mercoledì 28 novembre 2012

28 novembre 1960, la Mauritania è indipendente

dalla rete, in occasione del 50° anno indipendenza
La Mauritania, la terra dei Mauri (il nome deriva dall'antica tribù berbera del nord, che a sua volta significava "uomo dell'ovest"), è una terra di confine tra l'Africa Nera e il Mondo Arabo. In questo paese infatti, ancora oggi, il contrasto tra le due comunità (oggi il 30% della popolazione è "araba", il 30% nera e il rimanente è frutto dell'unione tra le due) non è superato e genera tensioni e scontri. A dispetto di una superficie complessiva di oltre 1 milione di chilometri quadrati (è grande quanto l'Egitto) la Mauritania ha poco più di 3 milioni di abitanti (l'Egitto ne ha oltre 80 milioni), di cui oltre 800 mila nella capitale. Del resto il suo territorio è per oltre il 75% deserto e un unico corso d'acqua, il Senegal, segna il confine meridionale del paese.
Moktar Ould Daddah, foto Wikipedia
Quando il 28 novembre 1960 la Mauritania ottenne l'indipendenza, il 90% della sua popolazione era ancora nomade e a guidare il paese fu una classe di amministratori in gran parte provenienti dall'estero (dal Senegal e dal Marocco in particolare). La stessa capitale Nouakchott altro non era che un villaggio di pescatori e la sede della rappresentanza coloniale. Il paese vive ancora oggi di pesca e di alcune risorse minerarie, tra cui ferro, oro, fosfati, zolfo, rame, sale e gesso. A guidare il paese fu Moktar Ould Daddah, figlio di un marabout e primo abitante della Mauritania a laurearsi, nel 1955, a Parigi. Grande mediatore prima dell'indipendenza virò la sua politica in modo centralista e nazionalista, proclamando un regime a partito unico e successivamente una repubblica islamica. Nel 1976 ingaggiò, in un momento di forte crisi economica a seguito di una delle periodiche siccità del paese, una lotta contro il Fronte Polisario che rivendicava i territori dell'ex Sahara spagnolo (nel 1979 la Mauritania rinuncerà ai territori con un accordo diretto con il Fronte Polisario stanca di veder continuamente sabotata la ferrovia che trasportava il ferro dalle miniere di Zouerat al porto di Nouadhibou ). Tale guerra portò al golpe che il 10 luglio 1978 lo depose (dopo un periodo di prigionia e un processo per alto tradimento, andò in esilio in Francia. Il nuovo regime militare, guidato dall'ex Ministro della Difesa Mustafa Ould Salek, concluse gli accordi di pace con il Fronte Polisario, ma fece crescere il contrasto interno, sempre più aspro tra la popolazione araba e quella nera. Il 6 aprile 1979 un nuovo colpo di stato che portò alla guida del paese il colonnello Mohammad Ould Louly. Il 4 gennaio 1980 un nuovo golpe portò al potere Mohamed Khouna Ould Haidalla, già primo ministro, che dovette affrontare una situazione di grande turbolenza interna, soprattutto negli ambienti militari. Durante la sua presidente fu nominalmente abolita la schiavitù nel paese (1981), sebbene ancora oggi questa piaga non sia stata sconfitta.
Maaouya Ould Taya, dalla rete
Il 12 dicembre 1984 un nuovo golpe portò al potere un'altro militare, Maaouya Ould Sid'Ahmed Taya, che ha governato il paese per oltro 20 anni, fino al 3 agosto 2005 quando fu deposto. Durante il suo regime, nonostante le aperture democratiche che portarono nel 1986 alle prime elezioni nel paese e che fecero virare la nazione da un regime militare ad uno "misto civile", aumentò la discriminazione nei confronti dei neri (nel 1989 vi fu anche una breve guerra con il Senegal proprio a causa delle continue violazioni dei diritti, che portò ad una massiccia espulsione della popolazione nera verso il Senegal). Lentamente anche in politica estera vi fu un progressivo allontamento dal blocco dei paesi islamici a favore delle relazioni con gli Stati Uniti. Nel 1999 la Mauritania riconobbe diplomaticamente Israele, in contrastro con tutti i paesi islamici. Il 3 agosto 2005 un golpe depose Taya (in esilio in Qatar), accusato di totalitarismo. A guidare il paese fu Ely Ould Mohamed Vall, che rifiutò il titolo di presidente (in quanto destinato ad una persone eletta) e condusse il paese a libere elezioni che diedero la vittoria a Sid Mohamed Ould Cheick Abdallahi, già Ministro negli anni '70 con Daddah e successivamente negli anni '80 con Taya, che entrò in carica il 19 aprile 2007. Il suo governo riuscì a far approvare una legge contro la schiavitù. Nel suo breve mandato tentò di liberarsi dalla morse che i militari stringevano attorno al governo e il 6 agosto 2008, quando tentò di sostituire i vertici dell'apparato militare, nello stesso giorno fu deposto. A guidare il paese da allora è Mohammed Ould Abdel Aziz (nel luglio 2009 è stato eletto), già coinvolto nel golpe del 2005, che continua ancora oggi ad affrontare la difficile convivenza tra arabi e neri del paese e la spartizione (il controllo) del potere (e dell'economia) da parte dell'apparato militare. Il 13 ottobre scorso è stato ferito in un tentativo di assassinio.

La Mauritania, paese di confine tra l'Africa e il Mediterraneo, nonostante la vastità del suo territorio non ha una grande influenza geopolitica e sembra che ciò che avviene all'interno dei suoi confini interessi veramente a pochi.


Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

martedì 27 novembre 2012

Balafon, lo xilofono d'Africa

Il balafon è uno strumento, tipico dell'Africa Occidentale (usato anche in Africa centrale), che può essere assimilato ad uno xilofono. E' classificato tra gli strumenti idiofoni a percussione. Il nome deriva dalla lingua mandinka (balan è in nome e fo è il verbo suonare). In altre lingue è chiamato bala, balagi, giyl o palaku. La sua caratteristica è che la cassa di risonanza, posta al di sotto di un gruppo di fasce di legno o di bambù (in ordine decrescente dai più grandi ai più piccoli), è composta da una serie di zucche svuotate (calabasse), generalmente 12, di diverse dimensioni. Le zucche vengono perforate e i fori sono ricoperti con delle sottili membrane, originariamente con la tela di una particolare specie di ragno o con ali di pipistrello, poi con cartine di sigaretta e solo recentemente con pellicola di plastica. I "tasti", che in alcune zone sono ricavati da un particolare albero che è chiamato "nufiaram" che significa buon suono, vengono poi percossi da bacchette di legno, ricoperte con pelle di capra.
Normalmente i balafon sono accordati su scala pentatonica (5 note), sebbene alcuni anche in scala diatonica (7 note). Ovviamente queste questioni tecniche le lasciamo agli esperti!.
Il balafon è molto simile ad uno strumento della tradizione sud americana, il marimba, tanto che alcuni studiosi fanno risalire lo strumento del nuovo continente all'arrivo degli schiavi africani (per dovere di cronaca, alcuni sostengono pure che i due strumenti si siano sviluppati indipendentemente nelle rispettive aree).

Fonti storiche (viaggiatori nord africani che si spingevano verso sud) risalenti al XII secolo, ovvero durante l'epoca dell'Impero del Mali, fanno datare questo strumento come uno dei più antichi dell'Africa. A partire dal XVII secolo sono invece i viaggiatori europei a descrivere questo strumento.
dal sito di Gert Kilian
Nel 2001 l'UNESCO ha inserito tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità il contesto culturale attorno al Balafan di Sosso Bala, uno strumento a 20 tasti, datato 800 anni, avente secondo la tradizione poteri magici e custodito dalla comunità della cittadina di Niagassola nella Guinea.
Infatti in molte cultura dell'Africa Occidentale il balafon è ritenuto uno strumento sacro e pertanto suonato solo da persone che hanno avuto una particolare formazione (iniziazione) religiosa.
Nel 2011 anche il contesto culturale del Balafon dei Senufo (etnia del Burkina Faso, della Costa d'Avorio e del Mali) è stato inserito tra i Patrimoni della Tradizione orale dell'UNESCO.
Il ruolo del balafon tra le culture dell'Africa Occidentale è sottolineato anche dal fatto che esso, assieme alla kora (strumento a corde) e allo n'goni (una sorta di banjo) è uno degli strumenti associati alla cultura dei griot: musicisti, cantastorie e detentori della tradizione orale di molti popoli dell'area.



Il balafon è stato "riscoperto" in Europa e nel Mondo a partire dagli inizi degli  anni '80, quando il diffondersi della world music (e della musica etnica) ha fatto scoprire al mondo le sonorità di questo particolare strumento.

Oggi tra i musicisti africani che usano questo strumento, vale la pena segnalare alcuni come Mory Kantè, Keletigui Diabatè (inseparabile compagno di Habib Koitè), Baba Sissokò, Yayà Diabatè e Rokia Traore.

Vi segnalo il sito del balafonista tedesco Gert Kilian, in cui oltre a trovare informazioni sullo strumento (comprese le modalità costruttive), si possono ascoltare alcuni brani

Vai alla pagina di Sancara sugli Strumenti musicali dall'Africa

lunedì 26 novembre 2012

La schiavitù non è finita: il dramma degli Haratine

dalla rete
La schiavitù nel mondo non è affatto finita. Talvolta a noi capita di leggere e conoscere di situazioni - anche nei nostri civilissimi paesi - che richiamano alla mente immagini che alcuni credevano appartenere solo ai ricordi sbiaditi di vecchie foto o di dipinti d'epoca. La realtà è immensamente più crudele. Uomini, donne e bambini del nostro pianeta nascono, sopravvivono e muoiono schiavi. In alcuni luoghi del pianeta, tutto ciò avviene nella quasi totale indifferenza.
In Mauritania ancora oggi uomini e donne vivono con le catene. Sebbene la schiavitù sia stata abolita la prima volta nel 1905 (in Francia, quando la Mauritania era una colonia francese) e una seconda nel 1981 (a seguito dei primo golpe nel paese avvenuto nel 1979), solo nel 2007 (non è un'errore!) è stata promulgata la prima legge che criminalizza tale pratica. La legge fu il frutto della presidenza di Sidi Abdallahi, l'unico nella storia del paese, democraticamente eletto. Legge che, anche a seguito del golpe dell'agosto 2008, non è mai realmente applicata e se mai è possibile, la situazione è peggiorata.

In Mauritania, terra di confine tra il mondo arabo e l'Africa Nera, i contrasti tra la comunità araba e quella nera sono oramai datati secoli. La schiavitù si inserisce - sfruttandone anche le contradizioni - tra l'aspetto sociale che tiene in vita pratiche disumane e si fonda su un rigido sistema di caste e gli aspetti razziali che coinvolgono l'intero paese: tutti gli schiavi sono neri. Si calcola che circa 600 mila uomini, donne e bambini sono costretti a lavorare, non remunerati, per i "bianchi" (bidhan, arabi).
Gli Haratine (plurale di Hartani) sono gli "affrancati", ovvero coloro i quali, pur nominalmente, non più schiavi (in realtà la distinzione tra le due categorie è pressocchè inesistente), vivono in condizioni pietose, senza diritti e rappresentano l'ultimo gradino di un sistema rigido di gerarchie sociali. Di fatto sono il 60% della popolazione della Mauritania.
Le motivazioni per cui non ci si ribella è che la schiavitù è prima di tutto una condizione mentale, per cui il sottomesso accetta condizioni inumane consapevole che una richiesta di rivendicazioni potrebbe portare addirittura ad una situazione peggiore. I schiavi che un tempo lavoravano nelle campagne sono oggi domestici, autisti, operai che vengono non pagati o sottopagati, costretti a sopravvivere, senza istruzione e senza nessun diritto.

