Pagine

lunedì 30 maggio 2011

Musica: Hukwe Ubi Zawose

Hukwe Ubi Zawosa è stato un polistrumentista e cantante nato a Dodoma (Tanzania) nel 1940 (anche se alcune fonti dicono 1938) e morto a Bagamoyo (Tanzania) il 30 dicembre 2003. Di etnia gogo, è stato uno dei maestri dell'ilimba, uno strumento lamellofono (che sfrutta le vibrazioni di lamelle metalliche) simile alla più famosa m'bira.
Cresciuto come pastore, non riceve nessuna educazione formale (una volta famoso, ammetterà in un'intervista di conoscere solo alcune parole in inglese) viene notato grazie alla sua voce. Gli esperti sostengono la sua voce sia capace di spaziare in 5 ottave. Inizia a collaborare con il cantante Meanwhile. Presto la sua voce giunge fino al primo ministro Julius Nyerere. Infatti è proprio a quest'ultimo che Zawosa deve la sua notorietà: quando Nyerere lo chiama a suonare e lavorare nella capitale Dar El Salam, diventa ascoltato nel proprio paese. Fonda così la Master Musicians of Tanzania (conosciuta anche come National Music Ensable of Tanzania)
Inizia a girare il paese con la sua band e nel 1989 incide il primo album Tanzanian Yetu. Nel 1996 arriva invece il suo primo disco venduto anche negli Stati Uniti, Chibite.
Nonostante la notorietà Zawosa continuò a vivere nella maniera tradizionale, con quattro mogli e 15 figli. Con uno dei suoi figli, Charles ha suonato con lui in duo.



A partire dalla fine degli anni '90, grazie a Peter Gabriel, entra nel circuito della world music, collaborando in particolare con il chitarrista canadese Michael Brook.
Negli ultimi anni della sua vita insegna musica.
Muore, a 65 anni, nella sua a casa, dopo una breve malattia.

Vai alla pagina di Sancara su Musica dall'Africa

venerdì 27 maggio 2011

Che succede ad Abyei

In questi giorni si parla di Abyei, una città (e relativo distretto) che si trova al confine tra il Sudan e il Sud Sudan (che a seguito del referendum sull'indipendenza del gennaio scorso, il 9 luglio diventerà il 54° stato africano). Se ne parla perchè da qualche giorno l'esercito del Sudan (nord) ha occupato militarmente l'area. Inutile dirlo, che nonostante Abyei sia speduto nel deserto, galleggia letteralmente sul bacino petrolifero di Muglad. Il distretto di Abyei rende un quarto della produzione nazionale di petrolio sudanese e vale una cifra intorno 600 milioni di dollari l'anno.
Quando il 9 gennaio 2005 fu siglato l'accordo di pace tra le due parti in lotta (l'esercito regolare di Khartoum e la SPLA/MPLA del Sud Sudan) - una sanguinosa guerra civile durata dal 1983 al 2005 - la questione Abyei apparve subito molto delicata e di cruciale equilibrio per il futuro dei due stati. A seguito del riaccendersi del conflitto proprio ad Abyei nel maggio 2008, si fece appello alla Corte permanente d'arbitrato dell'Aja per mediare la questione dei confini nel distretto di Abyei. Il 9 luglio del 2009 la Corte si espresse ridefinendo i confini.
Purtroppo quando il 9 gennaio 2011 vi fu il referendum per l'autodeterminazione del Sud Sudan, ad Abyei, proprio per la complessa situazione, il voto fu rinviato sine die (vi furono comunque scontri durante le operazioni di voto).

L'invasione delle truppe di Khartoum, che hanno riconquistato la città di Abyei, segna una svolta drammatica nelle relazioni, già molto tese, tra il Nord e il Sud. Da tempo la missione ONU presente sul campo lanciava segnali allarmanti sulla tenuta della pace all'avvicinarsi del momento della nascita del nuovo stato. Del resto fin dall'inizio del febbraio 2011 in rete si erano diffuse notizie (e prove fotografiche dal satellite) di movimenti di truppe verso Abyei.
Oggi le preoccupazioni sono molto forti, le Nazioni Unite che hanno subito condannato l'azione militare non nascondono la grande difficoltà del momento, del resto non sono incoraggianti le dichiarazioni del presidente del Sudan Omar Hassan El Bashir (vale la pena ricordare che su El Bashir spicca un mandato di cattura internazionale per crimini contro l'umanità per i fatti nel Darfur) che ha dichiarato che Abyei appartiene al Sudan, stracciando di fatto gli accordi e l'arbitrato della Corte Internazionale.

Le speranze per un futuro di pace si riducono, sebbene non bisogna dimenticare che sulla scia delle rivolte popolari del nord Africa e del mondo arabo, anche a Khartoum vi sono state manifestazioni e forti reazioni contro il regime, che da sempre tiene il paese in guerra (nonostante le enormi risorse petrolifere). La popolazione civile è stanca e la comunità internazionale ha sprecato l'opportunità di arrestare El Bashir recentemente in Kenya, dimostrando tutta la sua pochezza ed inadeguatezza.
Certo mentre in rete si trovano informazioni e articoli sul Sudan e su questa nuova guerra - la popolazione civile è già in fuga da Abyei - sulla nostra stampa e sulle nostre televisioni lo spazio dedicato a queste vicende è amaramente nullo.

