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mercoledì 26 marzo 2014

Libri: Erano solo ragazzi in cammino

Dave Eggers, un giovane scrittore americano, nel 2006 scrive un romanzo (What is the What?) che altro non è che l'autobiografia di Valentino Achak Deng, un giovane sudanese sfuggito alla guerra civile che ha devastato il Sudan per decenni (che oggi si presenta, senza aver risolto i problemi, diviso in due nazioni: Sudan e Sud Sudan) e giunto, dopo molte peripezie, negli Stati Uniti.
Uscito in Italia nel 2007 grazie a Mondadori e tradotto con il titolo Erano solo ragazzi in cammino.

La storia di Achak parte dal piccolo villaggio di Marial Bai (nel libro in realtà incomincia a ritroso nella sua casa ad Atlanta), nell'attuale Sud Sudan (non lontano dai confini con il Darfur), dove viene sorpreso dalla guerra ed è costretto, rimasto orfano, a scappare, assieme ad altri bambini verso l'Etiopia. Siamo alla fine degli anni '80. E' un lungo viaggio che descrive, nel dettaglio, tutti i drammi della guerra e di quella guerra, in particolare.
I "ragazzi in cammino" (conosciuti come Lost Boy) pagano un prezzo altissimo affrontando la fuga, gli orrori, la fame, la morte e le ingiustizie. Un viaggio di sopravvivenza che li porta miracolosamente fino in Etiopia, dove coloro che non sono morti durante lungo cammino, affrontano l'altra faccia atroce della guerra, quella dei campi profughi.

La storia di Achak è di quelle a lieto fine (purtroppo poche hanno questa evoluzione), trascorre nove anni in Etiopia e in Kenya (molti dei quali nel campo di Kakuma), inizia a lavorare come educatore per l'UNCHR, da dove poi giunge negli Stati Uniti. Diventa così un punto di riferimento e un leader della comunità sud-sudanese negli Stati Uniti e assieme a Dave Eggers nel 2006 fonda la Valentino Achak Deng Foundation che si occupa di costruire scuole e contribuire alla formazione dei giovani nel Sud Sudan.


E' un libro scritto bene (per qualcuno forse troppo lungo), con tratti di autentico romanticismo, altri di grande sofferenza, altri ancora di suggestivo fascino e perfino divertente.
Il racconto di un viaggio di fuga, che diventa di ricerca. Una ricerca di un luogo dove stare al mondo e di un'identità strappato troppo presto e senza comprenderne i motivi.
Il racconto di Achak è anche una storia di un popolo, i Dinka e delle loro tradizioni, rivissute attraverso i ricordi del padre.
Talora commovente, altre volte irritante, un libro che aiuta a capire drammi che a noi, dal nostro mondo dorato, appaiono perfino irreali.

Vi è un passaggio nel libro in cui viene detto ad Achak "Il Sudan è morto. Non ci vivremo mai più". Un frase che racchiude tutta l'impotenza di un popolo in fuga e una rassegnazione tipica di chi non ha più nemmeno la forza di sperare.

Unica cosa che il libro non aiuta a capire sono i motivi della guerra, che restano sempre sullo sfondo.

Dave Eggers, nato a Boston nel 1970, scrittore, saggista e sceneggiatore, ha pubblicato il suo primo libro nel 2000 (L'opera struggente di un formidabile genio, un racconto autobiografico che lo ha reso celebre). E' stato il fondatore di una rivista letteraria, McSweeney's, diventata poi una casa editrice.