I movimenti contro la schiavitù nel paese - che risalgono agli inizi degli anni '80 con la nascita del partito FLAM (Forces de Liberation Africain de Mauritanie)- vengono costantemente repressi e i loro leaders incarcerati.  Mentre la comunità internazionale chiude entrambi gli occhi.

E' una situazione avvilente, che evidenzia ancora una volta come nel nostro mondo pieno di contraddizioni, una parte considerevole dell'umanità vive come se la lunga storia del progresso delle nostre società non sia mai stata percorsa. Diritti che per noi appaiono elementari per molti non sono mai stati neppure pensati.
L'amarezza è che tutto ciò avviene sotto i nostri occhi.


Ecco il sito di IRA-Mauritania - ufficio italiano, nato nel novembre 2011
Ecco un articolo dal sito dell'Osservatorio Internazionale per i Diritti, mentre quest'altro, firmato da Mohamed Yahya Ould è un saggio sulla Schiavitù in Mauritania, che per quanto datato 2002, inquadra molto bene il problema

venerdì 23 novembre 2012

L'ultima guerra del Kivu

Popolazione in fuga da Goma, foto dalla rete
Oramai è guerra franca. Se ne sono accorti tutti, ne parlano i giornali e perfino le televisioni nazionali. Da quando i ribelli del M23 hanno conquistato la città di Goma, in Kivu è tornato, per una parte del mondo, ad esistere. Certo non è che prima in quella regione della Repubblica Democratica del Congo (paese grande quanto metà dell'Unione Europea, con 72 milioni di abitanti) le cose andassero bene e la popolazione vivesse in pace e prosperità (proprio una decina di giorni fa Sancara aveva pubblicato questo post sulla mattanza nel Kivu). La regione, che si trova al confine con Burundi, Ruanda ed Uganda, è nel caos più totale a partire da metà degli anni '90, quando nel corso del genocidio del Ruanda (iniziato il 6 aprile del 1994) si riversarono in massa nel paese prima i profughi (Tutsi e Hutu moderati) e successivamente gli stessi autori del massacro ruandese.
Da allora per la popolazione del Kivu è iniziato un calvario inaudito, in cui le peggiori tecniche di guerra prodotte dal genere umano sono state applicate in modo sistematico. Torture, stupri di massa, mutilazioni, costrizione alla schiavitù, arruolamento di bambini soldato, omicidi e distruzioni e saccheggi di ogni genere. Sono oltre 5 milioni le vittime in questi 18 anni.

Provare a far ordine tra i vari gruppi sul campo, che nascono come funghi (si parla oggi di 35 diverse fazioni in gioco) tra i vari carnefici che a turno si sono messi alla guida di questi o di quelli, è un'impresa titanica e che alla fine porta, forse, a poco. Oggi il mondo intero parla di M23 (che non è altro che la data del 23 marzo 2009) quando fu siglato uno degli innumerevoli accordi tra il governo e il CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) e che prevedeva il reintegro dei ribelli (tutti di "etnia" tutsi) nell'esercito "regolare", cosa mai avvenuta anche perchè sostanzialmente non voluta.

I nomi di Bosco Ntaganda (soprannominato Terminator), Sultani Makenga, Sylvestre Mudacumura e Vianey Kazarama a noi non dicono nulla. Ma per chi ha visto l'intera famiglia sterminata per mano degli uomini da loro guidati, questi nomi evocato paura, terrore e rabbia. Tutti sono ricercati dalla giustizia internazionale, che francamente in un luoghi dove qualsiasi sistema democratico e amministrativo è saltato, conta veramente poco.

La regione del Kivu è una miniera. Nel suo straordinario paesaggio (le sue terre e le sue montagne ospitano meravigliosi parchi più volte violati e devastati) nasconde stagno, tantalio (coltan), tungsteno, zinco e oro (ecco un post di Sancara che commenta un rapporto delle Nazioni Unite su questo tema) oltre che di legname. Il controllo di queste risorse è all'origine di qualsiasi cosa.

Un recentissimo rapporto (ecco un articolo pubblicato oggi su Atlas) delle Nazioni Unite ha evidenziato, con ricca documentazione, cioè che da sempre si diceva. Dietro a questi gruppi di assassini vi sono il Ruanda e l'Uganda. Che in cambio di una abbondante fornitura di armi (i gruppi sono tutti ben armati) riceve i minerali che vengono poi immessi nel mercato "normale" (non dimentichiamo che gran parte dei minerali sono usati nella nostra industria dell'elettronica) traendo enormi profitti. Ad essere chiamato in causa nel rapporto è direttamente il Ministro della Difesa ruandese.
Sintetizzando e semplificando molto la situazione, il Ruanda intervenne massicciamente nel Kivu subito dopo il genocidio del 1994, favorendo la costituzione di gruppi armati che avevano lo scopo dichiarato di scovare e "vendicarsi" di coloro i quali avevano compiuto il massacro in Ruanda. Gli stessi ruandesi contribuirono in modo deciso alla cacciata nel 1997 di Mobuto nell'allora Zaire e alla presa di potere di Laurent Kabila (sono coinvolti anche nella sua morte). Negli anni questi obiettivi sono cambiati e oggi l'interesse primo è quello economico, con la chiara intenzione di estendere, nei fatti, il proprio dominio territoriale al Kivu e controllare così ricchezze di cui il Ruanda è privo. Il Ruanda da tempo figura come esportatore di materie che non possiede, nell'assoluta complicità del resto del mondo. Molte delle aziende europee che trattano coltan o altro, hanno sede a Kigali.
L'operazione in corso (l'avanzata) sembra avere proprio l'obiettivo di svuotare, con la forza, il territorio.

