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giovedì 30 dicembre 2010

Parco Nazionale di Virunga

Il Parco Nazionale di Virunga, nella Repubblica Democratica del Congo (ex Congo Belga, ex Zaire) è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'Unesco nel 1979.
Conosciuto precedentemente come Parco Nazionale Albert (istituito nel 1925, fu il primo parco nazionale africano, ampliato poi territorialmente nel 1929 e nel 1935) si trova sui Monti Virunga nella Catena vulcanica dei Monti Ruwenzova, al confine tra RD del Congo, Uganda e Ruanda. I monti Virunga furono visti dagli esploratori Speke e Grant (vedi post), ma ascesi per la prima volta dall'esploratore tedesco Gustav Adolf Von Gotzen tra il 1892 e il 1895.
Il parco varia da un'altitudine di 900 metri ai 5119 metri del massiccio del Ruwenzori. I Monti Virunga invece sono costituiti da 8 coni vulcanici con il maggiore, il monte Karisimbi, che arriva a 4.517 metri.

Il Parco compre un'area di 7800 km2 e ospita al suo interno i famosi gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) (gli stessi studiati di Dian Fossey nel vicino Ruanda), di cui recentemente è stata data notizia di un aumento considerevole della popolazione (passata da 380 a 480).
Nel parco si trova anche una popolazione di ippopotami (sul Lago Eduardo) che negli ultimi 40 anni è stata letteralmente decimata (persi il 98% degli esemplari). Vi sono poi elefanti delle foresta, giraffe, scimpanzè, okapi, bufali e una notevole varietà di uccelli.

All'interno del parco vivono anche i pigmei Bambuti e una popolazione di oltre 20 mila pescatori.

Nel 1994-95 (anno della crisi del Ruanda e dell'inizio del genocidio) il parco è stato interessato da un afflusso di rifugiati (centinai di migliaia) che scappavano dal Ruanda, mentre nel conflitto del Kivu (2008) un nuovo flusso di rifugiati interni ha coinvolto il parco. Tale fenomeno ha ovviamente creato difficoltà nel controllo del territorio e una deforestazione inaspettata.
Il fenomeno del bracconaggio poi, (che riguarda anche i gorilla, che vengono utilizzati per porzioni magiche o souvenier) ha fatto in modo che dal 1994, 120 rangers hanno perso la vita nel tentativo di difendere il Parco.

Il parco è gestito dall'Istitut Congolais pour la Conservation de la Nature (ICCN).

Ecco il sito ufficiale del Parco di Virunga

mercoledì 29 dicembre 2010

Libri: Selvaggi amori

Selvaggi amori, della camerunese Calixthe Beyala, è stato pubblicato nel 2004 (il libro è del 1999) dalle Edizioni E/O nella collana i Leoni.
La storia si svolge a Parigi, dove Eve-Marie (chiamata da tutti Bella Sorpresa), immigrata camerunense, oramai sulla quarantina, fa la prostituta per il signor Trenta per Cento. Un giorno un bianco, poeta stravagante e suo cliente fisso, le offre di sposarla. Lei lascia il suo lavoro ed apre un ristorantino privato nel suo appartamento in un fatiscente condominio abitato da una variopinta comunità multietnica dove succederà di tutto.
La trama è semplice, ma è la straordinaria capacità di Calixthe Beyala di essere da una parte ironica e tragicomica e dall'altra di descrivere, in modo originale e piacevole, i personaggi a far diventare il suo libro un piccolo gioiellino. Una storia di immigrati, con tristezze e sofferenze, capace di raccontare la straordinaria capacità del genere umano, e degli africani in particolare, di adattarsi ogni situazione, anche le più degradate.


Calixthe Beyala è nata a Douala in Camerun nel 1961, da una famiglia povera, sesta di dodici figli, è allevata dalla sorella. A 17 anni si trasferisce a Parigi per sposarsi con un diplomatico e dove ottiene la maturità in lettere. Seguirà il marito per un periodo in Spagna per poi tornare in Francia. Dopo essera stata modella e fiorista, nel 1987 fa il suo esordio letterario con il romanzo E' stato il sole a bruciarmi. Ha due figli ed è molto attiva nel campo della lotta alla violenza alle donne e ai bambini. Nonostante i premi e il riconoscimento di essere una delle più brillanti scrittrici africane della nuova generazione, la Beyala è una figura controversa poichè è stata accusata di plagio (condannata nel 1996) per aver copiato parti di un romanzo. Nonostante questo resta una delle più fresche e spumeggianti voci della letteratura africana moderna.

Questo è il suo sito ufficiale

martedì 28 dicembre 2010

Baobab, un simbolo africano

Il nome baobab evoca nell'immaginario comune l'Africa. Infatti l'albero Adansonia digitata della famiglia delle Bombacaceae, comunemente chiamato baobab africano, cresce quasi esclusivamente in Africa (delle otto specie del genere Adansonia oltre a quella africana, altre sei vivono solo in Madagascar e solo una, l'Adasonia gregorii, vive in Australia).
Il nome baobab sembra significhi "albero dai mille anni" per la sua longevità o , secondo altre fonti, il nome ha origini arabe e significa "frutto dai molti grani". Mentre il nome scientifico fu dato in omaggio a Michael Adanson, botanico francese di origini scozzesi che per primo lo descrisse alla fine del 1700 quando visse per oltre 6 anni in Senegal.
Può raggiungere i 20-25 metri di altezza e il diametro del tronco può raggiungere i 7-10 metri. Può vivere anche 2000 anni. La forma del grande tronco - sproporzionato rispetto alla chioma - lo rende caratteristico e facilmente riconoscibile. E' un albero adatto ai climi aridi, infatti oltre a perdere le foglie nella stagione secca ha un tronco spugnoso capace di immagazzinare acqua (per alcuni grandi alberi si parla di oltre 100 mila litri di acqua). Ha delle foglie palmate, dei fiori tuttaltro che profumati e dei grossi frutti ovoidali grandi fino a 30 cm., che contengono anche 100 semi. L'impollinazione del baobab avviene mediata da una specie di pipistrello.

Del baobab si utilizza tutto ad eccezione del fiore. Sia da un punto di vista alimentare che fitoterapico: le foglie, sia fresche che secche vengono usate sia come vegetale (a modi spinaci per intenderci) o messe nelle zuppe. La polpa del frutto, ricca di vitamina C, è consumata direttamente o mescolata al latte. Inoltre viene usata per produrre bevande tipo limonata da consumarsi ghiacciate. I semi sono usati come addensanti per zuppe o tostati e mangiati direttamente. Da essi inoltre si ricava l'olio. Le radici , cotte, diventano commestibili durante le carastia. La corteccia è usata come febbrifugo. Inoltre l'albero viene usato anche per la costruzione di strumenti: il legno spugnoso come attrezzo per pulire le pentole, come galleggiante per la pesca, per ricavarne carta o cordame. Inoltre la fibra, molto resistente, a seconda della località, viene usata nei modi più diversi: per costruire corde per strumenti musicali, cestini o redini per i cavalli.
Dalle scorze dei frutti vengono ricavati recipienti adatti a contenere liquidi.
Vi rimando a questa completa trattazione sulle proprietà farmacologiche del Baobab dal sito Squidoo, che sottolinea come in alcune zona dell'Africa il Baobab sia chiamato anche l'Albero farmacista o Albero della vita per le sue proprietà curative.
Il Baobab è inoltre l'albero sotto la cui chioma vengono generalmente costruite, in Africa occidentale, le bantabe, ovvero delle grandi panchine dove ci si riposa, si fa conversazione e soprattutto si sta all'ombra (ovviamente solo ad uso maschile!).
I tronchi più grandi vengono scavati e nel loro interno ricavati magazzini, nascondigli, negozi e in qualche luogo perfino un pub.
I molpeplici usi del Baobab spiegano perchè in Africa quest'albero sia quasi venerato, comunque sempre rispettato. In molte aree il Baobab non viene tagliato mai, è solo la natura a deciderne la sorte.


