venerdì 31 luglio 2015

Cecil e la caccia di frodo

Ha destato grande scalpore la notizia diramata a fine luglio dalle autorità dello Zimbabwe dell'uccisione (peraltro dopo una lunga agonia, dopo essere stato ferito da una freccia) del leone Cecil, un esemplare di 13 anni, da tempo seguito dagli studiosi inglesi all'interno del Parco Nazionale Hwange.
La storia di Cecil e del suo assassino, l'odontoiatra americano del Missesota Walter Palmer, che ha pagato 50 mila euro per compiere questo scempio (non autorizzato), è esemplare. Ma altri simili avvengono, nel silenzio di tutti, regolarmente.

Ernest Hemingway nel 1934
La caccia di frodo (bracconaggio) e l'uccisione di animali per ricavarne zanne, corni e pelli sono le cause principali che stanno inesorabilmente accompagnado molte specie animali africane verso l'estinzione.

Per rimanere ai leoni, animali che oggi vivono esclusivamente in Africa (fatta eccezione per circa 400 esemplari in India), essi erano, solo un secolo fa oltre 200 mila, oggi si stimano essere 30 mila e in continuo calo.

Quella che per molti è ancora "la caccia grossa" è una pratica che ha vissuto un'era dorata e perfino avventuriera, a partire dalla fine del 1800, quando l'Africa diventò un'enorme riserva di caccia. Reali, politici, intellettuali e avventurieri di vario genere furono attratti dalla voglia di misurarsi (sempre ad armi impari) con i "big five" (elefante, leone, leopardo, rinoceronte, bufalo), i grandi e pericolosi mammiferi del continente. Quelli che oggi quasi tutti noi conosciamo come Safari (in cui l'unica arma concessa è la macchina fotografica) erano invece delle grandi mattanze di innocenti animali.
Dicevamo quasi tutti, perchè ancora oggi vi è chi pratica questa assurda caccia, magari imbracciando armi che appartengono più alla categoria dell'artiglieria pesante!
Si, perchè è bene ricordare che, sebbene ci appaia insensato, non tutta la caccia ai grandi mammiferi è illegale! Vi sono agenzie che organizzano proprio queste cose, sfruttando le quote di eccesso (e quindi abbattibili) di alcuni animali all'infuori dei parchi protetti.
Oramai quelli che erano gli abitanti indiscussi delle savane e delle foreste, che vivevano spesso in simbiosi e talora in contrasto con l'uomo, riescono a sopravvivere (nemmeno sempre) solo in luoghi protetti. 

I nuovi cacciatori appartengono ad altre categorie, quelle dei ricchi di ogni parte del mondo, che si regalano scariche di adrenalina per poi immortalarsi nelle immancabili foto di rito come pioneri di altri tempi.

Stando alla IUCN (International Union for Conservation of Nature) - il più autorevole organismo mondiale che si occupa, fin dal 1948, di conservazione della natura - sono quasi 25 mila le specie animali, vegetali e marine a rischio estinzione. L'IUCN aggiorna costantemente, fin dal 1994, una Red List in cui è possibile seguire, specie per specie (sia animali che vegetali, oggi ne sono monitorate quasi 160 mila) le sorti e le previsioni per il futuro. 
Per rimanere in ambito esclusivamente animale, in Africa sono 167 le specie che si sono estinte o estinte in natura negli ultimi 60 anni, mentre sono oltre 6500 le specie a rischio (divise in una scala che va da critico rischio a vulnerabile).
Le cause sono essenzialmente due: la riduzione di habitat adatti e la caccia. In entrambe le cause l'effetto uomo è molto, molto evidente.

Quello che la natura ha creato, con molte difficoltà, in oltre 3,5 milioni di anni, l'uomo, con la sua follia lo sta distruggendo in poche centinaia di anni.

