite hanno decretato il 21 marzo come la "Giornata Internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale".

Secondo molti il massacro di Sherpeville fu l'inizio della caduta del regime razzista sudafricano. Certo bisognerà aspettare trenta lunghissimi anni - che il leader della lotta, Nelson Mandela, passerà interamente in galera - prima di dare la spallata definitiva all'odioso sistema. Quel che invece è certo, è che ancora oggi i vecchi del Paese, amano ricordare il 21 marzo come il "giorno degli eroi".

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lunedì 19 marzo 2012

Si aprono il Festival del Cinema Africano e la mostra Good Morning Africa a Milano

Foto: Stephane de Sakutin (Namibia)
Foto Bruno Zanzottera (Nigeria)
Si apre oggi a Milano la Mostra Fotografica Good Morning Africa nell'ambito della 22° edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina (19-25 marzo 2012). Si tratta dell'esposizione di 40 fotografie, di 25 autori diversi, che provano a raccontare il continente tra tradizione e modernità. Un viaggio (ecco alcune immagini) dal nord al sud, che vuole solo evidenziare alcuni dei molteplici aspetti dell'Africa, alcuni dei suoi innumerevoli percorsi . La mostra, organizzata in collaborazione con la rivista Africa, è allestita alla Casa del Pane (fermata della Metro Porta Venezia) negli stessi giorni in cui si svolge il festival cinematografico (nato nel 1991 come Festival del Cinema Africano e dopo 9 edizioni allargato anche alle produzioni dell'Asia e del latino America) che quest'anno porterà a Milano oltre 100 film. Alla fine del Festival, la mostra diventerà itinerante. Ho scelto queste tre foto, tra le tante, perchè raccontano un pezzo del continente e del suo movimento. Nella foto in alto d el francese Stephane de Sakutin, scattata in Namibia, vi sono due donne Himba e una donna Herero, riconoscibili dai loro vestiti - quindi nella più fedele delle tradizioni - in un fornitissimo supermercato moderno. Un meraviglioso contrasto temporale.
Foto Andrea Frazzetta (Burkina Faso)
La seconda foto, di Bruno Zanzottera, scattata in Nigeria, è una stupenda immagine, che non ha bisogno di grandi commenti, e per chi conosce e ama l'Africa, fa semplicemente sorridere. Oltre tutto è una grande prova di equilibrismo. Infine, la foto di Andrea Frazzetta, scattata in Burkina Faso, è quella di un cinema all'aperto, contiene una grande intensità comunicativa. Non so quale fosse il film in proiezione, ma lo sguardo dei bimbi è straordinario.
Per chi vive a Milano e dintorni, e per chi ha voglia, un'ottima occasione.

venerdì 16 marzo 2012

Musica: Rokia Traorè, una nuova regina d'Africa

Rokia Traorè, cantante e chitarrista del Mali , è considerata unanimamente una delle nuove regine d'Africa. La sua voce elegante, una presenza scenica di grande impatto, una travolgente carica ritmica e vitale, assieme alla sua naturale bellezza, ne fanno uno dei nuovi e grandi talenti del continente africano. Oggi è una delle più ricercate artiste africane in Europa.
Figlia di un diplomatico maliano di etnia Bambara, nata nel 1974 a Kolokani, nella regione di Beledougou, sin da piccola è stata abituata a spostarsi da un posto all'altro seguendo il lavoro del padre, in Algeria, in Arabia Saudita, in Francia e in Belgio. E' stata, a partire dal 1997, quando già si esibiva da alcuni (la sua carriera inizia nel 1992 in un ruppo rap di Bamako) anni con alcune apparizioni anche nella TV maliana, l'allieva prediletta del grande Ali Farka Tourè, il re del blues africano, scomparso nel 2006. Il suo stile musicale risente di questa contaminazione: tradizione e modernità, generi e ritmi sono sapientamente mescolati a formare una sonorità unica e di grande impatto. Si è sempre avvalsa di musicisti provenienti dalla grande cultura degli strumenti musicali tradizionali africani, il balafon, lo ngoni, la kora, le percussioni e le voci corali in particolare che ha saputo coniugare con il blues, il jazz e la musica "occidentale". In una recente intervista Rokia ha confermato il suo grande amore per il jazz, ed in particolare per i Weather Report ed il suo leader Joe Zawinul, che lei ritiene essere un suo grande ispiratore. Certo, i puristi del jazz, avrebbero qualcosa da ridire.
Nel 1997 incide il suo primo disco, Mouneissa, mentre nel 2000 esce il suo secondo lavoro intitolato Wanita. Rokia canta in bambara, la lingua del suo popolo. I testi delle sue canzoni hanno avuto un forte impatto nel suo paese, perchè affrontano temi ancora considerati "difficili", come la condizione della donna.





