lunedì 29 dicembre 2014

La falconeria

Per un appassionato di birdwatching (ovvero l'atto di osservare gli uccelli nel loro habitat) il volo e la cattura di una preda da parte di un rapace rappresenta uno spettacolo unico, quasi commovente. Il volo di perlustrazione di un rapace, che con la sua vista acuta osserva dall'alto le possibili prede, è una immagine che difficilmente si dimentica una volta osservata. Così come la potenza e la velocità con cui il rapace si fionda sulla preda, senza lasciarle scampo. Sono l'espressione di una natura che non ha lasciato nulla al caso.



Di questo l'uomo ne è stato sempre consapevole.

L'arte di utilizzare i rapaci (ed in particolare i falchi) per la caccia di altri uccelli (o di piccoli mammiferi), è infatti conosciuta fin dai tempi antichissimi. Tracce di tale pratica si trovano già tra i Sumeri e gli Assiri. Si colloca quindi in area medio-orientale l'origine della Falconeria, che solo a partire dal VII secolo a.c. fu diffusa in estremo Oriente. Attraverso i Barbari, infine, giunse, nel Medioevo, in Europa.

Oggi nei luoghi in cui i rapaci non vengono più utilizzati per la caccia, la falconeria ha trovato nuovi e importanti utilizzi. In primo luogo quello negli aeroporti, dove il volo guidato dei rapaci impedisce il formarsi di stormi di uccelli  al fine di evitare quel pericoloso fenomeno del bird strike (ovvero l'aspirazione di numerosi volatili da parte dei motori con grande pericolo per il volo). Da oltre 15 anni un grande aeroporto come è quello di Venezia utilizza i falchi per allontanare gli uccelli (soprattutto gabbiani e piccioni).
Inoltre sono frequenti gli usi amatoriali (caccia) e ricreativi della falconeria.
Oltre naturalmente ai falchi, vengono utilizzate anche altri rapaci quali poiane, aquile, gheppi, gufi e qualche non rapace come il corvo.

Infatti la falconeria non è il semplice addestramento di un rapace, bensì un intenso e intimo rapporto con l'animale, il quale deve, da un lato rispondere a dei "comandi" e dall'altro rimanere libero e "aggressivo" come in natura.
Non a caso nelle culture più rurali la falconeria è un'antica tradizione, tramandata da padre in figlio, fatta di conoscenze e di riti, che appartengono all'intera sfera sociale del vivere. Nulla è lasciato al caso, dall'addestramento  alla preparazione dell'addestratore e fino alle bardature dell'animale. E' un insieme di conoscenze che nel passato ha spaziato anche nel campo della spiritualità e dell'ascetismo.

Nel 2012, infatti, la Falconeria è stata inserita all'interno della lista dei Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, come bene culturale da salvaguardare. Tra i 13 paesi in cui questa tradizione è tutelata vi è anche il Marocco. Gli altri sono: Emirati Arabi Uniti, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria Corea del Sud, Mongolia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna e Siria. Come si vede un'area che dall'estremo oriente giunge fino all'Oceano Atlantico.

Ecco un possibile approfondimento sul portale italiano della falconeria

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa


domenica 21 dicembre 2014

Produrre acqua, un impegno possibile

Per noi l'acqua appartiene al quotidiano. Spesso ci lamentiamo perché è abbondante e crea problemi, la sprechiamo senza chiederci da dove venga e se è sufficiente per tutti. Apriamo i nostri rubinetti, la nostra doccia e, quello che per la vita è l'elemento più importante, sgorga senza soluzioni di continuità. Più volte Sancara ha affrontato questo tema, in occasione della Giornata Mondiale dell'acqua e non solo (a fondo pagina tutti i link),  perché invece, in altri luoghi del pianeta l'acqua è un miraggio

foto dalla rete
Trovare l'acqua, semplicemente per bere quel minimo necessario a sopravvivere, in alcune aree dell'Africa (ma non solo) è un faticoso impegno quotidiano. Si percorrono chilometri ogni giorno, si scava faticosamente, spesso per decine di metri, sotto il sole cocente e a mani nude e a volte si è costretti a lasciare tutto alla ricerca di luoghi più adatti alla vita.

Ma l'uomo, che nonostante queste difficoltà, vive in un pianeta composto prevalentemente da acqua, si è sempre posto il problema di recuperare quell'acqua non potabile (salata, inquinata, sporca o ghiacciata) che è la maggioranza di quella esistente nel nostro pianeta (circa il 99,5%) e renderla adatta all'uomo.

Le tecniche per trasformare l'acqua sono molto costose (desalinizzazione o potabilizzazione) e naturalmente richiedono l'accesso a grandi quantità di acqua (la resa è bassissima) siano essi il mare o un fiume con grandi portate.

Ma, queste condizioni (economiche e geografiche), non si realizzano ovunque.

In Africa la ricerca dell'acqua attraverso lo scavo di pozzi ha impegnato e impegna molto la cooperazione internazionale. Nonostante gli sforzi, in alcune aree (tutto il Sahel, alcune area del Corno d'Africa) trovare l'acqua richiede sempre maggiori tecnologie che ne aumentano, di molto, i costi. Dove un tempo bastava scavare pochi metri oggi bisogna scendere, molto.

Il mondo dell'innovazione tecnologica da anni lavora nell'ambito della possibilità di ricavare acqua potabile (certo quantità adatte poco più che ad una famiglia) sfruttando l'evaporazione forzata di acqua non potabile (è il caso del progetto Solwa, di cui Sancara aveva già parlato) oppure le escursioni termiche (notte-giorno) di alcune aree aride e ricavare acqua dalla rugiada. Quest'ultimo progetto prende il nome di Warka Water.

Il principio in se è molto semplice e attinge da antiche tradizioni. I Boscimani del deserto del Kalahari hanno sempre sfruttato questa tecnica per ricavare piccole quantità di acqua nel corso dei lunghi e faticosi spostamenti nel deserto (tecniche raccontate nei particolari anche da Wilbur Smith nel ciclo dei Courtney).

Attraverso una struttura, realizzata in bambù e materiali fibrosi naturali, si raccoglie la rugiada generata dalle escursioni termiche notturne, ricavando mediamente 90 litri di acqua al giorno. La struttura che ha appunto la "forma" di un albero, ideata da due italiani (Arturo Vittori e Andrea Vogler), prende il nome da un albero di fico (Warka) che nella cultura etiope simboleggia la vita e la generosità.
E' un progetto che oltre a raggiungere lo scopo prefisso, ha anche tenuto conto delle realtà locali, delle disponibilità dei materiali, delle capacità costruttive e perfino del suo inserimento all'interno del contesto.