Ecco il sito della Valentino Achak Deng Foundation

Per approfondire, alcuni vecchi post di Sancara: 
Vai alla pagina di Sancara sui Libri dall'Africa

venerdì 21 marzo 2014

21 marzo 1990, è il giorno della Namibia

La Namibia è uno stato molto giovane, indipendente dal 1990 (terzultimo in Africa, dopo di lei solo l'Eritrea e il Sud Sudan). La storia che portò quel 21 marzo 1990 alla dichiarazione d'indipendenza è molto complessa ed è legata intimamente alla guerra fredda e alla contrapposizione tra i blocchi, che in Africa del Sud ha significato entrare nel vivo della guerra d'Angola e dell'apartheid sudafricano.
La regione dell'attuale Namibia, abitata da popoli boscimani fin dall'antichità, fu toccata dai portoghesi verso la fine del 1400, ma il territorio desertico rese difficile le esplorazioni verso e dall'interno. Nel XIV secolo arrivarono i primi popoli bantu, tra cui gli Ovambo (che oggi costituiscono circa il 50% degli abitanti) e gli Herero (circa il 10%). A partire dal XVI secolo gli europei (portoghesi, olandesi, inglesi e tedeschi) mostrarono qualche interesse per quest'area, ma solo alla fine del 1800 si delinearono i ruoli sul campo. Gli inglesi nel 1878 occuparono la zona della Walvis Bay, annettendola alla Colonia del Capo, mentre nel 1884 i tedeschi estesero il loro protettorato su tutta l'area, ad accezione dell'enclave di Walvis Bay. I motivi furono quelli economici: le miniere di rame e i diamanti (Vedi la storia di Kolmanskop). Queste condizioni portarono, unica eccezione in Africa, il colonialismo tedesco a far giungere nel paese molti coloni (le cui tracce, nella toponomastica e nelle costruzioni ancora oggi si vedono).
Già tra il 1893 e il 1894 vi furono le prime rivolte degli abitanti locali (Nama e Ottentotti) duramente represse, ma furono gli Herero (e i Nama con essi) a pagare maggiormente la loro ribellione, che iniziata nel 1904, finì pochi anni dopo, nel 1908, con un vero e proprio genocidio (fu eliminata l'80% della popolazione herero), dove furono fatti i primi esperimenti di eugenetica.
Alla fine della I guerra mondiale i tedeschi persero le loro colonie e il territorio dell'Africa del Sud Ovest fu affidata dagli inglesi al governo bianco del Sudafrica (che nel 1920 ottenne anche il mandato della Lega delle Nazioni).
Dopo la seconda guerra mondiale, le Nazioni Unite iniziarono a chiedere al Sudafrica larghe autonomie per la Namibia e un'amministrazione controllata dalle stesse Nazioni Unite. Il Sudafrica rifiutò e governò il territorio della Namibia come una sua provincia, in cui valsero le stesse leggi dell'apartheid, da poco entrate in vigore.

Negli anni sessanta, quando la storia coloniale europea (per lo meno per come era intesa al tempo) andò ad esaurirsi, la gestione della Namibia balzò agli occhi come vera e propria "occupazione" sudafricana.
Nacque così negli anni '60 la SWAPO (South West African People's Organization), movimento politico di ispirazione marxista, che con un braccio armato (PLAN - People Liberation Army of Namibia)) iniziò, a partire dal 1966, una lunga e sanguinosa guerriglia, sfruttando le basi dello Zambia e alleandosi con l'African National Congress (ANC) di Mandela.
Con l'indipendenza dell'Angola (1975), la SWAPO (che era legata all'MPLA angolano) trasferì le sue basi in Angola, legando in modo definitivo le sue sorti alla guerra civile angolana.