Per alcuni anni ho avuto in un vaso due splendidi baobab nati da un seme portato dal Gambia. Poi sono cresciuti troppo e al secondo anno all'aperto, nonostante le protezioni che con cura mettevamo, non hanno resistito.

lunedì 27 dicembre 2010

Popoli dell'Africa: Ovimbundu

Gli Ovimbundu, o Mbundu, o Umbundu o Bunda, sono il gruppo etnico più numeroso dell'Angola con oltre 4,1 milioni di individui (circa il 40%). Molti sono diventati cristiani, pur restando ancora la alta la pratica dell'animismo. Parlano l'Umbunbu (o South Mbundu), una lingua bantu. Praticano la poligamia.
Essi vivono principalmente sull'aspro Altopiano di Biè (tra i 1200 e 1800 metri) nella zona centrale dell'Angola, a nord della città di Huambo.
Gli Ovimbundu scesero nel XVII sec. dal Nord Est (come molti gruppi africani essi sono formati da un mix di gruppi di varie origini e poco si conosce di loro prima del XVII secolo) entrando in contatto con i Portoghesi e, grazie alle loro capacità e alla loro organizzazione, presero subito controllo delle tratte del commercio. Ben presto assunsero una supremazia sulle tribù indigene dedite alla pastorizia. Nel 1800 si contavano 22 regni Ovimbundu, di cui 13 completamente indipendenti. Nel XX secolo a causa della reale penetrazione dei Portoghesi vi fu un rapido declino dei regni.
Tre furoni i regni importanti, quello di Bailundu (nord-ovest), quello di Bihe (nord-est) e quello di Wambu (centro), tutti giocarono un ruolo determinante nella tratta degli schiavi e nel commercio dell'avorio e della cera d'api. Al decadere dei regni, gli Ovimbundu tornarono ad occuparsi di agrocoltura e molti migrarono verso Luanda e Lobito per lavorare nelle piantagioni di caffè.
Dalle file dell'etnia Ovimbundu nacque l'UNITA (il leader storico dell'UNITA, Jonas Savimbi, morto in battaglia nel 2002, era un Ovimbundu), che prima lottò contro il governo coloniale portoghese e successivamente, dal 1975 al 2002, contro il governo centrale dell'MPLA in Angola. Le due principali città in territorio Ovimbundu (Huambo e Kuito) furono fortemente dannaggiate durante la lunga guerra civile in Angola (1975-2002).

Sito in portoghese, sulla cultura e l'attualità degli Ovimbundu (dove tra le altre cose vi è un dizionario on line portoghese-umbundu e viceversa).
Tra le cose curiose vi segnalo il testo "The Ovimbundu of Angola", dell'etnografo Wilfred Hambly, del 1934, scaricabile in Pdf dal sito dell'University of Illinois.
Mentre dal sito Sterns Music On-Line è possibile ascoltare alcuni brani di musica tradizionale Ovimbundu.




Gli altri Popoli d'Africa su Sancara.

venerdì 24 dicembre 2010

Musica: Francis Bebey

Francis Bebey è stato un musicista camerunese (oltre che gionalista e scrittore). Nato a Doula il 15 luglio 1929, figlio di un pastore protestante, studiò a Parigi e poi negli Stati Uniti. Nel 1957 raccolse l'invito di Kwane Nkrumah e si recò in Ghana a lavorare alla radio nazionale che stava diventando un grande strumento di divulgazione delle idee indipendentiste. Agli inizi degli anni '60 ritornò in Francia dove cominciò a lavorare nel mondo dell'arte. Non solo musica, egli pubblicò romanzi e poemi. Fu inoltre gionalista radiofonico. Pubblicò il suo primo album nel 1969.
Fu consulente dell'UNESCO.
Chitarrista, il suo stile metteva insieme elementi della tradizione africana (makossa, in particolare) con lo stile della chitarra classica, jazz e pop, che qualcuno ha definito "etno-jazz". La sua voce profonda cantava in francese, in inglese e in alcune lingue locali.
Aiutò la carriera del connazionale Manu Dibango, che aveva anche suonato nella sua band.
Nella sua carriera pubblicò una ventina di album, l'ultimo nel 2000.
Morì a Parigi il 28 maggio 2001 per arresto cardiaco. Seguendo le sue volontà, i funereali furno strettamente privati, il suo corpo fu cremato e le ceneri sparse sul Monte Cameroun.




In una intervista a Liberation nel 1984 Bebey confessò di "essere stato educato ad ignorare, e perfino a detestare, gli stili tradizionali africani" e come una sorta di cotrappasso aveva trascorso l'intera vita a diffodere i suoni e raccontare la Madre Africa.

Nel 1994 Babey ha pubblicato il romanzo L'enfant-pluie in cui afferma «per noi africani, il tempo non passa. È come l’acqua del fiume che scorre, ma che è sempre là. Oggi, domani, dopodomani, non c’è differenza. È necessario che questa visione venga cambiata e che gli africani si convertano al tempo dell’orologio, altrimenti avremo molti problemi. La coscienza del tempo che avanza è la forza della civiltà europea»

