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lunedì 10 novembre 2014

Muri abbattuti e muri dimenticati

Nella giornata di ieri (9 novembre) si è dato grande risalto allo storico anniversario (25 anni) dell'abbattimento del muro di Berlino. Una struttura, costruita a partire dal 1961, divenuta simbolo della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi: quello occidentale e quello orientale, quello capitalistico e quello socialista, quello filo-americano e quello filo-sovietico.
Molte sono state le celebrazioni e i contributi offerti di storici, intellettuali e testimoni.Non vi è dubbio che il suo abbattimento (1989) e la successiva riunificazione della Germania hanno costituito un fatto di enorme portata storica.

I muri di cinta hanno radici antiche e avevano funzioni essenzialmente difensive. Muri di cinta atti a respingere gli attacchi di chi proveniva "da fuori". Nell'era moderna i muri hanno assunto significati ideologici, politici, religiosi ed etnici. Hanno impersonato ruoli non più difensivi nel senso classico, ma hanno significato limiti culturali invalicalibili, luoghi di controllo e di separazione tra esseri umani.

Il muro di Berlino, il muro di Israele, il muro messicano, il muro del Kashmir e quello, meno noto, del Marocco, hanno separato popoli e persone, culture ed idee. Lo hanno fatto con violenza, spesso strappando luoghi alle tradizioni e impedendo passaggi che hanno trasformato la vita di milioni di individui.

In pieno deserto del Sahara, nel territorio conteso tra il Marocco e la Repubblica Democratica del Sahrawi (vedi post con la sua storia), fu edificata, dal 1982 al 1987 in diversi interventi, una muraglia (meglio una berma, ovvero una terrapieno) lunga 2.720 chilometri (la più lunga al mondo dopo la muraglia cinese) per separare il territorio marocchino ed impedire l'ingresso agli esponenti del Fronte Polisario che lottava (e lotta) per l'indipendenza della Repubblica (riconosciuta da 76 stati, ma non dalle Nazioni Unite).

La storia di quest'angolo di pianeta nel desero del Sahara, dimenticato da tutti, inizia negli anni '60, quando le Nazioni Unite inserisco, quello che allora era una colonia spagnola (il Sahara spagnolo) tra i paesi che hanno diritto all'autodeterminazione. Da allora e fino a metà degli anni '90 i passaggi di mano (spagnoli, marocchini e mauritani i protagonisti), le azioni unlaterali e i conflitti si sono succeduti con regolarità. Poi tutto è restato in un limbo, dimenticato da tutti e senza soluzione. Da un lato del muro il  deserto e il popolo saharawi (molti dei quali vivono in campi profughi in Algeria) e nell'altro lato il Sahara occupato dal Marocco e l'esercito.

Il muro, che qualcuno ha definito "il muro della vergogna" è di fatto un campo trincerato e minato (sono oltre 6000 le mine antiuomo seppellite e non mappate). Fossati e filo spinato si mescolano a dune, terrapieni e bunker. Ogni 4-5 chilometri un posto di guardia dell'esercito marocchino e ogni 15 chilometri radar e batteria di artiglieria pesante. Sono oltre 100 mila i militari marocchini che vigilano su questa vergogna.

Non tutti i muri sono uguali, non tutti possono godere di un'attenzione mediatica puntuale e critica. Insomma non tutti gli uomini sono uguali. I popolo del deserto aspetterà ancora a lunga l'abbattimento del suo muro.

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