Il progetto è ancora in una fase sperimentale (che come sempre in questi casi richiede fondi per essere prodotto e testato) e come è anche per le altre possibilità di "produrre acqua" ha delle potenzialità limitate al contesto rurale (per questo, purtroppo, poco appetibile dal mondo economico).

I post di Sancara dedicati all'acqua:

Il giorno dell'Acqua - 22 marzo 2012
- Una cannuccia per la vita - 25 settembre 2012
- Solwa: l'acqua potabile dal sole - 20 novembre 2012

martedì 16 dicembre 2014

La medina di Susa

Susa (o Sousse), antica città del nord-est della Tunisia, era chiamata, per il suo splendore e per la sua posizione strategica, la perla del Sahel. L'antica Hadrumete, fondata dai fenici nel IX secolo a.c., fu conquistata dai cartaginesi, dai romani e infine dai vandali. Saccheggiata una prima volta nel 310 a.c., fu completamente distrutta dai vandali nel V secolo. Furono infine gli Aghlabidi (800-909) a farla rinascere, con il nome attuale e a renderla un polo centrale per il commercio e la cultura del nord-Africa. Porto protetto sul Mediterraneo, fu al centro di commerci e traffici di ogni genere, oltre che punto nevralgico delle strategie militari (da Susa partirono le navi che giunsero in Sicilia). Oggi con quasi 200 mila abitanti è la terza città della Tunisia.
Il suo centro antico, denominato secondo la cultura islamica,  medina (città, appunto, spesso fortificata) è divenuta nel 1988 Patrimonio dell'Umanità UNESCO. 
Essa rappresenta una testimonianza, giunta fino a noi ben conservata, delle civiltà dei primi secoli che hanno popolato il nord-Africa e rappresenta un prezioso esempio di urbanistica arabo-islamica.
Oggi la medina si presenta come i classici quartieri delle città del maghreb; un intreccio di stradine e mercati (souks), di piccoli luoghi e di angoli che miscelano l'antico con il nuovo. Vi sono poi significativi monumenti, tra tutti il grande Ribat, una fortezza del VIII secolo che fu costruita per osservare (e difendere) il mare. La fortezza è stata completamente restaurata nel 1968. Vi è poi la Grande Moschea, costruita da Abou El Abbas Mohammed nell'850 e giunta anch'essa fino ad oggi in ottimo stato di conservazione. Interessante è anche il faro cittadino, alto 30 metri e costruito nell'859 e che rappresenta un ottimo punto di osservazione sull'intera città e, naturalmente, verso il mare.

Nel nord-Africa si trovano quasi tutte le medine ancora esistenti (altre, in Spagna come in Sicilia sono state distrutte o modificate),  tutte salvaguardate dall'UNESCO. In Marocco, in Tunisia, in Libia, in Algeria, con alcune eccesioni come Dakar, Smirne o Istanbul. Esse rappresentano un patrimonio, storico e culturale, di indubbio valore, capaci come sono di farci conoscere e capire le dinamiche di vita di un passato che a volte sembra sfuggirci di mano.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

giovedì 11 dicembre 2014

Popoli d'Africa: Bamileke

I Bamileke sono un gruppo etnico bantu del Camerun distribuito nella zona nord e ovest, lungo il bacino del fiume Cross. Il loro nome significa letteralmente "quelli che stanno in basso" (nel senso geografico), derivante dall'affermaziione mbale-keo.
Sono stimati essere intorno agli 8 milioni di individui.
Originari del Nord (secondo alcuni sono state trovate tracce nell'area dell'Egitto), nel XVII secolo infatti i Bamileke migrarono verso sud per sfuggire all'islamizzazione.
Oggi sono divisi in diversi gruppi e clan, parlano una lingua semi-bantu e, secondo gli etnolinguisti, possono essere riconosciuti ben 11 dialetti diversi. L'organizzazione sociale prevede una scala gerarchica molto rigida, che a partire dal re, giunge fino al capofamiglia.
Popolo primitivamente di agricoltori (sia gli uomini che le donne lavoravano i campi) e abili cacciatori, sono oggi più dediti al commercio e in generale al mondo del business con grande dinamicità e intraprendenza.
Divisi tra il cristianesimo e l'islam, hanno mantenuto molti legami con un ricco e complesso mondo di rituali che sono sempre accompagnati da maschere, statue (in legno e bronzo, molte di figure animali, tra le quali l'elefante, il bufalo e il leopardo sono rappresentati in modo particolare), musiche e danze. In particolare la presenza di società segrete consentono di preservare e mantenere l'ordine sociale nel regno. Tra le società segrete più attive vi è la Kwifo, letteralmente la notte, intimamente legata al re.
Tra le cerimonie rituali quella legata al culto dei defunti (cerimonia dei teschi) è sicuramente la più sentita dal popolo bemileke.

I villaggi sono costituiti da edifici di forma quadrata con tetto conico, in raffia e bambu.

Tra gli antropologi che maggiormente hanno studiato il popolo bamileke segnalo il camerunense Dieudannè Toukam, autore di un importante testo storico-antropologico.

Ecco un ottimo approfondimento su questo popolo dal blog Trip Down Memory Lane

Ecco alcuni esempi di maschere rappresentanti l'elefante e manufatti bamileke

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa


mercoledì 3 dicembre 2014

Corruzione, senza limiti

Proprio nei giorni in cui scoppia l'ennesimo scandalo di corruzione in Italia, che vede coinvolti politici, imprenditori, affaristi e perfino ex terroristi neri, l'organizzazione Transparency International pubblica, anche nella capitale italiana protagonista dell'ultima inchiesta giudiziaria, il suo ultimo rapporto (il 20° da quando esiste) sulla corruzione nella pubblica amministrazione nel mondo.

Una fotografia spietata che racconta di un mondo dove la legalità sembra una chimera. Dove l'economia, quella che conta e determina le politiche statali e internazionali, viaggia su di un binario che quasi sempre sfiora e a volte si sovrappone a quello della illegalità e della corruzione.

