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sabato 31 dicembre 2016

Makoko, la Venezia d'Africa


Tra le tante Venezie che si trovano in giro per il mondo (si stima siano  almeno un centinaio), tra quelle "naturali" e quelle diciamo "artificiali", ve ne è una che certamente compare con meno  frequenza nelle liste delle "copie" della città lagunare. Questa è Makoko, in Nigeria. La Venezia Nera o la Venezia d'Africa.
Makoko è di fatto un'enorme baraccopoli (uno slum, secondo altri criteri), situata alla periferia di Lagos, dove vivono oltre 100 mila persone, secondo le stime delle Nazioni Unite o oltre 400 mila secondo il governo nigeriano. La caratteristica che la rende "simile" a Venezia è che essa è costruita su palafitte e quindi si presenta come un insieme di canali in cui la popolazione si sposta su canoe o imbarcazioni simili.
Nata nel XVIII secolo come villaggio di pescatori e diventata poi, a partire dalla fine degli anni '80, il luogo di residenza dei profughi provenienti dal vicino Benin. Profughi di etnia Egun che dopo aver occupato la parte di terra hanno iniziato ad occupare anche gli spazi d'acqua. Oggi lo slum - che è abitato anche da nigeriani poveri - vive per metà in terraferma e per l'altra metà sull'acqua. 
E' di fatto una zona franca dove la polizia non entra e dove il governo interviene solo per riempire la grande cisterna d'acqua potabile. Perché sia chiaro, la vita a Makoko è dura.

Certo forse migliore di altri slums nel mondo come Chalco a Città del Messico (oltre 4,5 milioni di persone) o Kibera a Nairobi ( 2-3 milioni di persone) o Orangi Town a Karachi (2 milioni) o Manshiet a Mumbai (1,5 milioni). Inutile sottolineare che il problema maggiore è determinato dagli aspetti sanitari. Non vi sono bagni, la popolazione usa l'acqua per le sue funzioni corporee. La stessa acqua dove ci si fa il bagno, dove si pesca e dove si muore.  Non vi è elettricità. Non esistono presidi sanitari e la mortalità infantile resta altissima. Per il governo ufficialmente l'area deve essere sgombrata (è un luogo ambito per la nuova urbanizzazione essendo un waterfront di un'immensa metropoli).

L'intera popolazioni sopravvive di economia di sussistenza, basata sulla vendita di sale e del pesce. Lo slum è guidato da un leader chiamato Baalè.
Il governo nel giugno 2012 aveva tentato uno sgombro forzato (senza alternative per la popolazione) ma, le proteste della comunità, aveva bloccato le operazioni.
Gran parte della popolazione è analfabeta (anche perché spostarsi verso la terraferma non sempre è agevole e la comunità parla principalmente francese). Nel 2012 un architetto nigeriano Kenlè Adeyemi (direttore dell'agenzia NLE') ha ideato una scuola galleggiante (Floating School) con lo scopo di fornire istruzione direttamente nello slum. Il progetto, la cui struttura reggeva su dei bidoni di plastica (in modo da muoversi con le maree) è stata l'occasione per far conoscere al mondo Makoko, infatti il 28 maggio 2016 la scuola (che era operativa dal 2013) è stata premiata, con il Leone d'Argento, alla Mostra
Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Purtroppo solo pochi giorni dopo, il 7 giugno 2016, la scuola è collassata sotto le forti piogge! (siamo onesti questa notizia ha fatto meno il giro del mondo che quella del Premio!). L'impegno della comunità è quello di ricostruirla quanto prima perché era innegabile il grande servizio reso alla comunità.
Vi è un ultimo dato, che probabilmente caratterizza e diversifica Makoko da altri slums, è il basso livello di criminalità. La comunità sostiene che nonostante tutto da un punto di vista della sicurezza Makoko risulta essere vivibile (cosa che non è possibile, in genere, estendere alle altre baraccopoli del nostro pianeta).

E' chiaro che la vita negli slums non è degna di questo nome. Le Nazioni Unite hanno stimato che a breve (2030) saranno quasi 2 miliardi gli abitanti del nostro Pianeta che vivono in baraccopoli. Un quanto dell'umanità che non ha acqua potabile, bagni ed istruzione. Un mondo che spinge per acquisire diritti, per ora, senza far troppo rumore.

