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domenica 23 aprile 2023

Il Sudan (ri)sprofonda nel caos

Il Sudan non è mai stato un luogo tranquillo dell'Africa. Da ancor prima della sua indipendenza, avvenuta il 1 gennaio 1956 (da un'amministrazione congiunta tra Gran Bretagna ed Egitto), il Paese è stato sconvolto da sanguinose guerre civili, da rivalità religiose, da interessi economici contrastanti, da colpi di stato, da dittature, da carestie, da violenze inaudite e da, più o meno consensuali, divisioni territoriali.



Due guerre civili (1955-1972 e 1983-1998), una serie di colpi di stato, tra cui quello del 30 giugno 1989 che porta al potere il colonnello Omar Al Bashir (destituito dal furore popolare dopo 30 anni di scellerata dittatura l'11 aprile 2019), il referendum del gennaio 2011 che ha portato,  alla nascita del Sud Sudan (il 9 luglio 2011), il 54° Stato africano, l'ospitalità data dal 1991 al 1996 al terrorista saudita Bin Laden e il conflitto del Darfur (in realtà un vero è proprio genocidio) che dal 2003 al 2020 ha restituito al mondo l'immagine di una delle più grandi, e ignorate, crisi umanitarie del Pianeta. Tutti questi elementi, se approfonditi, portano ad affermare, senza esitazione che siamo difronte ad una delle aree più calde del nostro mondo.

Eppure, quando nel 2019 fu destituito dopo 4 mesi di proteste popolari Omar Al Bashir, accusato e con un mandato d'arresto fin dal 2008 dalla Corte Internazionale per crimini contro l'umanità, sembrava essersi acceso uno spiraglio di luce nel Paese. Gli anni di governo democratico, con tutti le sue difficoltà, avevano iniziato a dare piccolissimi - ma veramente importanti - segnali. Abolita la pena di morte per omosessualità, rese illegali le mutilazioni genitali femminili, rimosso l'obbligo del velo, resa illegale la fustigazione pubblica per le donne e cancellato il divieto di consumo di alcolici per i non mussulmani.

Il 25 ottobre 2021, un colpo di stato messo in atto da due ex fidi militari di Al Bashir, pone fine ad ogni possibile democratizzazione del Paese. Il generale Abdel Fattah al-Burhan si pone alla guida del Paese assieme al suo vice Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti (conosciuto per essere stato uno dei carnefici del Darfur e per aver combattuto con il suo esercito,  il Rapid Support Forces - RSF come mercenario nella guerra dello Yemen e in Libia).


La luna di miele tra i due uomini forti del Paese è durata veramente poco. Già nell'ottobre 2022 Dagalo ha dichiarato fallito il golpe del 2021. L'African Development Bank ha stimato l'inflazione del Paese al 246% mentre crescono le proteste delle popolazione le cui condizioni economiche sono, se è possibile, peggiorate. Inondazioni nel Sud e crisi alimentare (provocata anche dalla guerra in Ucraina) hanno finito con mettere letteralmente in ginocchio gran parte dei 40 milioni di abitanti del Sudan.

Infatti nel giugno 2022, il Centre for Advanced Defence Studies (C4ADS) ha pubblicato un Report, Breaking the Bank in cui si evidenzia come in Sudan esista un vero e proprio Stato parallelo (deep state) che controlla l'economia del Paese dove con molta chiarezza si evince che oltre 400 entità (tra aziende e società finanziarie del Paese) sono controllate dall'elite militare, ed in particolar modo proprio da vice-presidente Degalo (considerato uno degli uomini più ricchi del Paese), rendendo evidente la scelta del governo militare di mantenere lo status-quo. In particolare l'estrazione del petrolio e soprattutto dell'oro, sono il punto di maggior concentrazione degli interessi economici.

Insomma, ad essere onesti, niente di nuovo anche in altre zone del Pianeta. Si governa ponendo grande attenzione in primo luogo ai propri interessi.

Da alcune settimane i due pretendenti al potere sono usciti allo scoperto e si sono apertamente sfidati in un conflitto armato, sfruttando anche apparenti divisioni nel computo delle alleanze: Al-Burhan vicino sempre di più ai movimenti islamici integralisti e all'Egitto di al-Sisi e Dagalo che cerca di accreditarsi con gli Stati Uniti attraverso movimenti filantropici. Entrambi vantano legami con la Russia.

Pace e stabilità, così come le conquiste democratiche, si allontanano velocemente per gli oltre 40 milioni di sudanesi, che ancora una volta vedono allontanarsi le opportunità di sviluppo, in un Paese ricco di risorse in mano ad una cricca di militari e faccendieri. Il rischio di una nuova e sanguinosa guerra civile è alle porte. Quello del Sudan rischia di diventare l'ennesimo conflitto nel mondo, capace di creare nuove e preoccupanti crisi umanitarie.

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