Il sito ufficiale di Francis Bebey

mercoledì 22 dicembre 2010

La radio in Africa

La radio è tutt'oggi il più diffuso strumento di comunicazione in Africa. In un continente di tali vastità, con luoghi ancora oggi difficili da raggiungere e dove la trasmissione orale delle conoscenze ha un ruolo predominante, lo strumento radiofonico non poteva che diffondersi in modo ampio e capillare. A partire dal 1920, quando in Europa cominciano le prime trasmissioni radiofoniche (nel 1921 nasce la più antica emittente radio ancora esistente, la British Broadcasting Company - BBC) e negli anni '30 in cui si diffondono le onde corte (in inglese shortwave, che permettono con basse potenze di diffondersi a lunghissime distanze) la radio assume il ruolo di protagonista. In Africa le installazioni delle prime emittenti datano 1924 in Sudafrica, mentre la prima vera emittente radio è nata a Dakar nel 1939. Ad usarle sono ovviamente i colonizzatori e in particolare i missionari. con lo scopo di diffondere "il verbo". Infatti da subito si capisce la straordinaria funzione politica, culturale, spirituale e commerciale della radio. Essa rappresenta lo strumento di diffusione dell'amministrazione coloniale, infatti fin dal dicembre 1932 la BBC lancia quello che oggi è conosciuto come BBC World Service (nato come BBC Empire Service) che si diffonde in tutto il mondo. Nel 1931 erano invece iniziate la trasmissioni del Centro Radio Imperiale di Prato Smeraldo (che sarà chiuso nel 2007 - quando termineranno le trasmissioni radio della Rai all'estero) da cui trasmetterà ad once corte Rai International. Nel 1939 il Governo Americano "nazionalizza" la diffusione nel mondo in onde corte (utili per la propaganda politica) che sarà affidata alla Voice of America. Durante il periodo pre bellico e bellico della Seconda Guerra Mondiale la radio sarà uno straordinario strumento di propaganda politica nel mondo.
Negli anni '60 l'UNESCO metterà l'accento sul ruolo educativo della radio. Nasceranno allora le Radio Rurali Educative che diffonderanno in Africa non più la propaganda politica o religiosa, ma un'insieme di conoscenze (educative, sanitarie, culturali) che contribuiranno allo sviluppo umano.
Durante l'epoca della decolonizzazione la radio sarà usata in maniera differente tra l'Africa anglofona, che privileggerà la stampa per la diffusione delle idee indipendentiste e l'Africa francofona più vicina invece al mezzo radiofonico.
Negli anni 1989-90 in molti paesi africani verranno liberalizzate le trasmissioni radio, dando via libera alla nascita delle emittenti private. Nel 1992 nascerà in Burkina Faso, la Horizon FM ritenuta la prima radio commerciale africana.
Un ruolo determinante - per sottolineare la potenza dello strumento radiofonico - è stato assunto dalla radio RTLM (Radio Television Libre des Mille Collines) di Kigali, in Ruanda, nell'istigazione al genocidio ruandese del 1994, quando incitava ad "schiacciare gli scarafaggi tutsi".
E' chiaro che fino a quando le radio erano costruite con valvole termoioniche l'utilizzo in ambiente rurale ne è stato fortemente limitato. A partire dagli anni '60 invece, quando le valvole furono sostituite dai transistor e le radio poterono essere alimentate a batteria, la diffusione avvenne in modo esponenziale.
Gli africani in genere hanno un'assoluta dipendenza dalla radio. Chiunque si sia recato nel continente ha potuto verificare (in modo particolare nel periodo pre cellulari e pre internet) che ovunque si trova una radio funzionante. Dalle onnipresenti radioline a transistor portate alle orecchie, alle radio nei locali, nei mercati e perfino in molti sperduti villaggi. La vita è scandita dal suono, a volte un pò gracchiante e metallico, della radio.

Sulla radio ho due ricordi.
Il primo è a Tanga in Tanzania. Siamo nel 1991 e tra i luoghi dove dormire vi era una meravigliosa Guest House (di cui non ricordo il nome) gestita da un'anziana signora inglese. Era la sua casa in stile coloniale, proprio di fronte al lungomare, nella quale erano state ricavate 8 stanze da affittare al piano superiore, mentre lei abitava quello inferiore. Quando si entrava, si finiva di fatto nel suo salone, con delle credenze colme di piatti e bicchieri, un grande tavolo con una decina di sedie, due grandi lampadari e due pale da soffitto come ventilatori. Sul lato destro vi era una grande poltrona rossa, su cui sedeva la signora. Sul tavolino in fianco c'era una grande radio a valvole perennemente sintonizzata sulla BBC. Quando arrivai l'anziana signora, dopo avermi confermato la disponibilità di una stanza, mi disse - "attanda che chiamo il ragazzo", e suonò un campanello. Dopo qualche minuto apparve sull'uscio della rampa delle scale che dava al piano superiore un signore tanzaniano, credo vicino ai 60 anni, vestito da perfetto maggiordomo. Sorrisi. Nei giorni succcessivi la signora mi raccontò di essere arrivata a Tanga poco più che ventenne assieme al marito. Di aver avuto a servizio, fin dai primi giorni del suo arrivo, un ragazzo del posto che di fatto era cresciuto nella loro casa. Una decina di anni prima era morto il marito, lei vedova aveva provato a tornare in Inghilterra, ma dopo solo alcuni mesi era riapparsa nella sua casa a Tanga. Aveva allora deciso di aprire la Guest House che assieme al "suo ragazzo" ora gestiva. Nei pochi giorni che ho dormito in quella casa, ricordo di averla vista sempre seduta su quella poltrona, con il ventilatore acceso e l'immancabile BBC sullo sfondo. Come se aspettasse qualche magica e straordinaria notizia.

L'altro episodio con la radio riguarda invece la mia permanenza in Gambia, tra il 1992 e il 1994. Dove vivevo non c'era il telefono (arrivò solo negli ultimi mesi prima del mio rientro in Italia) si andava a faxare e telefonare a circa 150 chilometri di distanza. Insomma non proprio una passeggiata. L'unico contatto con le notizie "dal mondo" era la mia preziosa radio ad onde corte. Ero partito dall'Italia poco dopo l'assassinio di Giovanni Falcone e la situazione, tra stragi, assassini, tangentopoli ed elezioni era da seguire con un certo interesse. La Rai Internazionale trasmetteva due o tre volte al giorno un telegiornale che - nonostante aspettassi con ansia - ho sempre definito "le notizie per deficienti". Infatti, dopo alcune ipersintetiche notizie di cronaca, si passava ad un ricco servizio sulla produzione dell'asparago bianco del polesine o delle mele del trentino! Ma la domenica la rai trasmetteva per ben 4 ore consecutive: tutto il calcio minuto per minuto con la voce già roca di Sandro Ciotti, le interviste del dopo partita e i commenti sul campionato di calcio. Quanto ho odiato la Rai!

A proposito di radio e Africa vi segnalo Afriradio, la voce dei popoli d'Africa e del Sud del Mondo dei missionari comboniani.

martedì 21 dicembre 2010

Libri: Voci all'imbrunire

Voci all'imbunire di Mia Couto, mozambicano bianco di origine portoghese, viene pubblicato nel 1989 dalle Edizioni Lavoro nella collana Il Lato dell'Ombra. La raccolta fu pubblicata la prima volta in Mozambico nel 1986. Una raccolta di racconti brevi (Vozes anoitecidas), tradotti da Edgardo Pellegrini (giornalista e reporter che ha lavorato per Paese Sera, Unità, Radio Popolare e Avvenimenti), che toccano molti aspetti della vita mozambicana, a volte in modo ironico e divertente, altre volte in modo tragico e persino angoscioso.
Una scrittura densa di particolari, a tratti trasgressiva, che mette insieme la favola e il magico, la vita reale con l'assurdo.
Come scrive il poeta mozambicano Josè Luis Cabaco "per Mia Couto lo scrivere è parte di un progetto estetico, profondamente radicato nella ricerca di se stesso, ma anche un modo di vivere la grande avventura di essere attivamente contemporaneo nella costruzione della propria nazione".
Come scrive lo stesso Couto nella premessa "queste storie si sono risvegliate in me sempre a partire da qualche cosa accaduta nella realtà ma che mi era stata raccontata come se fosse successa all'altro capo del mondo. Nell'attraversamento di questo confine d'ombra ho ascoltato voci che oscuravano il sole; altre aleggiarono tra i voli del mio scrivere. Alle une e alle altre dedico questo desiderio di raccontare e di inventare"


Mia Couto con questo libro fece l'ingresso in Italia. Esponente di spicco della letteratura lusofona (di quell'Africa che parla in portoghese), Couto è nato a Beira in Mozambico nel 1955 da una famiglia di migranti portoghesi. A 17 anni si trasferisce a Maputo per studiare biologia. Dal 1974 si dedica al gionalismo su esplicita richiesta del Frelimo (partito di lotta e di governo), diventando direttore dell'Agenzia Nazionale di Stampa e poi di un settimanale. Nel 1983 pubblica la sua raccolta di poesie. nel 1985 lascia il gionalismo, riprende a studiare biologia e lavora all'Istituto di biologia mmarina dell'isola Inhaca. Nel 1987 riprende anche a scrivere sul quotidiano "Noticias".