Certo vi sono delle eccezioni. In Danimarca e in Nuova Zelanda, che risultano essere in testa alla classifica della "non corruzione" le cose non vanno affatto male. Così come i paesi nordici, l'Olanda, Singapore e il Canada.  Bene anche la Germania, l'Australia, il Regno Unito e perfino gli Stati Uniti.

Il primo paese africano è il Botswana al 31° posto, seguito da Capo Verde al 42°, poi dalle Seicelle e Maurizio, poi dal Lesotho, Namibia e Ruanda al 55° posto.

Di contro (ma non sembra essere una novità) a chiudere la classifica (o a guidarla se si preferisce) è la Somalia, il paese più corrotto al mondo (che definirlo in questo momento uno Stato, appare difficile) seguita dalla Corea del Nord, dal Sudan, dal Sud Sudan e da paesi come Afghanistan, Libia, Eritrea, Iraq e Turkmenistan.

Paesi alla deriva sono il luogo ove la corruzione dilaga, ove i cittadini percepiscono lo stato (e la pubblica amministrazione) come un concentrato di potere, privilegi e appunto corruzione, tali da renderli distanti e impenetrabili. Ove i diritti sono carta straccia, ove solo il denaro può permettere di vivere una vita decente e degna di questo nome.

E l'Italia? Il nostro paese si trova al 69° posto (quindi molto messo male), in compagnia di Bulgaria, Brasile, Grecia, Senegal e Romania.

La corruzione non è un fatto che riguarda "gli altri", una cosa che appartiene genericamente alla classe politica e che sembra un male incurabile. E' un freno allo sviluppo (quello vero), è un ostacolo alla giustizia ed è un sistema lesivo dei diritti, anche di quelli elementari.
Un sistema che si auto-mantiene, creando emergenze e problemi che necessitano di soldi per essere risolti, alimentando così un perverso circuito che colpisce i normali cittadini. Il lavoro dei magistrati permette di evidenziare solo una parte dei reati e di farci conoscere come ci si arricchisce su tutto. Sulla pelle degli immigrati e degli ultimi (creando continui allarmi sociali), sulla vita di chi scappa dalle guerre, sulle cure dei malati, sullo sfruttamento degli uomini o sul commercio (quello lecito e quello illecito).

Lottare contro la corruzione, in ogni angolo del pianeta, equivale a contribuire a creare un mondo di maggiore giustizia.

Vedi post di Sancara sul Rapporto del 2012

lunedì 1 dicembre 2014

Giornata Mondiale sull'AIDS, un motivo di riflessione

foto dalla rete
Il 1 dicembre, si celebra sin dal 1988, la Giornata Mondiale della lotta all'AIDS che l'UNAIDS (l'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS), ha voluto  quest'anno titolare, non senza polemiche, "Close the Gap". 
La giornata vuol far riflettere su di un dato preoccupante e che attiene alle ingiustizie che attraversano il nostro  mondo nel silenzio di  molti.
Dei circa 35 milioni di sieropositivi al virus HIV, solo 12 milioni risultano essere in trattamento farmacologico, lasciando così milioni di persone prive di qualsiasi possibilità di accedere alle cure.
Non serve specificare - appare superfluo - in quali aree del pianeta vivono le persone trattate.

Il 70% dei malati vive invece in Africa Sub-Sahariana (circa 24,7 milioni).

E' evidente che il diritto universale di accesso ai farmaci si scontra con i miliardari interessi delle industrie del farmaco (vedi questo post), con le ristrettezze dei bilanci statali dedicati alla salute e con una gestione delle politiche mondiali sulla salute a dir poco fallimentari.
E' così che la stragrande maggioranza dei morti del 2013 (circa 1,5 milioni)  legati al virus HIV (così come dei quasi 40 milioni di morti dal 1981) sono africani e di giovane età. Una vera e propria mattanza.

Inutile negare che l'attenzione che nell'ultimo anno viene dedicata ad Ebola, ha distratto l'attenzione (e purtroppo anche le risorse) alla lotta all'AIDS in Africa e soprattutto ai trattamenti. Rendendo così la situazione (in alcuni paesi) perfino peggiore del passato.

Nonostante tutto (ovvero tralasciando l'Africa!), i nuovi casi registrati di AIDS nel mondo sono in diminuzione: nel 2013 sono stati 2,1 milioni i nuovi casi, contro i 3,5 milioni del 2005.

In Italia, siamo di fronte a 3.806 nuovi casi registrati nel 2013, di cui il 72,2% erano uomini. La cosa drammatica è che l'83,9% dei nuovi casi hanno all'origine rapporti sessuali non protetti (molti tra uomini e uomini) con partner occasionali. La necessità di attività di prevenzione al contagio risultano naturalmente prioritarie. 

Ecco il post di Sancara sulla Giornata del 2011 (con un'interessante storia)

venerdì 21 novembre 2014

Rapporto sulla protezione internazionale in Italia

E' stato pubblicato nei giorni scorsi il 1° Rapporto sulla Protezione Internazionale in Italia 2014, un sforzo congiunto e corposo (sono oltre 240 pagine) fatto dalle varie "agenzie" che operano, a vario titolo, su questi temi: ANCI  (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Caritas, Cittalia, Fondazione Migrantes, SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) e con la collaborazione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
Una fotografia - purtroppo spietata e cruda- che oltre ad analizzare sessant'anni di storia "di rifugiati" (dalla Convenzione di Ginevra del 1951) attraverso le crisi che da allora ad oggi hanno accompagnato il nostro mondo, porta ai nostri giorni e al nostro paese. Storia, dati analitici e mappe per comprendere una realtà alla quale i più si riferiscono, aihmè, per sentito dire e per luoghi comuni.

Un rapporto che molti dovrebbero leggere come un libro, un'analisi storica che attraverso il passato aiuta a comprendere le ragioni del presente.
Un modo, se si vuole onesto, per comprendere i meccanismo che regolano (dopo decenni di esperienze) lo status di rifugiato, le richieste di asilo e molto altro. Con rigore e chiarezza vengono inoltre definite categorie e parole chiave che sono l'essenza di quest complessa disciplina.

Vi è un dato sconvolgente. Sono oltre 51 milioni le persone del mondo che fuggono da guerra, da gravi violazioni dei diritti umani e da ogni sorta di lesione delle libertà individuali (vedi questo vecchio post di Sancara) e che spesso finiscono vittime della tratta di esseri umani, aggravando una situazione già ai limiti della tollerabilità.

