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martedì 20 maggio 2014

Libia: ritorno al passato

Siamo onesti, la partita che oggi si gioca in Libia è quella del controllo delle grandi riserve petrolifere del Paese. La Libia, stando agli esperti, detiene la più grande riserva di petrolio provata dell'Africa (circa 49 miliardi di barili) e al tempo stesso la meno sfruttata. Decenni di embargo al regine di Gheddafi hanno reso la partita del petrolio strategica per l'economia mondiale. La possibilità di sfruttare le risorse petrolifere è nelle mani delle grandi multinazionali del petrolio: quelle americane, quelle europee e quelle cinesi, le uniche capaci di farlo.
Da quale governo controllerà il paese dipende chi sfrutterà quelle risorse.

Certo all'interno si inseriscono vecchi rancori, vecchie lotte tra clan e come sempre, quando vi è da nascondere qualcosa, il pericolo dell'estremismo islamico.

Gli americani (meglio le lobby del petrolio nord-americane) cercano di accreditarsi al controllo delle risorse attraverso un ambiguo personaggio, quel Khalifa Haftar, che dopo averci provato nel febbraio scorso, in questi giorni tiene sotto scacco l'incerto governo libico, con l'operazione denominata "Dignità".

Haftar era un militare (oggi un generale) che assieme a Gheddafi partecipò al colpo di stato del 1969 e in tale veste guidò, a partire dal 1978, le truppe libiche nella guerra contro il Ciad. Venne catturato e fu "ufficialmente" dimesso da Gheddafi. Fu in seguito "liberato" da una misteriosa operazione condotta dagli Stati Uniti, che lo portarono prima in Ciad e poi in Zaire, a guidare un gruppo di opposizione al rais libico. Dopo qualche anno volò verso gli Stati Uniti dove restò, apparentemente in esilio (in realtà secondo molti al servizio della CIA), fino al 2011. Nel marzo 2011, rientrò per dare man forte alla Rivoluzione contro Gheddafi e da allora ha avuto il compito di riorganizzare l'esercito (in realtà un esercito parallelo) ed essere pronto a prendere il potere.

Oggi Haftar guida la forza militare più armata del paese (sono stati i suoi uomini, con carri armati, ad assediare il Parlamento) e il loro intento dichiarato è quello di fermare "le milizie islamiche". Ed è per questa ragione che molti, Stati Uniti in testa, chiedono all'Occidente (e all'Europa in particolare) di schierarsi apertamente con lui per bloccare "l'avanzata islamica". E' da sottolineare che in Libia erano previste elezioni anticipate per il 15 agosto (Haftar ha chiesto di sospendere il processo elettorale).

Naturalmente in gioco vi sono molte questioni, alcune delle quali erano ampiamente prevedibili dopo che nel 2011 i paesi occidentali (Francie e Gran Bretagna in testa) contribuirono, militarmente, alla caduta di Gheddafi, salvo poi abbandonare (una volta ripristinate le estrazioni di gas e petrolio e il loro invio verso l'Europa) la Libia al suo destino.

In gioco, oltre alle risorse, vi è l'estremismo islamico, talora sventolato come spauracchio per convincere gli indecisi ad intervenire, vi è il dramma dell'immigrazione (la stragrande maggioranza di disperati provengono dalle coste libiche) anch'essa usata come "arma di convincimento" verso i più restii, vi sono gli interessi e le ingerenze dei paesi confinanti (Egitto e Tunisia, in particolare) e infine le lotte di potere (fuori da qualsiasi logica religiosa) che da sempre (anche in era Gheddafi) hanno caratterizzato la geografica della Libia.

In questo quadro, nel caos che regna sovrano, è evidente che, senza un intervento chiaro delle Nazioni Unite (ma saranno poi capaci?) la guerra civile libica è destinata a protrarsi nel tempo, oppure a richiedere un intervento unilaterale nella nuova guerra al terrorismo americana e favorire così le multinazionali del petrolio americane.

Gli americani, intanto, scaldano i motori.

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