lunedì 23 dicembre 2013

Cinema: Venere Nera

Nel 2010 il regista tunisino, naturalizzato francese, Abdellatif Kechiche, presenta alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, il film Venere Nera. Un film basato sulla storia vera di Saartjie Baartman, una giovane khoi khoi (ottentotta) sudafricana, che agli inizi del 1800 viene portata in Europa come mostro da baraccone.
E' un film duro, toccante e intenso che talora colpisce allo stomaco e lascia senza fiato.

Quella della giovane Saartijie (nel film è interpretata dall'attrice cubana Yahima Torres) è una storia che racchiude in se la cattiveria umana, lo sprezzo verso il diverso e il goffo tentativo di un certo mondo scientifico di voler spiegare, attraverso assurde teorie, le differenze (quando non le superiorità) umane.

Il film racconta molto fedelmente la storia di questa piccola donna (era alta un metro e 35), senza nome, che dopo esser rimasta orfana, era stata presa come schiava dalla famiglia Bartman, una famiglia boera di coltivatori vicino a Città del Capo. Nel 1810, il fratello del padrone, riuscì a convincerlo che portare Saartijie (così ribattezzata, "piccola Sara") in Europa ad esibirsi nelle fiere, avrebbe fruttato molto denaro. 

Prima a Londra e poi a Parigi (quando fu venduta ad una addestratore di animali) Saartijie fu esposta, legata ad una catena, come mostro da baraccone. Ad attrarre il pubblico erano e le sue natiche molto pronunciate e enormi grandi labbra (caratteristiche tipiche, sebbene nel suo caso molto accentuate, all'etnia boscimana).
Inutile sottolineare come queste caratteristiche anatomiche stuzzicavano morbosamente gli Europei e soprattutto alcuni ambienti. In particolare  a Parigi ella affascinò, per diverse ragioni, sia le ricche e libertine corti parigine, sia il mondo scientifico. In particolare, il naturalista Georges Cuvier, dell'Accademia Reale di Medicina di Parigi, tentò di dimostrare che "la donna negra" costituiva l'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, giustificando in questo modo l'inferiorità dei neri e la superiorità della razza bianca.


Gli ultimi anni di vita di Saartijie furono una vera discesa negli inferi. Dopo essere stata ammirata da ogni angolo, fu abbandonata da tutti. Malata (sicuramente di tubercolosi e sifilide), dipendente dall'alcol, senza più ritegno e costretta alla prostituzione, morì a Parigi a soli 26 anni (era il 1815) , dopo soli 5 anni di permanenza in Europa.

Alla sua morte ella continuò ad essere oggetto di morbose attenzioni. La sua vagina fu conservata in formalina (usata per dimostrare assurde teorie, come si vede nelle scene iniziali del film), come il suo cervello, il suo scheletro e un calco in gesso ricavato dal suo corpo.

Il film, finisce così, non raccontando l'epilogo di questa assurda storia.

la restituzione dei resti di Saartjie
I macabri resti di Saartijie furono esposti al Museo dell'Uomo di Parigi fino al 1974, quando alcune associazioni di femministe, costrinsero a sospendere questa esposizione. I "cimeli" furono gettati in un magazzino e li restarono, fino a quando nel 1994 Nelson Mandela, da poco Presidente del Sudafrica, chiese ufficialmente alla Francia la restituzione dei resti della giovane boscimana. La battaglia legale durò fino al 2002, quando in una giornata di agosto, i resti della Signora (come Mandela insistette nel chiamare Saartjie) Bartman furono sepolti, con un funerale di Stato, sulla collina di Hankey, protetti da una alta cancellata (a sottolineare che nessuno avrebbe più osservato la giovane da vicino).

A suo nome è stato creato il Saartjie Bartman Centre, che si occupa della violenza sulle donne e sui bambini.

