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mercoledì 15 aprile 2020

Coronavirus e Africa, qualche pensiero

La pandemia dovuta al nuovo coronavirus ha oramai colpito l'intero pianeta. Seppur con grandi differenze solo alcuni piccoli Paesi sono, ad oggi, esenti da contagi. Inoltre se alcuni Paesi come gli Stati Uniti, gran parte dell'Europa (Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito in testa) e dell'Asia (Cina, India, Corea e Giappone in particolare) stanno facendo i conti con una vera e propria tragedia, non solo in termini di morti bensì di tenuta del sistema sanitario e, in prospettiva, di quello economico, vi sono altri luoghi del pianeta, come l'Africa, ove il virus "sembrerebbe" colpire meno. Il condizionale è d'obbligo, ma il continente africano con 15879 casi confermati e con 834 morti, si connota come l'area geografica del pianeta meno colpita dal virus.

Inoltre se si osservano nel dettaglio la distribuzione dei casi (ad oggi solo due paesi, il Lesotho e le Comore, sono immuni al virus) essi si concentrano nell'Africa Mediterranea (Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia) e in Sudafrica (primo Paese africano, con 2272 per numero di casi). mentre è l'Algeria con 313 morti ad essere responsabile di oltre il 62% delle morti da coronavirus nel continente).

Certo la prima cosa che viene in mente è se i dati forniti dai paesi africani all'Organizzazione Mondiale della Sanità siano veritieri e attendibili e se l'esiguità dei tamponi effettuati si alla base di questa apparente difficoltà del virus a entrare nell'Africa nera.

Allora, facciamo un passo indietro. Sin dall'origine della pandemia la comunità internazionale è sempre stata molto preoccupata da un eventuale diffondersi dell'epidemia in Africa. Quando il 14 febbraio 2020 si registrò il primo caso nel continente e precisamente in Egitto (il primo caso in Africa sud-Sahariana si ebbe il 28 febbraio in Nigeria) l'opinione diffusa era di un'imminente catastrofe (l'ennesima) in Africa.

Che il sistema sanitario africano sia tecnologicamente e numericamente arretrato non è una novità (qualche riflessione meriterebbe la questione degli aiuti allo sviluppo, soprattutto alla sanità, degli ultimi 60 anni....). Prendendo in considerazione solo il dato dei posti di terapia intensiva (parametro che tutti hanno imparato a conoscere negli ultimi mesi), in tutto il continente (54 stati) vi erano circa 5000 posti per oltre 1,3 miliardi di persone (gli stessi della sola Italia, 5200, per circa 60 milioni di abitanti e quasi un sesto della Germania, che ne ha 28 mila), con grandi differenze nei 43 Paesi che dispongono di tali presidi (ad esempio circa 1000 in Sudafrica, 500 in Tunisia, 400 in Algeria, 150 in Kenya, 50 in Senegal).

Accanto a questo dato "grezzo", vanno considerati altri fattori determinanti. In alcuni paesi africani l'età media è sotto i 20 anni (il 70% della popolazione è sotto i 30 anni) e l'aspettativa di vita non supera i 64 anni. Il tasso di urbanizzazione (percentuale di persone che vivono nelle città) è del 43% (in Cina è ben oltre il 60% e l'Europa è mediamente oltre il 75%). Sono tre le città africane che superano i 10 milioni di abitanti (Lagos, Kinshasa e il Cairo).

In Africa vi sono 60 milioni di bambini che soffrono di malnutrizione (così come quasi 700 milioni milioni di individui che non hanno di che mangiare), malattie di ogni genere (dal morbillo alla malaria, dall'aids alla tubercolosi), circa il 40% della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e manca di servizi sanitari. Proprio nei giorni in cui il mondo affrontava l'insorgere della nuova epidemia di Coronavirus nella Repubblica Democratica del Congo si cercava di spegnere l'ennesimo focolaio di Ebola (oltre 4000 morti).
Senza contare guerre, estremismi, rivalità religiose e politiche, le locuste e la siccità.

E' chiaro che i fattori che fanno pensare che l'arrivo del Corona virus in Africa sarà un'ecatombe vi sono tutti. A metà febbraio solo due laboratori medici (uno in Senegal e uno in Sudafrica) erano in grado di processare i tamponi e fornire una risposta sulla positività al coronavirus.

Allora qualcosa - fino ad ora - ha impedito una diffusione di massa e una strage nel continente. La giovane età degli africani, le abitudini di vita all'aperto e una temperatura più alta (la questione se il corona virus, contrariamente ai suoi simili, sia sensibile alle temperature è ancora oggetto di discussione nella comunità scientifica). Questi fattori finora stanno facendo la differenza. 
In tutta l'Africa (con variazione tra Paese e Paese e all'interno dei singoli Paesi) sono state introdotti elementi di prevenzione. Chiusura delle scuole, distanziamento sociale, chiusura di attività produttive, allestiti rifugi per i senza tetto, coprifuoco e rinviato elezioni e feste religiose. 

E' sicuramente presto per fare previsioni (del resto questo virus ha insegnato che chiunque si sia sbilanciato in previsioni o minimizzazioni è drammaticamente stato smentito dai fatti). Certo l'Africa a suo vantaggio ha una naturale resistenza "alla vita" (e alla sue condizioni più estreme), una "familiarità" con la morte (altro tema che dalle nostre parti, giunti oramai a oltre 85 anni di aspettativa media di vita, eravamo convinti di aver "sconfitto"), un sistema giovane e dinamico capace di trovare soluzioni razionali e creative.

E se il continente fosse meno toccato dal virus? e se la sua fragile economia sapesse trarre profitto dal rallentamento su scala mondiale per chiudere un pò la forbice delle differenze? e se proprio dai laboratori africani (da anni in prima linea su molte patologie) arrivasse una soluzione per l'Umanità?

A presto

PS- tutte le foto sono tratte dalla rete



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