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lunedì 30 agosto 2010

Patrimoni dell'Umanità UNESCO dell'Africa

L'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) con una storica decisione del 16 novembre 1972, denominata Convenzione sul Patrimonio dell'Umanità, ha istituito quello che oggi è universalmente conosciuta come la lista dei Siti Patrimonio dell'Umanità (World Heritage List) con lo scopo di identificare, proteggere e salvaguardare l'eredità che la natura o l'uomo hanno lasciato all'intera umanità.
Sono patrimoni che per la loro unicità non possiamo permetterci di disperdere o danneggiare.
A seguito della 34° Assemblea del Comitato per i Siti Patrimonio dell'Umanità, svoltasi a Brasilia dal 25 luglio al 3 agosto 2010, la quale ha aggiunto nuovi 21 siti alla lista (15 culturali, 5 naturali e 1 misto), ad oggi sono 911 i siti considerati Patrimonio dell'Umanità (704 per criteri culturali, 180 per criteri naturali e 27 per criteri misti), presenti in 151 nazioni del mondo.
In testa a questa speciale classifica l'Italia (con 45 siti), la Spagna (41 siti), la Cina (41 siti), la Francia (36 siti), la Germania (33 siti), il Messico (31 siti) e l'India (29 siti).

Vedi aggiornamento 2011.

Sono 116 i siti Patrimonio dell'Umanità africani, distributi in 37 stati. Etiopia, Tunisia, Marocco e Sudafrica, con 8 siti ciascuno guidano questa classifica, seguiti da Algeria, Egitto e Tanzania con 7 siti.
Nella recente sezione, quella del 2010, non sono stati aggiunti nuovi siti africani. Al sito tanzaniano del Parco Nazionale di Ngorongoro, nella lista dal 1979 per il valore naturale, è stato riconosciuto anche il valore culturale (per la presenza di siti archiologici) e inserito tra i patrimoni misti (naturali e culturali).
Inoltre i siti della Foresta di Atisinanana (Madagascar) - a causa dell'illegale cattura dei lemuri ivi residenti -e delle Tombe dei Re di Buganda (in Uganda) - a causa dell'incendio che nel marzo 2010 ha danneggiato parte delle tombe del XIII sec. - sono stati classificati tra quelli in pericolo (una speciale lista dei Patromoni dell'Umanità che per varie ragioni risultano essere in pericolo e per cui gli stati sono chiamati ad intervenire).

I primi siti africani ad essere inseriti furono, nel 1978-1979:
- Chiese rupestri Lalibela (Etiopia) - 1978
- Parco Nazionale del Siemen (Etiopia) - 1978
- Isola di Goree (Senegal) - 1978
- La città archeologica di Abu Mena (Egitto)
- L'antica Tebe e la sua necropoli (Egitto)
- Il Cairo islamica (Egitto)
- Menfi e la sua necropoli - I campi delle piramidi da Giza a Dahshur (Egitto)
- I monumenti nubiani da Abu Simbel a Philae (Egitto)
- Fasil Ghebbi (Etiopia)
- Fortificazioni lungo la Costa d'Oro (Ghana)
- Parco Nazionale di Virunga (Rep. Dem. del Congo)
- Area del Parco Nazionale di Ngorongoro (Tanzania)
- Anfiteatro romano di El Jem (Tunisia)
- Medina di Tunisi (Tunisia)
- Sito di Cartagine (Tunisia)

Questi sono gli ultimi siti aggiunti nel 2013-2014:

1- Centro Storico di Agadez (Niger)
2- Mare di sabbia (Namibia)
3- Delta del fiume Okavango (Botswana) (2014)


Attraverso l'analisi dei singoli siti è possibile ricostruire una parte delle bellezze e delle singolarità naturali africane e di evidenziarne alcune ricchezze archeologiche e storiche non sempre conosciute e valorizzate.

Nella pagina Siti Patrimonio dell'Umanità UNESCO in Africa aggiornerò via via i siti che saranno trattati in questo blog.


Ngorongoro Conservation Area - Tanzania

L'area del Parco Nazionale di Ngorongoro è stato il primo sito Patrimonio dell'Umanità della Tanzania ad essere inserito nella lista nel 1979 per criteri naturali.
Si tratta della più larga, inattiva ed intatta caldera vulcanica al mondo. Ha un diametro di circa 16 km, per una superficie complessiva di circa 265 km quadrati ed è posto a 2200 metri slm. Al suo interno vivono oltre 25 mila animali, tra cui rinoceronti neri, leoni, elefanti, zebre, gnu, ippopotami, buffali e svariati tipi di gazzelle.
Inoltre, durante l'estate, passano per la sua pianure, oltre 2 milioni di animali - per lo più gazzelle, zebre e gnu - che migrano nel parco di Sarangeti (vedi post).
Al centro della pianura del cratere vi è un lago perenne, la cui grandezza è condizionata dalle piogge.
Nell'area del sito è compreso anche il lago di Empakaai, il vulcano attivo di Oldonyo Lenga e le gole di Oldupai e Laetoli, dove sono stati scoperti impronte dell'Homo habilis (3,5 milioni di anni) e fossili animali dell'età della pietra. Per questa ragione, la 34° sessione del Comitato dei Siti Patrimonio dell'Umanità del 2010, ha deciso di estendere i criteri culturali al sito di Ngorongoro.


Il cratere di Ngorongoro è stato terreno di insediamento dei Masai fin dal 1840. Nel 1928 fu proibita la caccia nell'area (prima vi era stato, in epoca coloniale, un vero e propio saccheggio).
Nel 1929 fu istituita la riserva di Sarangeti che nel 1951 diventerà parco nazionale includendo anche l'area di Ngorongoro. Nel 1959 con l'Ordinanaza 413 si rende compatibile ("multiple land use") la presenza dei Masai nell'area (nel 1966 vi abitavano 8700 Masai). Nel 1967 pochi anni dopo l'indipendenza della Tanzania, il primo ministro Julius Nyerere con la Dichiarazione di Arusha lanciò il massimo supporto alla preservazione delle aree naturali. Nel 1975 una nuova ordinanada proibisce la coltivazione nel cratere (già dal 1974 nessun Masai viveva nel cratere) mentre resta attiva la pastoria. Nel 1979 l'area di Ngorongoro diventa patrimonio dell'Umanità per criteri naturali (nel 2010 esteso a criteri culturali). Nel 1981 l'area Serengeti-Ngorongoro diventa Riserva della Biosfera UNESCO.
Dal 1984 al 1989, a causa dei conflitti tra i Masai e e le guardie del parco, il sito fu posto nella lista dei "Siti in pericolo". Alla fine fu trovato un accordo e le popolazioni Masai continuano a pascolare nel cratere e a vivere nell'intera area del Parco di Ngorongoro.

L'area è amministrata dalla Ngorongoro Conservation Area Authority (NCAA).

domenica 29 agosto 2010

Libri: L'Africa di Thomas Sankara

Il libro di Carlo Batà, edizioni Achab, pubblicato nel 2003 è senz'altro la più completa opera in italiano su Thomas Sankara.
E' un percorso, ricco, dettagliato e intriso di citazioni originali, lungo i 4 anni (1983-1987) dell'esperienza rivoluzionaria di Sankara nel Burkina Faso, uno dei paesi più poveri dell'Africa.
Furono quattro anni intensi, pieni di ostacoli e con molti successi che portarono Sankara ad affermare, poco prima di essere assassinato che "abbiamo provato che è possibile eliminare lo sfruttamento, uscire dalla miseria e costruire la felicità per tutti. Quelli che vivono nel lusso sfruttando gli altri ci hanno combattuto e continueranno a farlo".
Dopo una chiara prefazione di Padre Alex Zanotelli, che annovera Sankara tra gli uomini giusti dell'Africa, assieme al tanzaniano Julius Nyerere e il sudafricano Nelson Mandela, Batà ci guida alla conoscenza di quelle "idee che non si possono uccidere".
I temi pincipali, che furono le chiavi dell'operato della rivoluzione burkinabè di Thomas Sankara, vengono analizzati attraverso idee e discorsi e comparati con risultati ed effetti pratici. Un guida completa ed il miglior modo per conoscere Sankara. Negli allegati finali del libro anche l'ultima intervista, rilasciata a Umberto Manni del "Manifesto", pochi giorni prima del suo assassinio, avvenuto il 15 ottobre 2012.

