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mercoledì 21 luglio 2021

Capo Delgado, il disastro ancora prima di iniziare

Commentando i fatti che portarono il 4 ottobre 1992 alla storica firma degli accordi di pace in Mozambico nel 2011, a quasi 20 anni dall'accordo mediato a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio, ebbi modo di scrivere come "l'assenza di risorse interne da sfruttare (contrariamente all'Angola) e con cui continuare a pagarsi la guerra, ha favorito la distensione e la pace. Una pace indicata spesso come modello che ha consentito una stabilità politica e che fanno oggi, del Mozambico, un Paese povero, ma in costante crescita.

Oggi, 10 anni dopo, quelle parole hanno un valore diverso.

immagine tratta dalla rete
Nell'estremo nord-est del Mozambico, in una provincia chiamata Capo Delgado (che il 25 settembre 1964 fu la base di partenza del Frelimo per la guerra contro i portoghesi), al confine con la Tanzania, nel 2010 e nel 2013 sono stati scoperti grandi giacimenti di gas naturale e per il Paese sono iniziati i problemi. Si tratta di oltre 5 mila miliardi di metri cubi di gas, tra le prime dieci riserve del mondo. Quella che alcuni storici chiamano la "maledizione delle materie prime" si è abbattuta pesantemente sul Mozambico e sulla sua popolazione. Una popolazione composta principalmente da agricoltori, pescatori e qualche minatore (perchè nell'area vi sono anche dei giacimenti di pietre preziose e minerali, soprattutto rubini e grafite), da sempre economicamente arretrata. 

I progetti per estrazione (si parla di un affare da 150 miliardi di euro, ovvero otto volte il PIL dell'intero Paese, con un investimento di 20) sono affidati principalmente alla francese Total (in compagnia anche con l'italiana ENI e l'americana Exxon). Il debito pubblico creato dallo stato mozambicano per sostenere l'estrazione, i danni ambientali annunciati (su questo si vedano i rapporti di Friends of teh Earth) e l'effetto devastante sulle popolazioni hanno, in pochi anni, generato violenze e conflitti che, ancora prima dell'inizio delle estrazioni vere e proprie (previste tra il 2022 e il 2023), hanno finito per destabilizzare il Paese.

A partire dal 2017 è in corso un'insurrezione armata determinata dalla marginalizzazione socio-economica e dall'esclusione della comunità locale che si è vista lentamente sfilare qualsiasi beneficio dallo sfruttamento delle risorse e che ha visto l'immediata infiltrazione da parte di forze di movimenti jihadisti (sia locali che internazionali) che hanno cavalcato il malcontento popolare e fomentato la rivolta. Certo le responsabilità non sono solo all'esterno.

Le popolazioni locali - in realtà intere comunità - utilizzavano i terreni statali per la loro economia di sussistenza. Sono state letteralmente sfrattate con la forza dallo Stato per concedere i terreni a società private per la ricerca dei rubini. Gli attivisti sostengono che il governo abbiano venduto le ricchezze agli stranieri e escludendo le popolazioni locali e questo, ancor più dell'islamismo radicale, è la causa principale degli scontri. Il reclutamento di molti giovani alla causa radicale è solo il frutto di scellerate scelte del governo mozambicano.

Certo è, che dall'ottobre 2017 sono oltre 2000 le vittime e soprattutto quasi un milione gli sfollati interni, tra cui quasi 400 mila bambini, costretti a fuggire a causa degli scontri che vedono i militari del governo (assistiti da Portogallo, del Ruanda e degli Stati Uniti e con l'arrivo massiccio di mercenari) difendere le multinazionali del petrolio contro gli attacchi dei gruppi armati, tutto a discapito della popolazione.

La presenza ruandese è il frutto dell'intervento diretto della Francia a difesa della propria multinazionale Total, che alla presenza del Presidente Macron ha fatto siglare ai due Paesi un "memorandum di intesa" con lo scopo di proteggere i siti più che la popolazione!

I "ribelli" controllano alcune città tra cui Mocimboa de Praia e minacciano Muenda e Palma con continui attacchi. Le operazioni militari hanno costretto la Total a ridurre gli effettivi dalla base operativa posta ad Afungi e rallentare il progetto. Inoltre - poiché il business è grande e non si vuole perdere - minacciano di trasferire parte delle attività in territorio tanzaniano. 

Come sempre le questioni, lì dove lo Stato è assente e le popolazioni abbandonate al loro destino, sono più complesse. Poco si parla del fatto che centinaia di chilometri di costa abbandonate e incontrollate erano diventate negli anni anche luogo di transito di ogni sorta di illegalità proveniente dall'Oriente (eroina, persone, fauna selvatica, legname e preziosi). Al punto tale che alcuni osservatori internazionali sostengono che l'intervento delle milizie islamiche sia più teso a mantenere una zona franca per i traffici illegali che qualsiasi altra ipotesi.

Ancora una volta assistiamo al ripetersi di situazioni che, anche grazie ad una buona dose di disinformazione e strategie occulte organizzate dai governi (non solo africani, sia chiaro) incanalano questi fenomeni su strade diverse dalla realtà. Lentamente essi producono quesi disastri che oramai il mondo ci consegna ai nostri occhi quotidianamente.

Dietro scelte politiche discutibili e a questioni economiche di privilegio, si vogliono mettere in luce vantaggi per le popolazioni inesistenti. Gli interessi delle multinazionali - economici e per nulla curanti dei luoghi in cui intervengono - vengono difesi dagli Stati stranieri (magari con l'aiuto di qualche complice locale) sbandierando, oggi, il terrore dell'islamismo radicale. In funzione di questo presunto pericolo si giustifica ogni sorta di ingerenza e di intervento teso, naturalmente, a proteggere le popolazioni. Affermazione che trova sempre in qualche modo il consenso.

Non volendo (o non potendo per superiori ragioni economiche) vedere il nemico per quello che è, si tollerano situazioni di anarchia che - attraverso l'illegalità - arricchiscono criminali del mondo intero. Siano le droghe, siano le armi, siano gli esseri umani, sia il gas o il petrolio o qualsiasi altra "merce" il business continua. Che sia in Libia, che sia in Somalia, che sia in Ucraina, che sia in Afghanistan o in Iraq, non importa. Lo show deve continuare e soprattutto l'illusione di voler combattere i criminali deve sempre essere presente.

Nel mezzo le popolazioni civili pagano un prezzo altissimo e, volendo essere spregiudicati, necessitano dell'assistenza delle organizzazioni internazionali - pubbliche e private - costringendo i governi del mondo a spendere importanti somme di denaro e alimentando il grande teatro della carità mondiale. Perfino l'intervento umanitario è (spesso) inconsapevolmente coinvolto in questo circo che non lascia scampo a chi, contrariamente a noi, ha avuto la sfortuna di nascere in quei luoghi.

Per la cronaca, proprio di fronte alla costa di Capo Delgado, si trova l'arcipelago delle Quirimbas, una trentina di isole ritenute, per la qualità delle acque, per la ricchezza della fauna e per lo stato ancora incontaminato, un paradiso in terra, diventate nel 2002 una riserva naturale. 


Ringrazio l'amico Helton Dias per le chiacchierate sul suo Paese che mi hanno aiutato a comprendere meglio la complessità.


Le immagini sono tutte tratte dalla rete