Chi rischia di uscire politicamente sconfitta da questa situazione sono proprio le Nazione Unite, che seppur presente nell'area con oltre 16 mila uomini, non è assolutamente in grado di tutelare le popolazioni civili ne quantomeno di impedire gli innumerevoli eccessi. Ancor meno l'ONU sembra capace oggi di bloccare i burattinai di Kigali e di Kampala di questo caos.
Chi sicuramente paga una prezzo inaudito è la popolazione civile del Kivu, costretta continuamente alla fuga tra dolore e disperazione per le violenze. Solo in queste ore di parla di centinaia di migliaia di persone (molte donne e bambini) in fuga, tanto che l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha lanciato un appello ai governi per non chiudere le frontiere.

Se non si interviene sulla vendita (e sull'acquisto) delle materie prime provenienti dalla regione dei Grandi Laghi, la situazione difficilmente potrà migliorare.


martedì 20 novembre 2012

Solwa: l'acqua potabile dal sole

Solwa è l'acronimo di Solar Water, che detta così, forse, dice poco. Solwa è anche il nome di una giovanissima azienda veneziana, nata nell'incubatore del Parco Scientifico e Tecnologico Vega di Venezia e che pochi giorni fa si è aggiudicata l'ambizioso premio Marzotto "Impresa per il futuro" per aver proposto il progetto "più ecologico, efficiente ed economico". L'idea dei giovani (media 30 anni) impreditori (ed inventori) è di una semplicità imbarazzante e di una potenza innovativa tale da poter cambiare, se ben canalizzata, lo sviluppo dell'umanità. Non a caso, già prima del premio  le Nazioni Unite avevano giudicato il sistema Solwa tra "le dieci migliori idee sostenibili per lo sviluppo".
dal sito di Solwa
In estrema sintesi l'idea (già positivamente sperimentata in Sud America e Burkina Faso) dei giovani veneziani è quella di depurare l'acqua con il sole, ovvero attraverso un sistema di serre, che sfruttano energia solare, ricavare acqua potabile dall'evaporazione di acqua salata o inquinata. In parole prove si forza il ciclo naturale dell'acqua favorendo l'evaporazione e la successiva condensazione. Il sistema, come ha avuto modo di sottolineare in un'intervista il suo ideatore, Paolo Franceschetti, un chimico laureato all'Università di Ca' Foscari di Venezia, nasce da una sua intuizione "mentre guardava bollire l'acqua della pasta". Sembra la storia di un inventore di altri tempi!
Il sistema oltre che per la potabilizzazione è applicabile anche ad altre tecniche come l'essicazzione alimentare, la diminuzione dei volumi dei fanghi e la distillazione. 
Il sistema è economico (sfrutta l'energia solare) ed è praticamente esente da manutenzioni una volta installato (cosa in Africa assolutamente necessaria dato la difficoltà, in molte zone, a reperire pezzi di ricambio)

In questo blog abbiamo più volte parlato di acqua in Africa (recentemente parlando di Lifestraw, le cannucce depuranti). Acqua che come abbiamo avuto modo di sottolineare in alcuni luoghi del pianeta è un incubo. Trovarla è sempre più difficile e, quella che si trova, è inquinata. Essa (assieme alla mancanza di servizi igienici adeguati) è causa dell'80% della patologie mortali tra i bambini in Africa.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità classifica appunto una generica Diarrhoeal Disease come la seconda causa di morte nel mondo per bambini sotto i 5 anni, con 1,5 milioni di morti e due miliardi di casi. Insomma semplificando molto in Africa i bambini muoiono soprattutto a causa di infezioni (spesso ricorrenti) dovute alla contaminazione dell'acqua da parte di feci. Un ciclo malsano di contaminazione ed infezione che stronca fisici già compromessi da sottoalimentazione e altre patologie. E' chiaro che l'acqua pulita è (e deve continuare ad essere), assieme alla lotta alla povertà, il punto centrale della lotta contro l'elevata mortalità infantile.

Dai dati degli istituti internazionali di ricerca sappiamo che il nostro pianeta ha moltissima acqua, ma il 97,5% di essa è salata. Solo il 2,5% dell'acqua della Terra è dolce (di essa il 70% è ghiaccio). In definitiva abbiamo a disposizione circa lo 0,02% dell'acqua del pianeta. Vi è un grande problema: quest'acqua è molto mal distribuita, poichè circa 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua dolce.

Infine solo nel luglio 2010 le Nazioni Unite hanno riconosciuto l'acqua come "un diritto fondamentale ed inviolabile dell'uomo". Questa affermazione - non scontata per tutti - autorizza ad investire e indirizzare la ricerca verso soluzioni che garantiscano l'accesso all'acqua potabile.

Ecco perchè il lavoro e le idee di Solwa appaiono del tutto rivoluzionarie e necessitano di essere verificate sul campo e se, come sembra, funzionano diventare lo strumento su cui può poggiare la piattaforma generale per lo sviluppo umano e la chiave di volta per un futuro più equo nel nostro pianeta.
Confidiamo che la comunità internazionale sappia cogliere queste opportunità di innovazione e le trasformi in concreti e importanti atti.

Ecco il sito ufficiale di Solwa

Ecco i post di Sancara sull'acqua: 

lunedì 19 novembre 2012

Parco Nazionale Bamingui-Bangoran

dalla rete
Il Parco Nazionale Bamingui-Bangoran è un parco istituito nel nord della Repubblica Centroafricana, a poca distanza dal confine con il Ciad (in realtà in una piccola area  ad ovest il parco funge proprio da confine),  nel 1993. Si estende su di un'area poco superiore al milione di ettari e su di un altopiano sito tra i 400 e i 500 metri di altitudine. E' attraversato dai fiumi Bamingui e Bangoran, che insieme costiuiscono il fiume Chari, il maggior immissario (95% delle acque) del sofferente Lago Ciad.
La riserva ha un'ampia varietà di habitat che vanno dalla foresta tropicale alla savana arbustiva. All'interno il fiume determina un sistema complesso di foresta pluviale e di raccolta di acque che favoriscono la presenza di alcune tipologie di animali. Vi è una lunga stagione delle piogge (tra maggio e ottobre) seguita da una stagione secca (da novembre a gennaio) , mentre già da febbraio vi sono precipitazioni minori. Tra gli animali più a rischio estinzione presenti nel parco è bene ricordare la presenza del licaone  (secondo alcuni studi oltre 200 esemplari nel parco), dei ghepardi, del leone e del Manato africano (una sorta di tricheco che vive nei fiumi). Nella riserva vivono poi un alto numero di altri mammiferi come le giraffe, i leopardi, i babbuini, i bufali e una varietà di antilopi. Inoltre si possono vedere una grande (vicino alle 400 specie) varietà di uccelli (ecco la scheda sul parco della Birdlife International) e di anfibi.
Nel 1979 l'area è stata inserita all'interno delle Riserve della Biosfera dell'UNESCO e sin dal 1988 gode di un'assistenza dell'Unione Europea.