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venerdì 13 dicembre 2013

In memoria di Norbert Zongo

Il 13 dicembre 1998, esattamente 15 anni fa, veniva ucciso il giornalista burkinabè Norbert Zongo. Per molti il nome di uno sconosciuto. Del resto le cronache dall'Africa giungono a noi solo quando si tratta di stragi, genocidi o omicidi importanti, comunque sempre con il contagocce. Zongo poi era un giornalista d'inchiesta in un piccolo paese come il Burkina Faso. Quel paese, ai tempi coloniali chiamato Alto Volta, che Thomas Sankara aveva voluto, prima di essere ucciso, battezzare "il paese degli uomini integri".
Quell'integrità che Norbert, come Thomas, hanno pagato a caro prezzo.

Non credo che in Italia molti dedicheranno un solo pensiero o due righe a quest'uomo e alla sua storia.

Zongo fu ucciso e bruciato assieme ad altre tre persone (tra cui il fratello). Il suo torto era stato quello di voler cercare e raccontare la verità intorno all'assassinio, sospetto, dell'autista (David Ouedraogo) del fratello (Francois) del presidente della Repubblica Blaisè Campaorè (il responsabile della morte di Thomas Sankara che dal 1987 guida il Burkina Faso).
Zongo aveva 49 anni anni quando fu ucciso. Appassionato di giornalismo fin dalla tenera età, aveva studiato all'Università di Lomè in Togo. Scrittore, intellettuale e editorialista, aveva sempre criticato i poteri forti africani e la corruzione dilagante. Nel 1993 aveva fondato il giornale L'Indipendant da cui partivano inchieste e reportage scomodi al sistema di potere dittatoriale instaurato da Campaorè.

Dopo la sua morte Francois Campaorè su indagato e nel 2000 cinque membri della guardia presidenziale furono incarcerati per l'omicidio di Ouedraogo.

A distanza di 15 anni, la verità (e la giustizia) sull'omicidio di Norbert Zongo non è ancora stata svelata.

La questione della libertà di stampa e dell'informazione corretta sono un fatto che deve destare attenzione in ogni angolo del pianeta. In un mondo globalizzato, come è il nostro, uomini e donne che ogni giorno rischiano la loro vita (molti purtroppo la perdono) sono dei baluardi contro le ingiustizie, la corruzione e i poteri forti e indifferenti. Conoscere la verità è l'unica possibilità che abbiamo per difenderci dalla ingiustizie.


Ecco una sua biografia dal sito www.thomassankara.net
Ecco il sito del Centro Nazionale di Giornalismo a lui dedicato
Il cantante ivoriano Alpha Blondy (che già aveva dedicato una canzone a Thomas Sankara) ha dedicato Jounalistes en Dancer a Norbert Zongo.
Ecco il sito di Reporter Without Borders, per una libera informazione

giovedì 12 dicembre 2013

Riserva della Biosfera di El-Omayed

La riserva della biosfera di Omayed è situata in Egitto, non lontano da Alessandria (80 chilometri ad ovest). Si tratta di una dei due parchi naturali egiziani (fu designato tale nel 1981, mentre sono 28 le riserve naturali), costituito da una fascia costiera desertica di 75.800 ettari. Al suo interno, oltre ad una flora rigogliosa, si trovano alcune rare specie di piante (sono 251 le specie vegetali censite, 131 delle quali perenni, tra cui alcune specie a rischio di estinzione). Il territorio è costituito da rilievi calcarei, da dune costiere e da un altopiano interno semi-desertico con alcune oasi, come quella di Moghra.
Si tratta di una fascia costiera desertica dove avvengono spontanei processi naturali di variazione morfologica del territorio: movimento delle dune di sabbia, erosione dovuta al vento e percolazione delle acque piovane.
Le piogge avvengono quasi esclusivamente d'inverno (tra ottobre e febbraio).
Si possono osservare anche 70 specie di uccelli, una trentina di rettili (tra cui tartarughe che si riproducono sulle spieggie) e alcuni mammiferi quali il Fennec, la volpe rossa e la Gazzella dorcade (una specie ritenuta vulnerabile).
Secondo le classificazioni delle Riserve della Biosfera, El-Omayed è suddivisa in una piccola zona centrale (core) di riserva integrale e di ricerca (solo 500 ettari), una buffer area (5000 ettari) dove vi sono anche insediamenti umani e attività economcihe sostenibili e una zona di transizione (70000 ettari) dove si sviluppano attività economiche e residenziali.