Nel 2005 è stata consacrata tra i grandi della musica africana quando ha partecipato al grande concerto a Dakar (Africa Live) per sensibilizzare il mondo sui problemi del suo continente.
Le sue collaborazioni, iniziate nell'album Wanita, con Toumani Diabatè (altro grande musicista del Mali con cui Rokia ha condiviso i lavori presso il Centro Culturale di Bamako) rappresentano una vera e propria ricerca nell'ambito della musica della tradizione dei cantastorie dell'Africa Occidentale.
Dal 2006 Rokia inizia ad esplorare anche strade musicali diverse, a testimonianza della sua grande  sete di novità e si contimanazione della sua musica. Dedica un lavoro al 250° anniversario della nascita di Mozart e successivamente alla grande voce del jazz Billie Holiday.

Dopo che nel giro di pochi anni l'Africa ha perso due delle sue più straordinarie voci ed interpreti femminili, Miriam Makeba e Cesaria Evora, il continente è alla ricerca della sua nuova grande regina e Rokia Traorè è una delle più accreditate donne ad indossare questa corona.

Il 24 marzo prossimo Rokia Traorè sarà in concerto a Pordenone.

Ecco il sito ufficiale di Rokia Traorè


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lunedì 12 marzo 2012

Kony 2012, un fatto solo mediatico?

Il video Kony 2012, postato dall'associazione americana Invisible Children ha fatto rapidamente il giro del mondo. Su Youtube è stato cliccato da quasi 75 milioni di persone, mentre i social networks del pianeta sono stati invasi da richieste di adesione alla causa "fermiamo Joseph Kony" e di richieste di finanziamento. Un fatto straordinario, se consideriamo che il video (che dura 30 minuti) è stato postato solo il 5 marzo scorso e che Joseph Kony da oltre 20 anni imperversa in Uganda e nei paesi limitrofi seminando il panico tra la popolazione, stuprando e mutilando chiunque si trovi sulla sua strada e rapendo, fino ad oggi, almeno 40 mila bambini per ridurli alla schiavitù sessuale o per farne diventare spietati soldati. Naturalmente lo scopo dichiarato del filmato è quello di indurre la comunità internazionale a catturare e processare Joseph Kony per crimini contro l'umanità. Le straordinarietà sono almeno tre. La prima è le modalità, che qualcuno ha definito virale, con cui la comunicazione si è diffusa nella rete. Hanno fatto conoscere al mondo le ignobili gesta (su questo non vi sono dubbi - vi rimando a questo post di Sancara quando è stato inserito nella lista delle anime nere dell'Africa) del macellaio Kony più questi 30 minuti di filmato, in stile documentarista e americano, un pò paternalistico  e zeppo di luoghi comuni e di perbenismo, che quasi 25 anni di serio giornalismo e di inchieste sul''Esercito di Resistenza del Signore (LRA, in inglese). Questo deve far riflettere tutti noi.
La foto dei fondatori di Invisible Children, dalla rete
Così come è straordinario, che in molti, non solo tra i comuni lettori, ma anche tra blogger, giornalisti, opinionisti e politici, hanno scoperto solo grazie al filmato, l'esistenza dell'Esercito di Resistenza del Signore e delle carneficine che Joseph Kony e i suoi uomini (ridotti ad un migliaio, secondo i ben informati) mettono in atto oramai da decenni. E' vero che l'Africa è lontana, che abbiamo tante cose importanti a cui pensare, che in fin dei conti quello che succede da quelle parti a noi interessa poco, ma francamente è imbarazzante osservare il disinteresse generale verso i fatti che accadono nel mondo. Provate a digitare su di un motore di ricerca Joseph Kony o LRA (opzionando la data a prima del 5 marzo, per non essere viziati dal successo del video) e scoprirete migliaia di testi e di notizie. Vi linko un rapporto di Human Right Watch del 2010, a modi esempio.
Infine, come sempre avviene, anche nelle cause più nobili si è scatenata una ampia discussione, nella rete (vi linko un esempio da AgoràVox), nei giornali e nei social networks sulla affidabilità degli autori del messaggio e sulle loro reali intenzioni. Sono apparsi dati sui costi del video, sulla situazione finanziaria dell'associaizone e foto dei fondatori di Invisible Children ritratti armati, tra guerriglieri (vedi foto in alto). Naturalmente tutte le critiche sono vere (vi posto questa dal sito InformareXResistere, che oltre ad essere seria, è anche ironica).
Mutilazioni dell'LRA , foto Giorgio Trombatore, dal Secondo Protocollo