E' possibile seguire l'evolversi della situazione sul Sudan Tribune



Inserisci link

mercoledì 25 maggio 2011

Il business degli elefanti

Da tempo abbiamo imparato che, nostro malgrado, non tutti gli uomini sono uguali. Purtroppo anche nel regno animale alcune differenze rappresentano delle terribili sventure. L'elefante africano (Loxodonta elefante), rispetto al suo parente indiano, possiede due grandi zanne d'avorio, che ne hanno fatto, nell'ultimo secolo, uno degli animali più cacciati (in realtà molto più piccole e solo nei maschi le zanne ci sono anche negli elefanti indiani).
L'avorio è conosciuto - come materiale per ornamenti e per sculture - fin dalle civiltà più antiche. In Egitto sono stati rinvenuti braccialetti che risalgono al 4000 a.c. Egiziani, greci, cinesi, indiani e giapponesi sin dai tempi remoti hanno lavorato l'avorio.
Il suo grande pregio e la sua bellezza sono determinati dalla durezza, dalla compattezza, dalla brillantezza e dalla resistenza dovuta alla sua composizione chimica (presenza di fosfati, floruro di calcio e materiali organici).
Oggi l'avorio è molto richiesto, nonostante i divieti, in Africa ed in Asia (in particolare in Cina e Giappone), mentre il mercato è completamente crollato in Europa, grazie alle campagne di sensibilizzazione che vi sono state.
Infatti nel 1989 l'elefante africano fu inserito tra le specie dell'Allegato I della CITES (Convention on International Trade in endangered species), la convenzione internazionale sulle specie in via di estinzione. Nel periodo 1980-1989, gli elefanti africani passarono da oltre 1,3 milioni di individui a 625 mila. Una vera e propria strage.
Oggi gli elefanti -ad un censimento del 2007 - erano 472.269, più un'altra quantità variabile di "possibili e probabili"(ovvero non censiti). Essi vivono in 37 paesi africani (vedi mappa).

Nel 1999, dopo 2 anni di pressanti richieste da parte di Sudafrica, Zimbabwe, Namibia e Botswana fu autorizzata, da parte della Cites, la vendita una tantum di 50 tonnellate di avorio frutto della raccolta di zanne di elefanti morti per cause naturali o "abbattuti legalmente". Nel 2002 fu permessa un'altra vendita legale, mentre nel 2006 la Tanzania fu costretta a ritirare la propria richiesta di vendita legale di avorio. Appare evidente che immettere quantità di avorio nel mercato legale, significa riaccendere la domanda che poco dopo non può essere più soddisfatta con il commercio legale.

Secondo alcune stime ogni anno viene abbattuto illegalmente l'8% della popolazione africana di elefanti, mentre il tasso di riproduzione annuale è del 6% annuo. Di questo passo - e senza un intervento deciso - gli elefanti africani sono destinati ad estinguersi. A questi ritmi, secondi alcuni studi, già entro una quindicina di anni.
Del resto i profitti sono molto alti (al dettaglio l'avorio può arrivare a 6500 dollari al chilo) e i rischi relativamente bassi, poichè il commercio illegale di avorio è un reato considerato di bassa priorità dalle polizie internazionali. Ogni elefante in media "garantisce" 7 chili di avorio.
In aiuto alla prevenzione del commercio illegale può arrivare la mappatura del DNA degli elefanti. In uno studio, pubblicato nel numero di settembre 2009 di Le Scienze, sono stati mappati (raccogliendo campioni di escrementi di elefanti in tutta l'Africa) il DNA degli elefanti. I risultati sono stati poi confrontati con 10,6 tonnellate illegale di avorio sequestrato (nel 2006) a Taiwan ed Hong Kong. L'indagine ha fatto scopriere che tutto il materaile proveniva da elefanti del le riserve Selous (in Tanzania) e Niassa (in Mozambico), uccisi dai bracconieri.

Ancora oggi la discussione si svolge tra chi, come la Tanzania, chiede di legalizzare il commercio dell'avorio seppur con quantità limitate (90 tonnellate all'anno - circa 13 mila elefanti all'anno!!!) e chi come altri 16 paesi africani, Kenya in testa, chiedono l'assoluta moratoria per 20 anni del commercio di avorio.