Vai alla pagina di Sancara : Libri sull'Africa


sabato 28 agosto 2010

Cinema: Blood Diamonds (2006)

La miglior definizione che ho letto su questo film è stata "impegno e pop corn". In effetti è un prodotto tipicamente americano - un bel film d'azione ricco di tensione, con effetti speciali di rilievo e l'immancabile lieto fine (almeno in parte) all'interno di una storia drammatica - ma nello stesso tempo un'opera che fa riflettere su una situazione, come quella della guerra civile della Sierra Leone (1991-2002) e del commercio illegale di diamanti.
Diretto da Edward Zwick nel 2006, è interpretato da Leonardo Di Caprio (nei panni di un cinico mercante di diamanti, ex mercenario bianco della Rhodesia, Danny Archer), dal "beniniano" Djimon Hounsou (nei panni di Solomon Vandy, pescatore costretto dai ribelli a lavorare in miniera) e da Jennifer Connelly (che interpreta una giornalista idealista, Maddy Bowen).
Il film ruota su un grande diamante trovato da Solomon e nascosto, che attirerà l'interesse di Danny Archer. Ma la storia porterà il cattivo di turno (Di Caprio) a "compiere azioni buone al tramonto della propria vita".

Il film può essere sicuramente visto come un'atto di denuncia contro l'industria dei diamanti e sull'utilizzo dei bambini soldato. Nonostante il soggetto si stato scritto da altri, è innegabile vedere nel film degli spunti sul brillante lavoro d'inchiesta svolto dal giornalista americano Greg Campbell nel libro "Diamanti di sangue" e pubblicato nel 2002.

In questi giorni, proprio mentre presso il Tribunale Internazionale dell'Aia si svolge il processo contro il criminale liberiano Charles Taylor (arrivato sui media mondiali solo per l'ambigua confessione della modella Naomi Campbell), colpevole secondo la corte di aver finanziato e in parte condotto la guerra civile in Sierra Leone, il soggetto del film diventa quanto mai attuale.

Il film è girato in Sudafrica e Mozambico.


giovedì 26 agosto 2010

Gheddafi in Italia

Muammar Gheddafi (ovvero Mu'ammar Abu Minyar al al-Qadhdhafi) è il leader - non monarca - da più tempo a capo di uno Stato. Egli infatti è in carica dal 1 settembre 1969, ovvero quasi 41 anni (meglio di lui solo il Re di Thailandia Bhumbol al potere dal 1946 - oltre 64 anni - e la Regina Elisabetta che regna dal 1952, ovvero 58 anni).
Contrariamente ai reali, da più tempo alla guida di un Paese di lui, Gheddafi giunge al potere con un colpo di stato che detronizza il Re Idris (Emiro dal 1944 e poi Re dall'indipendenza della Libia dall'Italia giunta nel 1951). In realtà ufficialmente Gheddafi non ha nessuna carica ma, è genericamente la "guida della rivoluzione", di fatto guida il paese indisturbato.
Non vi sono dubbi che sia un personaggio scomodo, e controverso talora ritenuto "l'uomo più pericoloso del mondo" altre volte accolto amichevolmente. Provocatore e abile manovratore, può essere definito, assieme all'Egiziano Nasser, uno dei padri del nazionalismo arabo.
Per una completa biografia di Gheddafi, vi rimando a quanto scritto da Carlo Batà. Alcuni punti però meritano di essere sintetizzati.
Appena insediato il nuovo governo rivoluzionario nel 1969 Gheddafi mise in atto tre manovre che lo fecero odiare da una parte del mondo e amare da un'altra.
- nazionalizzò il petrolio
(a quell'epoca la Libia era il maggior produttore di petrolio e gas naturale dell'Africa e il 6° nel mondo (produceva nel 1970 159,5 milioni di tonnellate di petrolio- oggi, nel 2009, ne ricava 77,1 milioni di tonnellate ed è il 18° paese produttore al mondo ed il 4° dell'Africa).
- confiscò i beni e espulse gli italiani
(il 15 ottobre 1970 i 20.000 italiani, fino al 1951 la Libia era stata una colonia Italiana, saranno costretti a lasciare il paese).
- chiuse le basi militari americane e britanniche presenti in Libia (dal punto di vista delle strategie della guerra fredda e del controllo del Mediterraneo, la cosa non lasciò proprio indifferenti gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati in seno alla NATO).

Inoltre fece altre cose come: appoggiare e finanziare l'OLP di Arafat nella lotta contro Israele, sostenere alcuni impresentabili dittatori africani come Idi Amin Dada e Jean Bedel Bokassa (senza contare, in epoca più recente, l'addestramento di criminali come il liberiano Charles Taylor) e infine, a partire dagli anni '80, finanziò gruppi estremisti e terroristi come l'IRA irlandese e Settembre Nero palestinese, divenendo il nemico pubblico degli Stati Uniti.

Il 27 giugno 1980 la Libia sarà coinvolta nell'abbattimento del DC-9 Itavia a Ustica (infatti il 18 luglio 1980 verrà trovato sulla Sila, in Calabria, un Mig23 libico abbattuto). Su Ustica, nonostante siano passati 30 anni, i misteri sono ancora fitti.
Il 15 aprile 1986 gli americani tentatarono di eliminarlo (nel bombardamento morì la figlia) ma fu avvisato in tempo dal Presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi (la tal cosa è stata resa pubblica solo nel 2008).
Il 21 dicembre 1988 vi fu l'esplosione dell'aereo a Lockerbie, attribuita ai libici, e il lungo braccio di ferro tra Gheddafi e la comunità internazionale (con embargo alla Libia) concluso solo nel 1999 con la consegna dei presunti attentatori (che, per la cronaca, nel 2001 saranno processati, uno condannato e l'altro assolto).

Mentre accadeva tutto questo l'Italia faceva affari d'oro con Gheddafi e continua a farli. Già dal 1959 l'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi , ex- ente pubblico privatizzato dal 1992) sfruttava il petrolio e il gas libico. Infatti quando nel 1970 Gheddafi scacciò gli italiani fece alcune eccezioni come l'ENI e la Fiat. La stessa Fiat di cui Gheddafi nel 1976 comprerà, per 415 milioni di dollari, il 10% delle azioni (giungendo a controllare negli anni successivi fino al 15% delle azioni e mantenendole anche durante l'embargo internazionale).
Nel 1999 l'ENI partecipa al progetto, assieme ai libici, del nuovo gasdotto dalla Libia alla Sicilia, che rafforzerà la dipendenza italiana dagli idrocarburi di Gheddafi, che verrà inaugurato il 7 ottobre 2004.
Nel 2010 Gheddafi porterà al 7% il controllo del colosso bancario italiano Unicredit.

Il 30 agosto 2008 l'Italia firma un "Trattato di amicizia con la Libia". In realtà, a parte alcune dichiarazioni di intenti e generiche cooperazioni, si tratta di un'enorme partita di giro, dove l'Italia, a modi risarcimento per l'occupazione coloniale, si impegna ad investire 5 miliardi di dollari in 20 anni per la realizzazione di infrattutture in Libia (in particolare l'autostrada della costa) che sarà affidata ad aziende italiane che utilizzeranno manodopera libica.

In attesa di capire quale sarà il prossimo affare italiano di Gheddafi (i maligni parlano di qualche azienda vicina al Presidente del Consiglio) domenica Gheddafi sbarcherà in Italia, con la sua tenda beduina, le sue guardie del corpo (rigidamente donne, da quando alcune sue guardie tentarono di assassinarlo) e questa volta anche con trenta cavalli di razza berbera, per la sua seconda visita di stato in Italia tra le immancabili polemiche (lo scorso anno gli fu impedito di parlare al Senato).

