sabato 31 luglio 2010

Le anime nere dell'Africa, Idi Amin Dada

Sanguinario, clownesco, impietoso, mostro, pazzo, tiranno furbo, capriccioso, crudele, selvaggio, cannibale, frutto marcio del colonialismo. Questi sono solo alcuni degli aggettivi che, nel 2003, alla morte dell'ex-dittatore dell'Uganda, Idi Amin Dada furono usati per descrivere la sua storia.

Idi Amin è senz'altro un'anima nera dell'Africa. Una figura controversa, perfino il luogo e la data di nascita (nato per alcuni nel 1925 per altri nel 1928) sono incerti. Negli 8 anni del suo regime in Uganda, dal 1971 al 1979, ha lasciato sul campo circa 500 mila morti (stima di Amnesty International). Incerta perfino la sua adolescenza e la sua carriera militare. Certo è che dal 1951 al 1960 fu campione nazionale dei boxe, nella categoria pesi massimi (era alto 2 metri e pesava 120 kg). Nel 1966 Milton Obote (primo ministro dall'indipendenza dell'Uganda, nel 1962) lo promosse generale e comandante dell'esercito.
Il 25 gennaio 1971, mentre Obote si trovava a Singapore, Idi Amin con un colpo di stato assunse il potere. Ben accolto inizialmente da una parte dell'occidente, presto Idi Amin metterà in atto paranoiche e crudeli reazioni. Dal 27 giugno al 4 luglio 1976 ad Entebbe, in Uganda, si consumò uno dei più complessi dirottamenti aerei ad opera di un gruppo palestinese ad un aereo Air France. Amin intervenne sostenendo i dirottatori e facendo liberare tutti i prigionieri di nazionalità non israeliana. Un comando israeliano intervenne liberando gli ostaggi (ad eccezione di 4 che moriranno) e distruggendo gran parte dell'aviazione ugandese. Fu l'inizio del declino di Amin.
Il suo regime assumeva connotati sempre più sanguinari (la rottura delle relazioni diplomatiche avvenne con molti paesi, che inizialmente avevano visto il suo regime con occhi benevoli), mentre le sue follie potevano essere sempre più inquadrate nei manuali di psicopatologia. Nel 1977, a seguito della rottura dei rapporti con il Regno Unito, assunse il titolo di " Sua Eccellenza il presidente a vita, Feldmaresciallo Al Hadji Dottor Idi Amin, VC, DSO, MC, Signore di Tutte le bestie della Terra e dei pesci del mare, Conquistatore dell'Impero Britannico in Africa in generale e in Uganda in particolare" (dove VC, DSO e MC stanno per onorificienze militari britanniche).
Nell'ottobre 1978 Amin invase la Tanzania (con l'aiuto delle truppe libiche) nel tentativo di conquistare la provincia tanzaniana di Kagera. La Tanzania dichiarò guerra all'Uganda e il 1 aprile 1979, senza combattere Amin lasciò il paese.
Fu in esilio in Libia fino alla fine del 1979, poi in Iraq e infine in Arabia Saudita, dove morì il 16 agosto 2003 a seguito di una grave complicanza della sua insufficienza renale. Nel 1989 aveva tentato di tornare in Uganda, ma fu bloccato in Zaire.
Su Amin Dada nel 2006 è stato girato un film, "L'ultimo re di Scozia", tratto dal libro di Giles Foden (1998), diretto da Kevin MacDonald e interpretato da Forest Whitaker (vincitore dell'Oscar come miglior attore).

Amin Dada è stato uno dei personaggi che, con l'uso assoluto del potere, con la corruzione e un atteggiamento violento e crudele (e in questo caso anche folle) hanno contribuito a rendere l'Africa più complessa e più arretrata. La sua azione (e vedremo, quella di tanti altri) ha impedito lo sviluppo di molte aree del continente e favorito la visione distorta, e talora un pò comica, che il nord del mondo ha avuto (e spesso ha ancora) nei confronti dell'Africa.
Qualche giorno fa, durante una "chiacchierata" sulle anime nere dell'Africa, con Alessio, -amico, giornalista e grande conoscitore dell'Africa - mi ricordava un episodio della vita di Amin che ben sintetizza, con amarezza, la sua dittatura e la sua esistenza.
Durante una riunione del consiglio dei ministri ugandese, il ministro del bilancio tentava di spiegare a Sua Eccellenza le difficoltà a far quadrare i conti. Amin sosteneva che era solo una questione di numeri, mentre il ministro ribatteva che la finanza era qualcosa di diverso, con variabili complesse. Al termine della discussione, Amin chiamò il suo ex professore di matematica, lo uccise e gli mangiò il cervello. Ora finalmente avrebbe compreso il bilancio.