Il Sudafrica chiuse le porte ad ogni negoziato internazionale e nel dicembre 1978 indisse, unilateralmente, delle elezioni in Namibia (boicottate dalla SWAPO e da altre forze politiche) senza osservatori internazionali. 
Il periodo di tempo tra il 1966 e il 1988 fu un susseguirsi di tentativi, falliti, di negoziazione in cui la Nazioni Unite nominarono ben sette commissari speciali per la Namibia (tutti rifiutati dal Sudafrica), senza riuscire a fare minimi passi in avanti.
La fine della guerra fredda, il logoramento della guerra angolana, le pressioni internazionali verso il Sudafrica, l'affacciarsi della fine del sistema dell'apartheid portano agli accordi che, assieme alla cessione del controllo della Namibia introdussero anche il ritiro della truppe cubane, oramai impantanate nella guerra civile angolana. Nel novembre 1989, elezioni molto partecipate (98% degli aventi diritti) diedero la vittoria alla SWAPO (57%) e il suo segretario, nonchè co-fondatore, l'ex-ferroviere Sam Nujoma, ritornò dopo 30 anni in Namibia, assumendo la carica di primo Presidente del Paese. La Walvis Bay restò sudafricana fino al 1994 (ovvero poco prima delle elezioni in Sudafrica che incoronarono Nelson Mandela),

Nujoma, governo per 3 mandati, fino al 21 marzo 2005, quando annunciò di non candidarsi (fu eletto Hifikepunye Pohamba) volendosi ritirare dalla vita politica (in realtà su pressione popolare mantenne la carica, forse più onoraria, di Presidente del partito).

Oggi, con poco più di 2,1 milioni di abitanti (di cui oltre 300 mila nella capitale Windhoek) e con un'estensione di oltre 820 mila chilometri quadrati (quasi 3 volte l'Italia) la Namibia è il secondo stato al mondo, dopo la Mongolia, meno densamente popolato.

E' lecito affermare che la storia della Namibia, sia legata a quella della guerra fredda, seppur rappresentandone una parte sicuramente meno conosciuta e studiata.

Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

giovedì 20 marzo 2014

Per colpa dei rifiuti

Sono passati esattamente 20 anni dal quel drammatico 20 marzo 1994, quando in Somalia, a nord di Mogadiscio, la giovane giornalista del TG3 Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin furono uccisi.
Certo, fare i giornalisti in paesi di guerra, può essere rischioso. E' il prezzo che in molti hanno pagato, per voler semplicemente raccontare, dal posto, quello che realmente accadeva. Ma, la storia di Ilaria e Miran è diversa. 


Ilaria stava indagando, con quello spirito del giornalismo d'inchiesta e con la forza di chi crede in mondo diverso, su un illecito e pericolosissimo scambio, tra rifiuti tossici nocivi (provenienti dall'Italia e non solo, anche da Germania e Francia) e forniture di armi (provenienti dal disfacimento dell'impero sovietico).

Uno scambio che basava le sue premesse in due punti essenziali. La Somalia, dalla caduta di Siad Barre avvenuta il 25 gennaio 1991, era nel caos totale. Una guerra civile, condotta da signori della guerra senza scrupoli, che si contendevano, metro per metro, il controllo della capitale Mogadiscio e del territorio, bisognosi di armi. Una situazione ideale per le organizzazioni criminali e affaristi senza scrupoli: barattare rifiuti tossici (ovvero la possibilità di abbandonarli in luoghi ove nessuno chiedeva e controllava) in cambio di armi provenienti dagli ex-arsenali (e dalle fabbriche) russe, oramai sotto il totale controllo delle mafie.

Il sistema di abbandono dei rifiuti in Somalia (già documentato da rapporti confidenziali del 1993) era collaudato: una carretta del mare, che veniva affondata nelle acque territoriali con tutto il suo carico oppure migliaia di tonnellate di rifiuti sotterrati nella zona costiera di Obbia e ancora sedimi stradali imboniti di rifiuti e poi coperti con l'asfalto. 
I rifiuti? Di tutto e di più: scorie nucleari mescolati con sabbia e terra o con granulato di marmo, sostanze chimiche altamente nocive contenute in fusti e perfino in bottiglie, rifiuti ospedalieri biologicamente nocivi e veleni di ogni genere.