La presenza umana - che appartiene alla stessa idea delle riserve della biosfera -  costituisce oggi un problema per l'area. Infatti oltre agli insediamenti umani, che utilizzano le risorse interne per la loro sussistenza, la necessità di terreni agricoli e di pascoli preme sulle aree periferiche della riserva. Inoltre vi sono concessioni per l'utilizzo del legname delle foreste e per le ricerche minerarie (uranio, oro, diamanti e ferro) - in mano ad aziende straniere - che entrano fortemente in contrasto con le necessità di tutela dell'ecosistema. L'assenza di un managment solido poi, contribuisce ad accrescere i pericoli per il parco. Infine, l'assenza dello stato e la vicinanza del confine, favorisce l'abbattimento illegale degli animali (per ricavarne parti o per trofei di caccia) da parte di uomini senza scrupoli.

Ecco la scheda APAAT (Aree Protette Africane assistite dalla Comunità Europea) sul Parco
Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

giovedì 15 novembre 2012

Continua, indisturbata, la mattanza nel Kivu

dalla rete
E' di soli pochi giorni fa l'ultimo rapporto del United Nations Joint Human Rights Office (UNJHRO) che descrive, nei dettagli, l'ennesima violazione dei diritti umani (si parla nel periodo aprile-settembre 2012 di 264 civili, molti dei quali donne e bambini, barbaramente uccisi) da parte dei vari gruppi, e gruppuscoli, di miliziani nel territorio Masisi nel Nord Kivu. Le situazioni investigate dalle Nazioni Unite chiamano in causa gli uomini delle milizie Raia Mutomboki (un gruppo auto-organizzato il cui nome in swahili significa "uomini arrabbiati", sorto nel 2005, composto da uomini di etnia Tembo, Hunde e Rega), di quelle Mayi Mayi Kifuafua (in swahili "persone orgogliose che si battono il petto") e del Democratic Forces for the LIberation of Rwanda (FDLR), che sono di fatto gli autori, di etnia hutu, del genocidio del 1994 in Ruanda fuggiti nella Repubblica Democratica Congo. I gruppi miliziani Mayi Mayi sono nati originariamente in modo spontaneo per contrastare appunto i massacratori del Ruanda, che scappati nel Kivu, riorganizzavano le milizie dai campi profughi. Molti dei leaders dei gruppi Mayi Mayi sono militari che si sono rifiutati (o a volte hanno ammutinato) di entrare nell'esercito "regolare" del Congo (il FARDC, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo), convinti dell'incapacità di questi di difendere le popolazioni (oggi infatti essi attaccano i villaggi al grido "ritornate in Ruanda"). E' chiaro che il genocidio del Ruanda e l'arrivo prima dei profughi ruandesi e poi degli stessi autori dei massacri, è stato la causa della totale instabilità del area del Kivu e al tempo stesso l'origine della cacciata del dittatore Mobutu (1997) dal paese. Kabila che scalzò Mubutu fu appoggiato fortemente dal Ruanda (oltre che dall'Uganda) proprio allo scopo di contrastare la riorganizzazione degli hutu nella regione del Kivu. Bisogna anche sottolineare come l'esercito regolare della Repubblica Democratica del Congo, sia realmente debole e incapace di controllare il territorio.

dalla rete
In realtà nel corso del tempo gli intenti originali sono stati stravolti e la questione centrale è diventata la protezione degli ingenti denari che si ricavano dalle innumerevoli risorse che quel territorio offre. 
Come si evince dell'agghiacciante rapporto (è da ricordare che dal 2000 nell'area sono presenti oltre 16 mila uomini della missione di pace MONUSCO delle Nazioni Unite), le scorribande e i massacri nei villaggi sono all'ordine del giorno e le modalità di attacco sono simili tra tutti i gruppi. Modalità analoghe, del resto, a quelle attuate durante il genocidio del Ruanda: l'uso del machete, attacchi ai luoghi di culto, stupri e brutali omicidi assieme agli altri elementi classici dei conflitti africani: arruolamento forzato di bambini, mutilazioni e svuotamento dei territori.
Dietro a questa apparente questione "etnica", si cela appunto uno degli affari globali più ampi del pianeta (si vede questo rapporto delle Nazioni Unite del 2011 che prova a quantificare gli importi in gioco). Il sottosuolo del Kivu, ricco di coltan, rame, diamanti, zinco, cobalto, stagno e oro, oltre che della preziosa foresta, alimenta milizie di ogni genere (se ne contano oltre una trentina e ognuna delle quali a volte controlla una singola miniera) e permette a paesi privi di tali risorse, come il Ruanda, di controllare il mercato (in cambio di armamenti ai vari gruppi di autodifesa, che hanno anche lo scopo di contrastare le milizie hutu). A loro volta le milizie del FDLR sono armate oltre che dalla risorse, anche da ruandesi che oggi vivono in Africa, in Europa e negli Stati Uniti. 
Bisogna essere chiari mentre in quell'area a pagare le conseguenze maggiori sono le popolazioni civili, che contano meno dell'erba che si calpesta, che quando non vengono massacrate sono costrette a fuggire, a beneficiare delle ricchezze e dei traffici illegali (il caos, la guerra e l'anarchia favoriscono il molto più lucroso traffico illegale) siamo noi. La nostra vita quotidiana, che dipende dai materiali che vengono usati nei nostri telefonini, nei nostri computer e in molte delle cose che gelosamente e orgogliosamente possediamo, è intrisa del sangue e delle lacrime dei congolesi.