Sfatiamo subito una cosa, ovvero che a dispetto della posizione geografica italiana e del vocio di alcune forze politiche, l'Italia non è il luogo dove avvengono la maggioranza delle richieste d'asilo in Europa. E' la Germania (con 127 mila richieste circa) la capolista di questa orribile classifica, seguita da Francia (66 mila), da Svezia (54 mila) e poi da Italia (26.620 richieste) e da Austria (17 mila).

Per quanto riguarda l'Italia, delle 26.620 richieste d'asilo del 2013, esse provengono da Nigeria (circa 3500), da Pakistan (3292), da Somalia (2774), da Eritrea (2109), da Afghanistan (2056) e  dal Mali (1806).
Di essi, oltre il 40%, ha un'alta scolarità (superiori e laurea).

Vi è poi il capitolo dei minori non accompagnati che chiedono asilo. Di essi il 19,9% proviene dalla Somalia (un paese fallito e secondo alcuni senza speranza), il 14,3% dal Gambia, l'8,7% dal Mali, come dal Bangladesh e dall'Afganistan.
Sorprende come in questa classifica figuri un microscopico paese (che conosco bene) e che ha delle situazioni ben diverse da quella delle altre nazioni di maggiore grandezza.

Un'orribile classifica perché non dimentichiamolo mai, parliamo di persone che fuggono, lasciando dall'oggi al domani ogni cosa, ogni ricordo, ogni affetto e perfino figli, madri e padri, che sanno che non rivedranno mai più. A volte hanno una storia nei campi profughi sparsi nelle vicinanze dei luoghi delle crisi, altre volte no.

Un report che vi invito a leggere (o perlomeno a sfogliare) perché aiuta a comprendere non solo la situazione internazionale e quella specifica italiana (il report contiene anche tutte le statistiche e i numeri sulle accoglienze italiane dei profughi divisi per provincia e città), ma a smascherare ipocrisie e idiozie dette e scritte da chi usa questi temi per nascondere il proprio fallimento e alimentare falsi e pericolosi pensieri su di un tema che merita l'attenzione e la partecipazione di tutti.

Ecco una sintesi del rapporto
Dal blog Minori stranieri non accompagnati è possibile leggere l'intero report

lunedì 10 novembre 2014

Muri abbattuti e muri dimenticati

Nella giornata di ieri (9 novembre) si è dato grande risalto allo storico anniversario (25 anni) dell'abbattimento del muro di Berlino. Una struttura, costruita a partire dal 1961, divenuta simbolo della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi: quello occidentale e quello orientale, quello capitalistico e quello socialista, quello filo-americano e quello filo-sovietico.
Molte sono state le celebrazioni e i contributi offerti di storici, intellettuali e testimoni.Non vi è dubbio che il suo abbattimento (1989) e la successiva riunificazione della Germania hanno costituito un fatto di enorme portata storica.

I muri di cinta hanno radici antiche e avevano funzioni essenzialmente difensive. Muri di cinta atti a respingere gli attacchi di chi proveniva "da fuori". Nell'era moderna i muri hanno assunto significati ideologici, politici, religiosi ed etnici. Hanno impersonato ruoli non più difensivi nel senso classico, ma hanno significato limiti culturali invalicalibili, luoghi di controllo e di separazione tra esseri umani.

Il muro di Berlino, il muro di Israele, il muro messicano, il muro del Kashmir e quello, meno noto, del Marocco, hanno separato popoli e persone, culture ed idee. Lo hanno fatto con violenza, spesso strappando luoghi alle tradizioni e impedendo passaggi che hanno trasformato la vita di milioni di individui.

In pieno deserto del Sahara, nel territorio conteso tra il Marocco e la Repubblica Democratica del Sahrawi (vedi post con la sua storia), fu edificata, dal 1982 al 1987 in diversi interventi, una muraglia (meglio una berma, ovvero una terrapieno) lunga 2.720 chilometri (la più lunga al mondo dopo la muraglia cinese) per separare il territorio marocchino ed impedire l'ingresso agli esponenti del Fronte Polisario che lottava (e lotta) per l'indipendenza della Repubblica (riconosciuta da 76 stati, ma non dalle Nazioni Unite).

La storia di quest'angolo di pianeta nel desero del Sahara, dimenticato da tutti, inizia negli anni '60, quando le Nazioni Unite inserisco, quello che allora era una colonia spagnola (il Sahara spagnolo) tra i paesi che hanno diritto all'autodeterminazione. Da allora e fino a metà degli anni '90 i passaggi di mano (spagnoli, marocchini e mauritani i protagonisti), le azioni unlaterali e i conflitti si sono succeduti con regolarità. Poi tutto è restato in un limbo, dimenticato da tutti e senza soluzione. Da un lato del muro il  deserto e il popolo saharawi (molti dei quali vivono in campi profughi in Algeria) e nell'altro lato il Sahara occupato dal Marocco e l'esercito.

Il muro, che qualcuno ha definito "il muro della vergogna" è di fatto un campo trincerato e minato (sono oltre 6000 le mine antiuomo seppellite e non mappate). Fossati e filo spinato si mescolano a dune, terrapieni e bunker. Ogni 4-5 chilometri un posto di guardia dell'esercito marocchino e ogni 15 chilometri radar e batteria di artiglieria pesante. Sono oltre 100 mila i militari marocchini che vigilano su questa vergogna.

Non tutti i muri sono uguali, non tutti possono godere di un'attenzione mediatica puntuale e critica. Insomma non tutti gli uomini sono uguali. I popolo del deserto aspetterà ancora a lunga l'abbattimento del suo muro.

giovedì 6 novembre 2014

Facocero: il pasto dei leoni

Tra gli animali esclusivamente africani, il Facocero (Phacochoerus africanus) merita un posto di rilievo. La sua importanza è data dal fatto che questo animale, simile al cinghiale e al maiale (appartiene alla stessa famiglia dei Suidae), costituisce una delle principali fonti di alimentazione dei predatori africani ed in particolare dei leoni. Grazie alla sua similitudine con il maiale, esso non viene consumato dalle popolazioni mussulmane, per cui oggi la specie non risulta essere minacciata ed è stabile numericamente.

