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mercoledì 11 novembre 2015

Burundi, facciamo attenzione

La storia ci ha insegnato che sottovalutare segnali importanti ci ha condotto spesso a piangere, dopo, morti che avremmo potuto evitare. E' ancora recente il ricordo di molti per quanto accadde in Ruanda solo vent'anni fa. Perfino durante i giorni più caldi, quando le teste rotolavanoo per strada, quando i macete amputavano le mani, quando gli stupri erano il gioco di molti e quando qualcuno incitava all'odio, pochi furono in grado di pronunciare quella parola che fa orrore: genocidio. Eppure oggi tutti sappiamo.
Poco distante da quei luoghi, in Burundi, la tensione cresce di giorno in giorno, mentre sembra quasi fastidioso parlare e mostrare quel che accade.

L'escalation è iniziata ad aprile scorso quando il Presidente, il pastore Pierre Nkurunziza aveva annunciato la volontà di candidarsi per il terzo mandato, nonostante la Costituzione lo impedisse (Sancara aveva già scritto in questo post in quell'occasione e poi un altro nel settembre scorso). A luglio, Nkuranziza è stato rieletto in elezioni ritenute farsa e i disordini si sono moltiplicati.
La tensione cresce di ora in ora e mentre il Presidente chiede alle forze speciali di "usare ogni mezzo per garantire la sicurezza" e concede ultimatum alle opposizioni che lo contestano, non mancano le forze politiche che soffiano, pericololamente, sull''odio etnico.
Inutile ricordare che solo un decennio fa, tra il 1996 e il 2006, la guerra civile in Burundi fece oltre 300 mila morti. 
A Bujumbura, la capitale del piccolo paese, oramai è guerra aperta. Come testimonia Fulvio Beltrami sull'Indro, giornalista dall'Uganda, uno dei primi e poi dei pochi, a parlare del Burundi, la situazione è caotica ed incerta.
Ma i segnali più evidenti, e preoccupanti, sono gli appelli alla carneficina o meglio al grido Kora Kora (andiamo a lavorare) che ricordano molto da vicino gli appelli a "schiacciare gli scarafaggi" che avevano accompagnato il genocidio ruandese. Oppure la negazione evidente di alcuni quotidiani locali che minimizzano i fatti, dando dei visionari a chi invita alla calma. Così come appaiono preoccupanti le sostituzioni dei vertici militari con uomini fidati e di sicura fede o, ancora, la distribuzione, sottobanco, di armi ai civili.

Insomma, siamo onesti, i segnali di qualcosa che rischia di rompersi sono tutti evidenti. Le Nazioni Unite, memori del fallimento nella crisi ruandese, hanno già convocato un consiglio di sicurezza e nominato un mediatore (il presidente ugandese Musuveni), mentre da giorni la gente ha iniziato a scappare dal Paese. Come spesso accade sono i civili, soprattutto donne e bambini, ad essere i primi  colpiti da queste crisi umanitarie. I primi profughi hanno già varcato i confini e vanno ad ammassarsi in quella complessa situazione dei rifugiati che da decenni contribuisce a creare instabilità nella regione dei Grandi Laghi.

Teniamo accesi i riflettori, perchè solo nel buio le azioni più ignobili possono prevalere.
 

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