lunedì 20 dicembre 2010

La "scoperta" dell'Africa

Già all'inizio del 1500 il profilo costiero del continente africano (compreso il versante orientale frequentato dai mercanti arabi) era perfettamente delineato. I primi avanposti militari furono costruiti nella Costa d'Oro (attuale Ghana) a partire dal 1482. Così come i missionari iniziarono ad introdurre il cristianesimo (tra fine del 1400 e inizio 1500) soprattutto nell'attuale Congo e l'Angola. I navigatori portoghesi (Pedro cabral, Vasco De Gama, Diego Dias, Bartolomeau Dias) e quelli italiani (Alvise Cademosto, Antonino Usodimare e Antonio De Noli, gli ultimi due a servizio dei portoghesi) avevano esplorato le coste africane. Dell'interno però si sapeva ben poco al punto tale che alla fine del 1700 intellettuali europei erano affascinati dai "grandi vuoti" delle carte geografiche africane. Alcune idee fantasiose si erano sviluppate e i grandi fiumi rappresentavano l'oggetto di tali idee. Si diceva , ad esempio, che il Nilo e il Niger si incontravano e che il Congo era un piccolo fiumicello. Del resto già dal 1617 era iniziata la corsa europea alla scoperta delle sorgenti del Nilo (secondo alcuni studiosi già nel 62 a.c. vi era stata una spedizione romana raccontata poi da Seneca), con le esplorazioni dei gesuiti Paez e Alvarez verso le sorgenti del Nilo Azzurro (Lago Tana) e nel 1765 con lo scozzese James Bruce.
Nel 1788 a Londra nacque l'African Association (associazione per la scoperta dell'Africa interna) ad opera di Sir Joseph Banks, con interessi per la geografia, le scienze naturali e l'etnografia. Nello stesso periodo si sviluppa la mobilitazione contro lo schiavismo, (nel 1815 il Congresso di Vienna sancirà la fine del commercio di uomini, anche se solo nel 1830 la schiavitù sarà dichiarata illegale nelle colonie inglesi) non solo per ragioni umanitarie, bensì perchè esso frenava l'emergente capitalismo industriale fondato sulla libertà della mano d'opera.
In realtà molte delle attenzioni geografiche sull'Africa si concentrarono sulla ricerca delle sorgenti del Nilo la cui ricerca sviluppò in Europa una vera e propria disputa.
Tra il 1820 e il 1822 anche il pascià d'Egitto, Mehemet Alì, invia spedizioni sul Nilo in particolare sui monte Gondokoro (vi parteciperà anche il francese Caillard).
Al sud invece tra il 1830 e il 1850 vi fu quella migrazione forzata dei coloni olandesi ( i boeri) che va sotto il nome di Grot Trek (grande viaggio). Essi, costretti alla fuga dagli inglesi, si spinsero alla ricerca di altre terre, dal Natal verso l'Orange, passando per il Transvaal.
Nel 1840 quando Krapt e Rebmann (che avevano tradotto la Bibbia in Swahili) raccontarono del Monte Kilimanjaro innevato, la notizia fu accolta con scetticismo in Europa.
Nel 1840 sbarca in Africa Australe uno dei più noti esploratori europei, il medico e teologo missionario scozzese David Livingstone (visita il deserto del Kalahari) e nell'agosto 1849, scappando dalle lotte anglo-boere individua il Lago Ngami. Nel giugno 1851 egli giunge sullo Zambesi (zona dello Shesheke). Nel 1853 Livingstone, appoggiato dal capo Kolokos Sekeletu, tenta di attraversare l'Africa da costa a costa con l'intento di aprire una nuova rotta commerciale. Il 31 maggio 1854 egli giunge sull'Oceano Atlantico (nella zona di Luanda) e nell'agosto 1954 intraprende il viaggio di ritorno. Il 17 novembre 1855 Livingstone descrive per la prima volta le cascate Vittoria sullo Zambesi e nel maggio 1856 gunge in Mozambico (Tetè) da dove, carico di informazioni e conoscenze scientifiche, rientra in Inghilterra.
Nel frattempo nel 1857 la Royal Geographic Society (nata nel 1830) e il governo inglese inviano altri due esploratori che faranno la storia delle "scoperte africane", John Hanning Speke e Richard Burton in missione ufficiale alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Partiranno da Zanzibar (assoggettata dagli inglesi nel 1856) il 16 giugno 1857 seguendo il percorso inverso dei mercanti arabi di avorio e schiavi in direzione Kazeh. Il 13 febbraio 1858 Speke e Burton saranno i primi europei a giungere sul Lago Tanganica (ad Ugigi) e nel maggio 1858 torneranno a Kazeh.
Speke ripartirà da solo e nell'agosto 1858 giungerà a Mwanza e, vedendo il Lago Vittoria (che battezzò così in onore della regina) fu convinto di aver trovato le sorgenti del Nilo. Ricongiunto con Burton nel febbraio 1859 tornarono a Zanzibar. Burton non era assolutamente d'accordo con Speke sull'origine del Nilo. Egli sosteneva infatti che la sorgente doveva trovarsi sul monte Kilimangiaro. Tra i due avviene una storica rottura.
Nel contempo, era il 1858, Livingstone riparte, assieme a Thomas Baines, per l'Africa con l'intento di fondare un avanposto sullo Zambesi per la missione civilizzatrice del Foreign Office del governo inglese. Scopre il Lago Niassa (oggi Malawi) e risalgono i fiumi Scirè e Ruvuma. Essi confermano la non navigabilità dello Zambesi (facendo fallire di fatto il progetto dell'avanposto) e vengono richiamati nel 1863 in patria.
Intanto nell'ottobre 1860 Speke riparte, finanziato dalla Royal Geographic Society, assieme a James August Grant verso il Lago Vittoria (Lago Nyanza) dove si dividono. Grant verso nord, in direzione Bunyoro scopre il Kagera, affluente del Lago Vittoria, mentre Speke il 28 luglio 1862 arriva alle cascate immense che danno origini al Nilo e le battezza Ripon in onore del presidente della Royal Geographic Society. In realtà la questione del Nilo non è risolta. Da dove arrivano le acque del lago?
La RGS aveva nel frattempo inviato Samuel e Florance Baker nel 1863 alla ricerca di Speke a Grant (li incontreranno a Gondokoro). Essi cercano di andare al nord del Lago Vittoria (verso il lago Luta-Nziguè), ma vengono bloccati dal re Kambasi. Il 14 marzo 1864 arrivano ad un'altro lago che battezzano Alberto (nome del defunto marito della regina Vittoria), anche loro convinti di aver trovato le sorgenti del Nilo. Nello stesso anno, il 1864 John Speke muore per un incidente di caccia in Inghilterra (secondo alcuni suicida) il giorno prima del confronto con Burton sulle origini del Nilo.
Nel gennaio 1866 David Livingstone invece riparte alla volta dei grandi laghi con l'intento di redimere il conflitto tra le tesi di Speke e Burton. Scopre il lago Moero e il fiume Lualaba, che crede sia il Nilo (in realtà è l'inizio del fiume Congo). Rientrerà ad Ugigi solo nel 1871 (dopo tre anni che non invia sue notizie ed era dato per morto - in realtà gravemente malato), dove incontrerà ( il 1 novembre 1872) Henry Morton Stanley, (giornalista, americano ma gallese di nascita) inviato per conto del New York Herald alla sua ricerca (Stanley scriverà un libro sulla sua ricerca di Livingstone). Insieme partono per esplorare il lago Tanganika (scoprono che il Ruzizi non è il Nilo) e si rivolgono verso il Lago Banguelo, ritenute le sorgenti del Nilo, dove il 1 maggio 1873 Livingstone morirà di malaria e occlusione intestinale. Il suo cuore sarà sepolto sul posto, mentre il suo corpo, dopo un'anno di viaggio, riuscirà ad arrivare in Inghilterra.
Nel maggio 1875 Stanley confermò le scoperte di Speke, ritrovando le cascate Ripon. Scopre i Laghi Edoardo e Giorgio e i Monti della Luna ( catena Ruvenzori).
Nel corso del Novencento si ebbe la conferma dell'esistenza di sorgenti multiple del Nilo (Bianco e Azzurro) e solo nel 1934 l'esploratore Waldecker posizionò geograficamente le sorgenti del Nilo nell'altopiano del Burundi (da dove nasce il Kagera).
A partire dal 1880 le spedizioni non furono più finanziate dai privati ma direttamente dai governi: era cominciata la conquista coloniale dell'Africa. Si completava così l'era delle "cinque c" che aveva segnato l'Africa, ovvero curiosità, civilizzazione, cristianizzazione, commercio e colonizzazione.
Mentre alcuni esploravano le zone dei fiumi Nilo, Congo e Zambesi altri come lo scozzese Mungo Park seguivano le vie del Niger o i tedeschi Gustav Nachtigal, Emin Pascià e più recentemente l'ungherese Laszlo Almasy (quello raccontato dal Paziente inglese, per intenderci) si avventuravano nel Sahara, mentre altri ancora come i tedeschi Johannes Rebmann, Friederich Rohlfs e Eduard Ruppell seguivano le vie del Corno d'Africa.
Il vasto territorio dell'Africa stava per essere svelato (non scoperto) nella sua interezza.

