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lunedì 7 aprile 2014

Quando iniziarono quei cento giorni

La vita umana vale poco. Lo scopriamo ogni giorno, ascoltando di omicidi e vendette, di follie e catastrofi. Eppure la vita, nel medesimo istante, ha un valore enorme. Lo scopriamo quando minaccia di lasciarci o quando qualcuno a noi vicino esala i suoi ultimi respiri.

In questo apparente controsenso, di amore e odio per la vita, che si delinea quel che accadde, vent'anni fa, in Ruanda. In 100 giorni, a partire proprio da oggi, trovarono la morte quasi un milione di persone, uccise barbaramente dai loro vicini e perfino dai loro amici.

Le testimonianze, raccolte in questi 20 anni di processi e di tentativi di ricostruire la verità, raccontano di come appunto i vicini di casa, gli amici, il prete e comuni cittadini, accecati dall'odio e istigati a dovere, imbracciarono il machete e sterminarono coloro i quali, magari solo la settimana prima, avevano condiviso con loro il pranzo o le preoccupazioni per i figli.

Non vi sono parole per descrivere quel che accadde in Ruanda nel 1994, non vi sono pensieri adatti a comprendere come persone, fino al giorno prima ritenute "normali", possano essere state accecate dall'odio e trasformate nei peggiori carnefici.


Una ferita profonda, inferta alla società ruandese (ma, più in generale all'intera umanità) a cui intere generazioni non basteranno per curarla. 

Ma, se ci fermiamo ad analizzare solo l'aspetto umano, e con esso il valore della vita, riusciamo solo ad accecarci dall'orrore. Furono cento giorni di mattanza, per ogni strada, per ogni vicolo, nelle chiese, nelle scuole e perfino negli ospedali. All'urlo di "schiacciamo gli scarafaggi", violenze inaudite ed irraccontabili, difficili da sopportate perfino per stomaci forti, si scatenarono ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.

Ma mentre questo accedeva, e, come ha affermato il procuratore del Tribunale Internazionale per il Ruanda, Silvana Arbio, "il  mondo stava a guardare", qualcuno già si domandava come era stato possibile.

Oggi si è sempre più convinti che il genocidio poteva essere evitato. Ma, ancora più grave, è che qualcuno non solo chiuse occhi permettendo all'odio di crescere e fare proseliti, ma molto probabilmente pianificò e perfino contribuì a determinare tutto ciò, fin dal'abbattimento dell'aereo che trasportava i presidente del Ruanda e del Burundi (il 6 aprile 1994) e che innescò l'incubo.

E' di questi giorni una durissima accusa del Presidente del Ruanda Paul Kagame (che dalla fine del genocidio, guida il paese) all'amministrazione francese (che, siamo onesti, non è immune da situazioni controverse in Africa, ben oltre i limiti del consentito).

Il genocidio del Ruanda ebbe, come scrive oggi su Repubblica Raffaele Masto, enormi ripercussioni sulla geopolitica dell'area centroafricana, ed in particolare su un paese confinante come l'attuale Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) e lo sfruttamento delle sue enormi risorse.

Per 100 giorni arderà una fiaccola che si spegnerà per sempre alla fine di quei giorni, come centinaia di migliaia di vite umane.

Una testimonianza, Hotel Ruanda

Un ottimo approfondimento di Fulvio Beltrami, su African Voices

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