venerdì 29 luglio 2011

La nostra tazza di caffè

Il caffè è la seconda materia prima scambiata al mondo (dopo il petrolio e prima del grano). Rappresenta il 4% del commercio mondiale. In Africa, stando ai dati del 2010 dell'International Coffee Organization (ICO, nata nel 1963), si produce circa il 13% del caffè mondiale.
Un mercato, quello del caffè, che in alcuni paesi africani (Etiopia, Uganda e Costa d'Avorio in testa), rappresenta una delle principali fonti di entrate. Proprio qualche giorno fa, l'Associazione degli esportatori etiopici di caffè ha annunciato che quest'anno il giro d'affari ha toccato la quota record di 842 milioni di dollari, con un incremento del 59% rispetto alla stagione precedente. L'Etiopia è il quinto produttore mondiale di caffè e il primo africano.
La piante del caffè (genere Coffea) ha origine africana. Sebbene vi siano centinaia di specie, sono 4 (le prime due in particolare) quelle che sono coltivate su larga scala: l'Arabica (Coffea arabica) di origine etiopica, coltivata tra i 1000 e i 2000 metri), la Robusta (Coffea canephora) originaria dell'Africa tropicale (Uganda e Guinea), coltivata anche sotto i 700 metri, la Liberica (Coffea liberica) originaria dell'Africa occidentale e la Excelsa (in realtà varietà della liberica). Dall'Africa le coltivazioni furono trasferite dagli europei (spesso assieme agli schiavi), dalla fine del 1600, in Indonesia (oggi quarto produttore al mondo), in Brasile (primo produttore al mondo) e successivamente in Colombia (terzo produttore al mondo) e in Vietnam (secondo produttore al mondo), oltre che in Centroamerica e in India.
A consumare il caffè naturalmente non sono gli africani. Il primo paese importatore di caffe (sempre stando ai dati dell'ICO) è la Germania con 20,6 milioni di sacchi (ogni sacco equivale a 60 chilogrammi), seguita dall'Italia (8,2 milioni di sacchi) e dal Giappone (7,3 milioni di sacchi).

La coltivazione del caffè è faticosa e complessa. La pianta ha bisogno di almeno quattro anni prima di diventare produttiva. I frutti, che maturano in tempi diversi, sono raccolti a mano quotidianamente, sbucciati, separati (i chicchi dalla polpa rossa), macerati  ed infine essiccati. 
Si stima che tra i 20 e i 30 milioni di persone sopravvivono grazie al caffè.
Il commercio mondiale è nelle mani di una ventina di multinazionali (solo una è di un paese produttore, il Brasile) che controllano i prezzi. Storicamente il mercato del caffè è instabile (ovvero lo è dal 1989, quando gli accordi che disciplinavano le quote massime tra i produttori sono saltati) e vi sono state annate in cui il mercato pagava il caffè meno dei costi di produzione! La speculazione, nemmeno a dirlo, è padrona.
Comunque anche quando le cose vanno bene, si è calcolato che dell'euro che noi spendiamo per il caffè al bar, solo 6 centesimi vanno nelle tasche dei produttori.

Il vero problema è che l'Africa (e in genere tutti i produttori che appartengono all'area dei cosiddetti Paesi in via di Sviluppo) produce solo la materia prima e non ha marchi del caffè al dettaglio. Finchè non si svilupperà localmente un'industria capace di lavorare e commercializzare la materia prima, non vi sarà quello sviluppo che da più parti si invoca per l'Africa (ma non solo). E' chiaro  che questo sviluppo si scontra fortemente con gli interessi economici di chi acquista, praticamente per nulla, la materia prima, la porta nel proprio paese, la lavora e vende il prodotto con margini di guadagno enorme.
L'Etiopia, alcuni anni fa, tentò di registrare negli Stati Uniti, i nomi delle sua qualità prestigiose di caffe (ad esempio Sidamo e Harar). Lo scopo era quello di non vendere solo il prodotto, ma bensì anche il marchio (allora si stimava che gli introiti sarebbero aumenti del 50%). L'operazione fu bloccata dall'Associazione Nazionale del Caffè americano che invece chiedeva l'assenza di diritti sui chicchi di caffè. Ne nacque una disputa che coinvolse la multinazionale del caffè Starbucks e l'Organizzazione non governativa Oxfam International, che ancora oggi, nonostante la multinazionale sia stata costretta a firmare un accordo con il governo etiopico, continua in tutto il mondo una campagna per la tutela dei coltivatori di caffe (e non solo).

Come avevo sottolineato anche nel recente post sulla carestia nel Corno d'Africa, la necessità di tutelare le popolazioni locali e di appoggiarle nelle loro lotte è uno degli imperativi degli anni a venire. . Si moltiplicano le iniziative che organizzazioni e popolazioni locali mettono in campo in quasi ogni angolo del pianeta. Noi tutti abbiamo il compito di portarle alla luce, di farle emergere da quella semi-oscurità a cui il sistema economico tende a relegarle. E' l'unica possibilità per invertire quella rotta che da decenni vede l'Africa come il luogo dove si concentrano le peggiori catastrofi e le più orrende vicende di cui occuparsi solo quando i nostri occhi si riempiono di lacrime.





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