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Un occhio al Sudafrica

Sancara, per scelta, raramente pubblica scritti o opinioni di "altri" in tema di Africa. Lo fa perchè si tratta, pur sempre, di un blog personale e, soprattutto, perchè altre e molto più autorevoli soggetti (African Voices, in testa) riescono a convogliare e rendere disponibili scritti, opinioni, post, articoli, ricerche e altro che attengono al continente africano.

una delle foto di Giuseppe Origo
Questa volta però faccio, con piacere, una piccola eccezione. Attraverso una segnalazione mi è arrivato il link al post della piattaforma (definizione alquanto arbitraria) REVOLART, la quale si occupa, in senso molto generico, di arte e cultura. 

Il post in questione "La mia ALTRA Africa" , scritto da uno dei redattori di Revolart, Giuseppe Origo, e corredato di alcune belle immagini, è un'impressione su Johannesburg, interessante e stimolante. Insomma un modo per "dare un'occhiata da dentro" ad una società in grande cambiamento che offre interessanti opportunità, alcune lacune intollerabili ed una fragilità elevata.

Un'idea dell'Africa ma anche uno sguardo ad un'iniziativa, quella di Revolart, da seguire con attenzione e curiosità.

Sulle impressioni del "nuovo Sudafrica" vi rimando anche al post sul libro di Franco Arato "I turbamenti della nazione arcobaleno", edito da Il Canneto nel 2013.

sabato 18 luglio 2015

La paura di Renzi in Africa

I media africani, e quelli kenioti in particolare, hanno dato grande risalto, non senza ilarità, al fatto che il primo ministro italiano, Matteo Renzi, si si incontrato con il Presidente Uhuru Kenyatta indossando un vistoso giubbotto antiproiettile.
Ora è evidente che i più hanno visto quel gesto come un insulto alla nazione (immaginate se la Merkel o Obama arrivassero in Italia con analoghe misure di sicurezza). Si è anche molto sottolineato come Nairobi non sia Kabul e come i servizi di sicurezza kenioti sia attrezzati a ben altri problemi di sicurezza. Ammesso poi che quel giubbotto serva a difendere il Primo Ministro!
Altri (e tra questi i reporter italo-africano Fulvio Beltrami) mettono l'accento, polemicamente, sul fatto che l'Africa, e il Kenya in particolare, è da tempo invasa dalla mafia italiana, che a Malindi come a Mombasa, hanno le loro basi per tutti i loschi affari (droga, armi, diamanti, coltan, nightclubs, riciclaggio e rifiuti). Forse Renzi temeva più i suoi connazionali in Africa che gli africani?


Il sito CONNECT!V indaga (grazie al giornalismo indipendente d'inchiesta di altri tempi) proprio sulla ramificazione delle organizzazioni criminali italiani in ben 13 paesi africani (e tra queste il Kenya). Ne avevano già dato conto nell'aprile scorso il Fatto Quotidiano, l'Espresso e poche altre testate giornalistiche.
Quello degli affari mafiosi italiani in Africa (di cui già in passato altri avevano parlato, tra tutti Nigrizia) è un problema che la comunità internazionale deve affrontare pena la perdita di qualsiasi (!) credibilità nel continente.

Certo la scarsità di regole, la difficoltà di interfacciare dati ai fini investigativi e la corruzione della pubblica amministrazione africana, assieme ai grandi business disponibili in quasi ogni settore della moderna economia, giocano un ruolo di fondamentale nell'espansione nel continente delle organizzazioni criminali italiane (che, cosa ancora più preoccupante, sono entrate da tempo nei grandi affari delle migrazioni e della tratta di esseri umani).

Ecco forse Beltrami ha colto nel segno. Renzi dovrebbe preoccuparsi più dei suoi connazionali che vivono in Africa che dei locali.