Ecco un sito con approfondimenti e mappe

sabato 18 dicembre 2010

Forti e Castelli della Costa d'Oro

Nel 1979 undici edifici (castelli e forti dei 32 edifici militari di quell'epoca presenti nel paese) delle regioni del Ghana di Volta, Grande Accra, Regione centrale e occidentale, costruiti in epoca coloniale, furono inseriti collettivamente tra i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO, con il nome Forti e Castelli, Volta, Grande Accra, Regione Centrale e Occidentale.
Gli edifici sono: Castello di Elmina (nella prima foto dall'alto foto), Forte Saint Antony di Axim, Forte Vrendenburg di Komeda, Forte Metal Cross di Dixcove, Forte San Sebastian di Shama, Forte Batenstein di Butri, Forte Conraadsburg di Elima, Forte Amsterdam di Abandze, Forte Leysaemhyt di Apam, Castello di Cape Coast e Forte Good Hope di Senya Beraku.

Sono tutti edifici in stile coloniale, adibiti ad uso militare, costruiti in tempi diversi da portoghesi, olandesi, inglesi e svedesi.
Il Castello di Elmina fu costruito nel 1482 (primo insediamento nella Costa d'Oro) come avanposto portoghese (Mina di da di Sao Jorge). E' la più vecchia costruzione europea sotto il deserto del Sahara. Nel 1637 passò di mano (olandesi) e nel 1872 fu preso dai britannici e usato come accademia di addestramento della polizia.
Dal XV al XVII sec. fu usato per il commercio degli schiavi.
Il Fort Saint Antony di Axim fu costruito una prima volta nel 1502, distrutto, fu nuovamente ricostruito dai portoghesi nel 1515. Dal 1642 al 1872 fu nelle mani degli olandesi che lo ampliarono. Infine passò nelle mani britanniche. Nel 1951-52 subì una vasta opera di restauro.
Il Fort Vrendenburg di Komenda, chiamato anche English Fort, fu costruito come avanposto inglese nel 1663 e poi abbandonato. Ricostruito nuovamente dagli olandesi nel 1688-89 fu poi definitivamente ceduto agli inglesi nel 1872.
Fort Metal Cross a Dixcove fu iniziato nel 1683 e a causa di dispute fu finito solo nel 1697 dagli inglesi. Più volte abbandonato e rioccupato fino al 1872 quando fu definitivamente in mano inglese.
Fort San Sebastian a Shama fu edificato come lodge nel 1526 e nel 1590, dai portoghesi come forte. Più volte passò di mano.
Fort Batenstein a Butri fu costruito come avanposto dagli svedesi tra il 1650 e il 1652, poi passò in mano agli olandesi e infine agli inglesi.
Fort St. Jago di Elmina (chiamato anche Fort Conraadsburg) costruito come cappella portoghese nel 1555, ristrutturato come avanposto e infine adeguato a forte dagli olandesi nel 1652.
Fort Amsterdam ad Abandze fu costruito come avanposto olandese nel 1598. Nel 1806 fu anche conquisto e tenuto per un breve periodo dagli Ashanti.
Fort Patience o Fort Leysaemhyt ad Apam fu costruito tra il 1697 e il 1702 dagli olandesi.
Fort Good Hope ( o Fort Goedehoop) fu costruito dagli olandesi nel 1667, diventò inglese nel 1868.
Infine il Cape Coast Castle (le ultime due foto)- sicuramente assieme al Forte Elmina - il più importante degli edifici patrimonio dell'umanità. Nato come lodge, poi edificato a castello fu occupato dagli olandesi nel 1637. Nel 1652 fu preso dagli svedesi. Da allora si susseguitono battaglie sanguinose per la conquista dell'edificio. Nel 1664, dopo 4 giorni di battaglia, gli inglesi ebbero la meglio. Fino al 1877 fu residenza dell'amministratore britannico in Costa d'Oro (dopo di allora la residenza fu trasferita a Accra). Il Forte ebbe un ruolo importante nella tratta degli schiavi. Al suo interno vi è il West African Hystoric Museum.










venerdì 17 dicembre 2010

Popoli d'Africa: Khoi Khoi

I Khoi Khoi o Khoekhoen (letteralmente "uomini veri") sono un gruppo etnico della famiglia dei Khoisan (l'altro gruppo è costiituito dai boscimani o san, con i quali hanno tratti culturali e linguistici simili) che abitano il sud ovest dell'Africa (Sudafrica, Namibia e Botswana).
Si definiscono "uomini veri" in quanto posseggono animali domestici, per differenziarsi dai San che non li posseggono.
Presenti nel territorio fin dal V° secolo a.c., sin dall'inizio della colonizzazione europea (1632, olandesi) i Khoi entrarono in conflitto con i "nuovi arrivati", inoltre da quel periodo iniziarono a dedicarsi alla pastorizia, allevando gli animali che razziavano agli olandesi. Sono chiamati anche Ottentotti (nome coniato dagli olandesi e che deriva dal termine "balbuzziente") per una loro caratteristica modalità linguistica, in quanto pronunciano alcune consonanti con un suono simile ad un "clic".
Oggi il gruppo più diffuso della famiglia Khoi è costituito dai Nama o Namaqua (per taluni identificati di fatto con gli stessi Khoi Khoi).
Nel periodo tra il 1904 e il 1907 i Nama furono coinvolti in quello che è definito il genocidio degli Herero (altra popolazione dell'area), quando i tedeschi che avevano colonizzato l'attuale Namibia, sterminarono il 50% dei Nama che erano alleati degli Herero.
Sono pastrori nomadi, che raccolgono legna per il fuoco e miele selvatico. Sono esili e di piccola statura. Sono abili artigiani, lavorano la pelle, fanno tappeti e gioielli, producano ottimi strumenti musicali, tra i quali i flauti. La loro musica e la loro cultura è tramandata oralmente, così come i proverbi di cui sono ricchi.