Nella foto dello scorso anno è ritratto Gheddafi che, come sempre provocatoriamente, giunge all'aereoporto di Roma, con appuntata sulla divisa una foto raffigurante la cattura nel 1931 , da parte degli italiani, dell'eroe nazionale libico Omar Al Mukhtar, il quale sarà poi ucciso.

mercoledì 25 agosto 2010

Olimpiadi di Roma, prima medaglia d'oro africana

Esattamente 50 anni fa, il 25 agosto 1960, si inauguravano a Roma le XVII Olimpiadi dell'era moderna. I giochi si che si chiuderanno l'11 settembre. Tra le tante novità le Olimpiadi italiane furono le prime in diretta televisiva: verranno prodotte dalla RAI 109 ore di trasmissione.
Alle Olimpiadi di Roma l'Africa nera conquistò la prima medaglia d'oro della storia. Il 10 settembre 1960, si corse la maratona. Tra i 69 partenti figurava una guardia imperiale del Negus etiopico, il ventottenne Abebe Bikila.
Bikila correva a piedi scalzi. Su questo particolare esitono due versioni: la prima che sostiene che era abituato a correre scalzo, la seconda che avendo sostituto le sue scarpe rotte, le nuove gli furono scomode. Comunque sia Bikila vinse la maratona e fu la prima medaglia d'oro per l'Africa nera (il Sudafrica bianco aveva già vinto medaglie a partire dal lontano 1908, così come l'Egitto che vinse il primo oro nella lotta nel 1928).
Le date non sempre sono delle coincidenze. Abebe Bikila era nato il 7 agosto 1932 a Bagara in Etiopia, nello stesso istante in cui, in un'altro continente e precisamente a Los Angeles si correva la maratona delle Olimpiadi americane.
Dopo Roma, Abebe Bikila vinse anche la maratona delle Olimpiadi di Tokyo (1964) e partecipò, ritirandosi, a quella delle Olimpiadi di Citta del Messico (1968).
Quella di Abebe è una triste storia. Nel 1969 a causa di un incidente stradale ad Addis Abeba perse l'uso delle gambe - proprio lui a cui le gambe, assieme al cuore, avevano regalato lo straordinario dono di correre veloce senza fermarsi.
Il 25 ottobre del 1973, a soli 41 anni, Abebe Bikila morirà per un'emorragia cerebrale.

Per la storia le Olimpiadi di Roma portarono anche la prima medaglia d'argento per l'Africa nera, quella del pugile ghanese di Accra, Clement Quartely, che nei pesi welter-leggeri perse la finale contro il cecoslovacco Nemecek.

Oggi, dopo le Olimpiadi del 2008 a Pechino, sono 25 i paesi Africani che hanno conquistato almeno una medaglia alle Olimpiadi estive. Alcuni di questi paesi si stanno affermando come vere e proprie potenze sportive. Il Kenya a Pechino con 14 medaglie (6 ori, 4 argenti e 4 bronzi) è risultato il 13° paese del medagliere, mentre l'Etiopia è risultata 18° con 4 medaglie d'oro. Ben 13 paesi africani a Pechino hanno ottenuto almento una medaglia.

Dopo il successo del Mondiali di calcio in Sudafrica, l'Africa è pronta per organizzare le sue prime Olimpiadi. Solo quando i Giochi estivi sbarcheranno in Africa (nel 2016 saranno per la prima volta in Sud America) il concetto dell'universalità dei Giochi sarà veramente realizzato.

martedì 24 agosto 2010

Somalia, la tragedia nel disastro

Oggi la stampa italiana, e non solo, riporta del grave attacco del gruppo di al-Shabab all'Hotel Muna di Mogadiscio in Somalia, dove hanno perso la vita, stando alle fonti, una trentina di persone tra cui sei o più membri del Parlamento di transizione. Le notizie sono ancora incomplete.

La questione somala è complessa. Basti pensare che dal 1991 la Somalia non ha un governo degno di tale nome (ovvero leggitimato e capace di controllare il territorio) e vive in una totale anarchia.
Mogadiscio, la capitale della Somalia, che a partire dagli anni '20 era stata una delle più belle (secondo standard europei) e ricche città dell'Africa, con un porto commerciale attivissimo, è oramai da 20 anni un campo di battaglia - come appare da questa foto raccolta dalla rete.
Raccontare la storia della Somalia - per capire l'attualità - richiederebbe troppo spazio. Ma alcuni punti è bene sottolinearli.

E' la Conferenza di Berlino del 1884 a determinare la storia odierna della Somalia: quando Italia, Francia e Gran Bretagna iniziano a contendersi, a volte sanguinosamente, il territorio. Dal 1892, e fino al 1920, i popoli della Somalia tenteranno di resistere al colonialismo. Nel 1936 la Somalia Italiana entra a far parte dell'Africa Orientale Italiana (assieme ad Eritrea ed Etiopia) che dal 1941 sarà occupata dalla Gran Bretagna. Nel novembre 1949 le Nazioni Unite, a seguito dei nuovi equilibri post-bellici, affideranno all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia.
Il 26 giugno 1960 la Somalia Inglese e il 1 luglio 1960 la Somalia Italiana, diventeranno indipendenti sotto un'unica bandiera (la Somalia francese diventerà indipendente nel 1977 con il nome Gibuti).
Il 15 ottobre 1969 fu ucciso il presidente Shermarke e pochi giorni dopo, il 21 ottobre 1969, con un colpo di stato sale al potere Siad Barre, militare che si era formato in Italia nel corpo dei Carabinieri (negli anni '50 aveva frequentato la Scuola Allievi Ufficiali di Firenze). La sua dittatura , durante la quale vi saranno ( nel 1964 e nel 1977) delle guerre territoriali con l'Etiopia, durerà fino al 25 gennaio 1991, quando sarà destituito.
Da quel momento il paese piomberà nel mezzo di una guerra civile, scatenata dai clan di signori della guerra, nel tentativo di egemonizzare il paese. In questi 20 anni vi sono stati ben 13 tentativi di instaurare un governo, tutti miseramente falliti o quasi.
Nel 1992, con due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (24.4.1992 e 3.12.1992) saranno inviati delle missioni militari per assistere e poi proteggere la popolazione civile (denominati UNOSOM I, UNOSOM II e UNITAF). La missione di UNITAF, meglio conosciuta come "Operazione Restore Hope" - invece di restituire speranza, come il suo altisonante nome prometteva, gettò il paese ancora più nel caos. Gli americani (con il coinvolgimento di altri paesi, tra cui l'Italia) ingaggiarono una lotta contro uno dei signori della guerra, il generale Aidid (anche lui addestrato in Italia e membro del governo di Barre), finendo per perdere credibilità e vite umane. In particolare nell'ottobre 1993 quando a seguito dell'abbattimento di un elicottero MH6o Black Hawk americano, vi furono 19 morti americani nel tentativo di recupero dei militari (su tale episodio il regista Ridley Scott ha ricavato il film "Black Hawk Down"). Questo episodio, e la stagnazione militare, indusse l'amministrazione americana di Bill Clinton a ritirare il contingente dalla Somalia agli inizi del 1994.
Il 20 marzo 1994 vi fu poi un triste e per certi aspetti ancora misterioso episodio che sconvolse l'Italia (già nel luglio 1993 erano morti alcuni militari italiani), l'assassinio della giornalista del TG3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hravatin che stavano indagando sul legame tra signori della guerra e il contrabbando di droga, armi e rifiuti tossici.
Il 16 dicembre 1994, tristemente, le Nazioni Unite, sconfitte, ritirarono la propria missione, abbandonando nel caos totale il paese.
Da allora Aidid assunse il controllo di una parte del paese (fino alla sua morte avvenuta il 2 agosto 1996 a seguito di ferite) in guerra soprattutto con un'altro signore della guerra, Ali Mahdi ( che aveva sostituito Barre per pochi mesi dopo la sua caduta).
Dal 1997 al 2004 - mentre il paese continuava ad essere nella totale anarchia e gli sfollati premevano sulle frontiere - vi furono numerosi tentativi di conciliazione tra le fazioni in lotta (si arrivò a contarne 26 nel 1997!), tra cui la Conferenza di Gibuti (2000) e la Conferenza di Mbagathi (2004) che istituirono governi di transizione, tutti residenti a Nairobi in Kenya.
Nell'estate del 2006 entra in gioco una nuova compagine: l' Unione delle Corti islamiche (rete di gruppi islamici, sostenute, stando alle Nazioni Unite, da Iran, Libia e Arabia Saudita) che scacciano i signori della guerra da Mogadiscio con il sostegno della popolazione oramai esausta.
Verso la fine del 2006, truppe dell'esercito etiope, sotto pressione dell'amministrazione americana di Bush e con un diretto appoggio dal gennaio 2007, invasero la Somalia con l'obiettivo di espellere i gruppi radicali islamici. A quel punto emerse tra le Corti Islamiche il gruppo Al-Shabab ("la gioventù"), ala fondamentalista.
Dal 2006 è presente nel paese anche una missione dell'Unione Africana (Amisom) con militari dell'Uganda (e questa è una possibile lettura dei recenti attentati suicidi a Kampala in Uganda, rivendicati da Al-Shabab).
Quando nel 2009 le truppe dell'Etiopia si ritirarono dalla Somalia le fazioni dei gruppi islamici erano già in lotta tra di loro per la spartizione del potere.