Al suo interno ci sono 4 villaggi con circa 4000-5000 abitati (Beduini diventati semi-nomadi), dediti ad un'agricoltura a bassa soglia, quasi tutti vivono nell'area di transizione. 

Nonostante alcuni problemi - realtivi all'acqua che manca e ad alcuni insediamenti turistici nelle vicinanze - l'area resta un ottimo esempio di conservazione di un ecosistema fragile e delicato.

L'area fu inserita dall'UNESCO tra le Riserva della Biosfera nel 1981 e nel 1998 la sua area è stata estesa a quella attuale.


Ecco un report sullo stato ambientale della Riserva
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martedì 10 dicembre 2013

Brenda Fassie, la madonna delle township

Brenda Nokuzola Fassie è stata una cantante sudafricana, nata nel 1964 e morta nel 2004.  La madre le diede il nome di Brenda in onore della cantatante pop-country americana Brenda Lee. Nota anche con il nomignolo MaBrrr o come la "madonna delle towhship".
Nata appunto nella township Lamga di Città del Capo (che nel Sudafrica dell'apartheid significava un'area metropolitana abitata dai non-bianchi), iniziò a cantare a 4 anni accompagnata dalla madre Sarah, una pianista dilettante. A 16 anni fu notata dal produttore Koloi Lebona che la porta con se a Johannesburg, dove inizia a cantare in un trio vocale. Nel 1983 incise il suo primo singolo e a 19 anni, dopo aver formato il suo primo gruppo Brenda and the Dudes, partì per la sua prima tournè in Europa, Stati Uniti e Australia. Nel 1989 incise anche il suo primo album (Too Late for Mama). Diventò, grazie ai suoi brani, un simbolo della lotta contro l'apartheid, ma negli anni '90, una serie di vicende sconvolsero la sua vita. Il divorzio dal marito Nhlanhale Mbambo nel 1991 (sposato nel 1989), pare per violenze domestiche, la morte della madre, l'uso massiccio di cocaina e alcol e la morte per overdose della compagna Poppie la condussero ad una strada senza ritorno.


Riescì ad entrare nel 1995 in una struttura riabilitativa per tossicodipendenti e nel 1996 ritornò alla musica grazie alla collaborazione con il musicista zairese Papa Wemba. In breve diventò un idolo musicale in Sudafrica (un suo bravo venne scelto per la campagna elettorale dell'ANC nel 1999). 
Il suo genere musicale, un misto tra hip hop, kwaito e dance assieme ad elementi della tradizione musicale africana, le permisero di incidere per ben quattro anni consecutivi, il disco più venduto in Sudafrica.

Il 25 aprile 2004 Brenda venne ricoverata in ospedale a causa di quello che sembrava un grave attacco d'asma che la portò ad un arresto cardiaco. Morì il 9 maggio 2004 senza mai riprendere conoscenza.
L'autopsia rivelò una sieropositività all'HIV e una forte assunzione di cocaina, probabilmente tagliata con topicida.
Ai suoi funerali parteciparono il presidente sudafricano Thabo Mbeki e Nelson Mandela che l'aveva sempre molto apprezzata.

Ha lasciato sette album incisi tra il 1989 e il 2004 e un figlio che aveva 19 anni al momento della sua morte.

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lunedì 9 dicembre 2013

Cinque nuovi elementi africani tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità

Si è conclusa sabato 7 dicembre a Baku, in Azeibajian, l'ottava sessione della Commissione per i Patrimoni Immateriali dell'UNESCO. Tra le tante decisioni vi sono state anche l'iscrizione di 4 elementi tra i patrimoni che necessitano di urgente salvaguardia (tra cui uno africano) e di altri 25 elementi da considerarsi patrimoni immateriali dell'umanità (4 di essi sono africani).
Diventano così complessivamente 281 gli elementi iscritti nella lista oltre ai 35 che richiedono urgenti azioni di salvaguardia. Di questi 37 sono in Africa.

cerimonia Xooy (foto dal sito UNESCO)
Tra i patrimoni che necessitano di urgente salvaguardia vi è quello della tradizione Empaako dell'assegnazione dei nomi tra alcune etnie (Batooro, Banyoro, Bakutu, Batagwenda e Banyabindi) dell'ovest dell'Uganda. Tale pratica, risalente al 1500, rischia di essere perduta per sempre.