Sui Raia Mutomboki vi segnalo questo post dal Blog Congo Siasa

mercoledì 14 novembre 2012

Rinoceronte nero, a critico rischio di estinzione

Il Rinoceronte Nero (Diceros bicornis) è originario dell'Africa centro-orientale e, a dispetto del nome, è di colore grigio e non è facilmente distinguibile, dal colore, dal suo stretto parente, il Rinoceronte Bianco.
Il Rinoceronte è un'icona africana, come gli altri animali appartenenti al gruppo dei "big five" (leone, leopardo, elefante e bufalo).
Complessivamente (sono quattro le sottospecie) il Rinoceronte Nero è stato, a partire dal 1996, classificato dall'IUCN (il massimo organismo mondiale per la conservazione della natura) tra le specie a critico rischio di estinzione. Infatti, nel 1995 furono censiti nel continente 2410 rinoceronti neri (ovvero il 97,6% in meno rispetto alle due generazioni precedenti). Nel 2010, anche a seguito di alcuni programmi di conservazione, il numero è aumentato a 4880 esemplari. E' da notare che secondo alcuni studi i rinoceronti neri erano all'inizio del secolo scorso oltre 850 mila e nel 1960 circa 100 mila. Resta però una situazione difficile a causa del bracconaggio il quale stermina questi animali per utilizzarne i corni. I corni di rinoceronti sono usati nella medicina tradizionale cinese e similmente all'avorio per ricavarne oggetti ornamentali. Negli ultimi decenni si è diffusa la credenza (non supportata scientificamente) di un'azione antitumorale della polvere dei corni, la quale ha fatto aumentare il mercato illegale.
Erano 4 le sottospecie di rinoceronte nero, che si differenziano essenzialmente dalla forma e dimensione del corno oltre che dal labbro, una di esse si è recentemente estinta.
Da Wikipedia (marrone=nativo, rosa=reintrodotto, nero=estinto)
La più numerosa è la sottospecie del Rinceronte Nero Centro-Meridionale (Diceros bicornis minor) che sebbene classificata come criticamente a rischio estinzione, è in lento e leggero aumento di popolazione. Infatti nel 1950 si contavano 1300 esemplari, alla fine del 2010 sono stati censiti 1684 individui. Un tempo l'habit si estendeva dalla Tanzania alla Namibia, oggi vive in Sudafrica e Zimbabwe, con qualche elemento in Swaziland e Tanzania. 
Un'altra sottoscepecie è il Rinoceronte Nero Sud-Occidentale (Diceros bicornis bicornis) è l'unico della famiglia classificato dall'IUCN come vulnerabile, poichè il suo numero, dopo aver toccato gli 890 esemplari nel 1995 è oggi giunto a 1920 ed è stato reintrodotto, con successo in Sudafrica. La maggioranza degli esemplari vive oggi in Namibia.
Il Rinoceronte Nero Orientale (Diceros bicornis michaeli) è invece il più raro della famiglia. Sono stimati circa 740 esemplari (in Tanzania e Sudafrica), sicuramente in aumento rispetto ai 498 del 2001. E' una specie a critico rischio di estinzione.
Lo scempio..... dalla rete
Infine, è stata dichiarata estinta "sperimentalmente" l'8 luglio 2006, la sottospecie di Rinoceronte Nero Occidentale (Diceros bicornis longipes). Gli ultimi esemplari erano presenti in Camerun, ma dopo aver sperato per lungo tempo (nel 2000 erano stati contati 10 esemplari) che qualche esemplare si fosse salvato (da cui la prima definizione di sperimentale), nel novembre 2011, ci si è dovuti arrendere all'evidenza: il rinoceronte nero era sparito dall'Africa occidentale. 

L'avidità umana, che trova in questo caso declinazione con il bracconaggio illegale, assieme alla difficoltà di contrastare sul campo e legalmente questo scempio, ha privato l'umanità di una specie animale sopravvissuta per millenni (la sua struttura è decisamente antica) e che, con la sua gigantesca mole, occupava gran parte delle savane dell'Africa centro-occidentale.

Ecco la scheda della Lista Rossa dell'IUCN del Rinoceronte Nero
Ecco la pagina dell'International Rhino Foundation
Ecco il Rapporto Annuale 2011 sulla situazione dei Rinoceronti nel Mondo
Ecco la pagina dell'African Rhino Project, per la conservazione di questi animali
Foto del rinoceronte nero su ARKive