Oggi solo una piccola parte di Mogadiscio è controllato dal governo di transizione guidato da Sheik Sharif Sheik Ahmed, mentre il resto del territorio è in mano agli islamici che già alcune settimane fa avevano minacciato alcune associazioni umanitarie (e già, perchè in mezzo a questo casino, ci sono uomini e donne che rischiano la pelle ogni giorno per aiutare la popolazione civile inerme) accusate di fare proselitismo cristiano.

La Somalia è oggi una polveriera dove tutto può accadere. Qualche osservatore internazionale sostiene che uno degli obiettivi dei militanti islamici è quello di "scatenare una nuova reazione militare internazionale, poichè allargare il conflitto a livello regionale potrebbe essere la migliore occasione per riconquistare il potere locale".

Libri: Diamanti di sangue

Nel 2002 il giornalista americano Greg Campbell scrive questo libro-inchiesta sul commercio dei diamanti e le connessioni con le guerre, in particolare in Sierra Leone. "Diamanti di sangue", edito in Italia da Carocci e pubblicato nel 2003 è un libro che lascia l'amaro in bocca.
Con lo stile tipico del miglior giornalismo d'inchiesta, Campbell parte dal "campo mutilati" di Freetown, gestito da Medici senza Frontiere e che definisce "il museo vivente dell'orrore" e attraverso racconti, documenti e verifiche sul campo ci introduce (e conduce) nella sanguinosa guerra civile della Sierra Leone condotta dal RUF (Revolutionary United Front) di Foday Sankoh a partire dal 1991.
Dalle miniere di Kenema ai contrabbandieri della Liberia (con la complicità di Charles Taylor, vedi post), al commercio di armi, ai legami con Osama bin Laden fino alle multinazionali diamantifiere.
Un percorso dettagliato. Preciso e puntuale nei riferimenti e al tempo stesso un libro che si legge anche come un reportages. Insomma credo sia la migliore inchiesta (si ferma alla fine del 2001) sul legame tra i dieci anni di guerra in Sierra Leone.
Il libro parte dal racconto di Ismael Dalramy -uno degli amputati del campo di Freetown che descrive il momento della carneficina "la vittima che gli stava davanti nella fila era stata subito spinta via con un calcio e all'improvviso si era trovato di fronte a un blocco di legno insanguinato e a un impaziente banda di adolescenti armati fino ai denti che non vedevano l'ora di sbrigare le consegne dellla giornata. Non tentò di opporsi con la forza, nè implorò pietà: si sfilò solo dalla mano sinistra un anello di metallo grezzo fatto da suo figlio e se lo mise in tasca. Quella fu l'ultima azione che le sue mani compirono per lui". Era il 1996. L'epilogo del libro è sempre con Ismael " i ribelli gli amputarono le braccia per fiffondere il messaggio che le persone senza mani non avrebbero potuto votare per gli oppositori del RUF. Il 14 maggio 2002 Ismael e centinaia di altri amputati hanno aspettato ore al caldo in fila per dimostrare che avevano torto. Quando venne il suo turno , l'uomo fece la croce sulla scheda con le dita dei piedi.."

Sui diamanti vi rimando al mio post.

Nel 2006 il regista americano Edward Zwick ha girato il film "Blood Diamond- Diamanti di sangue" (con Leonardo di Caprio e l'attore del Benin Djimon Hounsou) che tratta il tema dei diamanti insanguinati della Sierra Leone. Seppure il soggetto del film sia firmato da Charles Leavitt e Gaby Mitchell, è difficile non vedere legami con il lavoro di Campbell.

domenica 22 agosto 2010

Come ti faccio saltare una gamba


Leggendo qualche giorno addietro il post "Le mine non smettono di uccidere in Angola" dal blog Jambo Africa mi sono tornate in mente alcune riflessioni fatte, verso la fine del 1997, con i responsabili di una ONG che era, al tempo, molto attiva nello sminamento in Angola.
La prima considerazione è che le mine-antiuomo colpiscono a distanza. In alcuni paesi le mine sono state posizionate oltre 40 anni fa, e ancora oggi si continua ad esserne colpiti. La follia della guerra ha prodotto uno strumento diabolico. Come se non bastasse ad alcune sono state date forme e colori che attraggono in modo particolare i bambini. Sono le mine a farfalla, anche note come "pappagalli verdi" (su questo tema Gino Strada di Emergency ha pubblicato nel 1999 un libro intitolato appunto "Pappagalli verdi", sulla sua esperienza di chirurgo di guerra).
Le difficoltà (e i costi) dello sminamento sono esorbitanti. Uno studio della fine degli anni '90 indicava in 8 euro il costo medio di una mina antiuomo e in 5.000 euro la spesa per trovarla e disinnescarla (ovviamente i costi di allora erano in lire). Le aree minate sono enormi e impedendo la normale agricoltura stravolgono l'economia di un'intero paese. Lo sminamento avviene manualmente (non è infrequente che gli sminatori restino vittime del loro lavoro) con l'uso di metal detector (i produttori di mine utilizzano sempre più materie plastiche per impedire la ricerca delle mine). Il terreno viene percorso passo passo, sotto il sole cocente e sotto una tuta protettiva che talora pesa quanto chi la indossa. Le mine anti-uomo erano economiche e venivano gettate in grandi quantità, del resto da un punto di vista strettamente militare era un valido sistema per impedire l'avanzata del nemico. Alla fine degli anni '90 si incominciavano ad addestrare "cani-sminatori" e oggi vi sono i "topi sminatori" (pesano meno, quindi con innescano la spoletta e...... sono animali).
Fino alla prima metà degli anni '90 (quando è stata vietata la produzione) l'Italia era tra i maggiori costruttori ed esportatori di mine antiuomo.
Stando al rapporto "Landmines Report 2009", nel periodo 1999-2008 sono morte nel mondo 73.576 persone (in 119 stati - 12.000 delle quali solo in Afghanistan). Nel 2008 sono oltre 5.000 i morti nel mondo. Senza contare i feriti che sono molti di più.
Per sminare sono stati stanziati, nel 2008, 518 milioni di dollari. La maggior parte di questi soldi provengono dai paesi che maggiormente hanno venduto le mine nel mondo (Italia in testa)
Nel mondo si calcolano ancora in 100 milioni le mine disseminate nel terreno. Tra i paesi con più mine vi è l'Egitto (oltre 20 miloni, risalenti alla seconda guerra mondiale), l'Angola (tra i 10 e i 20 milioni, posizionate dagli anni '70 durante i 30 anni di guerra), l'Iran (oltre 15 milioni durante la guerra con Iraq degli anni '80), l'Afghanistan (oltre 10 milioni, dalla fine degli anni '70 ad oggi), l'Iraq (10 milioni, durante la guerra con Iran), la Cambogia (tra gli 8 e 10 miloni, durante i caotici anni '70), il Kuwait (5 milioni, dalla prima guerra del Golfo), la Bosnia (oltre 3 milioni, gurante la guerra del 1992-94), il Mozambico ( circa 3 milioni dagli anni '70 agli anni '90) e la Somalia (oltre un milione a partire dagli anni '60).

Il 1 marzo 1999 è stato firmato il "Mine Ban Treaty", il trattato di bando della produzione e dell'uso delle mine anti-uomo. Ad oggi sono 156 i paesi firmatari. Mancano all'appello ancora 39 stati tra cui gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l'Egitto, Cuba e l'India.

Per tornare all'Angola nel 2008 sono stati spesi 22 milioni di dollari (ultimo dato disponibile) per sminare 9 km quadri di terreno. La stima del terreno contaminato da mine è tra i 242 e 1239 km quadrati. Di questo passo ci vorranno tra i 26 e i 138 anni per eliminare le mine a condizione di disporre ogni anno dell'enorme quantità di denaro che serve.

Del resto la stima delle Nazioni Unite è che per debellare completamente le mine del mondo serviranno - con le attuali tecnologie - altri 1000 anni.