Le altre iscrizioni tra gli elementi da salvaguardare, decisi a Baku, sono:

- Il pellegrinaggio annuale presso il mausoleo del mistico mussulmano Sidi Cheikh, che avviene in Algeria alla fine di giugno;

- La pratica e la conoscenza della musica Imzad dei Tuareg, una musica che ha anche una funzione terapeutica e che è suonata dalle donne con uno strumento chiamato appunto Imzad. E' praticata tra i Tuareg dell'Algeria, del Mali e del Niger;

- La festa di commemorazione della vera croce di Cristo durante il festival di Maskel (settembre) in Etiopia;

- La cerimonia di divinazione Xooy, che avviene tra i Serer del Senegal, prima della stagione delle piogge.

Nella pagina di Sancara, Patrimoni Immateriali dell'Umanità, è possibile vedere i link ai post sui singoli elementi, via via che essi saranno trattati nel blog.

Nel 2014, la nona sessione della Commissione dell'UNESCO, si terrà in Perù alla fine di novembre.




venerdì 6 dicembre 2013

Nelson Mandela (1918-2013)


Nelson Mandela è stato un grande Uomo. Gli attestati di stima e il dolore per la sua scomparsa si susseguono di minuto in minuto, in ogni angolo del pianeta. Non solo le formali dichiarazioni delle cancellerie e dei governi del pianeta (alcuni forse colpevolmente in ritardo con la storia) ma, e soprattutto, di milioni di cittadini del mondo, che si sono sentiti in dovere di omaggiare il Madiba.

Mandela ha dedicato, e sacrificato, la propria vita per una causa. Lo ha fatto nel modo più totale. Sulla sua storia, sul suo impegno giovanile, sui 27 anni trascorsi in carcere, senza peraltro aver commesso un solo reato,  è stato scritto e saranno scritti fiumi di parole. E' vero, i primi settanta anni della vita di Mandela sono stati intensi e straordinari. Il suo carisma cresceva di giorno in giorno (grazie, bisogna dirlo, anche a tanti amici che tenevano accesa la fiamma della sua lotta) e per le autorità razziste sudafricane è stato impossibile spegnerlo. 

Ma, forse ancor più intensi sono stati gli ultimi vent'anni di Nelson Mandela. Quando, una volta liberato nel 1990 e una volta giunto alla Presidenza (1994), ha saputo tenere unito, e in pace, un paese che, siamo onesti, rischiava di trasformarsi in una carneficina. Ha saputo - e questo è stato un suo vero capolavoro - evitare le vendette e far decollare quel processo, ancora in corso, di un grande paese africano multietnico. Ha saputo contenere lo spirito di rivalsa (anche qui dobbiamo essere onesti, assolutamente legittimo) e incanalare le energie compresse da decenni in una strada di sviluppo e di crescita.

Ha saputo non farsi prendere dalla brama di potere. Finito il suo mandato presidenziale, si è fatto da parte, tra lo stupore e perfino le critiche di molti. Ad ottanta anni ha capito - e questo ne fa un politico quasi unico - che altri dovevano fare, che il suo tempo era finito e che dopo aver sacrificato la sua vita per una causa, che dopo aver vinto, era giunto il tempo di riposarsi.

Certo come tutti gli uomini Nelson avrà fatto i suoi errori, avrà commesso qualche ingenuità o si sarà fidato di chi non lo meritava. Gli storici, nell'approfondire la biografia di quest'uomo, sapranno guidarci tra le mille sfumature di un periodo storico e di una vicenda umana complessa e non sempre limpida.