Il suo essere preda non equivale al fatto che sia una facile preda! Con una possente mole (il maschio adulto può arrivare a pesare 150 chilogrammi), una struttura muscolare poderosa e potente (lo rendono molto veloce) e due grosse e appuntite zanne (più grandi nel maschio) anche per i grandi felini delle savane, non rappresenta una semplice preda.

habitat del facocero
Il facocèro (l'accento è sulla e, contrariamente a quanto in uso correntemente), chiamato dagli anglosassoni warthog o wild pig, è costituito da quattro sottospecie che vivono nelle savane e nelle boscaglie di quasi tutta l'Africa Sub-Sahariana.

Mangiano frutta, radici, piante e insetti, sebbene non è infrequente vederli mangiare carogne di animali più grandi.
Le femmine (più di una)  vivono in branco con i propri cuccioli, che difendono con tutte le loro forze, non esitando ad attaccare (e spesso sconfiggere) predatori più grandi e perfino l'uomo. I maschi, solitari, si aggregano al branco durante la stagione degli accoppiamenti.

Tra i comportamenti dei facoceri vi è l'abitudine ad inginocchiarsi sulle zampe anteriori durante i pasti. La loro posizione è comunque sempre guardinga e reattiva, riescono infatti ad alzarsi e a mettersi in moto con estrema facilità e velocità.

Nel film Il Re Leone (1994), vi è un simpatico facocero (Pumbaa) che assieme all'amico Timon (un suricato) aiutano il giovane leone Simba a riconquistare il trono usurpato.

Nel 1991, in Tanzania, ebbi il primo incontro con due simpatici facoceri. Girovagavano, guardinghi, per la savana, nei pressi di una piccola pozza d'acqua. Poco più il là, nascosta, controvento e tra l'erba secca, vi era una leonessa in assetto da caccia. Ci fermammo, sicuri di essere pronti ad assistere, ad una emozionante scena di caccia e al prelibato pasto del re della savana. Via via che i due facoceri si avvicinavano alla pozza, sempre osservandosi intorno, la leonessa strisciava nell'erba, quasi schiacciata al suolo. Seguimmo con il fiato sospeso (e con le macchine fotografiche impugnate) per lunghi minuti gli spostamenti, fino a quando i facoceri, giunti all'acqua, si accovacciarono sulle gambe per bere. La leonessa fece ancora qualche passo, e giunta al punto dove l'erba alta lasciava posto al terriccio umido,  balzò come un fulmine sulle sue prede. I facoceri, con una reattività inaspettata, si destarono in piedi e con grande velocità corsero ai due lati opposti. La leonessa concluse la sua corsa proprio dove prima c'erano i due animali, fermandosi di colpo. I due facoresi erano già distanti e salvi, mentre alla leonessa, probabilmente provata dall'età, non restò che osservare, delusa e da lontano, il suo pasto che fuggir via.

Non sempre il facocero diventa il pasto del leone. Ad essere sinceri, la sua carne è molto buona (simile al cinghiale, per capirci).

Ecco la scheda della Lista Rossa dell'IUCN
Ecco alcune stupende immagini dal sito ArKive

Vai alla pagina di Sancara su Animali dall'Africa

domenica 2 novembre 2014

La fine di Campaorè

In queste ore si è consumato l'ennesimo colpo di stato in un paese africano. Uno come tanti, verrebbe da pensare, di quelli che a partire dagli anni '60 del secolo scorso, si sono succeduti con una sorprendente regolarità (nel passato) o al ritmo di 1-2 ogni anno (nell'ultimo decennio).
Quello del 31 ottobre però è un colpo di stato particolare. Avviene in Burkina Faso, il "paese degli uomini integri" come aveva voluto chiamarlo (i coloni lo avevano chiamato, senza molta fantasia, Alto Volta), nel mezzo della sua breve rivoluzione, Thomas Sankara. A fuggire, in fretta e furia (destinazione Costa d'Avorio), con un codazzo di fedelissimi e galoppini di ogni genere, l'uomo che da sempre è sospettato (e anche molto più che sospettato) di aver organizzato, con la complicità della Francia, della CIA e della Costa d'Avorio, quel 15 ottobre 1987, l'agguato che costò la vita a Sankara e che mise fine alle speranze del popolo burkinabè: Blaise Campaorè.
Dopo quasi trent'anni al potere (Campaorè era il settimo leader africano per longevità e tra i primi venti nel mondo) il regime di Campaorè, già scricchiolante da anni, non ha retto alla pressione popolare contraria al tentativo di modificare la Costituzione che impediva a Blaise di ricandidarsi alla Presidenza (il limite è posto a due mandati).
La folla si è riversata per le strade, ha bruciato l'edificio del Parlamento  (si parla di una trentina di morti e un centinaio di feriti) costringendo i militari, da sempre legati al Presidente (che fino all'ultimo ha tentato di ritirare la proposta di legge e guidare personalmente il Paese alle prossime elezioni), ad intervenire e prendere in mano la delicata situazione. Il vice-capo della Guardia Presidenziale, il corpo scelto voluto da Campaorè per la sua difesa, Isaac Zida è da ieri alla guida del Burkina Faso. Le prossime ore saranno cruciali: i militari che da sempre guidano il paese (gli stessi Sankara e Campaorè provenivano dall'esercito) vogliono guidare la transizione, ma la gente preferirebbe un governo civile. Il popolo ha indetto per oggi una grande manifestazione, nonostante il coprifuoco decretato dall'esercito. Qualcuno già vede in questa azione del popolo burkinabè un nuovo "autunno africano" (in assonanza con le primavere arabe di qualche anno fa).

La fine di Campaorè apre anche una speranza, quella che una volta e per sempre, si possa far chiarezza sulla fine di Thomas Sankara. In tutti questi anni il regime ha impedito di accedere a qualsiasi informazione utile per conoscere la verità e fare giustizia (nonostante molte pressioni internazionali indipendenti).

Per il Burkina Faso si tratta del sesto colpo di stato nella sua breve storia, iniziata con l'indipendenza dalla Francia del 5 agosto 1960.