Libri: Africa Reportages

Pietro Veronese è un inviato di Repubblica.
Il questo libro, edito nel 1999 da Laterza, vengono tiportate le corrispondenze di Veronese, su Repubblica, dal 1985 al 1998. Corrispodenze di un inviato attento, capace di cogliere sfumature, che vanno dal Sudafrica al Burkina, passando per il Mozambico.
Le analisi di Pietro Veronese, aggiornate con alcune annotazioni alla fine di ogni capitolo, si leggono come un racconto.
Riporto una tesi di Veronese che conclude il libro e che merita, spogliandola del significato letterale, di una grande attenzione. Egli scrive "Gli uomini non sono tutti uguali: si, le razze esistono, e si dividono in inferiori e superiori. E la superiore a tutte è l'africana".

venerdì 20 agosto 2010

Guerra del Biafra (1967-1970), una questione ancora attuale

La guerra del Biafra ha segnato, sotto diversi aspetti, l'affermarsi di un nuovo periodo storico e culturale per l'intera umanità. E' stata una tragedia di proporzioni enormi (si stimano quasi 3 milioni di morti, di cui due terzi - in gran parte bambini - dovuti alla fame) di cui le immagini dei bambini gravemente malnutriti hanno girato il mondo. E' stato il punto di avvio per una nuova generazione di "militanti umanitari" infrangendo la regola della neutralità a favore dell'idea del diritto d'ingerenza nelle questioni internazionali, non più riservate solo a diplomatici e militari (dall'esperienza dei medici francesi in Biafra con la Croce Rossa e in particolare di Bernard Kouchner, nascerà nel 1971 Medecins Sans Frontieres - Medici Senza Frontiere).
Infine vi è un aspetto marginale, e perfino offensivo delle popolazioni Igbo, ed è quello dell'uso dei "bambini del Biafra" nel linguaggio comune da parte delle mamme per convincere i propri figlioli (spesso grassottelli) a non buttare il cibo ("pensa ai bambini del Biafra che non hanno nulla da mangiare") sia per indicare genericamente una magrezza esagerata ("sembri un bambino del Biafra"). Insomma la parola Biafra è diventata una sorta di neologismo come sinonimo di povertà infinita.

La guerra del Biafra durerà dal 6 luglio 1967 al 13 gennaio 1970, e sarà determinata dal tentativo di secessione della provincia sud-orientale della Nigeria, popolata da etnia Igbo, cristiana ed animista, che scatenerà la risposta del governo centrale nigeriano.
Ma come si arriva alla dichiarazione della secessione?
Tutto ha inizio il 15 gennaio 1966, quando sulla base di presunti (e probabilmente veri) brogli elettorali che hanno favorito le popolazioni del nord, alcune sezioni dell'esercito, principalmente di etnia Igbo, guidate dal generale Johnson Aguyi-Ironsi, attuano un colpo di stato.
Il 29 luglio 1966, l'esercito "settentrionale", etnie Yoruba e Hausa, organizzano un contro-golpe, dando il potere al colonnello Yakubu Gowon e massacrando le minoranze cristiane Igbo del nord. Gli Igbo del Biafra saranno completamente esclusi dal potere.
Le popolazioni del Sud, preoccupate che il nord si impadronisse delle grandi risorse petrolifere presenti nel loro territorio (delta del Niger) - si calcoli ch e nel 1966 la Nigeria ha estratto 20 milioni di tonnellate di petrolio e di queste 17 provenivano dal Biafra- il 30 maggio 1967, guidate dal governatore militare del Sud-Est, col. Odunegwu Ojukwu, dichiarano la seccessione dalla Nigeria della Repubblica del Biafra, con capitale Enugu.
La nuova nazione sarà ufficialmente riconosciuta solo dal Gabon, da Haiti, dalla Costa d'Avorio, dallo Zambia e dalla Tanzania.
Il 6 luglio 1967 l'esercito nigeriano entra in Biafra occupando le città di Nsukka e Garkem e decretando l'inizio della guerra.
Dopo una controffensiva del Biafra (che giungerà a 200 km da Lagos), la guerra assume la forma di assedio. La truppe nigeriane dopo aver conquistato i porti, determinano il blocco completo navale, terrestre e aereo.
La lenta agonia del Biafra ha inizio. Le foto dei bambini malnutriti iniziano a girare il mondo e volontari iniziano ad effettuare ponti aerei a favore della popolazione affamata. Non mancheranno ovviamente accuse di infiltrazioni mercenarie e di contrabbando di armi. I volontari della Croce Rossa saranno attaccati dall'esercito nigeriano.
In questo clima, il 9 maggio 1969, avviene un fatto che colpisce direttamente l'Italia. Dieci tecnici italiani e un arabo, saranno uccisi nei campi petroliferi dell'ENI da un commando di soldati del Biafra. Altri 3 italiani, saranno rapiti e rilasciati secondo fonti non confermate con un riscatto di 12 miliardi di lire. Mentre milioni di bambini morivano di fame, nello stesso luogo qualcuno continuava ad estrarre, non curante, il petrolio.
Nel giugno 1969, oramai stremato dall'assedio, il Biafra tenta l'ultima disperata offensiva sostenuta da mercenari stranieri (tra cui lo svedese Carl Gustav von Rosen, aviatore pioniere e già istruttore in Etiopia dell'Ethiopian Air Force).
Il 23 dicembre 1969 le forze nigeriane spezzano in due il Biafra e il 7 gennaio lanciano l'offensiva finale. Il 13 gennaio cadrà l'ultima città e Ojukwu dichiara la resa fuggendo in Costa d'Avorio e lasciando al suo vice, Philip Effiong, il compito di negoziare.
Il bilancio finale sarà catastrofico: oltre 3 milioni di morti di cui un milione e duecentomila in battaglia e quasi due milioni per fame.
L'intera regione distrutta (ancora oggi vi sono i segni) , l'etnia Igbo discriminata e ridotta tra i gruppi etnici più poveri dell'Africa Centro-Occidentale.

I paesi stranieri non furono assolutamente estranei a questo conflitto. Gli Stati Uniti - all'epoca impantanati nel Vietnam - avevano altro a cui pensare. La Nigeria fu rifornita di armi dalla Gran Bretagna in quanto ex colonia, dalla Russia e dall'Egitto. Il Biafra ottenne l'appoggio della Francia (in chiave anti inglese per il controllo dei territori africani), oltre che del Sudafrica e della Rhodesia (futuro Zimbabwe). Inoltre determinante fu il ruolo del Portogallo (unico paese all'epoca ad avere ancora ampi territori in Africa) di sostegno al Biafra attraverso la colonia di Sao Tomè e Principe. A Lisbona fu stampata la moneta del Biafra e vi furono insediati gli uffici di rappresentanza del governo del Biafra.

Nel 1999 il neo eletto presidente Obasanjo, che aveva combattuto nella guerra del 1967-70, (guiderà la Nigeria dal 1999 al 2007) tentò una timida riconciliazione con il Biafra (riconoscendo la pensione ai militari congedati dopo la guerra e che aveva combattuto per l'indipendenza).

Le questioni che erano alla base della guerra del Biafra - gli interessi derivanti dai ricchi giacimenti di petrolio della regione - appare ancora oggi irrisolta, anzi è all'attenzione della comunità internazionale per quello che già si configura come il conflitto del delta del Niger. Nel 2009 la Nigeria ha estratto 122,1 milioni di tonnellate di petrolio - (12° paese nel mondo e primo dell'Africa).
Dal 1999 è inoltre attivo nell'area del Biafra (oggi popolata da circa 40 milioni di individui di etnia Igbo) il gruppo Massob (Movimento per la creazione dello stato sovrano del Biafra) che si richiama, idealmente alle rivendicazioni secessionistiche degli anni '60.