Per chi desidera approfondire ecco alcuni link dove sono segnalati progetti per la conservazione e la salvaguardia dell'elefante africano.

martedì 24 maggio 2011

L'oro della Mauritania

La notizia è apparsa oggi sulle agenzie giornalistiche. La miniera d'oro all'aperto di Tasiast in Mauritania, di proprietà del colosso minerario canadese Kinross, si appresta a diventare, forse, la più grande d'Africa. Per questa ragione la Kinross assumerà a breve altre 3.000 persone (nel 2009 erano 454 i dipendenti della miniera), con un investimento complessivo di circa 2 miliardi di dollari.
Del resto la stima sulle riserve di oro presenti o probabili nell'area, determinata dalle nuove esplorazioni e stata portata da 1,95 milioni di oncie del 2008 a 7,6 milioni di oncie del 2010. Una cifra che porta la Mauritania ai primi posti del continente africano. Un oncia equivale a 31,1035 grammi (grazie a Clodoveo per la segnalazione dell'errore).
Oggi infatti l'Africa produce il 22% dell'oro mondiale (ovvero circa 439 tonnellate delle 1970 mondiali, dati del 2008). A partire dal 1880 il Sudafrica ha prodotto circa 1/3 dell'oro mondiale, ma a cominciare dalla fine degli anni '90, la produzione ha subito una drastica riduzione (da 523 tonnellate nel 1995 a 212 tonnelate nel 2008). Nel 2009 la Cina risulta essere il primo produttore mondiale di oro con 260 tonnelate, seguita dal Sudafrica 250, Stati Uniti 230, Australia 225, Perù 175, Russia 165, Canada 100 e Indonesia 90.
In Africa, stando ai dati della produzione del 2008, oltre alle 212 tonnellate di oro del Sudafrica, si producono circa 80 tonnellate nel Ghana, 41 tonnellate in Mali, 36 tonnellate in Tanzania, 19 tonnellate in Guinea, 7 tonnellate in Burkina e 6 tonnellate in Mauritania. Sono ben 32 su 53 i paesi africano che estraggono oro.
E' certo che se i dati della Kinross sono esatti, la geografia (e non solo) della produzione dell'oro in Africa e nel mondo, sono destinate a cambiare.
Nella conferenza stampa di presentazione del progetto di assunzione dei 3000 lavoratori, il presidente della Kinross ha assicurato "salari equi e condizioni di lavoro decente per tutti i lavoratori, con l'impegno a migliorare le norme in tema di lavoro".


La canadese Kinross, che è nata nel 1993, ha rilevato il 17 settembre 2010 la miniera di Tasiast (che ha iniziato a produrre solo nel 2008) e la miniera di Chirano in Ghana, dalla Red Back Mining acquisendone le quote azionarie.



Per chi ha voglia di approfondire ecco un sito dove trovare informazioni sulle miniere d'oro in Africa

lunedì 23 maggio 2011

Libri: Come ritrovai Livingstone in Africa

Di come gli Europei siano venuti a contatto con la parte interna dell'Africa, ne avevo parlato in un post intitolato La "scoperta" dell'Africa.
Tra gli episodi di quella che, "nel bene e nel male", è considerata l'epopea dell'esplorazione europea in Africa, l'incontro tra David Livingstone , dato per morto o per disperso, e Henry Stanley, mandato a cercarlo, è senz'altro quello che, all'interno della grande disputa alla ricerca delle sorgenti del Nilo, ha maggiormente occupato l'opinione pubblica del tempo e successivamente gli storici delle scoperte geografiche.
Da questo viaggio, iniziato nel 1869 e concluso nel 1872 (il 1 novembre Stanley incontrerà Livingstone sul Lago Tanganika, pronunciando la storica frase: - "Dottor Livingstone, I presume"), Henry Stanley scriverà un diario How I Found Livingstone, pubblicato nel 1872. Nel 1997 questo diario è stato tradotto per la prima volta in italiano con il titolo Come ritrovai Livingstone in Africa centrale, edito dal Touring Club nella collana I Miraggi.
Inserisci link
Il libro è appunto il diario (vi sono riprodotti anche i disegni di Stanley) di quell'avventurosa ricerca, tra la bellezza e la crudeltà della natura africana, tra gli incontri con le popolazioni locali e i crudeli mercanti arabi di schiavi. Questo diario permette anche di riconoscere lo spirito, di assoluta superiorità, con cui "l'uomo bianco" si recava in Africa. E' un documento di straordinaria importanza per chi vuol compredendere l'Africa di oggi e l'origine anche di molti mali del continente.
Henry Morton Stanley, di origine gallese, fu adottato poi da un ricco mercante americano (che gli diede nome e cognome) fu inviato alla ricerca di Livingstone in quanto reporter del New York Herald. Successivamente Stanley divenne uno dei protagonisti della conquista e della spartizione dell'Africa, infatti egli lavorò alle dirette dipendenze di re Leopoldo II di Belgio, che grazie a Stanley ed ai trattati (secondo gli storici oltre 450) che egli fece sottroscrivere (sempre con una X apposta sulla carta) ai capi tribù, mise le basi dello Stato Libero del Congo, ovvero quasi due milioni e mezzo di chilometri quadrati di proprietà personale del re.