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lunedì 12 novembre 2012

Popoli d'Africa: Tutsi

I Tutsi (conosciuti anche come Watussi) sono una popolazione di circa 2,5 milioni di persone che vivono in Ruanda, Burundi e una piccola comunità nella Repubblica Democratica del Congo.
I Tutsi, assieme agli Hutu e ai Twa (che sono un popolo di origine pigmea, sebbene oggi da un punto di vista somatico non facilmente distinguibile) rappresentano le tre etnie che abitano il Ruanda e il Burundi. Gli Hutu sono maggioranza, mentre i Tutsi costituiscono, a seguito del colonialismo, una elite economica e sociale.
I Tutsi sono tristemente conosciuti nel mondo per le loro rivalità "etniche" nei confronti degli Hutu, che sono sfociate nei fatti noti come il genocidio del Ruanda, scoppiato il 6 aprile 1994, in cui morirono, in 100 giorni, circa un milione di Tutsi e di Hutu moderati per mano di estremisti Hutu. Ben prima, a partire dal 1965 i due gruppi si sono affrontati nel sangue.
Ad oggi non vi sono prove evidenti che Hutu e Tutsi siano due etnie diverse. Alcuni studiosi sostengono che si tratti solo di due classi sociali diverse che hanno sviluppato attitudini e comportamenti diversi (e quindi cultura, professioni e potere economico diverso) e che appartengono tutti allo stesso gruppo bantu, che sottomise l'etnia di pigmei Twa, già presenti nell'area prima del loro arrivo. Perfino alcuni tratti fisici, come l'altezza, sono fortemente influenzati dall'alimentazione.
Recenti studi genetici hanno dimostrato un'estrema similitudine tra i due gruppi.
Di fatto, indipendentemente dalla seppur importante questione antropologica-genetica, dal XV secolo in cui i Tutsi e gli Hutu giunsero (erano tradizionalente pastori e agricoltori) in un'area già abitata dai pigmei Twa e fino al XIX secolo non vi sono stati attriti tra le due comunità, che condividevano molte cose, tra cui la lingua.
Immagine emblema del genocidio ruandese (dalla rete)
La situazione sulle differenze etniche tra i due gruppi, nacque con il colonialismo (prima quello tedesco e poi quello belga), questo è l'unica cosa che mette d'accordo tutti gli studiosi. A partire dagli anni venti, quando i belgi subentrarono, a seguito della prima guerra mondiale, ai tedeschi, decisero di privilegiare la minoranza tutsi, in particolare nella formazione scolastica, nella pubblica amminstrazione e negli incarichi politici. E' questo il punto in cui si data l'inizio della discriminazione degli hutu. Già nel 1957 alcuni intellettuali hutu scrissero quello che è conosciuto come il "manifesto Bahutu", in cui si sottolineava il monopolio sotto il profilo politico, economico e sociale dei tutsi - identificando nella loro azione un nuovo colonialismo - e si invitava ad una rivendicazione del popolo hutu. Tale tesi è alla base di tutti gli scontri che a partire dagli anni '60 hanno innescato gli scontri tra i due gruppi e hanno fatto crescere l'odio che è sfociato nel genocidio del 1994.
Vi è poi il fatto, che contrariamente a quanto si possa immaginare, i matrimoni misti tra i due gruppi sono stati sempre molto frequenti, contribuendo ad annullare ancora di più le differenze.

Quello che è accaduto nel 1994 - che molti hanno liquidato come l'estremizzazione africana del conflitto etnico - non ha nulla a che vedere con i temi razziali, ma trova la sua origine in una lunga storia di rapporti di forza, politici, sociali ed economici, che hanno visto protagoniste le forze coloniali. La responsabilità dell'orrenda strage della primavera del 1994 è da iscrivere a chi ha privilegiato gli uni a discapito degli altri, a chi ha visto ed ha taciuto, a chi ha favorito il crescere di un odio profondo e irrazionale ed infine a chi poteva intervenire e non l'ha fatto.

Tra le tante cosa da leggere, per approfondire i fatti del 1994, vi segnalo il libro del Procuratore Silvana Arbia "Mentre il mondo stava a guardare", una straordinaria testimonianaza di chi ha indagato per conto della Corte Penale Internazionale.


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mercoledì 7 novembre 2012

Habib Koitè

Habib Koitè, nato in Senegal (il padre lavorava alla costruzione della ferrovia che unisce il Senegal al Niger), ma di fatto maliano, è un musicista nato nel 1958. Solo 6 mesi dopo la sua nascita la famiglia ritorna in Mali. Originario di una famiglia di griot (musicisti, cantastorie e tenutari della tradizione orale nelle culture dell'Africa Occidentale), cresce seguendo la madre, anch'essa griot, che suona e canta negli eventi (matrimoni, funerali e feste) e impara a suonare la chitarra, da autodidatta, con cui inizia ad accompagnare, musicalmente, la madre. Matura uno stile che assieme alla tradizione attinge dal blues. A vent'anni, quando sembra avviato agli studi di ingegneria, viene convinto a frequentare il National Institute of Arts (INA) di Bamako. Si diploma nel 1982 ma, in quei quattro anni ha modo di affinare la sua tecnica, miscelando oltre al blues anche elementi tratti dalla chitarra flamenca, e di suonare con altri giovani musicisti maliani, come Toumani Diabatè. Grazie al suo talento inizia ad insegnare chitarra presso lo stesso istituto.
Nel 1988 forma il suo primo gruppo, chiamato Bamada, frutto della collaborazione con giovani musicisti maliani (tra cui Keletigui Diabatè al balafon), alcuni dei quali amici fin dall'infanzia. Il loro percorso musicale li porta prima a vincere, nel 1991, un premio al Festival di Perpignan in Francia (da cui ottengono i soldi per finanziare incisioni di singoli che diventano molto popolari in Africa occidentale) e successivamente, a partire dal 1994, ad intraprendere il primo tour in Europa.
Nel 1995 incide il suo primo album, Muso Ko che lo lancia definitivamente nel panorama della World Music europea.
 


Da allora Habib è diventato un apprezzato artista che frequenta con regolarità i Festival europei. Nel 1998 ha inciso il suo secondo album Ma Ya e nel 2000 ha suonato con lo storico gruppo dell'Art Ensamble of Chicago. A lavorato e inciso con i grandi del blues come Eric Bibb e Bonnie Raitt. Con il suo gruppo continua a suonare (molto) in giro oramai per il mondo e a incidere (meno) album (l'ultimo Afriki è del 2007). Ha inciso anche a favore dell'UNICEF.

Il suo stile di suonare la chitarra è molto particolare (lascio agli esperti le discussioni sulle scale pentatoniche) e risente anche dell'influenza dell'uso degli strumenti musicali della tradizione. Habib, canta in francese, inglese, spagnolo e bambara, la lingua della sua etnia. Il suo carisma, la sua carica e il suo entusiasmo ne hanno poi fatto uno straordinario personaggio. Ecco la pagina a lui dedicata sul sito Playing For Change.