Sulla guerra del Biafra la rete è ricca di documenti, immagini e commenti. Consiglio vivamente la lettura del romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie "Metà di un sole giallo" (dalla bandiera del Biafra - vedi sopra) che ha il pregio di essere scritto - forse per la prima volta - da chi, tra gli scrittori nigeriani, non ha vissuto la guerra.

giovedì 19 agosto 2010

Cinema: L'ultimo re di Scozia (2006)

Il film di Kevin MacDonald (al suo primo lungometraggio, dopo una carriera da documentarista) è valso a Forest Whitaker, nei panni di Idi Amin Dada (vedi post), l'Oscar per il miglior attore protagonista, per una interpretazione assolutamente straordinaria di un personaggio complesso.
E' un film ben confezionato, che partendo da un protagonista inventato (il medico inglese Nicholas Garrigan) racconta invece la reale storia di uno dei più sanguinari e folli dittatori africani: Idi Amin Dada, al potere in Uganda dal 1971 al 1979.
Adattamento di un romanzo di Giles Foden, il film ripercorre l'ascesa e il declino del potere di Idi Amin Dada, attraverso una percorso che coglie appieno la follia di un uomo, inizialmente carismatico e affascinanate, poi paranoico e delirante. Grazie alla straordinaria interpretazione di Forest Whitaker - che riuscirà nell'impresa di rendere a tratti simpatico questo "omone" -(nella realtà Amin fu campione nazionale di boxe, nella categoria massimi) - coadiuvato da James McAvoy (nei panni del giovane medico inglese) il film ha il merito di rendere noto al grande pubblico un evento della storia africana, poco conosciuto come la dittatura Ugandese.
Il regista. che ha affrontato questo film con il piglio tipico di un documentarista- 3 mesi di interviste e raccolta di materiali in Uganda - , finisce con il confezionare un prodotto adatto al grande pubblico e allo stesso tempo fedele nella ricostruzione storica. Un film da vedere.


martedì 17 agosto 2010

Malaria ..... una zanzara di troppo

Stando al Rapporto sulla Malaria 2009 - pubblicato dall'OMS - nel 2008 vi sono stati (stima) 243 milioni di casi di malaria nel mondo, di cui l'85%, circa 208 milioni, in Africa sub-sahariana. I morti stimati sono stati 863 mila ( di cui, 767 mila in Africa), di questi - e questo è l'aspetto più drammatico - l'85% è costituito da bambini sotto i 5 anni.

La malaria (termine che deriva da mal-aria, aria malsana, conosciuta anche come paludismo) è una parassitosi causata da un protozoo del genere Plasmodium che viene contratta dall'uomo attraverso un vettore, la zanzara del genere Anopheles. Esistono 4 differenti tipi di Plasmodi: Falciparum, Vivax, Malariae e Ovale. Il Plasmodium Falciparum, responsabile di quella che viene chiamata "febbre terzana maligna" è la forma più pericolosa per l'uomo.
In definitiva l'uomo malato viene punto dalla zanzara, la quale ospitando il parassita, trasmette la malaria ad altri individui (in realtà sia nella zanzara che nell'uomo il Plasmodio compie un ciclo vitale di trasformazione).

La malaria, in Africa, colpisce e uccide soprattutto i bambini (85%). attraverso due modalità. La prima è una complicanza frequente e acuta della malattia denominata Malaria Cerebrale - una forma di encefalopatia diffusa acuta che necessita di immediato trattamento farmacologico (cosa alquanto complessa nella stragande maggioranza del territorio africano). La seconda modalità è più subdola. Frequenti infezioni malariche generano una forma di grave anemia che favorisce l'instaurarsi e le complicanze di altre patologie, come polmoniti e malnutrizione, soprattutto nei bambini.
Superata l'età infantile (circa dopo i 10 anni), si crea una sorta di immunità-resistenza alla malaria, che ne attenua le manifestazioni cliniche e la gravità (motivo per cui gli adulti, nelle zone endemiche, nonostante ne siano colpiti, muoiono molto meno). Cinicamente si potrebbe dire che vi è una sorta di selezione naturale - chi resiste sopravvive.
La malaria si previene e si cura con farmaci quali il chinino, la clorochina, meflochina (lariam), proguanil, primachina e artemisina. In molti Paesi si è creata una sorta di resistenza ai farmaci (in primis, alla clorochina) che rendono la profilassi e la cura più complesse.
Nonostante gli impegni (certo non sempre mantenuti) della comunità medica e degli organismi internazionali, un vaccino per la malaria non esiste. Vi sono certamente dei complessi motivi legati al ciclo malarico, ma anche il fatto che, purtroppo, il "mondo ricco" ha debellato , da decenni, la malaria. Il nuovo obbiettivo dell'OMS (che ha recentemente lanciato un appello ai governi) è il 2025, ma prima era stato il 2012 e prima ancora il 2000. Insomma la strada è lunga.
Sulla malaria si può consultare il sito dell'OMS sul Global Malaria Program. Oppure consultare il Report dell'UNICEF sul "World Malaria Day 2010 -Africa Update".
Nel 2009 sono stati spesi 1,8 miliardi di dollari per la lotta alla malaria (secondo gli esperti la cifra necessaria sarabbe 6 miliardi di dollari/anno).



La Gambia, dove ho vissuto dal 1992 al 1994, è un paese che si presta molto
agli studi sulla malaria. E' presente il Plasmodium Falciparum e, almeno fino al 1999, non era praticamente descritta forma di resistenza alla clorochina. Inoltre è uno stato di piccole dimensioni (quindi facilmente "mappabile") ed è presente la sede di uno degli istituti di ricerca più importanti del mondo, l'inglese Medical Reserch Council - MRC. Nel 1993 la Gambia, attraverso l'MRC, fu protagonista di uno dei due studi al mondo (l'altro credo fosse in Kenya) su un vaccino anti-malarico sintetizzato da un'industria farmaceutica colombiana. Per la cronaca il vaccino non diede i risultati sperati ed ancora oggi nel mondo non esiste una vaccinazione per la malaria.
All'epoca nel paese vi era un gran fermento di studi sulla malaria.
Gli entomologi allevavano le zanzare, poi le coloravano con colori fluorescenti e le liberavano. Ricordo ancora le battute notturne tra la foresta pluviale con le torce alla ricerca di zanzare rosse, verdi e gialle! Lo scopo era ovviamente serio, capire lo spostamento delle zanzare al fine di valutare il raggio di azione della trasmissione della malattia.

Vi erano poi i programmi per diffondere l'uso delle zanzariere impregnate di insetticida (in realtà l'uso delle zanzariere continua ad essere una delle forme più efficaci di prevenzione della malaria).
La clorochina giungeva a fiumi nel paese (in confezioni da 1000 compresse , in barattoli bianchi con l'indicazione del solo principio farmacologico, in piena conformità al programma "Essential Drugs" lanciato dall'OMS nel 1977 e adotatto nella "Dichiarazione di Alma Ata"del 1978 sui principi della Primary Health Care) trasportate dalla capitale alla periferia (noi eravamo a Bansang) su camion oramai antichi anche per l'Africa. Da Bansang - così come da altri centri "maggiori" - attraverso le "trakking station" la clorochina veniva distribuita in quasi ogni villaggio. Lo scopo era quello di iniziare il trattamento quanto più precocemente possibile. Nonostante i notevoli sforzi, a partire dall'inizio della stagione delle piogge (aprile-maggio), il numero dei casi di malaria cresceva a dismisura, raggiungendo il suo picco nei mesi di luglio-agosto e scemando lentamente fino all'inizio della stagione secca (novembre-dicembre).
I letti nel reparto di pediatria dell'ospedale regionale di Bansang non erano più sufficienti: si passava a due bambini per letto, poi a tre e infine a quattro bimbi per letto.
Oltre 200 bambini, quasi tutti sotto i 5 anni, alla fine della stagione malarica, non facevano ritorno a casa. Una strage che ancora continua.


lunedì 16 agosto 2010

Le anime nere dell'Africa - Jean Bedel Bokassa

Un megalomane con il culto di Napoleone.
Forse questa questa è la definizione, certamente romatica della vita di Jean Bedel Bokassa, poi Salah Eddine Ahmed Bokassa (dopo la conversione all'islam e prima del ritorno al cattolicesimo). Nella realtà è stato un feroce dittatore che ha delapidato, per le sue esigenze personali, un grande patrimonio di un paese come la Repubblica Centroafricana. Secondo alcuni sarebbe stato un cannibale.