mercoledì 28 luglio 2010

Un diamante è per sempre

Il 49% dei diamanti del mondo è estratto in Africa. Il Botswana, l'Angola, il Sudafrica, la Repubblica Democratica del Congo e la Namibia sono tra i primi paesi al mondo che estraggono diamanti.
Miniere di diamanti ci sono anche in Repubblica Centro Africana, in Ghana, in Tanzania, in Costa d'Avorio, in Liberia, in Sierra Leone, in Guinea e in Lesotho.
In definitiva 13 Paesi dei 53 africani estraggono diamanti. Nel mondo sono una ventina (20) gli Stati che raccolgono quantità significative di diamanti (oltre ai 13 africani vi sono: Russia, Australia, Canada, Venezuela, Brasile, Guyana e Cina). E' evidente che l'Africa è un "paradiso diamantifero".

Il diamante è una delle forme allotropiche del carbonio. Gli antichi Greci ritenevano che fossero lacrime degli dei cadute sulla terra.

Il valore dei diamanti è determinato dalle cosidette 4 C - dall'inglese colour (colore), clarity (purezza), cut (taglio) e carat (peso in carati).
Il diamante nella foto, estratto in Lesotho nel 2006, dal peso di 603 carati (120,6 grammi - un carato equivale a 200 mg - grande quanto una pallina da golf) fu venduto a 12,4 milioni di dollari, con la previsione, di ricavarne una volta tagliato, circa 20 milioni di dollari.



La comunità internazionale, colpevolmente, si accorge (come sono buono!) tardivamente che, in particolare in Africa, il commercio dei diamanti serve a finanziare atroci guerre (in Sierra Leone, in Liberia, in Angola, nella Repubblica Democratica del Congo). Il sistema (su questo ritorneremo) è spesso uno scambio armi-diamanti, che coinvolge altri governi africani e lobby dei diamanti e delle armi extra-africane.
Infatti la prima risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti che chiama in causa la questione del commercio di diamanti è la N. 1176 del 24 giugno 1998 che stabilisce che i diamanti dell'Angola (la guerra in Angola dura, al momento della risoluzione, oramai da 23 anni!) devono avere un certificato statale (cosa totalmente ignorata) e stabilisce sanzioni di scarsissimo effetto pratico. Con altra risoluzione, del 5 luglio 2000, le Nazioni Unite, stabiliscono il divieto di acquistare diamanti dalla Sierra Leone, dove era in corso una sanguinosa guerra civile (incominciata solo 9 anni prima, nel 1991).
Nel maggio 2000, a Kimberley (Sudafrica) si tiene una conferenza per discutere il legame tra il commercio dei diamanti e i conflitti armati nei paesi di origine. Nel dicembre 2000 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sollecita un accordo sulla certificazione dei diamanti e il 5 novembre 2002 si firma quello che oggi è conosciuto come Kimberly Process . Un accordo tra l'industria dei diamanti (World Diamond Council) e i governi per certificare che i diamanti destinati ai mercati occidentali non provengono da zone di conflitto (una sorta di certificazione etica). Gli effetti prodotti sono ancora lievi.

Certo un diamante è per sempre, come recitava uno sport pubblicitario del colosso minerario De Beers, come sono per sempre le mutilazioni di centinaia di migliaia (molti bambini) di Sierraleonesi, amputati con i machete (vedi libro inchiesta di Greg Campbell, "Diamanti di sangue") o le mutiliazioni degli angolani saltati sulle mine antiuomo, a causa di questi pezzi di carbonio sporchi di sangue. Sono per sempre anche i ricordi di atroci stupri su donne e bambine africane.
La foto a lato è presa da RisoNero , un sito di solidarietà, volontariato e cooperazione internazionale.


Infine per chi fosse interessato ecco il sito di una Campagna di boicottaggio dei diamanti

martedì 27 luglio 2010

Un altro libro, un'altra storia

Il secondo libro che propongo alla lettura ha invece una logica nella sua scelta. E' l'ultimo sull'Africa che ho letto. Metà di un sole giallo (scritto nel 2006, edito in Italia da Einaudi nel 2008) della nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie.
Con grande capacità narrativa, l'autrice colloca la sua storia, di amori, conquiste, rinuncie e cadute di ideali, tra l'elite nera nigeriana di etnia igbo, colta ed emancipata, - in quel 1967 quando scoppia la guerra del Biafra (il mezzo sole giallo era il simbolo della bandiera indipendentista del Biafra).
Un romanzo che è stato un bestseller negli USA scritto con grande maestria da una giovane nigeriana (nata, credo nel 1977).