Ecco quanto Habib ha dichiarato, pensando al suo Mali (riporto la traduzione dal sito Musicclub, mentre l'originale è nel suo sito ufficiale):
“Le persone in Africa sono disposte a rischiare la vita per emigrare in Europa o negli Stati Uniti, ma non sono disposte a correre gli stessi rischi per sviluppare qualcosa qui in Africa”. “La vita può essere bella o brutta ovunque tu vivi. Le persone devono capirlo. Anche se il Mali è povero abbiamo ancora una alta qualità della vita: si può andare in giro e sorridere, e qualcuno ti sorriderà a sua volta. Ci ho pensato a lungo e non sono sicuro che i paesi poveri abbiano una qualità della vita inferiore”. 
Come dargli torto.

Ecco il suo sito ufficiale

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martedì 6 novembre 2012

Nelson Mandela sui nuovi rand

Da oggi entrano in circolazione i nuovi rand, la moneta sudafricana, con impresse le immagini di Nelson Mandela.  Madiba, il nome con cui i sudafricani chiamano l'anziano leader (oggi ha 93 anni), comparirà su tutte le banconote (da 10 a 200 rand), mentre i "big five", i cinque animali (leone, rinoceronte, elefante, bufalo e leopardo) oggi sulle banconote sudafricana, troveranno posto sul retro. Annunciato dalla Banca Centrale Sudafricana l'11 febbraio 2012 (data storica per i neri sudafricani), da oggi le monete circoleranno sul territorio sudafricano.

Nelson Mandela, storico leader dell'African National Congress (ANC) e della lotta contro l'apartheid, ha trascorso 27 anni della sua lunga vita in carcere (fu liberato l'11 febbraio 1990) e il 10 maggio 1994 fu il primo Presidente nero eletto in Sudafrica. Restò il carica fino al 1999 quando decise, alla fine del suo primo mandato, di non ricandidarsi. Nel 1993 vinse, assieme all'ultimo presidente bianco del Sudafrica De Klerk, il Premio Nobel per la Pace. La sua grandezza è stata certamente la sua lotta contro la discriminazione razziale (che in Sudafrica ha sempre significato segregazione violenta), ma la sua capacità di mantenere unito il paese evitando inutili e sanguinose vendette, non è stata certamente da meno.

L'eccezionalità dell'uomo Mandela ha portato a questa scelta - diffusa tra i dittatori, ma rara nelle democrazie - di immortalare sulle monete un uomo ancora in vita.

Il rand sudafricano è la moneta ufficiale del Sudafrica fin dal 14 febbraio 1961. Il nome deriva dalla parola Witwatersrand, che significa in afrikaner "spartiacque di acqua bianca". La prima moneta recava l'immagine dell'esploratore olandese e fondatore di Città del Capo, Johan Van Riebeeck. Negli anni '90 il volto di Van Riebeeck fu sostituito dai 5 grandi animali, simbolo dell'Africa.

lunedì 5 novembre 2012

Cinema: Il Re Leone

Il Re Leone (The Lion King) è un film d'animazione, della grande famiglia delle produzioni Disney, uscito nel 1994 (regia di Roger Allers e Rob Minkoff) e che ha come ambientazione la savana africana. Per l'esattezza l'ispirazione dei luoghi è avvenuta a seguito di una supervisione dei produttori e degli sceneggiatori nell'Hell's Gate National Park, un'area protetta nei dintorn i di Nairobi in Kenya. In quel viaggio vi è anche l'origine di una delle più note canzoni (e frasi) del film, quell'Hakuna Matata, che ha fatto divertire i bambini (e non solo) del mondo intero. Si racconta che l'autista che accompagnava il gruppo in Africa cantava in continuazione questo tema degli anni '80. Una canzone, Jambo Bwana, del gruppo musicale Them Mashrooms in cui l'espressione Hakuna Matata (nessun problema, o come tradotto in italiano senza pensieri) ricorre con molta frequenza.

La storia del film è quella della lotta per il controllo della savana che vede coinvolto il re leone Mufasa, il giovane figlio Simba (erede al trono) e il malvagio fratello di Mufasa, Scar


Il film sviluppa la sua storia nel pieno della savana, evidenziandone aspetti della vita quotidiana e personaggi, che ben rappresentano la realtà. Magnifica è la scena iniziale in cui il saggio babbuino Rafiki presenta a tutti gli animali della savana, giunti in massa all'appuntamento, il neonato Simba, figlio del re leone Mufasa e della sua compagna Sarabi.
Gli altri personaggi del film sono Nala, una giovane leonessa compagna di gioco di Simba e destinata ad essere la sua compagna, le malvagie iene Shenzi, Banzai ed Ed, il suricato Timon e il facocero Pumbaa (che salvano il giovane Simba nella foresta) e il bucero Zazu. 

Il film, che nella versione originale aveva musiche di Elton John e Tim Rice, ha saputo affascinare i bambini (e non solo) del mondo intero. Rappresenta anche una delle rare storie della Disney in cui non sono presenti personaggi umani (l'altra è Bambi) e tutto si svolge nel fantastico mondo animale. Un film che racconta molto bene le rivalità e le difficoltà della vita nella savana e che ha avuto il merito di far conoscere al grande pubblico alcuni animali, come i suricati. Per alcuni uno dei più bei film di animazione della lunga produzione della Disney.

Naturalmente non sono mancate critiche e accuse al film. La prima riguarda una certa somiglianza con la storia (anni '50) del giapponese Osamu Tezuka, intitolata Kimba, il Leone bianco mentre la seconda la presenza di alcuni messaggi subliminari inneggianti al sesso (nascosti apparentemente, ma visibili nell'elaborazione cerebrale), che i produttori hanno smentito, affermando che si trattava di una scritta inneggiante gli effetti speciali.

Il film ha avuto due seguiti: Il re Leone II - Il Regno di Simba, uscito nel 1998 e che racconta le vicende, oltre che del regno di Simba e Nala, della seconda generazione di leoni, ovvero la figlia e futura regina  Kiara, e Il re Leone III- Hakuna Matata, uscito nel 2006 e che in realtà ripercorre la storia dle primo episodio, vista però dal punto di vista dei simpatici Timon e Pumbaa.

Ecco il sito ufficiale di Re Leone della Disney
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