Nato a Bobangi (che oggi si trova in Congo, mentre allora era nell'Africa Equatoriale Francese) nel 1921. Figlio di un capovillaggio intraprese la carriera militare. Cugino del primo Presidente del Paese, David Dacko, e nipote del primo ministro, in epoca pre indipendenza, Barthelemy Boganda (deceduto nel 1959 pe un incidente aereo), scalò la carriera militare fino al grado di colonnello.
Il 1 gennaio 1966, con un colpo di stato destituì Dacko e assunse il potere. Il paese era in gravi difficoltà economiche.
Abolita la Costituzione del 1959, governò per decreto e un fallito golpe, nell'aprile 1969, gli consentì di consolidare il suo potere.
Nel 1972 si autoproclamò Presidente a vita e il 4 dicembre 1977 "Imperatore del Centrafrica, apostolo della pace e servitore di Cristo", con il nome di Bokassa I. Per i festeggiamenti della sua incoronazione sperperò circa 20 milioni di dollari (equivalente alla metà del bilancio annuale statale).
Nonostante fosse un feroce dittatore (e, come molti ritengono, malato di mente), la Francia rimase il principale sponsor internazionale di Bokassa. Il presidente francese Valery Giscard d'Estaing supportò il regime con aiuti finanziari e militari, in cambio dello sfruttamento di uranio ( per il programma nucleare militare francese) e delle riserve di caccia grossa (dove più volte d'Esteing partecipò a safari di caccia grossa). Bokassa regalava, secondo alcune fonti, diamanti al Presidente francese.
Bokassa si occupava personalmente di giudicare i dissidenti e talora partecipava direttamemnte alle torture e alle esecuzioni, continuando a dilapidare per le sue esigenze personali anche i prestiti stranieri che venivano erogati per aiutare la popolazione sconvolta dalla siccità e dalle carestie.
Nell'aprile 1979, a seguito della sommossa di Bangui, in cui furono uccisi oltre un centinaio di studenti (in cui si disse che Bokassa avesse anche mangiato dei corpi), la Francia ruppe il suo cieco appoggio al dittatore e il 21 settembre 1979 (dopo 13 anni di follia) mise fine al regime di Bokassa, appoggiando un golpe dell'ex presidente Dacko ( che sarà poi destituito da un'altro golpe il 20 settembre del 1981). L'operazione francese fu denominata, guarda caso, "Operazione Barracuda".
Bokassa - che durante il golpe si trovava in Libia (dall'amico Gheddafi) - si rifugiò in Costa d'Avorio (dove rimase per 4 anni e da dove verrà espulso) e successivamente in Francia, vicino Parigi.
Il 24 ottobre del 1986 Bokassa ritornò il Centrafrica, lanciandosi con un paracadute (oppositori di Andrè Kolingba, allora alla guida del Paese, avevano chiesto il suo intervento). L'operazione fallì Bokassa fu arrestato e il 12 giugno 1987 condannato a morte (condanna trasformata in carcere a vita nel febbraio 1988, e successivamente ridotta a 20 anni di carcere).
Il 1 agosto 1993 fu infine rilasciato per un'amnistia generale. Visse i suoi ultimi anni in una villa alla periferia di Bangui. Morì, d'infarto, il 3 novembre 1996 a 75 anni.
Nella sua vita ebbe 17 mogli e 50 figli.

Nel 1990 il regista tedesco Werner Herzog ha girato un film-documentario dal titolo "Bokassa: Echi da un regno oscuro", il film non è mai uscito in Italia fino al febbraio 2010, quando è stata distribuita una versione in DVD con sottotitoli in italiano.

La Repubblica Centrafricana, ex colonia francese, è divenuta indipendente il 20 settembre 1960. Per i primi 33 anni (fino al 1993) vi sono stati governi prevalentemente militari (compresa la dittatura di Bokassa). Dal 1993 al 2003 vi è stato - nonostante le tensioni interne (ammutinamenti continui dell'esercito, tentati golpe e presenza di una missione internazionale per il mantenimento degli accordi di pace a partire dal 1997) e la corruzione dilagante- un governo eletto. Il 15 marzo 2003, l'ennesimo colpo di stato - guidato dal genearle Racois Bozize (attuale presidente) ha ridato il potere ai militari. La Repubblica Centrafricana, nonostante estragga diamanti e uranio, continua ad essere uno dei paesi più poveri del mondo.

sabato 14 agosto 2010

Libri: L'africano

Il francese Jean Marie Gustave Le Clezio ("L'africano", edizioni Instar, scritto nel 2004, edito in Italia nel 2007) confezione una storia autobiografica attraverso gli occhi di un bambino di otto anni che giunge in Africa e precisamente in Nigeria, dove il padre, da oltre vent'anni, svolge la professione di medico. Un percorso attraverso un rapporto intenso con mondo nuovo e difficile, attraverso un complicato rapporto con il genitore scandito delle foto scattate dal padre stesso.

Un libro suggestivo, un'incontro tra un reportage di un'epoca remota (l'arrivo in Africa è nell'immediato dopoguerra, esattamente nel 1948) e un romanzo autobiografico. Da leggere per conoscere un luogo dove " la natura esiste con intensità e violenza".

mercoledì 11 agosto 2010

Cinema: Tilai (1990)

Tilai - (la legge) - è il terzo film di Idrissa Ouedraogo, regista burkinabè, che ha ottenuto il Gran premio della Giuria al Festival di Cannes nel 1990.
Ambientato in un piccolo villaggio dell'Alto Volta (oggi Burkina Faso), retto da leggi tribali dure e crudeli, il film è parlato in moorè. Il protagonista Saga torna, dopo due anni, a casa per ritrovare la propria fidanzata (Nogma) che nel frattempo è stata costretta a diventata la seconda moglie del padre di Saga.
I due si amano ancora, ma secondo la legge, il loro rapporto sarebbe oltre che adultero, anche incestuoso. Aiutati dai fratelli e dalle sorelle, Saga e Nogma, si amano clandestinamente fintanto che non vengono scoperti. Saga sarà condannato- secondo la legge - a morte, e ad eseguire la sentenza, verrà scelto a sorte, il fratello e complice Kougri.
Kougri incapace di uccidere Saga, finge di averlo fatto, in cambio della promessa che egli non ritorni mai più al villaggio. Mentre il padre, sentitosi disonorato da Nogma, si impicca. Solo allora Kougri avverte Nogma che il suo amato è ancora vivo. Lei lo raggiunge e poco dopo resterà incinta.
Quando Saga sarà avvertito che la madre è morente, senza pensare alle conseguenze, tornerà al suo villaggio, inseguito da Nogma. Giungerà solo per il funerale della madre, ma la sua presenza avrà riempito di disonore il fratello Kougri, il quale dopo avergli ricordato il patto, lo uccide, proprio mentre giunge al villaggio anche Nogma.

Un film tragico, girato con mezzi modesti, con un buon equilibrio tra azione, narrazione e descrizione. Una sorta di "neo-realismo" africano, in cui i personaggi sono descitti con grande semplicità e fascino e dove le relazioni familiari, le relazioni interpersonali e le strette regole sociali entrano in conflitto.




A Ouagadougou (capitale del Burkina Faso), sin dal 1969, si svolge uno dei maggiori festival cinematografici dell'Africa, il FESPACO (Festival Panafricano del Cinema e della televisione di Ouagadougou). Il Festival, che ha cadenza biennale (la prossima edizione si svolgerà nel 2011), si è consacrato come appuntamento internazionale da non perdere, dove non solo vengono presentati film, cortometraggi e documentari, ma dove si svolge il più grande Mercato Internazionale del Cinema e della televisione Africana. Inoltre la settimana del Festival è diventata una grande festa con rassegne teatrali e musicali, convegni e altro fino a notte fonda.

"Radici" - morto il produttore David Wolpert

Era l'8 settembre del 1978, quando la televisone italiana mandò in onda il primo episodio della serie televisiva "Radici", prodotta da David Lloyd Wolper che è morto ieri (10 agosto 2010) a 82 anni. La televisione era ancora in gran parte in bianco e nero (si era in quella fase della sperimentazione a colori iniziata nell'agosto del 1975 e conclusa nel 1981).



Si aspettava il venerdì sera, alle 20.40, per guardare gli episodi della serie.