Uno stato come la Somalia, tecnicamente fallito, era (ed è ancora) il luogo ideale per queste porcherie. Nessun controllo, costi bassi e certezza di nessun disturbo. Certo nessuno aveva messo in conto che una giornalista italiana faceva troppe domande, indagava, riprendeva e riusciva con la determinazione solo di chi crede veramente nel suo lavoro, a scucire qualche bocca.

No, questo non poteva essere tollerato. 

A vent'anni di distanza, la Somalia, è ancora nel caos più totale (sebbene, e questo potrebbe essere una svolte, si intravede un timido spiraglio), l'Africa è ancora una pattumiera (i nostri rifiuti tossici, le carcasse delle navi, l'elettronica da buttare vengono ancora generosamente donati al continente nero) e nonostante i processi, la verità sulla morte di Ilaria e Miran è ancora lontana.

Il segreto di stato ancora blocca molti documenti e le autorità somale, nell'anarchia più totale non erano in grado di collaborare. Un segreto che copre responsabilità e nomi di chi, ancora impunito, svolgeva quei traffici, sicuramente con la complicità di pezzi del nostro Stato.

Ilaria e Miran hanno pagato con la vita la loro voglia di conoscere, di documentare, di informare e infine, di poter cambiare.
L'Africa continua a pagare il caro prezzo del nostro sviluppo. 

Ecco la sito d'informazione su Ilaria Alpi, il link al documentario Toxic Somalia di Paul Moreira

Vedi il post di Sancara, Quando informare è pericoloso


mercoledì 19 marzo 2014

Musica d'Africa: Adama Dramè, il maestro di Djembè

Adama Dramè è un percussionista del Burkina Faso. Nato il 7 giugno 1954 è un vero specialista dello djembè, il tamburo africano per antonomasia. Nato da una famiglia di griot (i cantastorie delle tradizione dell'Africa Occidentale) che da sei generazioni suonava e cantava, ha seguito le orme del padre Salifou - che ha pubblicato 4 album ed è morto nel 1996 - (anche la madre, Assita Kone, era una cantante). Già a 12 anni entra nel gruppo musicale del padre. Il lavoro di quel gruppo era centrato sulla custodia della tradizioni con l'inserimento di alcuni elementi innovativi anche negli strumenti, come la chitarra e i fiati.
Adama spazia il suo orizzonte musicale con altri strumenti a percussione della tradizione africana, in particolare il talking drum, il tama o il bongolo. A partire dal 1979 Adama Dramè frequenta i festival musicali di tutta Europa e dell'Africa, facendosi apprezzare, successivamente anche con il suo gruppo Ballet Foliba, nato nel 1990 e composto da 35 elementi,  per il suo stile trascinante.

Ha pubblicato il suo primo album nel 1987, l'ultimo è uscito nel 2006. Negli ultimi anni Adama (che ha 12 figli, di cui alcuni già musicisti) si è molto dedicato all'insegnamento. Ha tenuto stage workshop un pò ovunque (nell'estate del 2013 era a Torino), mettendo sul campo i suoi oltre 40 anni di esperienza.



Nel dicembre 2009, in occasione dei festeggiamenti dei 50 anni d'indipendenza del Burkina Faso, Adama Dramè ha diretto un gruppo di 50 musicisti dell'area di Bobo Diolasso che hanno suonato a ritmo di persussioni e balafon (ecco il filmato).
Allo stesso tempo ha continuato a collaborare soprattutto con musicisti africani (recentemente ha inciso e suonato Mali Blues, un lavoro fatto in collaborazione con i migliori musicisti del Mali)

Vai al sito ufficiale di Adama Dramè

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lunedì 17 marzo 2014

Riserva della Biosfera di Kafa

La Riserva della Biosfera Kafa, si trova nell'omonima regione dell'Etiopia, a circa 460 chilometri a Sud-Ovest di Addis Abeba.
Si tratta di una vasta area (circa 760 mila ettari), che rappresenta un'importante luogo di conservazione sia sotto il profilo storico (fu sede dell'antico Regno di Kafa, dal 1390 al 1897) sia sotto il profilo culturale e naturalistico.
L'area è ritenuta il luogo d'origine della più popolare varietà di caffè al mondo, la specie coffea arabica (circa l'80 del caffè bevuto al mondo) che ancora oggi è la principale risorsa agricola della riserva (oltre che pianta spontanea) e costituisce complessivamente un importante quota del prodotto interno lordo dell'Etiopia.