Un buon approfondimento sulla storia dei Khoi è dato da questo articolo di Andrew Smith, del dipartimento di archeologia dell'Università di Cape Town, tratto da Science in Africa oppure dal sito Khoisan.org.

Di etnia Khoi era Saartjie Bartman, meglio conosciuta come Venere Ottentotta. Saartjie era una giovane khoi (alta 1 metro e 35), che fu assunta come serva dalla famiglia Bartman (coltivatori olandesi vicino a Cape Town) e chiamata da loro Saartjie (piccola Sara, si pronuncia Sarkey). Ella aveva delle caretteristiche (comuni tra la sua etnia), ovvero delle natiche prominentissime e rialzate e delle piccole labbra particolarmente sviluppate (8-10 centimetri), che stuzzicavano morbosamente la curiosità europea. Fu portata infatti a Londra, nel 1810, dal fratello del padrone ed esposta a pagamento come mostro da baraccone (dove appariva legata da catene e camminava a quattro zampe). Si sposò ed ebbe due figli, secondo alcune testimonianze dell'epoca lei continuava ad affermare di farlo volontariamente e per denaro, probabilmente un falso che serviva a tenere a bada gli anti-schiavisti dell'epoca. Dopo tre anni e mezzo a Londra, fu venduta ad un addestratore di animali a Parigi, che la esibì per 15 mesi propagandandone natiche e piccole labbra. Posò nuda per ritratti e fu esaminata da studiosi e scienziati dell'epoca. Poi, si ammalò e fu abbandonata. Morì nel dicembre 1815, a 27 anni, di tubercolosi, polmonite e sifilide. Quel che avvenne dopo, contribuisce a rendere macabra questa storia che è già orribile.
Il suo corpo fu sezionato ed esaminato da uno dei più importanti scienziati dell'epoca, George Cuvier (sostenitore della disuguaglianza tra le razze), che alla fine pose il suo cervello e la sua vagina in formalina. Tali "cimeli" furono esposti al Museo dell'Uomo di Parigi. Restarano lì fino al 1974, quando grazie alla pressione di un gruppo di donne francesi, questa abominevole esposizione fu sospesa. Si dovette aspettare il 2002, quando alla fine di una lunga vicenda il Parlamento francese approvò una legge che restituì i resti di Saartjie al Sudafrica. Nelson Mandela, che aveva fortemente spinto, sin dalla sua elezione a presidente del Sudafrica nel 1994, per la restituzione dei resti della sfortunata boscimana, volle che in una giornata di agosto del 2002 fossero concessi alla Signora Saartjie Bartman, gli onori dei funerali di stato. I suoi resti riposano su di una collina nella città di Hankey, protetta dagli sguardi indiscreti con una alta cancellata in ferro.


A suo nome è stato creato il Saartjie Bartman Centre, che si occupa della violenza sulle donne e sui bambini.

La vicenda della Venere ottentotta è narrata nel film, presentato all'ultima mostra del cinema di Venezia del regista tunisino-francese Abdellatif Kechiche, intotolato "Venere Nera".
Inoltre nello spettacolo (oltre che nel libro) sul razzismo del giornalista Gian Antonio Stella (che consiglio vivamente a tutti di vedere) viene narrata la vicenda di Saartjie Bartman.



giovedì 16 dicembre 2010

Musica: Khadja Nin

Khadja Nin è nata in Burundi il 27 giugno 1957, ultima di otto figli. Figlia di un diplomatico studia canto sin dalla giovane età e a 7 anni è la voce solista del coro della cattedrale di Bunjumbura. A 16 anni lascia il Burundi per trasferirsi in Zaire per continuare gli studi a Kinshasa (oggi Repubblica Democratica del Congo), dove poco dopo si sposa e ha un figlio (1978). In quegli anni si occupa, assieme al marito, di turismo (affittano lodge nella foresta). Nel 1980 lascia l'Africa per trasferirsi in Belgio, dove la morte improvvisa del giovane marito la costringe ad occuparsi del mantenimento della famiglia, lasciando da parte la musica.
Nel 1985, a seguito dell'incontro con il musicista Nicolas Fiszman (che rappresenta il punto di svolta della sua carriera e della sua vita), viene introdotta alla casa discografica BMG nel 1991, con cui, nel 1992 incide il suo primo album Khadja Nin.
Ma è con il terzo abum, Sambolera del 1996 che ottiene il successo internazionale (vende 420 mila copie in Francia) , seguito dall'altro successo di critica e pubblico Ya (1998). La sua musica rientra in quella vasta area della world music, dove Khadja canta in francese, swahili e Kirundi. Ha collaborato con Sting (1999-2000), Dominic Miller e Howard Jones. Dal 2000 vive a Monaco.
E' stata ambasciatrice dell'UNICEF.

Di lei negli ultimi 10 anni si sono perse le tracce (nel suo sito ufficiale e nella rete non si trovano notizie dopo il 2000).





Il sito ufficiale di Khadja Nin

mercoledì 15 dicembre 2010

Libri: La trappola somala

Nel 1994 Laterza pubblica questo breve saggio di Angelo Del Boca, sicuramente il massimo esperto italiano del colonialismo dell'Italia in Africa, sul "clamoroso fallimento dell'intervento ONU in Somalia".
La storia di quello che accadde in Somalia a partire dalla caduta del dittatore Siad Barre (25 gennaio 1991), la successiva guerra civile, l'intervento militare americano (Restore Hope) e delle Nazioni Unite e infine il ritiro del contigente (gennaio 1994) che lascia nella totale anarchia la Somalia.
Del Boca partendo dal presupposto che si trattava di un fallimento annunciato, come alcune testimonianze raccontano, offre alcune illuminanti e precise spiegazioni, sempre ben documentate, su una serie di errori strategici e di valutazione che hanno portato la comunità internazionale ad "impantanarsi" in quella che egli definisce la trappola somala.
Parallelamente a quanto avvenne in Somalia, all'azione svolta dalle Nazioni Unite e a quella degli Stati Uniti, Del Boca affronta il ruolo dell'Italia in tutta la vicenda. Un ruolo che oltre a scontare un passato non certo edificante nel paese del corno d'Africa, è frutto di una serie di approssimazioni politiche, di uno scarso peso nell'ambito della coalizione e di palesi violazioni delle elementari regole militari.
Un libro da leggere per chi vuole capire l'origine della attuale situazione in Somalia.
Il disastro dell'intervento in Somalia inciderà fortemente sul futuro del Paese, che a distanza di quasi 20 anni continua ad essere dominato dal caos, come anche le recenti cronache ci ricordano, nella totale indifferenza della comunità internazionale.
Secondo alcuni osservatori autorevoli, ciò che accadde in Somalia condizionò pesantemente il mancato intervento nella crisi, che poi degenerò nel genocidio, del Ruanda. Le truppe non africane furono ritirate definitivamente dalla Somalia alla fine di marzo 1994 , quualche settimana prima che scoppiasse (7 aprile 1994) la crisi Ruandese. La paura di "impantanarsi" in un'altra guerra civile africana spinse la comunità internazionale ad essere "molto cauta", a non far intervenire le truppe ONU che pure si trovavano nel paese e a sottovalutare ciò che accadeva in Ruanda. In pochi mesi (aprile-luglio 1994) furono barbaramente trucidati oltre un milione di persone.

