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venerdì 19 gennaio 2018

La fine del pesce

Le coste dell'Africa Occidentale, e del tratto Senegal e Mauritania in particolare, sono ricche di pesce. Una ricchezza che da sempre ha favorito la vita su tutto l'asse costiero. Generazioni di uomini e donne hanno potuto sopravvivere grazie ai doni del mare. Un mare che spesso ha richiesto grandi sacrifici ma, che ha permesso a tutti di sfamarsi, di tramandare di padre in figlio tecniche e rituali oggi quasi scomparse e di costruire delle comunità coese che hanno contribuito anche alla stabilità politica di un paese come il Senegal. Chi ha avuto il piacere di percorrere le coste del Senegal ha potuto ammirare spettacoli strabilianti.

La pesca costiera impregnava (in ogni senso e soprattutto in quello letterale) la vita quotidiana. Piroghe costruite con tecniche semplici ma di grande efficienza e di rara bellezza, distese di pesce poste ad affumicare sulla battigia e donne che, al rientro dagli uomini dalla pesca, favorivano la lavorazione, la vendita e la conservazione(affumicazione o disidratazione) di quel prezioso dono della natura. Un mercato in ogni spiaggia, in ogni luogo dove era possibile approdare con imbarcazioni spinte dal vento e più recentemente da motori fuoribordo.
Da oltre una decina d'anni la situazione è letteralmente precipitata.
Le flotte delle multinazionali del pesce (molte europee ma, non solo) hanno invaso letteralmente il tratto di Oceano Atlantico che lambisce le coste dell'Africa Occidentale. La necessità di pesce del nostro mondo - molto del quale per produrre farine per gli allevamenti intensivi- crescono a dismisura e l'avidità delle multinazionali non guarda in faccia a nessuno. Un peschereccio può arrivare a pescare, in un solo giorno, l'equivalente del pescato di 56 piroghe in un anno!
Già verso il 2010 si lanciava un grido d'allarme, inascoltato. "Entro una decina di anni potrebbe non esserci più pesce". Gli anni sono trascorsi e ci avviciniamo, senza che sia stato fatto nessun intervento, alla data fatidica.
Dal porto di Joal, il più grande porto dove giunge il pesce in Senegal, i pescatori dicono che negli ultimi dieci anni il pescano è calato del 75%. Praticamente una strage.
L'azione delle multinazionali del pesce sta destabilizzando fortemente la società senegalese. Oltre 2 milioni di persone dipendono dalla pesca, l'industria ittica senegalese era la prima per fatturato. Si stima che già 300 mila persone abbiano perso il posto di lavoro e che gli effetti negativi stanno oramai giungendo anche ai piccoli pescatori e a coloro i quali la pesca rappresenta un dignitoso modo di vivere. Ma, l'effetto è ancora più devastante se consideriamo che le multinazionali per avere le concessioni o per non essere infastidite dalle guardie costiere hanno alimentato un sistema di corruzione che oramai, anche ora che il governo ha posto vincoli alla pesca, non si riesce più ad arginare.
Ancora, l'effetto più evidente e preoccupante è quello sulle comunità locali, fino ad oggi in pace e che oggi iniziano a "lottare" per la sopravvivenza. Una sopravvivenza che non è solo di oggi (per il cibo o per il denaro) ma che, si proietta pericolosamente nel futuro. 
Per i giovani senegalesi il lavoro del pescatore era faticoso ma, stava all'interno delle tradizioni familiari e rappresentava un futuro certo. Oggi questo futuro non esiste. L'incertezza è massima, la fiducia e inesistente e l'unica alternativa sembra essere quella di migrare. 

L'effetto di questa catastrofe annunciata inizia solo ora ad essere visibile e costituirà un nuovo elemento di crisi nel nostro pianeta. Certo i nostri supermercati continueranno ad essere pieni, i nostri allevamenti avranno farine animali per far crescere finti animali che finiranno sulle nostre tavole e che per metà verranno gettati perché superflui.
Certo anche i barconi di disperati che scappano dalla miseria, saranno pieni ma, per alcuni sarà solo il prezzo da pagare per la nostra (soprattutto loro) ricchezza, per altri saranno solo la causa del nostro (solo nostro) malessere su cui scaricare tutto l'odio e il rancore. Il mondo, forse, continuerà a vivere.




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