Nel 2010 l'area è stata inserita tra le Riserve della Biosfera dall'UNESCO.

Il territorio della riserva occupa un'area composta da montagne (dai 500 ai 3300 metri di altitudine), ricche e fertili vallate, corsi d'acqua, altopiani e foreste fitte.
le zone della riserva
Secondo la convenzione sulle Riserve della Biosfera, l'area comprende una zona chiamata core (riserva integrale, ad oggi divisa in 11 zone) di circa 28 mila ettari (sebbene vi siano altri 210 mila ettari che sono stati proposti di diventare tali) dove sono possibili solo studi e ricerche.
Vi è poi un'area denominata buffer, di circa 161 mila ettari, dove vi sono insediamenti e attività economiche e produttive sostenibili e infine un'area chiamata di transizione, oltre 337 mila ettari, dove vive la maggior parte della popolazione residente nella riserva (circa 610 mila abitanti, in maggioranza di etnia kapecho) e dove si svolgono le attività economiche più importanti.


Sotto il profilo naturalistico la Riserva di Kafa offre un interessante panorama con diverse specie di mammiferi tra cui varie tipologie di antilopi e scimmie oltre che iene, ippopotami e bufali; una grande varietà di rettili, anfibi e invertebrati e 210 specie diverse di uccelli. Innumerevoli le specie endemiche vegetali.


Ecco il sito ufficiale della Riserva della Biosfera, dove è possibile trovare ogni informazione, dalla tipologia di ricerche che vengono effettuate nella riserva fino alle modalità per visitare l'area.

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giovedì 13 marzo 2014

Shujaaz, un fumetto dall'Africa

Da quando nel febbraio 2010 Shujaaz (che significa eroi) iniziò le pubblicazioni a Nairobi, i suoi personaggi sono diventati dei veri e propri eroi tra i giovani della capitale e di gran parte del Kenya. Scritto in lingua sheng, uno slang frutto dalla fusione tra inglese, swahili e altre parole in alcune lingue locali, usatissimo tra gli adolescenti di Nairobi.

Il fumetto, distribuito mensilmente e gratuitamente con un quotidiano (si parla di milioni di copie) disegnato da giovani artisti della capitale (Eric Muthoga, Naddya Oluoch-Olunya, Salim Busuru, Daniel Muli, Movin Were e Joe Barase) si pone l'obiettivo di far riflettere e di ispirare le giovani generazioni. Attraverso quattro personaggi, Boyie (un tecnico del suono di giorno e un DJ notturno che mette su una radio pirata, Shujazz FM che parla ai ragazzi e che resta anonimo), Maria Kim (giovane, bella e intelligente, cresce il fratellino dopo la morte dei genitori e lotta contro l'ingiustizia e la corruzione) Malkia (una giovane che vive sulla costa e che è molto attiva nella scuola e con gli studenti) e Charlie Pele  (un fanatico del calcio che lotta con il padre che non capisce la sua passione), il fumetto vuole puntare il dito contro la disonestà, contro la classe politica ipocrita, ma anche contro la chiesa e le organizzazioni internazionali.

Lo fa in un modo energico, giovane e divertente. Soprattutto in modo innovativo: la radio, con la voce di DJ Boyie, è realmente ascoltabile, con giochi, idee e discussioni. Si calcola che la metà dei giovanni (18-24 anni) di Nairobi ascolti il breve programma (dura 5 minuti) di DJ Boyle. Vi è poi il profilo facebook, quello twitter e tutte le connessioni ai più comuni social networks.