Angelo Del Boca è nato a Novara nel 1925, scrittore, partigiano e storico, è stato tra i primi a denunciare le atrocità delle truppe italiane nelle colonie (in particolare in Libia e Abissinia). Ha insegnato Storia Contemporanea alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino. E' autore di numerose opere sul periodo coloniale italiano in Africa.

martedì 14 dicembre 2010

Una squadra africana finalista del mondiale per club di calcio

Nell'anno in cui il continente africano ospita per la prima volta i Campionati Mondiali di calcio, succede un'altro fatto storico. Oggi, battendo i brasiliani dell'International di Porto Alegre per 2 a 0 , il TP Mazembe di Lubumbashi (Repubblica Democartica del Congo) vola in finale del Mondiale di calcio per Club, dove affronterà la vincente tra l'Internazionale di Milano e i coreani del Seongnam.
Per la prima volta da quando nel 2000 è stato istituito il Mondiale per Club , un club africano arriva in finale. Nel 2006 l'Al-Ahly del Cairo era giunta 3° e nel 2007 l'Etoile du Sahel, di Tunisi era giunta 4°. Lo scorso anno il Mazembe, che pur aveva vinto la Champions League africana, era stato eliminato al primo turno da una squadra coreana.

Il Mondiale per club di calcio si gioca tra le 6 squadre che hanno vinto la Champions League nei rispettivi raggruppamenti ovvero Europa, Centro-Nord America, Africa, Asia, Oceania e Sud-America (dove si chiama Coppa Libertadores) e la squadre vincitrice del campionato della nazionale ospitante ( quest'anno gli Emirati Arabi Uniti).

Il Mazembe è nato nel 1939 a Lubumbashi (allora si chiamava Elisabethville) città mineraria della regione del Katanga al confine con lo Zambia. Quando nacque la squadra era sponsorizzato dalla Englebert (ditta belga che fabbricava pneumatici, che nel 1966 si fuse con l'Uniroyal e nel 1990 fu assorbita dalla Michelin) ed è il club più importante della Repubblica Democratica del Congo (16 titoli nazionali, 4 coppe d'Africa). Con 4 Champions League vinte oggi è il terzo club africano dopo l'Al-Ahly (6 vittorie) e lo Zamalek (5 vittorie), entrambi del Cairo.
Il padrone (detiene il 60% delle azioni, un'altro 10% è in mano alle compagnie minerarie) della squadra è, dal 2003, Moise Katumbi Chapwe, 46 anni, figlio di un commerciante ebreo dell'isola di Rodi e di origini italiane (Nissim Soriano) e di una africana, businessman del settore minerario. Nel febbraio 2007 è stato eletto governatore del Katanga.
Con un investimento annuo di oltre 8 milioni di euro, garantisce ai giocatori stipendi tra i 4 e i 16 mila euro mensili.
La squadra è allenata dal senegalese Lamine N'Diaye ed ha solo 4 stranieri: 2 dello Zambia e due dal Camerun. Africa pura, dunque.

Sito ufficiale del TPMazembe.

Alto Commissariato per i Rifugiati, 60 anni di vita

Il 14 dicembre 1950 nasceva l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) o nella dizione inglese (United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR), l'agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati.
Nasceva con il preciso scopo di assistere i rifugiati (lo statuto fu approvato con la risoluzione 428 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite) del dopo seconda guerra mondiale (per tale ragione gli fu conferito il Premio Nobel per la Pace nel 1954).
Inizialmente si occupava solo di rifugiati (chi esce dal proprio stato e non può rientrare per paura di essere perseguitato), poi nel tempo il mandato è stato esteso ai rimpatriati (rifugiati che chiedono di rientrare nel loro paese), ai richiedenti asilo (coloro che hanno chiesto asilo politico e sono in attesa di ricevere risposta), agli apolidi (coloro che non hanno cittadinanza in nessun stato) e sfollati interni (coloro che si spostano all'interno degli stati per conflitti o cause naturali).

Nel 1956 l'Agenzia coordinò le attività di assistenza ai rifugiati durante la Rivoluzione d'Ungheria, nel 1957 assistette i rifugiati cinesi ad Hong Kong e i rifugiati algerini in Marocco durante la guerra d'Algeria.
A partire dalla decolonizzazione africana negli anni '60 l'UNCHR dovette spostare il proprio focus di azione dall'Europa all'Africa, dove il susseguirsi delle grandi crisi del continente (dalla crisi congolese alla guerra del Biafra, fino alle più recenti del Ruanda, del Congo e del Darfur) e la difficoltà (contrariamente all'Europa) di trovare situazioni stabili per i rifugiati, costrinse l'agenzia
ha dedicate alla fine degli anni '60 2/3 delle proprie risorse.
Questo non impedì all'Agenzia di essere presente in Asia durante la nascita dello stato del Bangladesh e successivamente durante la guerra del Vietnam oppure in Medio Oriente ad assistere i profughi della Palestina.
Negli anni'80 l'UNHCR fu chiamata ad una nuova emergenza, il crescere dei conflitti interetnici (in Asia, in Africa e Centro America) dove era sempre più necessaria all'assistenza ai campi profughi, spesso situati in ambienti ostili. Nel 1981 otterrà il secondo Premio Nobel per la Pace.
Da allora il lavoro dell'Agenzia è stata fondamentale in tutti gli angoli più remoti del pianeta: il Sud Sudan, il Ciad, il Darfur, nel Sahara Occidentale, la Repubblica Democratica del Congo, in Iraq, in Afghanistan, nella Ex Jugoslavia, in Kenya.

Sono quasi 120 i paesi dove opera l'UNHCR con oltre 6000 addetti. Le persone assistite nel mondo sono oltre 20 milioni. Questo è l'ultimo rapporto (elativo al 2009, che viene pubblicato ogni giugno - Global Report 2009) dell'UNHCR.
L'Agenzia è spesso la prima a giungere nei luoghi dove vi sono rifugiati (è dei giorni scorsi l'ultimo intervento in Costa d'Avorio, dove a seguito del peggiorare della situazione generata dall'incerto esito elettorale si incominciano a muovere i primi profughi verso la Liberia, la Guinea e il Mali) , che spesso sono donne, bambini e anziani, con il compito di assisterli e proteggerli.

Sono le donne e gli uomini che operano (ed hanno operato) per l'Alto Commissariato per i Rifugiati che devono essere ringraziate per il loro instancabile lavoro in questi 60 anni.



lunedì 13 dicembre 2010

Popoli d'Africa: Tuareg

I Tuareg sono una popolazione nomade berbera del deserto del Sahara. Conosciuti anche come gli "uomini blu" (a causa del caratteristico copricapo indaco, che lascia il colore sulla pelle) secondo alcuni sono "gli ultimi uomini liberi" sebbene ancora oggi praticano forme di schiavismo.
Si stima che siano circa 5,2 milioni i tuareg, che vivono principalmente (vedi mappa) in Niger (1,7 milioni), in Mali (1,4 milioni), in Algeria (1 milione), in Burkina Faso (600 mila), in Libia ( 550 mila) e in Ciad.
Parlano la lingua tamahaq, un dialetto berbero.
Sono di religione islamica, ma nonostante questo, rispetto ad altre culture, le donne hanno maggiori libertà (ad esempio possono divorziare e mantenere il possesso della casa-tanda, non indossano il velo che copre la faccia contrariamente agli uomini).

