giovedì 26 febbraio 2015

Ebola non esiste più

Ai più forse è passato inosservato. L'Ebola non esiste più. Da qualche settimana televisioni e giornali non ne parlano più. Le grandi preoccupazioni, quando non vere e proprie paure, sembrano essere svanite nel nulla. L'Ebola così come è apparsa, all'improvviso, è svanita.
Ci siamo accorti che i disperati che vengono dall'Africa trasportano solo le loro angoscie e le lo paure e non il terribile virus. Abbiamo capito che siamo in grado di gestire, senza che l'epidemia si diffonda, un caso nei nostri paesi e siamo (cosa più importante), sempre da noi, capaci di curarlo.
Abbiamo infine interiorizzato che l'Ebola, dove le condizioni igieniche sanitarie sono buone, dove l'acqua corrente arriva in tutte le case, dove i bagni sono in ogni luogo e dove la sanità funziona come dovrebbe, non fa paura.

Abbiamo capito che Ebola è un problema dell'Africa, non il nostro.

Da quel giorno non è più una cosa per cui vale la pena di parlare o di fare campagne per raccogliere fondi.
Così come dal 1976 al 2014, quando l'Ebola ha ucciso in Africa (certo non con i numeri attuali) nessuno si è preoccupato, siamo ritornati a pensare ad altro.
Sono finiti i giorni in cui Obama annunciava che l'epidemia era fuori controllo, che il nostro Ministro dichiarava che l'Italia era pronta o che qualche illustre scienziato americano prevedesse oltre un milione di casi di Ebola, lo scenario per un apocalisse mondiale. Sono finiti anche i giorni in cui esponenti politici italiani ci mettevano in guardia da infettati di ebola in arrivo sui barconi della speranza (gli stessi che oggi ci giurano che dagli stessi barconi arriveranno gli sciacalli dell'ISIS).

Al 22 febbraio 2015 Ebola ha colpito 23.729 persone, uccidendone 9.604 (ovvero il 40%). Di questi circa 850 contagiati erano operatori sanitari. Nell'ultima settimnana vi sono stati "solo" 100 casi nuovi. Dopo 6 mesi la Liberia ha riaperto le frontiere e sospeso il coprifuco.
Certo a nessuno interessa se i casi sono in Africa. Tra qualche anno (e forse anche prima), così come è avvenuto con sorprendente puntualità fin dal 1976, una nuova epidemia colpirà un luogo diverso del continente.
Le economie già molto fragili di Liberia, Sierra Leone e Guinea sono allo sfascio e a rimetterci, come sempre, sono gli ultimi, i più poveri.



lunedì 16 febbraio 2015

Il caos Libia: dove i soldi scorrono come il petrolio.

La situazione in Libia non è mai stata facile. Sin dai tempi in cui a regnare era Gheddafi, l'unico sistema per tenere unito il paese era la forza e il denaro, che in quel luogo significava petrolio, gas e ogni affare illegale (droga, addestramento e protezione di terroristi, preparativi di colpi di stato). Gheddafi usava poi l'arma della corruzione, dei rapporti privilegiati con alcuni leaders del mondo, dei contatti con servizi segreti di mezzo mondo a cui vendeva, al bisogno, questo o l'altro gruppo. Nemico e amico a fasi alterne. Per quasi 40 anni è stato così.

Oggi in Libia vi è in gioco una grande quantità di denaro. In primo luogo, petrolio e gas.  L'Europa e l'Italia in particolare (20% del petrolio italiano e il 12% del gas arrivano dalla Libia) dipendono ancora dalle forniture libiche attraverso il GreenStream, gasdotto che da Meliah nelle coste libiche (trasporta anche il gas tunisino) giunge a Gela in Sicilia. 
Vi è poi l'enorme business del traffico di esseri umani, è dalle coste libiche che partono i barconi dei disperati. Africani e medio-orientali (soprattutto siriani) che fuggono da guerre e da miserie. Sono uomini e donne (e bambini) disposti a tutto pur di fuggire, perché non hanno nulla da perdere se non la loro vita. Che investono tutti i loro averi o si indebitano, con le organizzazioni criminali, per il resto della loro vita. Per chi li trasporta essi sono poco meno che animali, che devono essere ammassati (quanti più possibili) sulle fatiscenti imbarcazioni e essere trasportati dall'altra parte. Mediamente si parla di 10 mila euro a persone e solo verso l'Italia siamo vicini ai 100 mila paganti all'anno.
Vi e' poi il traffico d'armi. In Libia tutti sparano. Tra quel poco di stato ancora presente e creduto legittimo e milizie islamiche che, a loro volta, si sparano tra loro. Ma da lì le armi si spostano soprattutto verso Est e verso Sud, le zone più calde. Assieme alle armi in Libia si continua a fornire addestramento a milizie del mondo intero.
Infine, il traffico di droga, la Libia si trova sulla rotta che dall'Africa (soprattutto dalla Guinea Bissau) porta grandi quantità di cocaina in Europa. E facile giungere nel paese dal deserto (assieme alle carovane di esseri umani in fuga) e da li smistare verso altre rotte più sicure (non quelle degli immigrati) la merce.