Vai alla pagina di Sancara su Libri e Film sull'Africa.

lunedì 16 maggio 2011

Energia in Africa

Parlare di energia elettrica in Africa, significa inevitabilmente affrontare uno spinoso problema. Da un lato quello legato alla produzione, che in Africa sub-sahariana vuol dire principalmente energia idroelettrica (in Nord Africa e in Sudafrica la situazione è diversa) con faraonici progetti di dighe per incanalare e deviare fiumi. Stando al sito Internationals Rivers in Africa sono in progetto oltre 150 dighe. Dall'altro lato quello dei consumi in un continente (Africa Sub Sahariana) dove solo il 26% della popolazione è allacciato alla rete elettrica.Proviamo a fare un di ordine.
L'Africa produce complessivamente circa 545.500 milioni di kWh l'anno. Tanto? Poco?
Gli Stati Uniti per circa un terzo della popolazione producono 4.110.000 milioni di kWh, la Cina 3.451.000 milioni, l'Unione Europea 3.078.000 milioni, il Giappone 956.500 milioni, la Russia 925.000 milioni, l'India 723.000 milioni. La sola Italia 289.700 milioni di kWh.
Tra i paesi africani che maggiormente producono energia troviamo il Sudafrica con 240.300 milioni di kWh (unico paese africano a possedere una centrale nucleare), l'Egitto con 118.400 milioni, l'Algeria 34.980 milioni, la Libia 23.980 milioni, la Nigeria 21.920 milioni, il Marocco 19.780 milioni, il Mozambico 15.910 milioni.
Che l'Africa abbia una grande necessità di energia per assecondare il suo sviluppo appare chiaro a tutti.
Come si evince dalla mappa, l'Africa centrale, a causa dei grandi bacini d'acqua è totalmente dipendente dall'energia idroelettrica. Di contro, gran parte dell'Africa settentrionale dipende esclusivamente da carburanti fossili (petrolio e gas).
La discussione che è all'ordine del giorno è quella dell'impatto che enormi dighe, in progetto o in corso di realizzazione, hanno su territori e su organizzazioni sociali che fondano la loro esistenza su un rapporto intimo e di reciproco scambio con la natura. La vera domanda è se la grandi dighe rappresentano "fattori di sviluppo" capaci di incidere positivamente sul futuro dell'Africa.
In Africa si hanno numerosi esempi che certamente fanno propendere verso una risposta negativa. La prima grande diga a destare preoccupazioni per l'impatto ambientale fu la seconda di Assuan in Egitto (di cui abbiamo parlato nel post relativo alla necessità che essa determinò di spostare i monumenti nubiani di Abu Simbel a Philae). Oggi, a distanza di oltre 40 anni, i danni arrecati sono maggiori dei vantaggi. La diga trattiene il limo fertile del Nilo ed è stato alterato in modo importante l'equilibrio idrogeologico del Delta, facendo avanzare il mare. Vi sono già alcune proposte di demolire la diga.
La diga di Akosombo, in Ghana creò il più grande lago artificiale del mondo. La diga doveva servire a irrigare una vasta area agricola (mai realizzata) ed a produrre energia per ricavare alluminio dalla bauxite estratta nella zona ( che oggi si importa dall'estero).
La diga di Manantali, nel Mali fu finita nel 1987, ma solo nel 2001 ha prodotto la prima energia elettrica. Sul lago artificiale che si è prodotto si sono stabiliti numerosi gruppi di popolazione dediti alla pesca. L'acqua calma del lago ha costituito un'ottimo habitat per le larve che generano la "cecità dei fiumi" (oncocercosi) e i pescatori del lago Manantali sono tra le popolazioni più colpite da questa malattia.
L'elenco potrebbe continuare, con altre storie simili. Le dighe costruite raramente hanno portato benefici per quanto riguarda irrigazione e agricoltura. Il problema è che dopo molti anni - anche a causa delle ingenti spese di manutenzione - anche la produzione elettrica è compromessa o comunque ridotta.
Oggi lo sbarramento dei fiumi ad uso idroelettrico o di irrigazione è diventato uno dei settori di finanziamento più importante degli aiuti internazionali allo sviluppo. Tra i maggiori costruttori di dighe vi sono, storicamente, le imprese italiane.
Non mancano ovviamente dichiarazioni di assoluto appoggio alla costruzione di nuove e maestose dighe, come questa dichiarazione sottroscritta anche dall'Unione Africana.
Tra le nuove faraoniche dighe in costruzione o in progetto vi è Giba3, in Etiopia (di cui ho parlato nel post sulla Valle dell'Omo) che sarà la più grande diga africana e produrrà oltre 5000 megawatt nel 2014 per arrivare a 15.000 megawatt nel 2017. E' in costruzione da parte della ditta italiana Salini per una cifra che supera i 3 miliardi di euro.
Un'altro mega progetto è quello di Inga III e Grand Inga (i cui lavori dovrebbero concludersi tra il 2014 e il 2025) (vedi mappa). La Gran Inga - che oggi è alla fase di studio di fattibilità - ha un costo che si aggira intorno agli 80 miliardi di dollari.