Certo per il Sudafrica la strada è ancora lunga, la morte di Mandela porrà anche seri problemi all'interno del suo African National Congress (ANC), oramai da tempo in un ciclone di scandali e corruzione, tenuti per ora a freno solo dalla presenza, recentemente solo carismatica, del grande vecchio.

Nelson Mandela ha avuto la forza, la tenacia, la grandezza, il privilegio e perfino la fortuna, si sopravvivere alla propria storia, di riuscire a vedere il frutto, forse ancora acerbo, della sua lotta e del suo sacrificio. Ha avuto il piacere di veder crescere, da osservatore, la propria nazione con quella che egli considerava la sua maggiore ricchezza: il suo popolo. Altri, non solo sono stati eliminati prima, ma spesso non vedranno mai realizzati i sogni e le idee per cui hanno sacrificato la propria vita.

mercoledì 4 dicembre 2013

Buon lavoro, mister Enwezor

Da oggi un nigeriano è alla guida della Biennale d'Arte Visiva di Venezia. Il consiglio di amministrazione dell'Ente ha infatti nominato Okwui Enwezor al guida della prestigiosa istituzione. Nato a Calabar in Nigeria nel 1963, di etnia Igbo, cresciuto a Enugu (città tristemente nota per essere stata la capitale del Biafra durante la guerra di secessione),  negli anni '80 migra negli Stati Uniti, nel Bronx,  dove studia Scienze Politiche. Appassionato di arte africane, nel 1994 fonda una celebre rivista che si occupa di Arte Africana e nel 1997 è chiamato a curato la Biennale di Johannesburg.
Il vero salto di qualità giunge però nel 1998, quando è nominato direttore artistico di Documenta 11 una delle più importanti esposizioni d'arte europea che si tiene a Kessel, in Germania. da allora è un crescendo di incarichi e prestigiosi successi. Dal 2011 è direttore della Haus der Kunst di Monaco di Baviera.

Oggi Enwezor, scrittore, poeta, giornalista, e docente universitario è ritenuto tra i più importanti curatori d'arte mondiale, e tra i più influenti personaggi dell'arte contemporanea. Vive, per ora, tra New York e Monaco.

Un pezzo d'Africa a Venezia, per una delle più belle e straordinarie biennali d'arte.

lunedì 2 dicembre 2013

Sifaka diadema, un lemure in difficoltà

Il Sifaka diadema (Propithecus diadema) è una delle specie più grandi di lemuri (può superare il metro di altezza) ed è anche la specie più a rischio di estinzione (sono oggi circa 100 le specie di lemuri che vivono esclusivamente in Madagascar e alcune isole vicine come le Comore).
L'IUCN (Organismo mondiale per la conservazione animale) inserisce il Sifaka tra le specie a rischio estinzione (classificazione endangered -EN, oramai verso la  fascia di rischio successiva critically endangered -CR) poichè la popolazione si è dimezzata negli ultimi 30 anni (una generazione). Secondo alcuni studi è da considerarsi una delle 100 specie animali a maggior rischio di estinzione. Oggi la stima è che siano tra i 6.000 e i 10.000 i Sifaka esistenti. Il nome diadema deriva dalla presenza di una corona di peli che ne ricopre la faccia, mentre sifaka sembra essere la traduzione in una lingua locale del verso emesso da questo lemure. Un'altra caratteristica è il colorito bruno-rossastro di alcune aree del pelo.
Vive oramai in un'area molto ristretta (meno di 50 ettari), tra il fiume Mangoro e Maroantsetra, in un'areale che comprende anche il Parco Nazionale di Andasibe-Mantalia. I sifaka vivono in gruppi da 8-10 esemplari, gran parte del tempo sugli alberi delle fitte foreste, e sono degli abili saltatori grazie alla potenza degli arti posteriori. Il loro habitat è fortemente minacciato dalle attività umane, che bruciano aree forestali per aumentare le zone agricole. Inoltre, nonostante mangiare la carne di lemure per molte popolazioni sia un tabù, alcune giovani generazioni ignorano tale prescrizione.

Vai alla scheda della Lista rossa dell'IUCN
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