Il 15 gennaio 1966 un colpo di stato in Nigeria, porta al potere militari di etnia ibo (regione sudorientale del paese). Il 29 luglio del 1966, un contro golpe, riporta il potere ai militari del nord (etnie Yoruba e Hausa) e all'esclusione degli ibo del sud. Nel nord (mussulmano) vengono massacrate le minoranze cristiane. Il 30 maggio 1967, la regione sud-orientale del Biafra dichiara unilateralmente l'indipendenza (letteralmente la secessione). Pochi saranno gli stati a riconoscerla (Gabon, Haiti, Costa Avorio, Tanzania, Israele e Zambia), mentre altri presteranno solo aiuti ( Francia, Rhodesia, Sudafrica e Portogallo). Il 6 luglio 1967 lo stato centrale della Nigeria dichiara guerra al Biafra e inzia la riconquista del territorio che avverrà, con la fine dell'esperienza del Biafra, tre anni dopo, il 7 gennaio 1970. La guerra del Biafra lascerà sul campo circa un milione di morti e secondo alcune stime quasi altri due milioni di morti di fame e miseria. Ancora oggi forti sono le tensioni , dovute al fondamentalismo di entrambe le parti, tra il nord mussulmano e il sud cristiano. Neanche a dirlo nel sud-est della Nigeria (quindi nel Biafra) sono concentrati i maggiori giacimenti di petrolio del Paese.

lunedì 26 luglio 2010

Una storia, un libro

Sull'Africa è stato scritto molto. Si sono raccontati molti momenti, alcuni tristi ed atroci, altri meravigliosi. Si sono scritti saggi di ogni tipo, si è cercato di capire fenomeni e situazioni per noi incomprensibili. Vi è poi una ricca bibliografia di chi racconta l'Africa e di africani che raccontano la loro terra. Ognuno di questi modi è un'immagine, un tassello di un mosaico vasto e complesso.
Proverò in questo blog a suggerire qualche testo, tra quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Scegliere un libro da cui partire è sempre complicato. La domanda inevitabile è: quale criterio adottare? Nessuno.
Inizio da questo libretto, di un grande conoscitore dell'Africa, il reporter di guerra polacco Ryszard Kapuscinski, che ha lasciato questo mondo nel 2007. Ricardo (come viene chiamato Ryszard in questo libro) racconta della guerra di liberazione dell'Angola ( l'Angola diventa un paese indipendente l'11 novembre 1975, dopo una lunga guerra contro il Portogallo e una guerriglia fraticida tra tre fazioni in lotta).
E' un libro-reportage ("Ancora un giorno" scritto nel 1976, pubblicato in Italia solo nel 2008 da Feltrinelli) che racconta di una Luanda (capitale dell'Angola) sotto assedio e con i suoi abitanti in fuga nella totale confusione. Da lì il reporter si sposta verso il fronte (a Caxito, poi a Benguela e infine nel piccolo villaggio di Balombo). Con un'attenzione sempre forte nei confronti degli esseri umani, in particolare agli umili, Kapuscinsky ci trascina in una terra martoriata.
Un punto centrale è certamente la consapevolezza (ovvero la sua negazione) di quello che accade. Emblematico il passaggio in cui il comandante dell'MPLA interroga i prigionieri. Ancora una volta una netta frattura tra l'elite "pensante" e la manovalanza, che in questo caso è rappresentata dalle reclute, che non dimostrano nessuna conoscenza delle vere motivazioni che stanno alla base del conflitto per cui muoiono. Loro spesso combattono per un salario, per una promessa, per una paura.
Il dramma dell'Africa (e in questo caso dell'Angola) è possedere un sottosuolo generoso, troppo generoso.
I diamanti e il petrolio faranno da sfondo a questo testo, ma a tutta la storia del conflitto angolano. Ancora oggi determinano le scelte in corso nel paese.

L'Angola conquista l'indipedenza dal Portogallo nel 1975. A vincere la lotta interna per il potere è il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA) fondato nel 1956 da Agostinho Neto. Ancora oggi l'MPLA guida il paese. Dal 1975 al 2002, ovvero per quasi 30 anni il popolo angolano è stato devastato da una sanguinosa guerra civile (in realtà fino al 1991 con una massiccia presenza sul territorio di truppe straniere) alimentata via via sempre meno da questioni ideologiche e strategiche e sempre più dal controllo dei grandi proventi derivanti dalla vendita dei diamanti e del petrolio. Questa guerra lascerà sul terreno, oltre a miseria e povertà, una delle aree più minate del mondo e un numero impressionante (oltre 500 mila) di amputati.

sabato 24 luglio 2010

La terra rossa.... il sapore e il ritmo dell'Africa

L'Africa, ancor prima che un viaggio, è un'esperienza.

