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venerdì 20 novembre 2015

Terrore senza confini

I fatti di Parigi hanno sconvolto l'opinione pubblica. Abbiamo assistito, quasi in diretta, ad ogni fase dell'attacco. Abbiamo avuto paura, abbiamo pianto. Abbiamo acceso candele e in molti si sono detti francesi, colorando i loro profili nei social network con il tricolore francese. Tutti abbiamo chiesto di fare qualcosa.
In poco tempo tutti si sono improvvisati strateghi ed esperti di un fenomeno così complesso che perfino chi lo fa di mestiere stenta a capire le dinamiche precise e soprattutto a trovare soluzioni o a prevenire gli atti che regolarmente avvengono nel mondo.
Abbiamo parlato - tutti improvvisamente competenti ed grandi conoscitori - di sciiti e sunniti, di integralismo, di armi, di peshmerga, di yazidi, di jihad e califfato alcuni dimostrando di avere soluzioni, semplici e immediate, per ogni problema. 
Abbiamo chiesto attacchi aerei, dichiarato guerra, chiuse le frontiere e abbiamo offeso l'islam.
Non importa che il giorno prima i terroristi - che si dichiarano dello stesso gruppo - abbiano colpito Beirut (37 morti, 181 feriti) facendosi esplodere davanti ad un santuario sciita o che qualche giorno dopo Boko Haram abbia colpito a Yola in Nigeria (32 morti, 80 feriti) o ancor prima abbia ucciso 42 persone in una moschea.
Oramai per tutti è una guerra dell'islam contro l'Europa o, ancor meglio, contro i cristiani.
Abbiamo soprattutto imparato che non tutti i morti sono uguali, i nostri valgono molto di più. E pensiamo di essere noi, europei, al centro di ogni attacco.

La realtà è ben diversa.

Il Global Terrorism Index (GTI) (un indice statistico creato dall'Università del Maryland che monitorizza tutti i casi di terrorismo nel mondo compilando una classifica per stato in base anche al numero di atti, alla quantità di morti e feriti oltre che di danni prodotti) ci dice che le 32.658 vittime del terrorismo (quasi raddoppiate rispetto al 2013 - nel 2000 erano 3329) nel 2014 si concentrano per l'80% in Afghanistan e Iraq (per puro caso due dei paesi in cui dovevamo esportare la democrazia), mentre il maggior numero di attacchi sono stati portati a termine da Boko Haram in Nigeria.

La classifica del GTI vede primeggiare in questa tristissima e orrenda classifica l'Iraq, l'Afghanistan, la Nigeria, il Pakistan, la Siria, l'India, lo Yemen, la Somalia, la Libia e la Thailandia. Paesi di aree, cultura e religioni diverse. Il primo paese europeo, il Regno Unito, si trova in 28° posizione.


Ma, quello che salta maggiormente agli occhi (e che dovrebbe farci riflettere tutti) è che il numero dei morti per terrorismo nel mondo subisce una rapida impennata dopo l'inizio della guerra civile siriana. Nemmeno gli attacchi dell'11 settembre e la successiva invasione dell'Afghanistan e poi dell'Iraq sono riusciti a determinare un simile effetto.
Appare evidente che la questione siriana (così come nel passato è stata quella palestinese) ha avuto una funzione importante nella geopolitica e nell'incremento del terrorismo. 

Ecco il Report completo del Global Terrorism Index

Ecco il sito del Global Terrorism Database, dove sono inseriti oltre 140 mila attacchi terroristici dal 1970 al 2014 in un database open-source.

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