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mercoledì 8 settembre 2010

Stati in via di fallimento: il trionfo dell'Africa

Ogni anno The Fund for Peace - organizzazione indipendente americana nata nel 1957 - che ha lo scopo di prevenire e ridurre i conflitti che generano le guerre - pubblica un indice (Failed State Index) in cui attraverso 12 indicatori (sociali, economici e politici) e la comparazione tra essi (e tra gli stati) si identificano gli stati più prossimi "al collasso" delle proprie strutture e quindi a rischio fallimento, che spesso in primis si traduce nell'incapacità di avere controllo del proprio territorio e di fornire servizi ai cittadini. Ad ogni parametro - come la pressione demografica, la presenza o meno di rifugiati, la credibilità o meno dello stato centrale, il declino economico, l'intervento di potenze straniere negli affari interni, la crescita di tensioni etniche interne - viene assegnato un punteggio su scala dieci.
La classifica generale dei 177 stati (per il 2010) determina il livello di allerta (punteggio maggiore di 90), di attenzione (punteggio maggiore di 60), di moderata attenzione e di sostenibilità. Ovviamente l'indice è diventato un indicatore usato per la scelta delle politiche regionali di intervento nelle crisi umanitarie.
La metodologia adottata comporta l'analisi di milioni di documenti (documenti dei governi e delle organizzazioni non governative, riviste, articoli specializzati) che vengono poi interfacciati con i documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali (UNHCR, WHO, UN, etc.) e elaborati attraverso un software - ideato dal Fund for Peace, denominato CAST (Conflict Assessment System Tool) e infine validato nel confronto tra gli stati.

L'Africa giganteggia in questa classifica.
I primi 5 stati sono africani. Nell'ordine Somalia (prima con 114,1 punti) , Ciad, Sudan, Zimbabwe e Repubblica Democratica del Congo seguiti da Afghanistan e Iraq (direi nessuna sorpresa per questi 7), poi Repubblica Centro Africana, Guinea e Pakistan.
Nell'indice 2010 sono 37 i paesi del mondo nella fascia di allerta - di questi, 22 sono paesi africani.
Sono poi 92 i paesi nella fascia di attenzione, 34 nella fascia moderata e solo 13 i paesi nella fascia della sostenibilità (tutti i paesi scandinavi, la Danimarca, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, l'Irlanda, l'Olanda). L'ultima (che poi significa la prima in termini di sostenibilità) è la Norvegia, 177° posto con 18,7 punti). Sorprendente la performance dell'Islanda - che nonostante un pessimo punteggio sul parametro economico dovuto alla crisi - compensa con gli altri parametri , soprattutto demografici, riuscendo a centrare l'ultimo posto nella fascia della sostenibilità.
Il miglior piazzamento africano è dato dalle Isole Maurizio (150° - un posto dietro all'Italia, 149° con 45,7 punti). La prima nazione dell'Africa continentale è il Ghana (122° posto con 67,1 punti).

La questione degli "stati in fallimento" è stata analizzata da Lester Brown (guru del movimento ambientalista e fondatore del Worldwatch Institute) in un suo interessante articolo su Le Scienze, pubblicato nel luglio 2009 (n.431), dal titolo "I rischio di un mondo senza cibo". La sua tesi è che se nel secolo scorso la principale minaccia derivava dal conflitto tra le superpotenze, oggi è data dagli stati in via di fallimento. Secondo Brown è l'assenza del potere (e non la sua concentrazione) a metterci a rischio. Gli stati in via di fallimento sono un problema internazionale perchè sono focolai di terrorismo, di armi, di droga e di profughi. Egli usa ad esempio la Somalia (al primo posto degli stati falliti fin dal 2008) divenuto una base per la pirateria, Iraq base per l'addestramento dei terroristi, l'Afghanistan leader della produzione mondiale di eroina e la Repubblica Democratica del Congo paese destabilizzato per la grande presenza di profughi ruandesi.
La sua analisi porta a dire che la civiltà globale dipende da una rete funzionante di stati, capaci di controllare il diffondersi delle malattie come i fenomeni del terrorismo internazionale, ovvero capaci di collaborare al raggiungimento di obiettivi comuni come ad esempio quello dell'aumento della denutrizione nel mondo e la decrescita delle scorte alimentari (su cui poi in realtà si base il suo articolo).

Certo seguendo alcune delle vicende che stanno accadendo, anche in questi ultimi mesi negli "stati prossimi a trocollo", (di cui alcune cose ho discusso anche nei miei post come gli stupri in RD del Congo o gli attacchi in Somalia), viene da pensare che la tesi di Brown non è assolutamente "campata in aria" e che il lavoro di The Fund for Paece diventerà sempre più importante per il destino dell'umanità.

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