In rete vi è una ricca documentazione che è bene leggere se si vuole farsi un'idea più precisa sui vantaggi e gli svantaggi di queste opere. Sia chiaro che l'essere contrari alle grandi dighe non equivale a sostenere che l'alternativa siano le centrali a carbone o nucleari. Vi sono, almeno in Africa, tutta una serie di esperienze di "piccoli sbarramenti" e piccole centrali idroelettriche, che dovrebbero essere viste (e studiate) con maggior attenzione, soprattutto alla luce degli storici fallimenti dei grandi progetti.

Questa breve "passseggiata" tra l'energia elettrica in Africa, non poteva tralasciare il progetto Desertec, una rete di centrali elettriche (solari ed eoliche) da posizionare nel deserto (solari) e sulle coste atlantiche (eoliche). L'ottica di questo progetto è europea, ovvero serve a soddisfare una parte del bisogno energetico europeo, ma stiamo parlando di energie rinnovabili (in fin dei conti oggi si sfrutta il petrolio e il gas che provengono dalla stessa area). Ad ogni modo vi posto questa interessante analisi sul progetto.






domenica 15 maggio 2011

Cassava, il "riso" africano

"La cassava rappresenta per i contadini africani quello che il riso rappresenta per i contadini asiatici o il grano e la patata rappresentano per gli agricoltori europei". Di fatto quella che è conosciuta come cassava (Manihot esculenta), altrove chiamata anche manioca o tapioca o yuca è una pianta, originaria del Sudamerica, con una radice a tubero commestibile. Il suo paragone con il riso regge solo per l'uso quotidiano che ne viene fatto, non certamente da un punto di vista alimentare. Infatti contrariamente ai cereali, categoria a cui il riso appartiene, la cassava è pressocchè priva di proteine e di fatto contiene esclusivamente amidi (carboidrati) oltre che alcuni oligoelementi (calcio, fosforo e vitamina c).
La manioca fu portata dai coloni spagnoli e portoghesi in Africa (ed in Asia) e oggi è coltivata in tutta la fascia tropicale, in particolare in Africa (la Nigeria è il primo produttore mondiale) dove costituisce, per molti, la principale (e spesso unica) fonte di cibo.
La parte commestibile della cassava sono i tuberi, che consumati crudi sono tossici, per la presenza di cianoglicosidi, in particolare linamarina (esiste anche una varietà detta "dolce" che può essere consumata cruda). Infatti le radici vengono pelate e lasciate fermentare per qualche giorno in acqua e infine cotte. Le preparazioni alimentari a base di cassava sono molto diverse a seconda delle aree geograficche e assumono nomi diversi. Ad esempio ugali in Tanzania, garri in Nigeria o nshima in Zambia, tanto per citarne solo alcune.
Si mangiano anche le foglie della pianta, anch'esse tossiche e amare, che vanno quindi necessariamente messe a bagno e poi bollite.
E' una pianta che cresce facilmente, resistente alla siccità. Per questa ragione è sempre stata coltivata ovunque, divenendo spesso l'unico alimento di intere popolazioni. Allo stesso tempo è rimasta fuori dalla ricerca in agricoltura.
Sono recentemente, a partire dal 2000, sono iniziati studi e programmi per migliorare la coltivazione della cassava e favorire l'integrazione, con altri cibi, nell'alimentazione. La FAO ha lanciato, nel 2000, un programma chiamato Global Cassava Development Strategy.

Del resto all'uso alimentare esclusivo di cassava (e dei suoi elementi tossici - acido cianitrico) è associata una malattia neurologica chiamata Konzo (chiamata anche mantakassa), descritta per la prima volta alla fine degli anni '40, e spesso dovuta ad un'incompleto processo di fermantazione delle radici di cassava.

Vi segnalo il blog Mamma Iana che propone alcune simpatiche ricette con la cassava, italianizzate.

venerdì 13 maggio 2011

Bassa valle dell'Omo

L'Omo è un fiume che nasce nell'altopiano etiopico e dopo 760 chilometri, e un dislivello di 2000 metri, si riversa nel Lago Turkana. L'intero bacino ha una straordinaria importanza geologica e archeologica dovuta alla grande presenza di fossili di ominidi datati oltre 2 milioni di anni fa. Per questa ragione, la bassa valle dell'Omo, nel 1980 è stato inserita all'interno della lista dei Patrimoni dell'Umanità UNESCO.

La bassa valle dell'Omo viene ritenuto un luogo crocevia di migrazioni dei diversi gruppi della specie umana fin dai tempi remotissimi. Dal 1930 il luogo è stato studiato dal paleontologo francese Camille Arambourg (a destra nella foto) e successivamente tra la fine degli anni '60 (Arambourg morirà nel 1970) e gli anni '70 da numerosi team di archeologi e paleontologi.
Tra i fossili trovati in quest'area vi è l'Homo gracilis, ritenuto un importante elemento per lo studio e la comprensione de nostri antenati.

