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lunedì 8 luglio 2019

Il libero scambio africano

Non sappiamo ancora se l'accordo firmato il 7 luglio 2019 a Niamey in Niger sarà qualcosa che stravolgerà o meno gli scambi commerciali africani, certo è che si tratta di un fatto storico.


Con un accordo fortemente voluto dall'Unione Europea, che ha lavorato per due anni negoziando con tutte le parti, e siglato da 53 stati africani su 54 (per ora solo l'Eritrea non ha ratificato il trattato, mentre è stato firmato dalla Repubblica Democratica Araba Autoproclamata del Sarahawi), si avvia un'area di libero scambio continentale africano (AfCFTA) che di fatto dovrebbe (per ora è un condizionale) rendere più convenienti gli scambi inter-africani rispetto a quelli con l'Europa o la Cina. Oggi infatti solo il 17% degli scambi commerciali in Africa avvengono tra paesi africani (per capirci in Europa siano al 70% e in Asia al 60%). Secondo le proiezioni il mercato interno dovrebbe aumentare del 52,3% in meno di 3 anni.
Per capirci si auspica che i supermercati africani non saranno più per oltre il 90% composti da prodotti provenienti dall'Europa, dall'Asia e dal Nord America, bensì saranno invasi da prodotti locali, soprattutto di quei Paesi che già oggi hanno la tecnologia industriale sufficientemente avanzata.
Si tratta dell'area di libero scambio più grande al mondo (oltre 1,2 miliardi di persone coinvolte) e forse, di una primo ed importante passo verso la fine del colonialismo, quello economico, naturalmente.
In pratica tutte le tariffe doganali oggi esistenti saranno eliminate. Si tratta ora rapidamente di giungere ad una regola del "made in Africa" che impedisca a prodotti (soprattutto cinesi) che arrivano in uno dei dieci paesi con cui il colosso asiatico ha un accordo, di circolare liberamente in tutti gli altri Paesi.
Un accordo giunto dopo 17 anni di negoziati ed è stato firmato dai primi 24 Paesi nel marzo 2018 (nella foto in alto).

Come è già avvenuto in altre parti del pianeta, se da una parte l'accordo sul libero scambio favorisce la circolazione delle merci, dall'altro le preoccupazioni riguardano la circolazione dei diritti e delle libertà democratiche che in alcuni contesti si contraggono invece che espandersi.
Proprio con queste paure organizzazioni non governative come Action Aid e Terres des Hommes hanno lanciato un incontro della società civile con lo slogan "Giriamo la pagina".

Resta il fatto che lo sviluppo africano passa attraverso la produzione interna, cosa finora ostacolata sicuramente dalle barriere doganali ma, e soprattutto, dalle politiche neo-coloniali che hanno imposto, di fatto, l'acquisto di gran parte dei beni nelle ex-colonie. Secondo alcuni il negoziato è stato chiuso perché i Paesi ex-coloni hanno iniziato a temere l'invadenza economica cinese che si fatto, ha messo all'angolo in molti Paesi, i paesi che finora avevano tessuto le maglie (deboli) delle economie africane.

E' chiaro che l'aumento degli scambi interni africani porterà ad una contrazione delle esportazioni europee verso l'Africa in particolare in quei settori che meno necessitano di alta tecnologia. La speranza è che l'accordo favorisca soprattutto la produzione industriale africana e la creazioni di nuovi, e vitali, posti di lavoro.

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