Dakar, Senegal, 7 luglio 1992
Banjul, The Gambia, 8 luglio 1992


Un airbus della Sabena mi aveva portato da Milano, via Bruxelles, a Dakar. Ero giunto a sera tardi in aereoporto - intitolato al padre dell'indipendenza senegalese e primo presidente Leopold Sedar Senghor. Avevo poi percorso un chilometro con un taxi ufficiale, il cui conducente, adducendo un guasto non meglio precisato, mi aveva fatto trasferire su di un vecchio Peugeot bianco, guidato da un amico a cui avrei pagato la corsa. Ero infine giunto in albergo a notte inoltrata.
La mattina successiva, ero stato costretto a correre per passare in ambasciata (in realtà poi finirò a casa del funzionario) a firmare delle carte e a consegnare dei documenti. Mentre il tempo passava, pensavo a quanto avevo criticato, in Italia, la scelta di prenotare il volo Air Senegal per Banjul, alle 10 del mattino. Dall'ONG per cui lavoravo mi avevano rassicurato dicendo: " Ti svegli presto, in mezz'ora fai tutto e alle nove e mezza sei in aereoporto, vedrai che pranzi a Banjul". In effetti il concetto del presto è relativo. Io alle 8.30 ero in Ambasciata e dopo una breve attesa, il carabiniere di piantone, mi aveva confermato che il funzionario addetto alla mia pratica sarebbe giunto non prima delle 9.30. Faccio due conti e percepisco, che pur confidando sull'inevitabile ritardo dell'aereo, sono al limite. Alle 9.00 in punto suono alla casa del funzionario dell'ambasciata , fortunatamente distante solo qualche isolato. Mi riceve in pantaloncini corti , per niente contrariato, e mi offre un caffè. Scopro che la mia fiducia assoluta nel prossimo, spesso ripagata, mi ha fatto lasciare tutti i bagagli nel taxi mentre salgo a firmare i documenti, senza aver nemmeno preso un numero di targa o un telefono. Alle 9.30 scendo.... il taxi è sparito! Attimo di panico e esclamazione colorita ed irripetibile ad alta voce. Nel mentre che focalizzo gli scenari possibili, sento qualcuno che mi chiama... il tassista che aveva parcheggiato la macchina all'ombra e fumava, svogliatamente, una sigaretta. Sollievo.
Corsa ai limite del sequestro dell'auto verso l'aereoporto (compensata con mancia adeguata a Bassiru) arrivo al check-in alle 9.55.
Gli aereoporti africani sono un'altra cosa. Lo si capisce dal numero di persone che affollano la hall principale. A vederle sembrerebbero tutti degli scali da cui decollano e atterrano due aerei al minuto. La realtà è ben diversa: la maggior parte delle persone non parte e non arriva, sta.
Faccio il check-in (l'unico aperto a quell'ora, vuoto), l'addetto mi dice: "Imbarco alle ore 13.00". Bene sono in anticipo, grazie a 3 ore di ritardo.
Mi rilasso, mi siedo e aspetto. In Africa aspettare fa parte dell'esistenza quotidiana. Il tempo ha un valore diverso. Non vi è la nostra paura di perderlo, il tempo semplicemente è. Si aspetta che il sole tramonti per proteggersi dalla calura, si aspetta che finisca di piovere o si aspetta che arrivino le piogge, si aspetta il proprio turno in ospedale, in aereoporto, in banca e ovunque. Si aspetta che passi il giorno. Si aspetta qualcuno o qualcosa.
Puntuale alle 15.00 il Bombardier Dash 8, turboelica da 50 posti, si affaccia sulla pista.
Ci avviamo all'imbarco (siamo una trentina di persone, sono l'unico pallido). L'hostess ci riceve sulla scaletta sgranocchiando delle arachidi. Il suo fisico, da far schiattare d'invidia una lanciatrice del peso, stona nel completino verde -bianco della Air Senegal. Sul petto, proprio davanti al prosperoso seno, nel lato destro, una vistosa, e credo indelebile, macchia di unto. Sorride con dei denti bianchissimi, e accoglie tutti con un saluto in francese. Sull'aereo invece, la sua collega, ci offre su di un bicchiere di carta, una aranciata locale gelida.
Mi siedo e per la prima volta in quella giornata, realizzo che mi avvio ad andare in un paese, che non conosco, dove resterò per due anni. E' una sensazione diversa dalle altre partenze o arrivi, dove era netta la sensazione di essere turista e di avere un biglietto per tornare. Mentre l'aereo rumorosamente rulla sulla pista, mi passano gli ultimi quattro mesi della mia vita, cioè quelli trascorsi dal giorno in cui mi è stato proposto di andare in Gambia.
Quando si affronta una cosa che non si conosce, è inevitabile immaginarne possibili sviluppi. Ricordo che a volte sognavo la mia vita in Africa, altre volte - soprattutto nei frequenti spostamenti verso Milano in treno - mi ritrovavo a fantasticare ad occhi aperti la quotidianità in Gambia. Perchè tra partire per un viaggio o per andare a vivere in un luogo, la differenza è proprio nel quotidiano che solo nel secondo caso viene preso in considerazione. Molte volte, mentre mi accingevo a salutare amici, a lasciare amori, a impacchettare la mia casa o a lasciare lavoro e famiglia pensavo ad analoghe situazioni che avrei vissuto. Immaginavo i luoghi della mia vita futura. Dopo quell'esperienza ho un'assoluta certezza: qualsiasi cosa si immagini non ha nessun legame con la realtà e spesso, i timori e le proccupazioni -che inevitabilmente si affacciano nei nostri pensieri - non trovano nessun fondamento.
Mentre ripercorrevo gli ultimi mesi della mia vita, l'aereo con una decisa virata a destra si immetteva nel corridoio della pista dell'aereoporto di Banjul. Osservo dal finestrino un'immagine che, ancora oggi, a quasi vent'anni distanza, mi è chiara e limpida. Terra rossa. Un rosso acceso tra gli alberi.
Scendo dalla scaletta, percorro i pochi metri che mi portano al ritiro bagagli e alle formalità di dogana. Alcuni minuti dopo esco dalla porta di ferro (l'aereoporto di Banjul, allora, era poco più di una casa) e i miei piedi calpestano la terra rossa. Un unico pensiero... sono a casa.
Ecco questo è stato il mio primo pensiero all'arrivo a Banjul, lo ricordo con il sorriso. La terra, un sapore e un odore che ti inebria e il ritmo del tempo, sono l'essenza del primo impatto in Gambia.