Che gli Stati Uniti abbiano altri obiettivi nell'area è palese. Che gli americani non siano animati da spirito umanitario o dalla voglia di vedere un mondo più giusto, appare perfino banale.
Che sia singolare che nessuno fino ad oggi si sia degnato, seriamente, di dare la caccia al criminale Kony. Che la comunità internazionali si restata tutti questi anni a guardare, facendo affari con chi proteggeva Kony, è un dato conosciuto e discusso da tempo.
Già a partire dal 2009 l'amministrazione Americana ha provato a forzare la mano (Sancara aveva già scritto in questo post), usando l'arma (mediatica) Kony, per arrivare ai propri obiettivi strategici su di un'area particolarmente ricca di petrolio e minerali.
Così come è vero che la campagna Kony2012 di Invisible Children ha scopi diversi da quelli dichiarati (alcuni dei quali ancora non molto chiari) e che il suo successo si deve ad una strategia di marketing che non porterà reale sollievo a chi è stato mutilato, violentato o sequestrato.

Bisogna però fare attenzione. Se è vero che la campagna Kony2012, e perfino forse le sue dichiarate intenzioni, sono falsificate, è altrettanto vero che ciò che avviene in Uganda (e nei paesi limitrofi) è vero. Che Joseph Kony è un macellaio, un invasato e un criminale di guerra (su di lui pende un mandato di arresto del Tribunale Internazionale) che deve essere fermato (cosa che andava fatta oramai da oltre un decennio), processato e condannato.

mercoledì 7 marzo 2012

Valle dello Mzab

Ghardaia ( da Discovery Heritage Sites)
La Valle dello Mzab ( o M'zab) è una regione del nord del Sahara, in Algeria,situata a 600 Km a Sud di Algeri. Nella vallata si trovano cinque città fortificate (ksour), distanti una decina di chilometri tra loro, oggi perfettamente conservate ed ancora abitate, risalenti al X-XIII secolo.
Nel 1982 le città dell'intera valle furono  iscritte del Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO.
Beni-Isquen (da blog TeamAlgeria 2010)
El-Atteuf, Bounoura, Melika, Ghardaia e Beni-Isquen (fondate tra il 1012 e il 1350) furono edificate dagli Ibaditi (oggi unica corrente esistente dei kharagiti, la terza via dell'islam oltre ai sunniti e agli sciiti). Gli Ibaditi, originati da uno scisma nell'islam avvenuto attorno al 670, costituirono nel nord Africa un regno di grande importanza (regno di Tahert) che tra il 721 e il 909 governò su quasi tutta l'Africa del Nord. Quando nel 909 gli Ibaditi furono sconfitti dai berberi Kutama, si rifugiarono nel deserto, nella valle del Mzab, dove si stabilirono edificando le città fortificate. La scelta cadde su una vallata solo raramente frequentata dai popoli nomadi dell'area e facilmente difendibile. Ancora oggi le città sono governate secondo le regole, rigide e rigorose, della comunità Ibadita.
Ghardaia  (da Panoramio)
Ogni città - circondata da muraglie ed è dominata da una moschea il cui minareto fungeva anche da torre di avvistamento - contiene il ksar  (villaggio fortificato), il cimitero e il palmeto con la cittadella estiva. Un esempio di architettura semplice, costruita con materiali reperibili in loco (archietttura vernacolare), funzionale e in perfetta sintonia con l'ambiente desertico che circondava le città. Ogni elemento interno alla città delineava anche il rapporto tra le idee religiose dei Ibaditi e la società. Edifici cubici di eguale grandezza a testimoniare il senso egualitario e al tempo stesso il rispetto per la famiglia e l'intimità, alla base del vivere sociale. Grandi spazi comuni capaci di rispondere alle esigenze di difesa e di aggregazione, così come di luoghi ove conservare il cibo necessario per la vita dell'intera comunità. Oggi rappresentano anche un esempio evidente di un insediamento umano tradizionale capace di giungere fino ai nostri giorni, praticamente integro. Secondo gli addetti ai lavori, gli insediamenti urbani degli Ibaditi, "hanno esercitato una considervole influenza sugli architetti e sugli urbanisti del XX secolo, da Le Corbusier a Pouillon.