Riserva della Biosfera Ipassa Makokou

Estesa per oltre 150 chilometri quadrati (ovvero 15.000 ettari),  lungo le rive del fiume Ivindo nel nord-est del Gabon, la Riserva della Biosfera di Ipassa Makokou è un tipico esempio di densa foresta tropicale ed è l'unica area del Gabon protetta integralmente. Dal 1983 è stata inserita nella Lista delle Riserve della Biosfera dall'UNESCO. 
Essa si sviluppa su di un altopiano posto a circa 500 metri l'altezza. Nella riserva vivono oltre 2000 specie di piante e circa 600 specie animali, alcune delle quali a rischio estinzione. L'area centrale della Riserva (core area, secondo la definizione del programma dell'UNESCO, circa 10.000 ettari) è totalmente inaccessibile e oggetto di studi e monitoraggi fin dagli inizi degli anni '60. Alla fine degli anni '80 molte delle ricerche sono state sospese a causa dell'aumento degli episodi di bracconaggio che hanno inciso negativamente sulla fauna, ma anche sulle specie vegetali.
Non vi sono villaggi nella Riserva (a differenza di quasi tutte le Riserve della Biosfera), ma intorno ad essa si svolgono molte attività relative all'agricoltura tradizionale.
La riserva dipende dal Ministero delle Risorse Idriche e Forestali.

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lunedì 13 luglio 2015

Libri sull'Africa: Dall'inferno si ritorna

"Quel tremendo mattino è stato la fine della mia felicità. Della mia infanzia e di tutte le mie sicurezze. Restava un'unica, faticosa certezza: nulla sarebbe stato come prima.... Non mi perdonerò mai di essere viva"

La realtà può essere di gran lunga peggiore dell'immaginazione. Gli scrittori ci hanno abituato a vivere, attraverso le loro parole, situazioni talora mostruose e altre di rara bellezza.  Con la fantasia abbiamo esplorato mondi vicini e lontani e gli angoli, meno conosciuti, della nostra mente. Ci siamo commossi, ci siamo divertiti e abbiamo riso e pianto.
Dall'inferno si ritorna, pubblicato da Giunti nel 2015, ci proietta, paradossalmente, nella più dura  e crudele delle realtà e nella più belle delle storie a lieto fine.
Raccontare il genocidio del Ruanda, quei cento giorni che partire dal 6 aprile 1994, divennero il teatro della peggiore delle mattanze umane, in cui trovarono la morte quasi un milione di persone, non è semplice. La giornalista Christiana Ruggeri, ha trovato un punto di vista particolare e forse inedito, quello di una bambina tutsi di 5 anni, Bibi, un personaggio reale, che di quell'orrore è stata una sopravvissuta o come solo alla fine ella dirà, una vincitrice.
Siamo onesti, il libro si legge con peso allo stomaco, che come un macigno accompagna il succedersi degli eventi che solo il fatto di conoscerli come realmente accaduti non ci fanno pensare alla fervida fantasia di uno scrittore dell'orrore. Eppure quei fatti sono accaduti sotto i nostri occhi o, come ha avuto  modo di scrivere Silvana Arbia, "mentre il mondo stava a guardare". Basterebbe leggere uno dei primi capitoli, quello intitolato "quel tremendo mattino", per sentire tutto il peso di quel macigno, in un solo momento.
La storia di Bibi però è anche un'altra. E' quella di una bimba che non solo "scampa" alla carneficina, ma che nella follia di quei giorni e nella devastazione più completa incontra una serie di persone (tra le vittime, ma anche tra i carnefici) che l'aiutano, spesso rischiando la propria pelle, e che, pur abbandonandola in continuazione, faranno sempre la cosa giusta.
Il suo è un viaggio pericoloso che la porta prima verso la Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) assieme alla massa di profughi e poi tra coloro i quali rientreranno in Ruanda nella difficile e lenta ripresa della normalità. Un viaggio in cui la sopravvivenza è affidata, oltre che alla fortuna, alla capacità di  saper decifrare piccoli segnali. Segnali che Bibi ha avuto modo di imparare a conoscere grazie agli insegnamenti del nonno, morto poco prima dell'inizio del genocidio.
La storia, scritta con grande eleganza dalla Ruggeri, è quella raccontata da una giovane donna che rivive i tragici momenti di quando aveva 5 anni. A volte, leggendo, salta all'occhio come alcuni racconti sono necessariamente frutto di una ricostruzione postuma. Più volte si rende infatti necessario sottolineare come la giovanissima età di Bibi, l'ha tenuta a riparo dalla comprensione di fatti che in altro modo l'avrebbero, forse irrimediabilmente, traumatizzata. 