L'intera valle (e le popolazioni che in essa vi abitano, 8 diverse etnie, tra cui i Mursi, e 200.000 persone) è minacciata (vedi il sito di Survival International) dall'ambizioso progetto di una diga (Gibe III), alta 240 metri, per la produzione di energia elettrica. I lavori sono stati affidati, senza gara d'appalto, nel 2006, per un costo iniziale di 1,4 miliardi di euro (i costi sono già mostruosamente lievitati) alla ditta italiana Salini. E' questo un tema su cui ritornerò a breve. Intanto vi segnalo un possibile approfondimento sul sito Stop Gibe3 (su cui è possibile anche firmare una petizione contro la diga).


Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità UNESCO in Africa.

martedì 10 maggio 2011

20 gennaio 1973, assassinato Amilcar Cabral

Amilcar Lopes da Costa Cabral è stato l'uomo che ha condotto, faticosamente lungo oltre 20 anni, la Guinea Bissau e Capo Verde all'indipendenza dal Portogallo. Indipendenza che non ha mai visto, poichè è stato ucciso solo pochi mesi prima.
Infatti nelle prime ore del 20 gennaio 1973, mentre rientrava a casa con la moglie, Amilcar fu assassinato a Conakry. A sparare fu Inocencio Kani, ex comandande del PAIGC (il partito fondato dallo stesso Cabral) , un traditore secondo la più semplice delle definizioni, assieme ad un comando di guineani. Presumibilmente sostenuto dai servizi portoghesi (nella stessa notte molti membri del PAIGC a Conakry furono arrestati) e forse con la complicità del Presidente della Guinea Sekou Tourè. In realtà l'effettiva dinamica di quell'assassinio, e le responsabilità, non furono mai definite.
Nato il 12 settembre 1924 a Bafatà (oggi in Guinea Bissau, allora nella Guinea Portoghese) da padre di origine capoverdiana e madre guineana. Studia agronomia a Lisbona, dove incontra le organizzazioni favorevoli all'indipendenza e si avvicina al marxismo. Rientrerà in Guinea solo nel 1952 e 4 anni dopo, assieme al fratellastro Luis e ad Aristides Pereira (entrambi saranno i primi presidenti delle due nazioni, la Guina Bissau e Capo Verde) fonda il PAIGC (Partido Africano da Indipendencia da Guinè e Cabo Verde).
Nato come movimento clandestino, il PAIGC in poco tempo si radica fortemente sul territorio. Cabral percorre ogni angolo del paese (estendendo la sua azione anche nei paesi limitrofi, in particolare in Casamance e Guinea), insegnando tecniche di coltivazione del terreno, distribuendo farmaci ottenuti dalla Svezia e dall'URSS, favorendo l'emancipazione sociale e culturale delle popolazioni rurali guineane. Soprattutto viene in contatto con l'estrema povertà che attanaglia il suo paese, che lo spinge ad intensificare il suo sforzo per la liebrazione.
Cabral approfondendo le tecniche e le teorie rivoluzionarie (è annoverato tra i massimi ideologi dei processi rivoluzionari, assieme a Fenon ed a Che Guevara), a partire dal 1963, porta il PAIGC ad intraprendere, una volta constatata l'assoluta indisponibilità del Portogallo a dialogare, la strada della guerriglia con le armi fornite dall'URSS e dalla Cina.



Contemporaneamente Cabral stringe legami con gli altri leader della lotta all'indipendenza delle colonie portoghesi, come Agostinho Neto, Marcelino Dos Santos, Mario Pinto de Andrade, Francisco Josè e Eduardo Mondlane. Successivamente viaggia incontrando i leader dei paesi africani indipendenti come Lumumba, Nkrumah e Ben Bella e chiede aiuto alle capitali europee, dell'est e perfino alla Cina.
Sotto la direzione di Cabral il PAIGC svolge un enorme "lavoro politico" (riconosciuto da tutti, perfino dai suoi avversari), nelle aree del paese una volta liberate. Si formano comitati in tutti i villaggi liberati, in cui è forte la presenza delle donne.
Nel 1972, oramai conquistato quasi l'intero paese,
Dopo il suo assassinio, la lotta fu intensificata. Il 24 settembre 1973 fu dichiarata unilateralmente l'indipendeza, che venne riconosciuta solo il 10 settembre 1974, dopo che la rivoluzione dei Garofani in Portogallo aveva destituito il regime fascista di Salazar e di Caetano (25 aprile 1974). Il primo presidente della Guinea Bissau fu Luis Cabral.

Cabral è uno di quei tanti leader africani che sono stati assassinati e che forse avrebbero potuto costruire un'Africa diversa.

Vi segnalo il Centro Amilcar Cabral di Bologna, centro studi sull'Africa, nato e a lui intitolato nel 1974.