L'esperienza di Shujazz non è quindi solo quella di un comix, ma una forma di comunicazione a tutto campo, capace di stimolare le giuste corde dei giovani di Nairobi e di influenzare, in senso positivo e costruttivo, le loro idee e le loro scelte.

Ecco il sito ufficiale di Shujazz

mercoledì 12 marzo 2014

La città fortificata di Ait Ben Haddou

foto dal sito dell'UNESCO
Ait Ben Haddou è una città fortificata (ksar) lungo la rotta carovaniera tra il deserto del Sahara e la città di Marrakech in Marocco. Nel 1987 a causa della sua unicità, e per lo stato di conservazione, il ksar di Ait Ben Haddou è stato iscritto tra i Patrimoni del'Umanità dall'UNESCO. La città è situata su di una collina lungo il fiume Ounila. Il centro storico è oramai quasi disabitato (gli abitanti si sono trasferiti nella parte moderna della città). L'abbandono del centro storico ha creato ulteriori problemi alla manutenzione di un luogo unico, che necessita di essere tutelato.
La città offre uno straordinario esempio di architettura pre-sahariana. Costruzioni in terra (l'impasto, chiamato pisè, è costituito da terra cruda e paglia e viene utilizzato assieme a mattoni di fango) le cui prime risalgono al XVII secolo. Si tratta di un fitto intreccio di case, rigidamente saldate con le mura di cinta, protette da torri affusolate e con degli spazi comuni quali piazza, caravanserraglio, moschea e cimiteri.

foto dalla rete
Già nel 1953 le autorità marocchine inserirono la città di Ait Ben Haddou tra i luoghi protetti e tutelati del paese.

La città è stata un luogo dove sono stati girati numerosi film, da quelli ispirati alla vita di Lawrence d'Arabia a quelli dell'agente segreto James Bond, fino al più impegnato Il tè nel deserto o al colosssal Il Gladiatore.

Ecco un sito con molte informazioni e foto su questo ksar.

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lunedì 10 marzo 2014

Il cimitero delle navi

Le vecchie navi, quelle che comunemente sono chiamate le "carrette del mare", improvvisamente scompaiono, e per molti sembra esser finito il ciclo vitale di quei manufatti. Inizia invece una seconda vita, forse perfino più rischiosa e avventurosa. Queste navi (tolte quelle che vengono smantellate nei circuiti ufficiali, costosi) finisco in alcuni luoghi del pianeta, dove vengono letteralmente smantellate, pezzo per pezzo. L'operazione è fatta con standard di sicurezza molto bassi, da disperati che, spesso senza strumenti idonei, rischiano la propria vita per racimolare il denaro sufficiente per sopravvivere.

Sei paesi al mondo, smaltiscono oltre il 90% della flotta dismessa mondiale. India, Bangladesh, Pakistan, Cina, Turchia e Mauritania detengono questo poco invidiabile primato. Le navi, spesso con i loro residui tossici, rappresentano materiali altamente pericolosi, che è meglio far veder poco.

In Mauritania, il grande cimitero delle navi, si trova nella baia di Nouadhibou. Uno dei luoghi più pescosi dell'Africa (da lì si esportano ottime aragoste), che rischia di trasformarsi in una bomba ecologica.

La città di Nouadhibou, la seconda della Mauritania, posta quasi al confine con il Sahara Occidentale, è un importante porto, dove arriva la ferrovia sahariana  (quella ferrovia dove viaggia il convoglio più lungo del mondo con i suoi 2,5 chilometri) che trasporta il ferro estratto dalle miniere dell'interno (Zouerat).
Per questa ragione, contrariamente ad altri luoghi del pianeta, dove le navi vengono smantellate per ricavarne ferro, in Mauritania il ferro (proveniente abbondante dalle miniere) non interessa molto e le navi vengono lasciate in balia del mare.