giovedì 22 luglio 2010

Africa: donne e potere


Era il 27 settembre 1916 quando la prima donna africana assumeva la guida di un paese. Era la figlia primogenita del Negus Menelik, quaranta anni, Askala Maryam che assumerà il nome di Imperatrice Zeweditu I di Etiopia (nella foto). Regnerà per quasi 14 anni, anche se di fatto non gli sarà concesso governare attraverso il sistema delle "reggenze di fatto" e dal 1928 con il potere condiviso con un cugino. Bisognerà aspettare il 5 giugno 1970 perchè un'altra donna, la Regina Mamohato Thabita, ventinove anni, moglie del Re Moshoshoe, assuma, per sei mesi la reggenza del regno del Lesotho in vece del marito costretto all'esilio. Succederà, nel corso della storia del piccolo regno, enclave del Sudafrica, altre due volte che la Regina assumerà la reggenza: dal marzo al novembre del 1990 sempre per l'esilio del marito e per un breve periodo, dal 15 gennaio al 7 febbraio del 1996, a seguito della morte del marito.
Anche nello Swaziland due donne, entrambe mogli di Sibhuza II, assumeranno la reggenza del paese. La prima, Dzeliwe Shongwe (cinquantacinquenne) dall'agosto del 1982 all'agosto del 1983 e la seconda, Ntombi (33 anni) dall'agosto 1983 all'aprile 1986. La loro reggenza sarà determinata dalla necessità di aspettare la maggiore età dell'erede al trono, Moshosetive, figlio di Ntombi.
Appare evidente che queste donne hanno di fatto, contato ben poco.

La prima donna a diventare Primo Ministro in Africa (quindi a incidere sulla vita politica di un Paese) è stata la cinquantenne Elisabeth Domitien (nella foto), Primo Ministro della Repubblica Centrafricana dal 2 gennaio 1975 al 7 aprile 1976. La Domiten ebbe un duro scontro con Jean Bedel Bokassa, dittatore del Centrafrica (accusato di cannibalismo) poichè tentò di opporsi al suo progetto di proclamarsi Imperatore (cosa che fece nel dicembre 1976).
Il 10 luglio 1993, la quarantunenne Sylvie Kinigi, divenne Primo Ministro del Burundi (fino al 7 febbraio 1994). Di etnia Tutsi, coniugata con un Hutu, rappresentava il simbolo della convivenza pacifica tra le due etnie del Paese. Dall' ottobre 1993 al febbario 94 fu anche, a seguito dell'assassinio del presidente Ndadaye (che l'aveva nominata) anche Presidente ad interim. Pochi giorni dopo, il 18 luglio 1993 nel Ruanda fu nominata Primo Ministro la quarantenne Agathe Uwiligiymana - una delle donne più influenti del Paese. Agathe fu assassinata il 7 aprile 1994, il giorno dopo all'assassinio del presidente Habyarimana (assieme al suo collega del Burundi, Ntaryamina) che diede via al tragico genocidio del Ruanda.
Agatha Uwiligiymana è stata l'unica donna (capo di stato o di governo) assassinata in Africa.
Il 3 marzo 2001, in Senegal, diventa Primo Ministro Mame Madior Boye, già Ministro della Giustizia. Guiderà il governo fino al 4 novembre 2002.
Il 3 ottobre 2002 a Sao Tomè e Principe diventa Maria das Neves Ceita De Sousa (44 anni), già Ministro dell'Economia, che salvo una breve parentesi (durante un golpe poi collassato) resta in carica fino al 9 settembre 2004. Sao Tomè avrà un'altro primo ministro donna, Maria do Carmo Silveira (45 anni), ex governatrice dalla Banca di Sao Tomè , dal 8 giugno 2005 al 21 aprile 2006.
Il 17 febbraio 2004 è la volta di Luisa Dias Diogo (46 anni), membro del Frelimo, che resta primo ministro del Mozambico fino al 16 gennaio 2010.
L'ultima donna a diventare Primo Ministro in Africa è Cecile Manorohanta che, anche se solo per due giorni (18 dicembre 2009) , sarà facente funzioni in Madagascar.