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martedì 6 marzo 2012

Cinema: Catch a Fire

Catch a Fire è un film del 2006 diretto dal registra australiano Philip Noyce e basato sulla vera storia dell'attivista politico sudafricano  Patrick Chamusso, interpretato nel film dall'attore americano Derek Luke.
Una storia di un uomo comune, un lavoratore che vive con moglie e figli, che ama il calcio. Un uomo normale. A seguito delle torture subite alla fine degli anni '70 in ragione del colore della sua pelle, nera, accusato dall'agente Nic Vos, di aver compiuto atti di sabotaggio, decide di diventare quello che tutti sospettano che lui sia: un terrorista. Il film rispecchia, abbastanza fedelmente, la storia di Patrick (del resto è tratto da un libro scritto dalla figlia di Joe Slovo, Shawn, che era il responsabile militare dell'organizzazione che lo addestrò militarmente nonchè leader del Partito Comunista Sudafricano).
E' una storia di apartheid, una delle tante e tristi storie di violenza, di segregazione e di intolleranza. Una storia che è incentrata anche sulla figura del Colonnello Nic Vos (interpretato da Tom Robbins) che dietro alle apparenze di un uomo gentile e disponibile, nasconde tutte le insidie e la crudeltà della polizia politica sudafricana di quel tempo. Allo stesso tempo è un film che punta alla speranza e al futuro. Il film si chiude infatti con Patrick, che una volta libero, pur avendo la possibilità di vendicarsi di Vos (lo vede da solo sulle rive di un fiume), decide di lasciarsi, per sempre, alla spalle il passato. Una sorta di appello a chiudere per sempre il rapporto con il passato e a guardare in avanti. Nel finale appare anche il vero Patrick Chamusso (oggi un omone sorridente), a sostenere le tesi del perdono e dello sguardo rivolto al futuro e alle giovani generazioni con cui, e per cui, oggi conduce le sue battaglie.
Il film è anche una riflessione sul passato, e su quei terribili anni che hanno generato così tanto odio tra gli uomini.

Il film, mai uscito nelle sale italiane, è parlato in inglese, afrikans, zulu e portoghese (sottotitolato in italiano nella versione uscita in DVD) ed è girato in Sudafrica, Mozambico e Swaziland.
In Italia è stato presentato alla 27° Festival del Cinema Africano di Verona.





Il vero Chamusso
Patrick Thibedi "Chamusso", nasce in Mozambico nel 1949, figlio di minatori. Emigra in Sudafrica lavorando come pittore e fotografo di strada. Riesce, cosa non comune per un giovane nero, a comprare un'auto e una macchina fotografica, che presto gli verranno confiscate, e mai più restituite, in un fermo di polizia. E' anche un bravo calciatore e un grande lavoratore. Nel 1977 inizia a lavorare al Petrolchimico Sasol's a Secunda. Nel giugno 1980 viene arrestato e torturato perchè sospettato di un'attentato alla raffineria organizzato dall'ANC. Rilasciato senza che nessuna imputazione o condanna (nonostante a seguito delle torture anche ai suoi familiari, avesse confessato colpe di cui non era responsabile), decide di andare in Mozambico e arruolarsi nell'Umkhonto we Sizwe (La lancia nella Nazione), l'ala militare dell'ANC guidata a quel tempo da Joe Slovo. Dopo l'addestramento il 21 ottobre 1981 torna in Sudafrica per compiere un'attentato alla stessa raffineria dove aveva lavorato. Il piano è quello di far esplodere una prima carica esplosiva, in modo da permettere l'evacuazione della fabbrica, per poi far detonare un'altra carica più distruttiva, in modo da non causare vittime. Il piano fallisce perchè la polizia interviene disinnescando la seconda carica. Arrestato il 27 ottobre, viene prima detenuto e torturato per 9 mesi, e poi condotto a Robben Island (dove era detenuto anche Nelson Mandela) e condannato a 24 anni di carcere. Sarà liberato nel 1991 con l'amnistia a seguito della fine dell'apartheid. Una volta liberato, oltre a sposarsi e ad avere 3 figli, assieme alla moglie adotta 80 orfani di genitori morti per AIDS (l'orfanotrofio si chiama Two Sisters). Il suo nome diventa conosciuto con l'uscita del film.