Campaorè, che era stato intimo amico di Thomas Sankara (l'aveva conosciuto nel 1976 in un campo di addestramento in Marocco, quando entrambi erano giovani ufficiali dell'esercito). Fu Ministro della Giustizia durante il governo di Thomas Sankara. Nel 1985 sposò Chantal Terrasson, nipote dell'allora Presidente della Costa d'Avorio, il potente Felix Houphauet-Boigny. Nel 1987, quando aveva 36 anni, tradì il suo compagno d'armi Thomas Sankara, organizzando il suo assassinio e impedendo poi qualsiasi investigazione sulla morta del giovane rivoluzionario. 
Alla base del suo tradimento vi è stato senz'altro l'assicurazione di una lunga e sicura protezione (cosa che è regolarmente avvenuta, visto che sono trascorsi quasi 30 anni) a fronte dell'eliminazione di un uomo, Sankara, che iniziava a diventare scomodo (le sue idee stavano "contaminando" altri Paesi africani) e che aveva stretto alleanze non molto gradite alla Francia e agli Stati Uniti.

Ecco il link ad uno straordinario documentario del giornalista Silvestro Montanaro sulla morte di Thomas Sankara

giovedì 30 ottobre 2014

Libri: Luglio


Luglio e' un piccolo (ma intenso) romanzo scritto nel 1981 da Nadine Gordimer (con il titolo July's People), la scrittrice sudafricana bianca, premio Nobel per la Letteratura nel 1991, scomparsa recentemente. In questo libro (pubblicato da Rizzoli nel 1984, e poi da Feltrinelli nel 1991), la Gordimer immagina un futuro ipotetico (quando lo scrive in Sudafrica vigeva il sistema dell'apartheid, era ancora fresca la ferita dei fatti avvenuti a Soweto nel 1976 e Nelson Mandela era in carcere), ma non così impossibile, in cui una famiglia di ricchi bianchi (gli Smales, una coppia con tre figli) è costretta a fuggire allo scoppiare di gravi disordini sociali (ovvero la presa di potere, violenta, dei neri in Sudafrica). Disperati, accettano l'invito del loro servitore nero, Luglio, di rifugiarsi nel suo villaggio natale.

Comincia così una lenta e progressiva trasformazione, descritta con meravigliosa maestria (da non confondere però con un modo superficiale e trascinante di affrontare il problema, che non appartiene allo stile della Gordimer) dalla scrittrice sudafricana, delle abitudini, dei ruoli e delle convenzioni che fino a quel momento hanno accompagnato la vita dei protagonisti. 

Attraverso il romanzo a quel tempo si cercava di ipotizzare un possibile ruolo dei bianchi in un paese guidato dalla maggioranza nera. Le ipotesi più pessimistiche prevedevano la fuga di massa dei bianchi sudafricani (la realtà come sappiamo, grazie ad un uomo straordinario come Nelson Mandela, ha intrapreso una strada, difficile, ma decisamente di altissimo valore: quella della convivenza). Nadine Gordimer esplora, immaginandolo, questo interregno tra il vecchio e il nuovo.

Un libro da leggere, oltre che per apprezzarne lo stile letterario, come opera dal valore storico, simbolico e sotto alcuni versi evocativa, capace di mettere in relazione un drammatico passato con un presente di speranza.

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giovedì 23 ottobre 2014

Ebola: mettiamo alcuni puntini

A quasi 40 anni dalla sua comparsa, Ebola è diventata una delle parole più ricercate nel web. La storia di questa malattia, le paure che essa incute e l'approssimazione delle informazioni (e spesso, delle dichiarazioni e dei provvedimenti) contribuiscono a questa improvvisa e sotto certi versi inaspettata notorietà.

foto dalla rete
Per quanto riguarda notizie più generali su questa patologia, vi elenco i link ai post apparsi su Sancara nel passato (anche prima delle recente epidemia) e il sito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che monitorizza costantemente la situazione.

Mi preme invece sottolineare, in modo semplice e per punti, alcuni aspetti che nell'ambito delle informazioni vengono tralasciati, dimenticati o sono oggetto di confusione.




- Ebola è in tre paesi dell'Africa Occidentale, non in tutta l'Africa
Ovvero Liberia, Sierra Leone e Guinea. Gli altri paesi compresi Senegal e Nigeria (dove recentemente sono stati diagnosticati alcuni casi e che sono oggi Ebola Free), sono esattamente come l'Italia o la Norvegia, ovvero privi di casi di malattia.
Sembra una banalità, ma non è cosi. Un africano proveniente dall'Uganda (distante come e più dell'Italia dalla Guinea) ha le stesse probabilità di un giapponese o di un portoghese di aver contratto il virus.

- In questo momento il massimo sforzo per fermare la malattia (e salvare vite umane) deve essere fatto in Africa
Inutile citare le testimonianze di chi lavora sul posto (ma vi linko questa dichiarazione recente di Emergency), ma i soldi (e il personale) devono giungere lì dove la gente muore e non devono servire per attrezzare in ogni città del mondo un centro di accoglienza di un probabile e forse inesistente malato di Ebola.
Soldi e personale servono a sopperire alla cronica mancanza di una sanità degna di questo nome in molti paesi africani (rimandiamo la discussione sui motivi di questa mancanza). In Liberia un medico ogni 71.429 abitanti, il Sierra Leone uno medico ogni 45.455 abitanti, in Guinea un medico ogni 10.000 abitanti, negli Stati Uniti un medico ogni 408 abitanti.
Poichè come si è visto, più precoce è la cura (con farmaci sintomatici) minore è la mortalità, appare evidente che lo sforzo massimo deve essere fatto per intervenire precocemente e prevenire il contagio.
Viceversa è unanime opinione della comunità scientifica (e i pochi casi importati nel resto del mondo lo dimostrano) che l'impatto eventuale su i nostri paesi (in termine di casi e mortalità) sarebbe assolutamente diverso (leggi molto, molto, minore) dall'Africa a causa di sistemi sanitari maggiormente efficienti e abitudini di vita diversi.

- Chiudere le frontiere o preoccuparsi degli sbarchi (pur mantenendo, a prescindere, alta l'attenzione sanitaria) non serve a molto
Come giustamente sottolinea Gino Strada è più probabile che il virus giunga da noi in aereo che in nave. Seppure il periodo di incubazione massimo sia di 21 giorni, la malattia si sviluppa molto prima, rendendo molto difficile il suo l'arrivo con persone che, spesso partendo dai luoghi non liberi da Ebola, impiegano anche settimane prima di giungere sulle coste. E' invece più realistico pensare ad un contagiato (magari appunto un operatore sanitario, categoria per definizione a rischio per qualsiasi patologia infettiva) che prende un aereo e in 5 ore giunge in Europa.