La prima donna ad assumere la carica di Presidente in Africa è stata Carmen Pereira (nella foto), quarantasettene della Guinea Bissau, che aveva partecipato alla lotta di indipendenza, che il 14 maggio 1984 assume ad interim la carica (fino al 16 maggio) durante il cambio dell'assetto costituzionale, in quanto Presidente dell'Assemblea.
Il 3 settembre 1996 assume la carica di Presidente, in Liberia, Ruth Sando Perry, 57 anni, già senatrice dal 1985, che assume la carica alla fine della guerra civile fino alle elezioni (2 agosto 1997).
Il 16 gennaio 2006, sempre in Liberia, sarà la volta di Ellen Johnson Sirleaf, già Minsitro delle Finanze, che a 68 anni assume la carica di Presidente della Liberia. Oggi la Johnson (nella foto in basso) è l'unica donna africana a capo di uno stato. (vedi aggiornamento 2011)
Ancora il 25 settembre 2008 (e solo per quel giorno), in Sudafrica assumerà la carica di Presidente Ivy Matsepe Casaburri, 71 anni.
Infine, alla morte di Omar Bongo in Gabon, dal 10 giugno 2009, la Presidente del Senato, Rose Francine Rogombè, 67 anni, assumerà (fino al 18 ottobre 2009) la carica di Presidente ad interim in attesa delle elezioni.

Aggiornamento 2011:
dal 3 aprile 2011 sono due le donne al potere in Africa, infatti è diventata primo ministro del Mali, Cissè Miriam Kaidama Sidibè.

Questo è il quadro completo della presenza femminile nelle stanze del potere africano. E' certamente poca cosa (qualcuno direbbe ben più di quello che finora è accaduto in Italia). Il pensiero di Thomas Sankara (vedi post "A proposito delle donne africane") sul ruolo determinante del sesso femminile pare sia rimasto lettera morta.


Premio Nobel per la Pace 2011 alle Donne Africane, firma la petizione.