Vai alla pagina di Sancara Date storiche per l'Africa

lunedì 9 maggio 2011

Musica: Pepe Kalle, l'elefante della musica africana

Pepe Kalle, pseudonimo di Kabasele Yampanya, è stato un cantante di rumba congolese (o soukous, dal francese "agitarsi") della Repubblica Democratica del Congo. Nato a Kinshasa il 30 novembre 1951, è morto a causa di un infarto il 28 novembre 1998. Il suo pseudonimo deriva dalla band di Grand Kalle con cui militò per diversi anni.
Chiamato anche "l'elefante della musica africana" o "la bomba atomica"a causa della sua stazza: alto 1,90 dal peso di oltre 130 chili.
La rumba congolese o africana, nasce negli anni '30 nel Congo (sia quello francese che quello belga), traendo origine dalla rumba cubana e dai ritmi caraibici.
Da piccolo Kabasele cantava nella chiesa cattolica, dove imparò i rudimenti dell'uso della voce. La sua vera carriera ha inizio verso il 1970 quando entra nell'orchestra African Jazz di Grand Kalle (1930-1983), considerata la prima banda nata in Congo. Nel 1972 fondò una sua banda, la Empire Bakuba (dal nome dell'Impero dei Bakuba, 1625-1900). Ben presto il gruppo divenne conosciuto in tutto lo Zaire e nell'Africa Occidentale. Alla fine degli anni '80 arrivò anche il successo internazionale e Pepe Kalle cominciò ad incidere anche a Parigi.



A seguito del successo internazionale, Pepe Kalle iniziò a contaminare la sua musica avviando un cammino verso la world music, in particolare a partire dall'album del 1990 Roger Milla, dedicato al calciatore camerunese che dopo aver giocato al Mondiale del 1982 in Spagna, nel 1990 in Italia, all'età di 38 anni, riuscì a trascinare il Camerun ai quarti di finale (per la cronaca Milla giocherà anche nei Mondiali del 1994, divenendo il più anziano della storia dei mondiali di calcio a scendere in campo, 42 anni, e a segnare).
Nel 1992, durante un tour in Botswana, morì il ballerino nano Emoro. Emoro e Pepe Kalle erano una delle grandi singolarità dell'Empire Bakuba: il gigantismo di Pepe e il nanismo di Emoro, erano elementi che arricchivano le straordinarie perfomance della band.

Il 28 novembre 1998 Pepe Kalle morì d'infarto. Gli Empire Bakuba continuano a suonare.
Nella sua carriera ha inciso oltre 20 album e oltre 200 canzoni.

Una piccola annotazione. Di Pepe Kalle, contrariamente ad altri grandi artisti africani, si trovano poche immagini, di qualità, in rete.

Vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa.

giovedì 5 maggio 2011

Libri: La spartizione dell'Africa

La spartizione dell'Africa, scritto dallo storico olandese Henri Wesseling e pubblicato in Italia da Corbaccio nel 2001, e' una pietra miliare per chi vuol conoscere e capire la storia coloniale africana e i risvolti attuali che da essa derivano. Con un grande rigore storiografico, ogni passaggio di questo saggio è documentato e analizzato senza mai perdere di vista i protagonisti, gli uomini e le loro modalità, che hanno determinato quello che Wesseling definisce come un "evento significativo dei tempi moderni".
Wesseling tratta il periodo storico che va dal 1880 al 1914, ovvero quel trentennio che porta l'Africa dai margini della colonizzazione alla totale spartizione tra sette grandi potenze europee (Francia, Germania, Belgio, Spagna, Gran Bretagna, Italia e Portogallo) con modalità coloniali diverse e distinte.
Wesseling descrive gli eventi che a partire dal Congresso di Berlino (1878), che delineò il nuovo assetto tra le grandi potenze europee a seguito della sconfitta ottomana contro l'Impero Russo, ritenuto, a suo avviso, il momento in cui "politicamente" fu dato il via libera alla costituzione del protettorato sulla Tunisia a opera della Francia (1881) e all'inizio della colonizzazione africana.
Difatti fino al 1880 dell'Africa interessavano solo le coste e poco più anche perchè molto del continente interno non era conosciuto. La spartizione dell'Africa, come racconta con densità di particolari Wesseling, si incontrerà con le "scoperte" geografiche sull'Africa.
Prima del 1880, la Francia era in Algeria (1830), la Gran Bretagna era in Sudafrica (1814) e il Portogallo aveva molti avanposti sulla costa atlantica e in Mozambico. In pochi anni lo scenario cambiò radicalmente come si vede molto chiaramente da queste due mappe che mostrano le differenze tra il 1885 e il 1914, data in cui può ritenersi conclusa la spartizione dell'Africa.
Una spartizione che, come si evince con chiarezza, non ha mai tenuto conto di chi, da millenni, abitava quelle terre.