- La storia ci insegna (perchè su queste cose si ripete) che sfruttando le paure collettive, si fanno azioni non sempre nobili
In queste situazioni non è raro osservare stanziamenti folli e spese esagerate per far fronte a emergenze indotte dalla fobia più che reali. Qualcuno ricorderà l'inizio dell'era AIDS (fine anni '80 in Italia, metà anni '80 nel mondo), sembrava che non infettarsi fosse impossibile. Poi le cose sono andate (pur nella gravità, ci mancherebbe) in modo molto diverso. Inizialmente la corsa (e gli stanziamenti) per vaccini e farmaci fu molto dispendioso. A guadagnarci furono, come sempre, case farmaceutiche, ambigui istituti di ricerca e altri speculatori di catastrofi umane. A rimetterci furono, come sempre,  i seri programmi di prevenzione, la sanità comune e più in generale i malati.

- In Africa oltre a circa 6000 morti (per ora, di Ebola), vi sono stati, nello stesso periodo, anche 1,5 milioni bambini morti di fame, non dimentichiamolo!
La preoccupazione diffusa di molti operatori sul campo è che l'epidemia di Ebola, oltre a minare le economie di stati già in gravi difficoltà, si ripercuota pesantemente e pericolosamente sulle vere vittime: le popolazioni più deboli. 

Ecco, questi sono solo alcuni punti, che dobbiamo sempre tenere presente nei nostri ragionamenti e nelle nostre azioni. Non si tratta di sottovalutare, ma nemmeno di alimentare un inutile vocio, che finisce per avere un unico scopo: isolare ancora di più chi oggi necessita dell'azione dell'intera comunità internazionale.

Ebola; alcune annotazioni (luglio 2012) 


lunedì 20 ottobre 2014

Qat, la droga del Corno d'Africa

Il Qat (o Khat) è un arbusto (alto 1-3 metri) originario del Corno d'Africa (probabilmente l'Etiopia) le cui foglie vengono masticate per gli effetti eccitanti, in Etiopia, Somalia, Sudan, Eritrea, Kenya, Ruanda e Zambia, oltre che nella penisola araba (Yemen e Arabia Saudita in particolare).
Il suo nome scientifico è Catha edulis ed il suo uso è descritto fin dal XIV secolo. Gli alcaloidi contenuti nelle foglie fresche (cathina e cathionone) hanno un effetto psicotropo descritto come simile all'anfetamine (seppure ridotto nella sua intensità) che essenzialmente si traduce in aumento dell'euforia e dell'eccitamento e nella diminuzione del senso della fatica, del dolore, della stanchezza e della fame.
I principi attivi sono massimi entro 48 ore dalla raccolta delle foglie e degradano in modo quasi definitivo dopo 3-4 giorni dalla raccolta. Questo è il principale motivo della scarsa (per ora) diffusione di questa droga nelle società europee. Sebbene oggi per giungere nelle capitali europee, dai campi, possono trascorrere solo 16 ore, il grosso del commercio rimane nel Corno d'Africa.
L'uso del qat ha risvestito e riveste una grande funzione sociale. Il suo uso ha aiutato poeti e scrittori ad ispirarsi e religiosi e devoti ad unirsi al divino. E' poi divenuto un consumo indispensabile durante il lungo e duro lavoro nei campi. Ancora oggi, sebbene le situazioni siano cambiate di molto, i masticatori di qat (quasi tutti maschi, sebbene siano le donne a venderla nie mercati), il cui bolo viene tenuto in bocca per lungo tempo e infine sputato, si radunano in gruppi e condividono l'esperienza di euforia.
Da un punto di vista strettamente economico il qat ha avuto un vero e proprio boom negli anni '90, quando al calare del prezzo del caffè (coltivato sugli altopiani etiopici) i coltivatori hanno optato per la più preziosa Catha edulis (viene pagata di più, ha minor bisogno di acqua e necessita di minor lavoro). Oggi è la maggior produzione agricola dell'Etiopia, in concorrenza nel mercato delle esportazioni con il caffè.
Come avviene in tutte queste storie sono le organizzazioni criminali che si sono impadronite del mercato verso l'esterno del Paese e che ne ricavano i grandi guadagni.
Nel 1980 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito le foglie della Catha edulis nella lista delle sostanze stupefacenti.

L'uso di questa pianta ha così superato le barriere della ritualità e delle tradizioni, per approdare nella melma, svestita di ogni legame con il passato, del mercato delle droghe e dei suoi grandi guadagni.

Ecco il link ad un'inchiesta svolta da Repubblica nel 2013

martedì 14 ottobre 2014

Kairouan

Kairouan o Qayrawan, è una città della Tunisia, edificata a partire dal 670 da arabi mussulmani e che custodisce la più antica moschea del Maghreb. Nel 1988 l'UNESCO l'hai inserita nella lista dei Patrimoni dell'Umanità proprio a tutela della moschea.
La città, posta nel centro della Tunisia, è stata a lungo (oltre cinque secoli) la capitale del governatorato di Ifriqiya, è oggi un importante luogo sacro e di culto dell'islam.
L'edificio di maggior pregio è costituito dalla Grande Moschea di Kairouan (detta anche di Uqba, dal nome del suo edificatore), costruita nel VII secolo su una superficie di 9000 metri quadrati all'interno di una recinzione quadrilatera irregolare (415 metri il perimetro) massicciamente fortificata.

La musalla (l'oratorio, ovvero il luogo dove si compie la salat) è accessibile da 17 porte di legno e all'interno vi sono 17 navate a 8 arcate, con oltre 400 colonne di porfido o marmo bianco.

Il massiccio minareto centrale costituisce oggi la parte più antica della moschea, poichè altre aree furono abbattute (la prima volta già pochi anni dopo la sua costruzione dai Berberi) o aggiunte nel corso dei secoli.

Tra gli altri edifici presenti nella città (utilizzata tra l'altro spesso per riprese cinematografiche) sono da segnalare i due invasi idraulici comunicanti tra loro (bacini aghlabidi, costruiti attorno al IX secolo) che costituivano un sistema idrico atto ad irrigare i giardini che contribuivano ad arricchire di splendore la città e la piccola, ma deliziosa, moschea delle Tre Porte.

