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giovedì 24 luglio 2014

Petrolio in Africa, un aggiornamento

Nel settembre 2010, poco dopo la nascita di Sancara, scrissi un post dedicato al petrolio africano (L'africa e il petrolio, una storia complessa) ed ai possibili sviluppi futuri. In questi giorni, complice le bizzarrie della rete, quel post è balzato ai primi posti tra quelli più letti. Andandolo a rileggere, ho ritenuto giusto apportare qualche aggiornamento.

L'articolo si chiudeva con una previsione degli analisti del settore, ovvero che già dal 2010 il consumo mondiale di petrolio sarebbe continuato a crescere (dopo una contrazione dovuta alla crisi del 2007-2008). In effetti così è stato: si è passati dalle 4.000,2 milioni di tonnellate del 2008 alle 4.185,1 del 2013. Una crescita frutto dell'aumento del fabbisogno soprattutto in Asia (da 1213 milioni a 1415 milioni), Medio Oriente (dal 336 a 284) e l'Africa (da 153 a 170, Egitto e Algeria in testa) e della contrazione in Europa (da 956,8 a 878) e in parte in Nord America.
In testa ai consumi gli Stati Uniti 831 milioni di tonnellate), la Cina (507), il Giappone (208), l'India (175) e la Russia (153,1). Guardando poi gli andamenti degli ultimi anni la crescita dei consumi è soprattutto in Cina, India, Brasile, Russia e Arabia Saudita. Mentre decresce in Giappone e in generale in Europa (l'Italia passa da 80 milioni di tonnellate a 61 milioni). Questi numeri indicano una chiara tendenza: il consumo di petrolio (che significa in gran parte produzione) si sposta verso altre aree del mondo che hanno anche capacità produttive.

Parallelamente infatti è cresciuta la produzione mondiale che ha toccato nel 2013 la cifra record di 4132,9 milioni di tonnellate. La produzione è aumentata soprattutto nel Nord America (da 612 milioni di tonnellate a 781,1). Del resto gli analisti, già nel 2012, indicavano che gli Stati Uniti saranno nel 2020 i primi produttori al mondo, e nel 2030 raggiungeranno la sospirata autosufficienza energetica.
Oggi a guidare la classifica dei produttori resta l'Arabia Saudita (542,3 milioni di tonnellate), seguita da Russia (531), da Stati Uniti (446,2), Cina (208) e Canada (193).

Il trend sulla produzione conferma la grande crescita degli Stati Uniti e a ruota (ma non agli stessi livelli) dei paesi del Medio Oriente (ad eccezione dell'Iran), della Cina, Russia e Brasile. Mentre in calo la produzione in Venezuela e Messico.

Da un punto di vista delle multinazionali del petrolio (dati 2012) il colosso mondiale si comferma essere la Saudi Arabia Oli Co., seguita dalla russa Gazprom. Dopo di loro la National Iranian Oil, la Exxon Mobil, la PetroChina, la BP e la Shell. Alcune delle compagnie di paesi emergenti (Malaysia, Messico e Venezuela) sono stata nuovamente superate dalle storiche multinazionali anglo-americane e olandesi.

E l'Africa?

La situazione, rispetto al post del 2010, sembra essere "stabile". Se è vero che produzione e consumi sono leggermente in aumento, è innegabile che le aspettative degli analisti erano ben diverse. All'inizio del 2000 si parlava dell'Africa come futuro luogo strategico della produzione petrolifera mondiale nel giro di 15-20 anni. Nel 2008 il 12,3% del petrolio mondiale era africano, nel 2013 lo è il 10,1%. Gli studi hanno accertato riserve petrolifere ampie e tutte da esplorare, ma la realtà africana (con tutte le intromissioni del caso) è più complessa e forse questa data deve essere spostata decisamente in avanti.
L'Angola, per molti pronta a fare il balzo come primo produttore del continente, ha una produzione negli ultimi anni altalenante, ma su valori simili (92 milioni di tonnellate nel 2008, 87 nel 2013). Così la Nigeria, con 111 milioni di tonnellate nel 2013  (erano 102, 8 nel 2008) si conferma primo produttore africano e si colloca al 12° posto nel mondo (era 15° nel 2008).
L'Africa risente molto delle instabilità politiche. La produzione in Libia ( ecco un'analisi interessante), che era collassata nel 2011 (da oltre 80 milioni di tonnellate a 22), aveva avuto un'incoraggiante ripresa nel 2012 (71) per poi riscendere ancora nel 2013 (46.5). 
Così come la Produzione del Sudan, che a seguito della nascita del Sud Sudan (e dei conflitto che a seguito ne sono nati) ha visto la sua produzione dimezzarsi (da 23 milioni di tonnellate del 2008 a poco più di 10 milioni nella somma dei due paesi nel 2013).
Cala la produzione in Algeria (da 85 milioni nel 2008 a 67 nel 2013), mentre sono in leggero calo o comunque stabili le produzioni di Egitto, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad.
Per ora non ancora significativi (da un punto di vista produttivo) i giacimenti scoperti in Mozambico, in Kenya, nel Nord-Africa (Marocco e Algeria in particolare) e off-shore. La produzione africana resta saldamente nelle mani straniere (Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Italia in testa). Le compagnie petrolifere africane (l'angolana Sonagol, la Nigerian National Petrolium Co, la National Oil Corporation Lybia e l'algerina Sonatrach, sono ancora impantanate in corrotte (e finte) partecipazioni statali o nelle mani dei colossi stranieri).

Pare evidente che l'Africa continuerà ad essere al centro delle attenzioni future per quanto riguarda il petrolio. Vi è da sperare, che almeno nelle nuove aree di estrazione, i governi sappiano trasformare questa ricchezza in una opportunità per i loro popoli. Troppo?

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