Vai alla pagina di Sancara sui Libri e Film sull'Africa

martedì 3 maggio 2011

Osama Bin Laden e l'Africa

La vita, le azioni e ora la morte di Osama Bin Laden sono avvolte dal mistero. Leggendo sulla carta o sulla rete, notizie sul suo conto si rincorrono e si contraddicono con una impressionante velocità. Realtà, fantasia e opportuno "depistaggio" si fondono in modo complesso, tale da mettere in discussione - a qualsiasi persona di buon senso e con un normale grado di "ragionevole dubbio sull'informazione" - l'intera sua vita e perfino l'immagine che tutti noi abbiamo di lui e della sua rete terroristica.
Lascio ad altri il compito di mettere in dubbio - sempre legittimo su questi temi - i vari episodi e le contraddizioni della sua vita e della sua morte.
Bin Laden però ha significato - e secondo alcuni significa ancora - molto anche in Africa.
Le ragioni sono molte. In primo luogo la presenza, in Africa, di una forte componente islamica nella popolazione. L'islam resta la prima religione professata nel continente e la componente sunnita, fatta eccezione per alcune aree dell'Africa Orientale in cui prevalgono gli sciiti, è maggioritaria ovunque. In secondo luogo l'Africa ha - suo malgrado - una densa quantità di povertà, di illegalità, di ingiustizie e di assenza dello stato, substrato su cui più facilmente aderiscono l'integralismo e l'estremismo, non solo quello islamico. Infine, per un periodo che va dal 1991 al 1996 Osama Bin Laden ha stabilito la sua base in Sudan, precisamente a Khartoum.
Quando nel 1991 Osama venne espulso dal suo paese, l'Arabia Saudita, a pochi anni (1988) dalla nascita, secondo gli storici, della rete terroristica internazionale Al Qaeda, venne accolto a braccia aperte dal regime sudanese guidato da Omar al Bashir (ancora oggi al potere) e dall'ideologo Hasan al Turabi (che ieri ha definito la morte di Osama come un momento di estrema tristezza per l'intero islam). Nel 1995 Re Fahd d'Arabia gli revocò la cittadinanza, congelando i suoi numerosi beni (Osama discendeva da una ricchissima famiglia araba). Osama fin dalla prima guerra del Golfo (1991) aveva condannato l'Arabia Saudita per l'appoggio dato agli americani in quella circostanza e successivamente aveva colpito interessi americano in Arabia e in Yemen.
Quando nella primavera del 1996 Osama Bin Laden venne espulso dal Sudan (su pressioni americane ed egiziane), colpevole di aver organizzato nel giugno 1995 - assieme a quello che oggi è considerato suo successore alla guida della rete di Al-Qaeda, l'egiziano Ayman Al Zawahiri un fallito attentato al presidente egiziano Mubarak durante un vertice ad Addis Abeba, era già un uomo tenuto "sotto strettissima osservazione" dalla CIA. Si rifugerà in Afghanistan, protetto dal regime dei talebani, da dove continuerà addestrare gli uomini della rete. Del resto Bin Laden era già accusato di aver addestrato gli autori del massacro, avvenuto a Mogadiscio in Somalia nell'ottobre 1993 di 18 militari americani.
In Sudan Osama viene in contatto con un'altro terrorista internazionale, il venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Lo Sciacallo, legato al terrorismo palestinese, che nel 1992 giunge in Sudan, dopo essere stato espulso dalla Siria e poi della Giordania. Sanchez non ha mai nascosto una grande ammirazione per Osama Bin Laden. Ma nel 1994 il governo di Khartum lo vendette ai servizi segreti francesi in cambiom, si dice, di molto.
Si dice che il governo del Sudan nel 1996 tentò di vendere agli americani anche Bin Laden, ma il timore di un processo pubblico, in cui Osama avrebbe potuto rivelare i suoi contatti, innegabili , con i servizi americani quando combatteva in Afghanistan contro i sovietici (1979-1989), fanno desistere da questa ghiotta offerta.
Il 7 novembre 1997, un comando della Jamaa Isamiya, gruppo finanziato da Bin Laden, colpisce in Egitto, uccidendo a Luxor, 58 turisti e 4 egiziani.
Non passa neanche un anno e il 7 agosto 1998, quasi simultaneamente, avvengono i due attentati alle sedi diplomatiche americane di Nairobi (in Kenya) e a Dar El Salam (in Tanzania). Nel duplice attentato vi saranno 224 morti (di cui 12 statunitensi) e qualche migliaio di feriti.
La reazione americana sarà immediata: il 20 agosto, missili da crociera partono alla volta dei campi d'addestramento in Afghanistan e di Khartoum. In Sudan viene colpita una industria farmaceutica che secondo gli americani produceva armi chimiche (accusa mai provata, ma anzi smentita anche da tecnici italiani che vi lavoravano) oltre che il 50% del fabbisogno farmaceutico del paese.
Nel frattempo la rete di Bin Laden aveva colpito in altri luoghi del pianeta.
Poi arrivò l'11 settembre.......

In questi 10 anni trascorsi tra le Torri Gemelle e l'ufficializzazione della morte di Bin Laden, vi sono stati altri episodi attribuiti alla rete di Osama Bin Laden (Londra, Madrid, Istanbul e altri), nonostante il suo "isolamento" e una taglia sulla sua testa passata da 25 milioni a 50 milioni di dollari. Ma questa è un'altra storia.
In Africa in Somalia come in Sudan, in Nigeria come in Niger, nel Nord come a Occidente l'integralismo preme alle porte e la rete, che secondo alcuni è oramai sgretolata in tanti piccoli e conflittuali gruppi, continua ad attingere il suo nutrimento nella miseria.