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lunedì 5 marzo 2012

Popoli d'Africa: Yoruba

Gli Yoruba sono un grande gruppo etnico (circa 40 milioni di individui) che vivono prevalentemente in Nigeria (dove costituiscono il 30% degli abitanti del paese) oltre che in Benin (circa 1 milione), Ghana, Togo e Sierra Leone. Poichè furono fortemente interessati dalla tratta atlantica degli schiavi (così come avvenne per i mandinka), oggi esistono comunità riconducibili agli yoruba in Brasile, in Centro America e negli Stati Uniti. Questo essere dispersi nel mondo costituisce una vera e propria diaspora del popolo Yoruba.
Parlano la lingua Yoruba, della famiglia linguistica del Niger-Congo.
Originariamente erano agricoltori (ancora oggi lo sono nelle aree rurali) in particolare di cacao, arachidi e mais.
Gli Yoruba trovono la loro origine attorno alla città stato di Ife (nel nord-ovest del paese, oggi stato dell'Osun) che fu da loro abitata fin dal IV secolo a.c. e che divenne la loro città sacra. Ife a partire dal 900 controllava gran parte dell'attuale Nigeria e solo nel XV secolo fu assorbita dal vicino regno del Benin. Ife, secondo la tradizione Yoruba, fu creata da Oduduwa (essi si definiscono i figli di Oduduwa) una figura mitica, tra l'umano e l'inviato di un Dio creatore, un progenitore che avrebbe creato, secondo alcuni, o unito, secondo altri, il popolo Yoruba.
Gli Yoruba hanno una complessa tradizione religiosa (chiamata Orisha) che include un ricco panorama di figure divine (secondo alcuni sono 401 le dività yoruba riconosciute) e di contattati con gli uomini. Attorno alla religione si sono sviluppati una fitta rete di rituali, di danze, di arti che hanno permesso al popolo Yoruba non solo di far giungere fino ai nostri giorni straordinari e vivaci riti (alcuni anche considerati patrimoni immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, come la divinazione Ifa), ma di esportarli oltre oceano influenzando non solo la religione (elementi yoruba sono alla base del vudù haitiano o della santeria cubana), ma anche la cultura e la musica caraibica ed in particolare a Cuba.
Successivamente gli Yoruba si sono convertiti all'Islam (oggi circa il 60% è di religione mussulmana) e al Cristianesimo (circa il 30%).
Sono abilissimi scultori. Lavorano la ceramica, la terracotta e il metallo oltre che il legno utilizzando il sistema degli stampi di cera.
Un posto particolare nella loro complessa cultura occupa la musica. In particolare i tamburi sacri batà, ovvero un insieme di tre tamburi a forma di clessidra di cui il più grande, spesso contornato di campanelli, è chimato Ijà (la madre). Gli altri due sono chimati Itotele e Okonkolo (il più piccolo).

Gli Yoruba hanno anche - secondo alcuni studi - il più alto tasso di parti gemellari eterozigoti al mondo (4,4% di tutte le maternità), al punto che i gemelli trovano un posto speciale nei riti e nella cultura Yoruba.

Oggi gli Yoruba costituiscono l'elite della società nigeriana e beniniana. L'ex presidente della Nigeria (1976-1979 e 1999-2007) Olusegun Obasanjo era yoruba, così come l'attuale presidente del Benin (dal 2006) Yayi Boni. Yoruba è il premio nobel nigeriano per la letteratura nel 1986 Wole Soyinka, così come i musicisti Fela Kuti e Anjelique Kidjo.
Purtroppo il popolo yoruba (ovvero la sua classe dirigente) fu coinvolta, nella parte dei vincitori e, dei carnefici, nella sanguinosa guerra del Biafra (1967-70) i cui troverano la morte  quasi 3 milioni (due terzi per fame) di Igbo del Sud.

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