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venerdì 24 febbraio 2012

La crisi alimentare del Sahel

Sahel, da Wikipedia
Sahel è un nome che per molti ha scarso significato. Per qualcuno è addirittura difficile posizionare l'area che ricade sotto questo nome su di una carta geografica. Perfino l'origine del suo nome, la parola araba sahil (riva del mare) inganna sul suo reale posizionamento geografico. In realtà il mare non ha quasi nulla a che fare con il Sahel, che è la fascia d territorio (desertico o ad alto tasso di desertificazione) che separa il grande deserto del Sahara dall'Africa nera. Una fascia che dall'Oceano Atlantico attraversa tutta l'Africa fino al Mar Rosso, interessando paesi quali Senegal, Gambia, Nigeria, Camerun, Mauritania, Ciad, Burkina Faso, Niger, Sudan ed Eritrea. E' un'area - nel passato sede dei più grandi e potenti regni africani - abitata da oltre 70 milioni di persone che vivono di un'economia di sussistenza (ovvero vivono di ciò che riescono a coltivare). La loro sorte dipende dalle piogge - che giungono durante la nostra estate - e che rappresentano l'unica fonte di acqua. La scarsità o l'irregolarità dei fenomeni atmosferici diventano una condanna alla morte per fame per milioni di persone. Ad ogni periodo di siccità il deserto ingloba, per sempre, larghe fette di terra.
Quest'anno, a seguito delle scarsità di piogge nelle scorsa stagione, il raccolto agricolo è molto scarso e l'ennesima crisi alimentare nel Sahel è oramai in corso. L'ennesima, perchè nell'ultimo decennio la zona è stata già colpita da siccità e crisi (nel 2005 e nel 2010), sebbene in aree molto più circoscritte (Niger e Ciad in particolare). Le organizzazioni non governative e la comunità internazionale hanno - già da settimane lanciato l'appello all'azione urgente. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) e l'Unione Europea hanno già stanziato i primi 30 milioni di euro per gli aiuti alimentari. Naturalmente vi è la necessità di intervenire, in fretta.
Dal sito del PAM
La spirale della sicccità e della povertà è sempre quella. Come avevamo visto recentemente nella crisi del Corno d'Africa: le famiglie iniziano a vendere bestiame e terreni per comprare cibo (che, guarda caso, in questo periodo ha prezzi altissimi) rendenendo la loro situazione ancora più fragile, fino a costringerli a  migrare in cerca di fortuna e di lavoro.
Naturalmente tutta la colpa è della natura (o di qualche Dio, a seconda delle preferenze) che colpisce sempre i soliti. Come già ho avuto modo di dire durante la crisi del Corno d'Africa vi sono delle enormi responsabilità nelle politiche alimentari (ed economiche) imposte nel passato, e spesso ancora in vigore, da parte delle macro organizzazioni economiche mondiali e una buona dose di "incapacità" nello gestire i rapporti con i grandi poteri economici del mondo. Le situazioni del Sahel e quella del Corno d'Africa, con le dovute differenze, possono sotto molti aspetti essere sovrapposte, così come le concause e gli errori che stanno alla base di questi drammi umani. Questa volta sono 12 i milioni - secondo le stime - di esseri umani a rischio fame. Come è accaduto altre volte - dopo l'urgenza - raramente si mettono in atto strategie per la prevenzione di questi fenomeni che oramai hanno una regolarità e una frequenza allarmante. Ogni volta ci si interroga su come prevenire, nel futuro, simili crisi. Ogni volta vi sono idee, soluzioni e strategie che regolarmente vengono disattese. Aspettando la nuova emergenza (che forse, siamo onesti, paga di più).

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