martedì 20 luglio 2010

Il golpe delle noccioline


22 luglio 1994, Banjul, The Gambia
Avevamo appena superato la nona buca, quella per me più difficile (la pallina finiva nove volte su dieci in acqua) e sorseggiato una birra gelida sulla spiaggia, in quel punto dove il campo da golf arrivava quasi a lambire l'Oceano. L'afa estiva si era da poco diradata grazie alle abbondanti pioggie della notte, la temperatura sembrava perfino piacevole. Chris tentava, con molta pazienza, di indirizzare e rendere fluido il mio drive di principiante, quando alcuni spari rimbombarono nell'aria. Non sembravano propriamente dei fuochi d'artificio, come a volte capitava. In modo sbrigativo liquidammo la questione come l'entusiasmo di qualche deficiente che esplodeva colpi di fucile, magari per salutare l'arrivo del proprio figlio. Alla dodicesima buca ci fermammo osservando l'insolita situazione di essere gli unici a giocare, nonostante fosse venerdì. Ci guardammo e altri spari, questa volta molto più vicini, interruppero un silenzio quasi surreale. Qualcosa non andava. Ci avviammo con passo sostenuto verso la Club House, nel cui parcheggio oltre alla nostra vecchia Peugeot bianca, non era rimasta nessuna auto. Anche questo era molto insolito. Le due ragazze al bar erano sconvolte (una volta, anni dopo, raccontando ad un'amico quest'episodio mi scappò un "erano bianche cadaveriche" .... che per due due splendide ragazze mandinka dalla pelle nero ebano era alquanto impossibile!), la radio ripeteva lo stesso messaggio in più lingue, alcune locali oltre all'inglese, al francese e al tedesco. C'era stato un colpo di stato. Giovani ufficiali, capitanati da Yahya Jammeh (che, ironia della sorte era nato nell'anno della proclamazione dell'indipedenza del Gambia, il 1965) avevano destuito, mentre si trovava su di una portaaerei americana alla fonda nel porto di Banjul, il presidente della repubblica, il veterinario Dawda Jawara (alla guida del Paese fin dall'indipendenza del 18 febbraio 1965). Pare che l'origine della rivolta sia stata determinata da una protesta sul mancato pagamento degli stipendi, poi come spesso accade, una cosa tira l'altra e l'obiettivo cambia.
La situazione è caotica. Frammentate le notizie giungono dalla stazione radio che annuncia la sospensione della Costituzione e il coprifuoco, mentre nell'aria aleggiano le esplosioni delle armi da fuoco.
Pochi minuti dopo - siamo rimasti oramai solo noi e le due ragazze della Club House - irrompono nel piazzale una dozzina di militari, armati di tutto punto, con divisa mimetica e copricapo rosso. Devo ammettere che la tensione si taglia con un coltello. Fatichiamo non poco a convincerli di lasciarci la macchina (la carta di essere operatori sanitari risulterà vincente), che prima del loro arrivo era stata posta in un cortile interno. Sono molto avari di parole. Ci aggiornano sul fatto che la città è sotto il loro controllo e che molti degli spari sono colpi sparati all'aria per festeggiare la fine di quello che loro definiscono un regime corrotto che ha affamato la povera gente. Alle nostre richieste di rientrare verso casa (siamo in appensione per mia moglie e la figlia di Chris restate quella mattina a casa), si offrono di accompagnarci, a piedi, verso Pipeline Road, da dove sarà possibile chiedere un passaggio. Ci avviamo lentamente tra le strade di terra battuta e tra le case di un quartiere popolare. Strade insolitamente deserte, perfino gli immancabili ambulanti, presenti in ogni angolo della strada hanno chiuso frettolosamente il loro commercio. I soldati imbracciano nervosamente delle mitragliette e tengono aperto un canale radio dove si odono secche frasi in un inglese incomprensibile. Durante il percorso più volte sono costretto a chiedere, a quello che sembra essere il capo, di stare lontano da noi, di camminare più avanti (la mia preoccupazione è di trovarci , nostro malgrado, nel mezzo di un conflitto armato). Camminiamo per venti minuti che a noi sembrano interminabili. Erik smorza la tensione raccontando brevi aneddoti del suo lungo trascorso africano, alle frontiere dell'allora Zaire. Giungiamo nella strada dove sfrecciano pickup carichi di persone, molte armate, che sparano in aria e urlano. Una camionetta militare si ferma a pochi passi da noi ed i nostri accompagnatori, dopo averci salutato, vi salgono e sfrecciano via.
Restiamo soli, sicuramente più rilassati e decidiamo di continuare, a piedi, verso casa.

Il golpe in Gambia del 1994 è stato incruento. Nessun morto, nessun ferito. Dopo un paio di giorni in casa, usciamo trovando una massiccia presenza di militari, cortesi e disponibili verso la popolazione e verso gli stranieri. Dopo 16 anni Jammeh è ancora al potere in Gambia, ha sventato un tentativo di golpe nel 2006 (proprio in questi giorni vi è stata la sentenza a morte contro gli autori) e da più parti è accusato di essere un dittatore e di aver messo il bavaglio alla stampa.

In molti i Paesi africani i colpi di stato hanno sostituito le elezioni. Sono cambiati governi , si sono abolite costituzioni e scritte nuove leggi fondamentali senza che i cittadini fossero mai coinvolti in tali processi. Il numero di leader politici assassinati, nel XX secolo, in Africa è straordinariamente alto (ma su tutte queste cose ritornerò).
Ancora oggi la situazione politica in Africa è molto instabile. Il virus della guerra è diffuso come in nessun altro continente.

Nel triennio 2008-2010 nel mondo vi sono stati 6 colpi di stato, cinque dei quali in Africa (per la cronaca il sesto è stato in Honduras).
L'ultimo leader poltico in carica assassinato nel mondo è africano e risale al 2009 (Guinea Bissau).

Il "golpe delle noccioline" è il titolo di un articolo dell'edizione nazionale del "Il Gazzettino" che mia madre ha ritagliato e custodito, preoccupata per la mia presenza nel Paese. La Gambia, paese completamente privo di risorse, produceva quasi esclusivamente arachidi (acquistate da una multinazionale svizzera).

domenica 18 luglio 2010

Auguri Nelson!


Oggi, 18 luglio 2010, Nelson Mandela compie 92 anni. Di questi anni 27 li ha trascorsi in carcere, nel suo Paese, per il semplice fatto di essere nato nero, in Africa. Mandela è un esempio per l'intera umanità, è simbolo della tenacia nella lotta, degli ideali che stanno sopra ogni cosa, del sacrificio per un'idea. E' anche la dimostrazione vivente della bontà della lotta e del successo. Il suo percorso, la sua caparbietà ha permesso di cambiare la storia del Sudafrica, dell'Africa e del Mondo.