Per anni funzionari corrotti e politici arrivisti e cleptomani, hanno permesso (in cambio di mazzette e altro) di far arrivare nella baia, per il loro ultimo viaggio, centinaia di carrette del mare. Vascelli che qualcuno "dimenticava" poi nella baia. Oggi lo scenario della baia di Nouadhibar in Mauritania è inquietante (tra i primi a documentarlo fu il fotografo Jan Smith nel 2008).
In realtà i primi a lasciare le navi nella baia furono proprio i mauritani nel 1980, da lì il passo è stato breve.
Oggi si stimano che siano oltre 300 i relitti (secondo altri 500, di ogni nazionalità) abbandonati nella Baia (tra le miglia di barche di pescatori). Esse costituiscono non solo un problema ambientale, ma anche un problema alla navigazione portuale. Nel 2010 la comunità europea lanciò un progetto per la bonifica e la rimozione di 57 relitti (stanziando 26 milioni di euro).

L'Africa è diventata da tempo un luogo ideale dove scaricare i nostri rifiuti. In Mauritania le navi, in Ghana i materiali elettronici, in Somalia le scorie e i rifiuti. Spesso, perfino parlarne, è pericoloso.




mercoledì 5 marzo 2014

Popoli d'Africa: Mucubal

I Mucubal (chiamati anche Mucubai, Mucabale o Mugubale) sono un piccolo gruppo etnico dell'Angola, per gli etnologi più precisamente sono un sottogruppo degli Herero.
Si ritiene che la loro origine sia nel Kenya (per questo vengono ritenuti congiunti con i Masai) da dove sono giunti circa 300 anni fa.
Vivono in un'area nel sud-ovest dell'Angola, tra la Sierra de Chele e il fiume Cunene, ai margini del deserto della Namibia. Un'area, difficile sotto l'aspetto climatico, dove si fermarono durante la prima migrazione degli Herero.

Sono pastori semi-nomadi, che allevano una particolare specie di mucca (che prende da loro il nome) e coltivano prodotti per la loro sussistenza. Hanno pochi contatti con il resto del mondo, di cui essenzialmente si disinteressano. Sono un popolo in cui permangono fermamente molte tradizioni e riti, tra cui il divieto assoluto di parlare in pubblico tra le coppie, prima della nascita di un figlio. Sono le donne, anche nell'iconografia, a marcare i tratti caratteristici di questo gruppo. Esse infatti indossano un grande copricapo (elemento comune alle donne Herero), chiamato Ompota, che è generalmente costituito da una struttura di vimini riccamente arricchito di oggetti e ornamenti. Le donne inoltre usano fermarsi il seno con una fascia molto stretta (in genere di più giri di corda), chiamata oyonduthi, che viene indossata
letteralmente come reggiseno. Le donne sono anche delle grandi consumatrici di tabacco, fumato arrotolato (a modi sigaro) o con delle pipe in legno chiamate boceta.
Infine, sempre alle donne, vengono limati (per solo motivo estetico) gli incisivi superiori. 
La ritualità dei Mucubal è complessa e fa largo uso di amuleti e talismani, che proteggono gli individui da tutto. Di contro, questo popolo ha un rapporto molto disteso con la morte, che non temono, ritenendola un episodio della vita. I funerali si trasformano di fatto in vere e proprie feste (musica e danza si susseguono a ciclo continuo), che durano giorni e giorni e che comprendono il sacrificio di diversi capi di bestiame (a seconda dell'importanza del defunto).

I Mucubal, che avevano avuto nel passato scontri con i portoghesi, si opposero fisicamente al tentativo di invasione dei Sudafricani nel 1975 (all'atto di indipendenza dell'Angola), appoggiando di fatto le scelte del partito di governo MPLA.
Proprio per il rapporto avuto con i portoghesi (che tentarono di evangelizzarli senza successo), i Mucubal non si nutrono di pesce. Essi ricordano infatti quando i portoghesi li imbarcavano sulle navi e non facevano più ritorno. La loro tradizione sostiene che erano i pesci a divorarli.