Più volte la protagonista si chiede "perchè Dio è andato via dal Ruanda?", una domanda che naturalmente non può trovare risposta a fronte di un simile orrore e che forse, solo l'ingenuità di una bambina può farle rispondere che "era inpegnato altrove" e riconciliare così la sua vita con il suo credo. Una vita che poi, grazie ai tanti volontari che hanno operato in Zaire e in Ruanda, ha saputo ridare a Bibì quel sorriso che rischiava di essere perso per sempre.
Perchè se è vero che la vita è ripresa in Ruanda è proprio grazie alle donne, quelle donne che sono state le più martoriate, rimaste vive con il dolore delle proprie famiglie distrutte e con il peso degli abusi e degli stupri subiti.

Bibi è anche, ed è questo l'aspetto piacevole di questo libro, una storia a lieto fine che mette in risalto le tante e a volte piccole azioni che ognuno può mettere in campo. Adottata a distanza a 9 anni da una italiana, a 18 anni è giunta a Roma, dalla "famiglia adottiva" dove, al momento della stesura del libro, si stava laureando in medicina. Il suo obiettivo era quello di specializzarsi in pediatria o ginecologia, perchè sono le cose che più servono al suo paese, dove vuole tornare. Un libro - scritto da una vera conoscitrice e appassionata di Africa -  che partendo dalla morte, quella più assurda e più atroce, giunge alla vita, quella che più merita di essere vissuta.

"Pensi di tornare in Ruanda, quindi?" - "E' ovvio. Ogni ruandese vero sogna di tornare in Ruanda, perché il paese ha bisogno di noi: chi ce l'ha fatta deve aiutare chi non c'è più e chi è rimasto"

Christiana Ruggeri, è una giornalista degli esteri della RAI e un volto noto della televisione. ha curato moltissimi servizi sull'Africa (e non solo). Ecco una sua intervista.

Leggendo questo libro o questo post potrebbe venire, soprattutto ai più giovani (e sarebbe cosa giusta), la voglia di approfondire questo tema. Tra le tante cose vi segnalo (oltre a questo post di Sancara): il libro di Silvana Arbia "Mentre il mondo stava a guardare", il libro di Paul Rebesabagina "Hotel Rwanda" (da cui è stato tratto l'omonimo film) e il film-documentario di Greg Barker "Spiriti del Ruanda".

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giovedì 9 luglio 2015

Nuovi siti protetti dall'UNESCO

Nell'ultimo mese è stata intensa l'attività dell'UNESCO nella protezione dei siti patrimonio dell'Umanità e delle Riserve della Biosfera. Agli inizi di giugno a Parigi (8-12 giugno) si è tenuto l'annuale meeting sulle Riserve della Biosfera, mentre a Bonn l'8 luglio si è chiusa la 39° Sessione del Comitato per i Siti patrimoni dell'Umanità (il prossimo anno il meeting si svolgerà ad Istanbul). Sono attività che hanno lo scopo (assieme alla tutela del patrimonio immateriale) di conservare l'enorme patrimonio naturalistico, storico e culturale che l'Umanità o la natura hanno creato in ogni luogo del nostro pianeta.

Le Riserve della Biosfera nel mondo sono 651, distribuite in 120 paesi. Di queste, 81 sono in Africa (in realtà 77 e 4 siti transfrontalieri). Nell'ultima sezione di Parigi sono state inserite alla lista 20 nuove Riserve, tra cui, per la prima volta una del Myanmar.
Tra le 20 vi sono anche 4 africane: il parco nazionale di Belezma in Algeria, il lago Tana in Etiopia e le riserve di Gouritz e Megaliesberg in Sudafrica.