L'UNESCO inserì la città tra i Patrimoni dell'Umanità per il suo valore storico, culturale e religioso.

giovedì 9 ottobre 2014

9 ottobre 1962, l'indipendenza dell'Uganda

Il 9 ottobre 1962 l'Uganda diventò uno stato indipendente. Il paese, abitato fin dall'antichità dai pigmei Twa (che furono scacciati di popoli bantu), era stato culla di importanti regni, tra cui il più conosciuto e importante era quello Buganda (sorto nel XV secolo e ancora oggi esistente), da cui il paese prende il nome.
Il colonialismo europeo giunse nell'area intorno al 1860, prima con viaggiatori ed esploratori, poi con missionari (protestanti e cattolici) e infine, nel 1894 il paese divenne protettorato britannico.
L'importanza strategica dell'Uganda era legata alla coltivazione di cotone e caffè.

Durante il periodo che anticipò l'indipendenza il paese - che pur non conteneva forti spinte indipendentiste come i vicini Kenya e Tanganica - fu diviso tra i sostenitori del re (kabaka) buganda Mutesa II ( i cui sostenitori fondarono il partito Kabaya Yekka) e il partito politico emergente, l'Uganda People's Congress, guidato da Milton Obote, i quali si allearono nelle elezioni del 1962, ottenendo la maggioranza contro il Partito Democratico.

All'atto di indipendenza, il re Mutesa II assunse la Presidenza, mentre Milton Obote divenne primo ministro.
L'allenza durò poco, perché nella tarda primavera del 1966, il rapporto tra il re del Buganda e Milton Obote si ruppe. Obote si autoproclamò Presidente, facendo votare al Parlamento una nuova Carta Costituzionale e incaricò il capo di stato maggiore, Idi Amin Dada, di assediare il Palazzo Reale. Il Re fuggì in esilio nel Regno Unito. 
La storia dell'Uganda e il suo processo democratico finiva definitivamente il 25 gennaio 1971, quando Idi Amin Dada con un colpo di stato assunse il potere (aiutato dagli occidentali timorosi dello spostamento a sinistra della politica di Obote) e mise in opera una delle pìù feroci dittature africane (1971-1979).
Per la cronaca, nel 1980, dopo la caduta di Amin, Milton Obote ritornò al potere fino al 17 luglio 1985 quando fu destitito da un colpo di stato che fu seguito, pochi mesi dopo, da un altro golpe guidato da Yoweni Museveni, che ancora oggi regge l'Uganda.

Il Regno del Buganda, ancora esistente (il re potè rientrare nel 1993), convive con altalenanti rapporti, nell'odierna Uganda e rappresenta il più grande dei regni tradizionali ancora esistenti.

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mercoledì 1 ottobre 2014

1 ottobre 1960, la Nigeria è indipendente

La Nigeria, con i suoi 173 milioni di abitati, oltre ad essere il paese più popolato dell'Africa è anche il settimo paese al mondo per popolazione (dopo Cina, India, Stati Uniti, Indonesia, Brasile e Pakistan). E' un paese che oltre a presentare una varietà di gruppi etnici (250 etnie presenti), vede metà della popolazione di religione cristiana e l'altra metà di religione islamica.


A partire dalla sua indipendenza, avvenuta appunto il 1 ottobre 1960, purtroppo la Nigeria è ricordata (e conosciuta) più per una serie di problemi che hanno caratterizzato questi oltre 50 anni di sovranità, che per le sue enormi realtà (e potenzialità), che investono la sfera economica (e le sue risorse), culturale (tra l'altro, un premio Nobel per la Letteratura e una delle più ampie produzioni cinematografiche del mondo) ed educativa (uno straordinario numero di qualificate Università), le quali meriterebbe altre attenzioni.
A partire dal cruento golpe avvenuto il 15 gennaio 1966, la Nigeria ha dovuto affrontare una delle più sanguinarie guerre civili dell'era contemporanea (guerra del Biafra, 1967-1970), una devastazione del suo territorio dovuta all'estrazione selvaggio del petrolio (Delta del Niger), la presenza (1993-1998) di una cleptocrazia che ha delapidato il patrimonio statale (quella di Sani Abacha), la convivenza con una delle più tragiche tratta di essere umani ai fini sessuali, e infine, l'insorgenza di un gruppo estremistico islamico (Boko Haram) che sta mietendo vittime e minando fortemente la fragile coesione sociale del territorio.

La storia della Nigeria, che un tempo fu sede dei più importanti regni e crocevia di traffici commerciali di ogni tipo (dagli schiavi alle materie prime), è stata caratterizzata dalla rivalità (e dagli accordi) dei tre maggiori gruppi etnici: gli Hausa-Fulani (al nord e essenzialmente islamici), gli Yoruba (nel sud-ovest) e gli Igbo (nel sud e in prevalenza cristiani).

Gli inglesi si interessarono all'area alla fine del 1800 e il 1 gennaio 1901 la Nigeria fu dichiarata protettorato inglese e nel 1914 colonia.

Quando alla fine degli anni '50, gli inglesi dovettero cedere ai movimenti nazionalisti e concedere l'indipendenza, a guidare il paese fu uno scrittore e intellettuale, Nnamdi Azikiwe, di etnia igbo.
Si pensò di suddividere il paese in tre regioni (che rispecchiavano sostanzialmente i territori delle tre maggiori etnie) e creare una Federazione all'interno del Commonwealth britannico. Azikiwe fu Governatore Generale dall'indipendenza (1 ottobre 1960), al 1963, quando la Nigeria si trasformò in una Repubblica Federale (fu anche aggiunto un nuovo stato) ed egli divenne Presidente della Repubblica.
La carica di primo ministro fu assunta da Tafawa Balewa, un hausa.

Le tensioni politiche (i tre maggiori partiti erano stati costituiti su base etnica), portò all'inasprirsi dei rapporti e al colpo di stato del 15 gennaio 1966 (in cui furono uccisi 27 tra politici e alti ufficiali, tra cui il Primo Ministro Tafawa Balewa e il premier della regione del Nord, Ahmadu Bello) e al controgolpe del luglio 1966.

Da quella data la Nigeria non ha trovato pace e, nonostante i tentativi di metter mano alla struttura amministrativa (oggi è una Repubblica Presidenziale Federale composta da 36 stati e un territorio), le tensioni e i conflitti (politici, etnici e religiosi) esplodono ciclicamente in modo violento.


Per approfondire, vedi questo libretto, prodotto e messo in rete oggi dalla Foundation For Africa, sulla Storia della Nigeria