Sono anche conosciuti come abili e resistenti corridori e camminatori, capaci di percorrere anche cento chilometri al giorno. Vivono in capanne coniche,  costruite in fango e legno, disposte a cerchio.

Ecco un post su questo popolo, con moltissime (e bellissime) foto dal blog Trip Down Memory Lane

Altre bellissime foto possono essere trovate qui

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domenica 2 marzo 2014

2 marzo 1956, il Marocco è indipendente

L'indipendenza del Marocco è stata segnata, caso abbastanza raro in Africa e non solo, da una relativa tranquilla transizione. I francesi, impegnati in quell'epoca in due sanguinose guerre d'indipendenza, in Algeria ed in Indocina, decisero, anche su pressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, di negoziare l'indipendenza del Marocco al primo tentativo di far nascere un esercito di liberazione. Si può affermare, per deduzione, che l'indipendenza del Marocco fu dovuta alla lotta d'indipendenza del Fronte Nazionale di Liberazione in Algeria  e agli uomini di Ho Chi Minh in Indocina. Queste forze, che impegnarono fortemente sul campo i francesi (sconfiggendoli alla fine) facilitarono la sorte degli indipendentisti marocchini.

Abitato fin dal Neolitico  da popoli berberi, il Marocco (che prende il nome dalla città di Marrakech, che ne fu capitale nel medioevo), a causa della sua strategica posizione è stato un susseguirsi di colonizzazioni. Fenici, cartaginesi, romani, vandali, visigoti e infine arabi. Questi ultimi, a partire dal 788 introdussero l'islam e regnarono attraverso varie dinastie (quella attuale è la dinastia Alawita). Dal XVII secolo iniziarono le penetrazioni coloniali europee (inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli si contesero il territorio) che portarono, alla fine, ad un protettorato diretto francese e ad un protettorato spagnolo. Pur non mancando rivolte e ribellioni interne (soprattutto nelle campagne), che i francesi sedarono con la forza, nel 1927 alla salita al trono del sultano Mohamed V (1927-1961), la Francia impose il dominio diretto sul Marocco.

Durante la II Guerra Mondiale il Marocco fu teatro di aspri scontri con l'esercito tedesco e dello sbarco alleato nel 1942.

Già prima della guerra (fine anni '30) si era costituito il partito Istiqlal (che in arabo significa "partito dell'indipendenza"), che sebbene fu ufficialmente fondato nel 1943, aveva nel suo programma l'indipendenza del Marocco. Il Sultano appoggiò il partito Istiqlal (che è sempre rimasto vicino alla casa reale) al punto tale che dal 1953 al 1955 fu esiliato in Madagascar.

Con la proclamazione dell'indipendenza, avvenuta appunto il 2 marzo 1956, Mohamed V nel 1957 fu proclamato Re. Alcune città rimasero in mano agli spagnoli, mentre Tangeri fu incorporata solo successivamente nel territorio del Maraocco. Alla sua morte, avvenuta nel 1961, gli successe il figlio Hassan II (1961-1999) ed oggi, a guidare il paese vi è il figlio di Hassan II, Mohamed VI, mentre il partito Istiqlal (conservatore e di destra) è ancora presente nella coalizione di governo.

Il Marocco indipendente è sempre stato in bilico tra una monarchia parlamentare (vi sono state regolari elezioni, vinte anche dalle opposizioni), la forte presenza del re (che ha sempre usato i suoi privilegi politici), tensioni interne sfociate più volte in vere e proprie rivolte e una posizione sul piano internazionale a volte isolata (il Marocco fu il secondo paese arabo dopo l'Egitto a riconoscere Israele, fu però espulso dall'Unione Africana per le sue posizioni sul Sahara Occidentale) e altre volte al centro della geopolitica del Mediterraneo.

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