A Bonn, invece, l'UNESCO ha inserito nella lista nuovi 24 siti, che portano così a 1031 i siti mondiali Patrimonio dell'Umanità, distribuiti in 163 stati (quest'anno per la prima volta è stato inserito un sito della Giamaica).
Purtroppo, nonostante 3 candidature (Nyero in Uganda, Thimlich in Kenya e il parco nazionale Sangneb in Sudan), nessun sito africano è stato inserito nella lista. Restano pertanto 129 i siti africani.
Il Comitato ha anche deciso l'estensione di 3 siti (da cui l'errore fatto da molti quotidiani nazionali che hanno riportato erroneamente la notizia di 27 nuovi siti inseriti), tra cui la Regione Floreale del capo in Sudafrica inserita nel 2004.

Purtroppo sono 48 i siti in pericolo. Due in più dello scorso anno a causa dell'ingresso di Hatra (Iraq) e delle città vecchie di Sanaa e Shibam (Yemen) e nonostante l'uscita del sito columbiano di Los Katios (che era stato inserito tra i siti in pericolo nel 2009 a causa della deforestazione illegale).
Ben 18 sono i siti africani in pericolo.

La tutela dei patrimoni dell'Umanità dovrebbe essere un impegno che accomuna tutti noi. Assistiamo invece, a volte inorriditi, alla distruzione di opere dell'Uomo o della Natura, che appartengono alla nostra storia e alla nostra vita. Distruzione che avviene a volte - ed è quello che più ci fanno vedere - per cause belliche o per la follia umana ma, molto più spesso per l'incuria e per la stupidità umana.
Sfogliando l'elenco dei siti si ripercorre in pochi minuti l'intera storia dell'Umanità e si osservano, a volte per la prima volta, le più belle opere della natura.


sabato 4 luglio 2015

Fossa, il più grande carnivoro del Madagascar

Il Fossa (o anche Fosa) è un animale che vive solo in Madagascar. Nonostante le sue dimensioni siano come quelle di un cane di media taglia (al garrese non supera i 35 centimetri), rappresenta il più grande (e pericoloso) carnivoro e predatore dell'intera isola. Nonostante le sembianze che lo rendono più simile ad un felino (ha artigli retrattili) o ad un canide (si descrive spesso come un piccolo puma) egli appartiene alla famiglia dei Eupleridi, ovvero delle Manguste.
Chiamato scientificamente Cryptoprocta ferox (a causa di alcune ghiandole che ne nascondono l'ano) è un predatore di lemuri, oltre che un assalitore di pollai e animali domestici. Per tale ragione è cacciato dai contadini ed oggetto di una serie di superstizioni e di storie simile a quelle dei lupi nelle nostre latitudini.
L'IUCN, l'organismo mondiale che si occupa di conservazione animale, ha inserito il Fossa nella lista rossa degli animali a rischio estinzione, classificandolo come vulnerabile (nelle ultime tre generazioni la popolazione si è ridotta del 30%) e includendolo nelle 100 specie che sono più verosimilmente destinate all'estinzione.
Nel 2000 furono stimati, e in parte censiti, in tutto il Madagascar 2500 esemplari di questo bizzarro animale.
Risale al 1658 la prima descrizione di un fossa ad opera del governatore francese Etienne de Flacourt che così scrive "e' una bestia delle dimensioni di un grande cane con la testa tonda e in base a quanto dicono i negri somiglia a un leopardo e divora uomini e bestiame. E' rara e dimora solo nei luoghi montani meno frequentati".

E' un animale solitario, che passa gran parte del tempo sugli alberi delle foreste (habitat che lentamente ma, inesorabilmente, si riduce). Lo si trova dal livello del mare fino ai 2500 metri di altitudine. Oggi è possibile osservarlo maggiormente nel Parco Nazionale di Kirindy-Mitea (nel Madagascar Occidentale)  dove grazie ad un elevato numero di prede disponibili, i fossa sono presenti con un'alta densità.

Il maggior pericolo per i Fossa sono la perdita dell'habitat naturale e la caccia a cui è sottoposto da parte degli allevatori

Fino al 2005, quando fu girato il firma di animazione Madagascar,  il Fossa è stato un'animale sconosciuto ai più. In quel film i fossa sono descritti come crudeli e cattivi cacciatori di lemuri capitanati da Ferox.


La scheda del Fossa su IUCN
Ecco alcune immagini dal sito ArKive

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