Leggi il post di Sancara "Vivere negli slums"


lunedì 12 dicembre 2016

Le donne più influenti del pianeta, anche un pò di Africa

Recentemente, e come ogni anno, il magazine di uno dei più autorevoli giornali economici-finanziari del mondo, l'inglese Financial Times, ha pubblicato la classifica delle donne più influenti nel pianeta nel corso del 2016. Un elenco di donne che in diversi campi hanno inciso sulle azioni, sui pensieri e sulle decisioni del nostro Pianeta. Dalla candidata sconfitta alla presidenza USA Hillary Clinton al Primo Ministro britannico Theresa May, dalla pluri-campionessa della ginnastica artistica Simone Biles alla cantante Beyonce. Insomma donne che nel nostro pianeta, contano, eccome.
In questo gruppo vi sono anche tre donne che hanno molto a che vedere con l'Africa. Vi è infatti la pittrice americana, ma nata in Nigeria, Njideka Akunyili Crosby. Un suo dipinto del 2012 "Drown" è stato venduto nel 2016 per 1,1 milioni di dollari. Njideka, nata a Enugu nel 1983, è emigrata negli USA quando aveva 16 anni. E' considerata una delle massime autorità nel campo dell'arte.
Vi è poi l'epidemiologia sudafricana Quarraisha Abdool Karim, una delle maggiori studiose al mondo sull'HIV nelle donne del nostro mondo, Accademica delle Scienze in Sudafrica e vincitrice nel 2016 del L'Oreal-UNESCO for Woman in Science Awards. Karim, nata a Tongaat nel 1960, sta dando un grande contributo alla prevenzione e al trattamento dell'HIV in particolare tra le donne africane.
Infine, ma non per importanza, la franco-marocchina Latifa Ibn Ziaten, musulmana, giunta in Francia dal Marocco nel 1977 (a 17 anni) è la madre di un giovane sorgente (Imad Ibn Ziaten, nato nel 1981 in Francia) ucciso nel 2012 vicino a Tolosa da un attentato terroristico di matrice islamica radicale. Dopo questo episodio Latifa ha creato una associazione che da allora si batte contro la radicalizzazione della comunità islamica in Francia, divenendo una delle massime attiviste del settore. Nel 2016 gli è stato conferito l'International Woman of Courage Award dal Dipartimento di Stato Americano.
Sono donne che per diverse e complementari ragioni, hanno portato il contributo dell'Africa nelle sorti del pianeta. Sono donne la cui intensità di vita deve costringerci tutti a riflettere sulle immagini distorte che abbiamo dell'Africa e delle sue genti.

sabato 3 dicembre 2016

Ousmane Sow, il fisioterapista scultore

Oggi è morto a Dakar Ousmane Sow. Aveva 81 anni ed era considerato unanimamente uno dei maggiori artisti senegalesi, dell'Africa Occidentale e dell'intera Africa. E' stato uno scultore particolare grazie ad uno studio maniacale dei materiali. Preparava egli stesso una pasta, composta da terra e minerali mescolati e macerata assieme ad altri prodotti, con cui modellava i suoi soggetti attorno ad armature di ferro, di tela o di paglia.
Al centro delle sue opere vi era sempre l'Uomo ed il suo corpo. Egli infatti, quando ancor prima dell'indipendenza del Senegal, era andato in Francia a studiare, aveva scelto di diventare infermiere e poi fisioterapista. Grazie alla sua professione aveva quindi per anni manipolato corpi, toccato muscoli ed esplorato ogni angolo del corpo umano, mentre contemporaneamente plasmava le sue opere. Grazie a questa intima conoscenza del corpo umano era in grado di scolpire soggetti umani senza avere dei modelli. Per una ventina d'anni aveva lavorato a Parigi come fisioterapista, fatto salvo una breve parentesi in Senegal dal 1965 al 1968, dove aveva tentato di avviare un servizio di fisioterapia, degno di questo nome, in Africa. Solo una volta rientrato definitivamente in Senegal (nel 1984) abbandonò la sua professione sanitaria per dedicarsi completamente alla scultura.
La sua prima mostra è del 1988.
Le sue opere sono dedicate in un primo tempo (dal 1984 al 1994 circa) ai corpi di popoli africani, la sua terra a cui sempre è rimasto intimamente legato. I Nuba, i Masai, i Peul e gli Zulu sono diventati i soggetti ispiratori della  sua arte e solo dopo, passando al lavoro in bronzo, si è dedicato ad altri soggetti (tra cui la statua realizzata a Ginevra nel 2008 in omaggio alla dignità degli immigrati sans-papier).
Nella sua vita ha sempre posto le sue opere davanti alla sua figura in una delle rare interviste aveva detto "voglio essere un artista anonimo. Oggi però l'artista sembra essere più importate delle sue opere. Voglio essere conosciuto non per quello che sono io ma, per le mie sculture. Le ammiro anch'io come le altre persone. Io non ho molto da dire, le mie sculture dicono tutto".


Ecco il suo sito ufficiale