Radici, tratto dal romanzo del 1976 di Alex Haley (Roots: The Saga of an American Family) e prodotto per la ABC negli Stati Unit nel 1977, è la storia romanzata degli avi dello stesso autore a partire da uno schiavo mandinka di 16 anni, Kunta Kinte (interpretato nella serie televisiva da Levar Burton) che nel 1750 viene catturato nel suo villaggio di Jufureh (oggi in Gambia) e venduto in America per lavorare forzatamente nelle piantagioni di cotone della Virginia. E' un'epopea familare attraverso violenze e tentativi di fuga (a Kunta Kinte verrà amputata una parte del piede per impedirgli di correre). La figlia Kizzy, anch'essa venduta come schiava, violentata e abusata continuamente dal suo padrone, metterà alla luce un figlio a 17 anni, George, anch'esso schiavo.
Nel 1979 verrà trasmesso anche un seguito: Roots: The Next Generation, con meno successo.
La serie televisiva, che fu un grande successo, sia in America che in Italia, mostrò al pubblico italiano - quello ampio, non quello dei libri - seppur in modo romanzato e attenuato - il dramma di quell'orrore della storia umana che va sotto il nome di tratta degli schiavi.

Dal 1501 al 1888 (anno ufficiale dell'abolizione della schiavitù - di fatto, soprattutto nell'Africa portoghese bisognerà aspettare la metà del 1900 per la totale scomparsa) sbarcarono in America (Haiti, Santo Domingo, Cuba e Brasile) 9.500.000 (nove milioni e mezzo!) di schiavi (in realtà secondo alcuni studi furono ridotti in schiavitù 21 milioni di Africani dei quali circa la metà - 10 milioni - morirono durante la traversata dell' Oceano Atlantico).
Quella degli uomini è stata la prima risorsa che è stata sfruttata e depredata in Africa (certo con la complicità dei mercanti di schiavi africani e arabi) da parte di quei Paesi che poi occuperanno, manu militari, l'intero continente.
La costa che da Dakar passa per le foci del Niger e arriva in quello che oggi è il Benin (ex Dahomey) è ricordata come la Costa degli Schiavi, perchè da quell'area partirono, legati alle catene e senza più far ritorno, la maggior parte degli schiavi africani.

Il villaggio nativo di Kunta Kinte, Jufureh, sulla sponda nord del fiume Gambia, è una meta obbligata per gli afro-americani che giungono da queste parti. Quando vi sono passato, nel 1993, vi era un piccolo museo. Ho visto alcune signore piangere giungendo al villaggio perchè per loro si trattava più di un pellegrinaggio che di una visita turistica (questo credo sia l'impatto che "Radici" ha avuto su una parte della popolazione americana). Proprio di fronte a Jufureh, c'è James Island (da dove si crede sia partito il protagonista di "Radici"), isola contesa tra inglesi, francesi e olandesi e fino al 1779 punto di partenza degli schiavi verso l'Atlantico. L'isola - allora in totale stato di abbandono - portava ancora i segni delle catene. Strategica perchè collocata nella foce del fiume, una trentina di chilometri all'interno e quindi riparata dal mare e facilemente controllabile. Nel 2003, l'UNESCO l'ha inserita nei Patrimoni dell'Umanità. Poco più a nord, di fronte a Dakar, vi è l'altro sito (ben mantenuto) da dove partivano gli schiavi verso le Americhe. E' l'isola di Goree, che fino al 1848 è stata usata come luogo di raccolta degli schiavi. Nel 1978 l'UNESCO l'ha inserita all'interno dei Patrimoni dell'Umanità.


martedì 10 agosto 2010

La Venere Nera e Charles Taylor

In questi giorni si parla molto delle deposizioni di Naomi Campbell, la Venere Nera, e di Mia Farrow, attrice e ex-moglie di Woody Allen, in merito ai diamanti regalati dall'ex Presidente della Liberia, Charles Taylor durante un party a casa di Nelson Mandela nel 1997.
E' ovvio che della questione se ne occupano ampiamente i media perchè sono coinvolte due donne, che per diverse ragioni, interessano al grande pubblico. Si ha la sensazione che le deposizioni vengano trattate allo stesso modo del processo per Vallettopoli, con schermaglie sulle dichiarazioni, sulla ricostruzione dei fatti e sulla grandezza del diamante o dei diamanti donati.
Premesso che il racconto della Campbell appare evidentemente falso e che dei suoi amori, anche con i criminali, a molti interessa veramente poco, la questione è che il tribunale che le interroga non è una normale corte per crimini comuni, bensì il Tribunale Internazionale di Giustizia e in particolare la Corte Speciale per la Sierra Leone (istituita nel 2002) incaricata di giudicare Charles Taylor, e altri, per crimini contro l'umanità accaduti in Sierra Leone dal 1996.

Charles Taylor (nella foto) è stato Presidente della Liberia dal 2 agosto 1997 all'11 agosto 2003, dopo che dal dicembre 1989 ha lanciato una guerriglia (appoggiata dalla Libia) per il controllo delle risorse del Paese che è durata fino al 1996. Quando nel 1997 è stato eletto dai Liberiani il suo slogan elettorale fu "Ha ucciso mio padre, ha ucciso mia madre, però lo voto".

Dal marzo 1991 Taylor ha finanziato e codiretto la guerra civile in Sierra Leone (guidata dal RUF - Fronte Unito Rivoluzionario, capeggiato da Foday Sankoh, morto in carcere nel 2003) che ha devastato (in tutti i sensi) il Paese fino al 2002. Oltre 120 mila morti, centinai di migliaia di amputati (avete capito bene, uno delle missioni dei soldati bambini era amputare mani, braccia, piedi o gambe nei villaggi dove arrivavano, spesso ai propri parenti), oltre il 30% dei combattenti sono stati bambini sotto i 15 anni, oltre il 90% delle bambine catturate dai ribelli sono state violentate e spesso mutilate.
Tutto questo per il controllo delle ingenti risorse della Sierra Leone: diamanti, oro, bauxite e rutilio, ma anche caffè e cacao.
Sull'argomento consiglio di leggere il lavoro di Greg Campbell - "Diamanti di sangue" edito da Carocci nel 2003.


Il 7 marzo 2003 (quindi molto tardi, per le solite responsabilità della comunità internazionale) Charles Taylor viene ufficialmente accusato, assieme ad altri, di crimini contro l'umanità, di assassinio, di stupro, di aver arruolato bambini soldati, di atti di terrorismo e delle mutilazioni in Sierra Leone. Taylor sarà deposto nell'agosto 2003 e si rifugerà in Nigeria. Nel novembre 2003 l'amministrazione USA metterà una taglia di 2 milioni di dollari sulla sua cattura. Solo a partire dal marzo 2006 - la situazione cambia. La Nigeria concede l'estradizione (pur in assenza di accordi specifici con la Liberia) e Taylor fugge, ma viene catturato alla frontiere con il Camerun in un'auto piena di contanti e eroina. Dal 20 giugno 2006 è detenuto all'Aia (sede del Tribunale Internazionale) dove è in corso il processo.

Il 27 settembre 1997 - quando Taylor è già presidente della Liberia e la guerra in Sierra Leone impazza da quasi un decennio - si svolge il party a casa Mandela dove avvengono i fatti che oggi sono all'attenzione della Corte per la Sierra Leone.
Non è quindi privo di significati capire cosa accadde con esattezza.

Vi è però un altro filone di indagine, giornalistica sopratttutto, per ora poco esplorato.
Cosa ci faceva il criminale Charles Taylor alla corte del Premio Nobel per la Pace, Nelson Mandela?
Il mondo intero sapeva che era un criminale (già dal 1984 al 1985 Taylor fu detenuto negli USA, da dove evase, per assassinio e appopriazione di soldi pubblici , e lo stesso slogan della sua campagna elettorale ammetteva le sue colpe), perchè era a quella cena (unico capo di stato, oltre a Mandela).
Interessanti sono le dichiarazioni di Graca Machel (vedova dell'ex Presidente del Mozambico, Samora Machel, il cui aereo fu abbattuto dai Sudafricani nel 1986) e che nel 1998 diventerà moglie di Mandela, la quale invitò qualche ospite a non farsi fotografare con Taylor.


Stiamo parlando di queste cose e di altre ancora più gravi. Il mondo deve giustizia ai sierraleonesi, incolpevoli di vivere in un'area ricca di risorse che non vedranno mai. Lo si deve a ragazzi e ragazze la cui vita è stata spezzata, per sempre. Lo si deve a tutti quelli che oggi sono senza mani, senza braccia o senza gambe solo per aver incrociato nella loro vita dei macellai.

Aggiungo, questo breve spezzone tratto dallla trasmissione televisina RAI "C'era una volta", di Silvestro Montanaro, relativa alla puntata chiamata "Ombre Africane", che parla appunto di Charles Taylor.