Aristocratici e alteri, da sempre dominatori del deserto, allevano (in realtà lo fanno fare ai loro servi) dromedari e sono dediti al commercio transahariano (con le loro carovane) e un tempo alle razzie (erano i predoni del deserto).
Sottomessi nominalmente dai francesi nel '900, con la decolonizzazione furono frammentati in vari stati, la qual cosa generò attriti con i governi, in particolare in Niger e Mali.
Vivono in tende lussuose e si dividono in clan matrilineari. La loro società è molto gerarchizzata e si divide in caste (nobili, tributari o vassalli, servi e operai). I nobili costituiscono la classe più pura (i nobili uomini non possono sposare che donne nobili, mentre le donne nobili possono sposare uomini vassalli) e sono i grandi proprietari di greggi e cereali. I vassalli sono piccoli proprietari soggetti ai nobili. I servi sono di origine negroide e provengono da razzie che nel passato i tuareg compivano a danno di altre tribù. Gli operai sono infine tuareg di origini umili e sono gli unici che lavorano (fabbri, falegnami, orafi e altro) . Gli uomini indossano un copricapo-velo che lascia fuori solo gli occhi (indaco per i nobili, nero per gli altri) che non si tolgono mai, mentre le donne solo dei copricapi.
Nonostante alcune errate rappresentazioni sono monogami, bensì la religione islamica consetirebbe di avere più mogli.
Nella loro tradizione musicale vi sono un violino monocorde chiamato ahzqd e un piccolo tamburo chimato tende.
Hanno una grande conoscenza delle stelle.

Ecco una galleria fotografica sui tuareg.
Per un approfondimento sui tuareg vi rimando alla precisa scheda della Bradshaw Foundation.

Vi segnalo anche il libro Gente in cammino, di Malika Mokeddem, di cui avevo parlato in un post lo scorso settembre, oppure il film di Bernardo Bertolucci Il Tè nel deserto, su cui avevo postato lo scorso mese.

domenica 12 dicembre 2010

Musica: Johnny Clegg, lo Zulu bianco

Jonathan "Johnny" Clegg, nasce in Inghilterra a Rochdale, il 7 giugno 1953, da padre inglese e madre rhodesiana (attuale Zimbabwe).
Viene cresciuto dalla madre (una cabaretista e cantante jazz) in Rhodesia fino ai 7 anni, quando si trasferiscono in Sudafrica perchè la madre sposa un giornalista sudafricano.
Dai 9 agli 11 anni Jonathan vive in Zambia a casa di parenti. Fin da giovanissimo si appassiona alle danze e alla musica zulu, di cui approfondisce ogni aspetto, sia da un punto di vista musicale -strumentale si da un punto di vista antropologico (egli infatti studierà e successivamente insegnerà all'Università di Witwatersrand di Johannesburg).
Nel 1969 egli fonda, assieme al musicista zulu Sipho Mchunu, il primo gruppo musicale misto (bianchi e neri) del Sudafrica, i Juluka, un sodalizio che l'accompagnerà fino al giugno 1985, quando i due si divideranno perchè Sipho tornerà nel Natal dedicandosi alla famiglia (aveva 5 mogli e 29 figli) e all'allevamento. Nel 1997 torneranno insieme ad incidere un disco, senza grande successo. Il loro lavoro musicale sarà ostaggiato dalle leggi razziali del Sudafrica che impediva a bianchi e neri di "lavorare insieme" e il loro primo album, Universal Man, del 1979, acclamato dalla critica internazionale, sarà boicottato nel loro paese.
Lo stile musicale è quello di un mix tra la musica zulu (maskanda e mbaqanga) e il pop internazionale, usando strumenti della tradizione assieme a chitarre, sax e sintetizzatori.
Sempre la sua musica ha avuto un forte connotato politico di lotta contro l'aparthaid, non solo attraverso la composizione mista delle sue band, ma, e soprattutto, nella denuncia dei suoi testi e nella costante presenza a fianco dei leader carismatici della lotta contro il regime segregazionista del Sudafrica.
Nel 1986, Johnny Clegg fonda la sua nuoiva band, i Savuka, più orientata al rock, con cui raggiunge il successo internazionale. Anche questo gruppo è misto (bianchi e neri) e tra le fila militava il percussionista Dudu Zulu, assassinato nel 1992 (pare perchè coinvolto nella taxi war, lotta tra i taxisti e i guidatori di minibus che sconvolse per 7 anni Johannesburg) e a cui Clegg dedicherà la canzone The Crossing. L'esperienza dei Suvuka terminerà nel 1993. Da allora il suoi gruppi saranno denominati semplicemente The Johnny Clegg Band.
I lavori di Clegg sono stati molto usati nei film, come Rain Man e George of the Jungle.
Johnny Clegg continua a tenere concerti in tutto il mondo e a partecipare ai grandi eventi musicali e di solidarietà. In particolare in nord America e in Europa. In Francia, dove è molto apprezzato, è stato coniato il nome Zulu bianco (le zoulou blanc).
Nel 2008 anche il figlio, Jesse, nato nel 1988, ha intrapreso la carriera di musicista.



Nonostante sia nato in Inghilterra e abbia vissuto i primi anni di vita in Rhodesia, Johnny Clegg è universalmente ritenuto un sudafricano, infatti gli è stato assegnato il 23° posto nella speciale classifica dei Top 100 sudafricani stilata attraverso un referendum televisivo di una nota trasmissione.
Johnny Clegg quando fu visto cantare e danzare le musiche zulu fu definito come "l'unico bianco capace di farlo".

Questo è il sito ufficiale di Johnny Clegg

sabato 11 dicembre 2010

Libri: L'Africano

L'Africano, di Mario Cavatore è stato pubblicato da Einaudi nel 2007. E' un libro che si legge tutto d'un fiato (data anche la sua brevità) perchè è una storia che una volta cominciata si vuol assolutamente conoscerne la fine e seguirne, senza interruzioni, le emozioni che essa ci trasmette.
Una storia drammatica, ma non semplicisticamente pessimistica, che si svolge in parte in Ruanda e in parte a Bruxelles, sempre con uno sfondo che appartiene alla "Svizzera d'Africa".
Si mescolano la storia di un ex-mercenario che si ritira a produrre vino tra le terre ruandesi, a poca distanza dal vulcano Karisimbi (dove lavorò e venne uccisa Diane Fossey) proprio nel periodo a cavallo di quel drammatico aprile 1994 quandò iniziò il genocidio in Ruanda. L'altro pezzo della storia, in Belgio, tra un'assistente sociale e un etologo anch'esso con un legame forte con il Ruanda.
Una storia tra l'invenzione e la realtà, sempre documentata e precisa. Una storia sui mali dell'uomo e su chi li contrasta, attraverso personaggi come Bebert e Mariya , Leon e Huba, Elsa e Isimbi, che lasciano un segno profondo nel ricordo di una delle moderne tragedie dell'umanità. Una tragedia che pochi conoscono e che come ha dichiarato lo stesso Cavatore "per numero di morti è come se avessero abbattuto le torri gemelle ogni giorno per tre mesi consecutivi"

Mario Cavatore, operaio, tecnico del suono e artigiano, nato a Cuneo nel 1946, ha esordito nel 2004 , a 58 anni, con il romanzo Il seminatore.

Il sito ufficiale di Mario Cavatore