E' chiaro che in questa situazione in cui c'è molto (ma molto) da guadagnare e nessuna regola da rispettare, un'organizzazione come l'ISIS sia arrivata di corsa. Gli analisti sostengono che "il principale obiettivo dello Stato Islamico è rappresentare per i mussulmani sunniti ciò che Israele è per gli ebrei: uno stato nello loro terra antica, rioccupata in tempi moderni; un potente stato confessionale che li protegga ovunque essi si trovano". 
Se questa tesi è vera (e francamente è difficile pensare che non lo sia), per far ritornare "allo stato dell'oro l'Islam" e renderlo attrattivo vi è bisogno di denaro e molto. Il sistema più semplice è sfruttare le enormi risorse che il sottosuolo, nella loro storica terra, concede. 
Semplificando molto, l'ISIS, nella sua follia, ragiona in questo modo: la violenza estrema (decapitazioni, video, azioni cruente, minacce) è un elemento che fa vendere bene la notizia. Questo marketing porta a loro il fatto di essere conosciuti e riconosciuti. Nelle periferie povere delle metropoli europee, così come nelle città arabe (dove dittatori di varie dinastie si sono arricchiti a scapito della popolazione) o nei campi profughi il messaggio della riscossa contro l'occidente colpevole di ogni male arriva diretto al cuore di milioni di individui. Con i soldi nelle aree che conquistano portano nuove strade, scuole o ospedali (un apparente miglioramento delle condizioni di vita), non importa se non ancora la democrazia e la libertà. Per questo vi è bisogno di soldi che si possono raccogliere dal petrolio, dalle armi, dalle droghe e dal traffico di esseri umani. 

E' chiaro, che senza un intervento la situazione è destinata a peggiorare. Le minacce contro l'Occidente fanno parte di questa strategia.
Quanto più noi ci chiudiamo per paura, tanto più loro vincono.

Le guerre più sanguinose (che alimentano i fondamentalismi) si combattono proprio "nelle loro terre": Afghanistan, Pakistan, Siria, Palestina, Iraq, Yemen, Libia, Somalia, Nigeria. Il primo imperativo è fermarle!

Ma, fermarle richiede scelte coraggiose, che oggi nessuno sembra in grado di fare. Dalla Libia, ad esempio, giungono a noi petrolio e gas (anche attraverso canali clandestini, in mano alle milizie ed ora all'ISIS). Nonostante alcuni analisti sostengono che si possa fare, oggi noi non siamo in grado di chiudere il gasdotto dalla Libia! Chiudere sarebbe l'unico elemento in grado di interrompere un flusso di denaro immenso, il cui controllo, alimenta la guerra civile.
I motivi sono molteplici, tra cui il fatto che per chiudere le forniture dalla Libia abbiamo bisogno di rivolgersi alla Russia, il cui gas passa per l'Ucraina! Certo è che, fino a quando, in assenza di uno Stato degno di questo nome, gas e petrolio saranno ugualmente venduti (e comprati) nulla potrà cambiere.

Invece di seguire sciocche demagogie, bisogna impedire che il traffico di esseri umani resti nelle mani (e nel portafoglio) di questi criminali. Come? Solo creando dei canali umanitari (tradotto significa trasportare noi gli immigrati, attraverso servizi marittimi sicuri) si può sgonfiare, togliendo l'unica cosa che conta, il denaro, dalle mani delle reti criminali una risorsa che alimenta questo stato ed è direttamente responsabile della morte di decina di migliaia di persone.

Naturalmente lo stesso discorso vale per le armi (i cui principali produttori sono proprio i paesi europei, tra cui l'Italia) o per le droghe, di cui l'Europa è uno dei maggiori consumatori, seppur attraverso un ignobile mercato illegale, che alimenta proprio quelli che vogliamo combattere.

Paradossalmente la cosa che più questi signori temono è la regolamentazione di tutto ciò che oggi è illegale ed terra di nessuno. In questa "terra di mezzo" loro vivono, e bene.

Togliere tutte le forme di finanziamento all'ISIS (ma in genere ai trafficanti di ogni parte del mondo) è la vera sfida per il futuro. Siamo in grado di coglierla?

Ecco quanto scrivevo nell'agosto 2011

lunedì 9 febbraio 2015

La Coppa d'Africa agli Elefanti

E' finita con una maratona la 30° edizione della Coppa d'Africa di calcio. Dopo aver concluso la partita in parità, sono serviti ben 22 rigori (finale 9-8) agli Elefanti della Costa d'Avorio per aggiudicarsi l'ambito trofeo contro le Stelle Nere del Ghana tutt'altro che arrendevoli. Dopo 23 anni la Costa d'Avorio, spesso data per favorita, porta a casa la seconda coppa della storia, anche allora in una sfida con il Ghana finita ai rigori 11 a 10.

Eppure questa Coppa d'Africa era iniziata male. Ad organizzarla doveva essere il Marocco, ma questi ha comunicato di non essere più disposto ad ospitare le 16 squadre finaliste, a causa del pericolo di diffusione dell'Ebola.
Così, la Federazione Internazionale ha dovuto ricorrere alla Guinea Equatoriale (che aveva ospitato la penultima edizione, quella del 2012).

Iniziata il 17 gennaio scorso, la competizione, che è nata nel lontano 1957, ha avuto il suo epiilogo nella notte scorsa nello stadio di Bata.

I Elefanti, guidati dal romanista Gervinho (che ieri non ha brillato) dopo aver vinto il loro girone, hanno agevolmente battuto nei quarti l'Algeria (3 a 1) e in semifinale la Repubblica Democratica del Congo (3 a 0).

La Costa d'Avorio raggiunge così a quota due coppe vinte la Repubblica Democratica del Congo, 3 vittorie le ha imvece ottenute la Nigeria (era la detentrice del titolo, avendo vinto in Sudafrica nel 2013), quattro il Ghana e il Camerun mentre a guidare la classifica resta l'Egitto con sette vittorie nella storia.

La Coppa ritornerà nel 2017 per ora in Libia (dove le condizioni attuali non permetterebbero certo di organizzare la manifestazione).