Il 4 ottobre 1984, a New York, nel corso della 39° Assemblea Generale della Nazioni Unite (nel 1984 il Burkina Faso è membro di turno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), Sankara pronuncia un discorso forte che inizia in questo modo "...... vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 km quadri dove sette milioni di bambini, donne e uomini si sono oramai rifiutati di morire di fame, di sete e di ignoranza....". Nel corso di quell'accorato discorso, Sankara, nel chiedere di intensificare la campagna per la liberazione di Nelson Mandela si esprime in modo molto duro contro il Sudafrica. " C'è una questione particolare di una tale gravità da richiedere a ognuno di noi una posizione franca e ferma. E', potete immaginarlo, il Sudafrica. Fra le preoccupazioni maggiori del mondo contemporaneo devono esservi il dispezzo incredibile che questo paese ha per tutte le nazioni del mondo, incluse quelle che sostengono il suo sistema terroristico mirato a liquidare fisicamente la maggioranza nera, e il disprezzo con cui accoglie tutte le risoluzioni dell'Assemblea Generale...... La cosa più deprecabile e umiliante per la coscienza umana è che sia divenuta una banalità la miseria di milioni di uomini che per difendersi non hanno altro che l'eroismo delle loro nude mani...... Un tempo si sarebbero formate brigate internazionali per difendere l'onore delle nazioni la cui dignità era minacciata. Oggi, malgrado le ferite che tutti abbiamo sopportato, votiamo risoluzioni il cui unico potere, ci si dice, è tentare di richiamare alla ragione quel paese di pirati che è capace di distruggere un sorriso come la grandine abbatte i fiori"

Sankara in questo appello per il popolo sudafricano coglie la complessità della questione. L'impotenza della comunità internazionale e dall'altra la complicità di alcuni Paesi della stessa comunità, ma anche l'affievolirsi e lo spegnersi della coscienza umana a fronte di ingiustizie così marcate.

venerdì 16 luglio 2010

A proposito delle donne africane

Thomas Sankara, primo tra i leader africani, aveva capito che lo sviluppo dell'Africa passa attraverso il ruolo determinante delle donne. Nel suo breve periodo al governo, non solo ha posto donne in ruoli chiave di governo, ma ha tentato di scardinare antiche e sminuenti tradizioni (come tutte quelle legate alla mutilazioni genitali femminili all'infibulazione in particolare) entrando spesso in conflitto con i capi clan. Nel suo discorso di orientamento politico al Consiglio Nazionale della Rivoluzione (2 ottobre 1983) aveva inserito la lotta alla liberazione della donna come punto centrale del suo programma, sostenendo che la "liberazione della donna è una necessità del futuro..... che se perdiamo la lotta per la liberazione della donna, abbiamo perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva superiore della nostra societa". Inoltre Sankara, con amaro realismo, mette in guardia le donne burkinabè - delle quali aveva affermato che bisogna necessariamente tener conto delle loro asparazioni - sostendo che " in ogni uomo dorme un essere feudale, un fallocrate che occorre distruggere".

Sonkolo, The Gambia, inizio settembre 1992
Sono giunto in Gambia da qualche mese. La mia giovane curiosità mi ha spinto a girare il Paese in lungo e il largo (non è che poi sia stato così difficile... date le dimensioni!) alla ricerca di immagini e profumi da catturare. Sono stato invitato dall'amico Samba, che lavora presso il laboratorio di veterinaria, a pranzare e festeggiare la nascita di suo fratello nel suo villaggio, distante una decina di chilometri da dove vivo, oltre il fiume.

Lungo la strada la consueta scena. Donne che lavorano nei campi (molte con un figlio piccolo sulle spalle), donne che vendono i loro pochi prodotti in piccoli banchetti, donne a petto nudo che lavano nel fiume teli multicolori, donne che camminano sotto il sole martellante. Di tanto in tanto qualche albero, e sotto alla sua ombra una bantaba, dove fumano silenziosamente alcuni uomini.

Arrivo al villag
gio di Sonkolo, che è composto da una trentina di capanne, ben fatte e spaziose. Affacciano tutte in una sorta di cortile con al centro un pozzo d'acqua. Le donne sono molto indaffarate... chi cucina, chi pesta in enormi mortai il grano, chi lava la biancheria, chi raccoglie l'acqua dal pozzo, chi bada ai bambini e chi ramazza per terra. Dalla parte opposta gli uomini, seduti in un semicerchio, con il capo villaggio - l'alkalo - al centro che discutono animatamente. Vengo accolto (anzi a dire il vero, veniamo accolti, perchè insieme a me c'è Maria, una pediatra con cui lavoro) con grande calore, siamo trattati come ospiti di riguardo (è sorprendente che il riguardo è dato solo dal colore della nostra pelle).
Da lì a poco viene servito il cibo. Due grandi vassoi contenenti i due piatti tipici dell'area: il domodà (pollo cotto in crema di arachidi) e il benacin (una sorta di spezzatino di manzo con cipolle e spezie) il tutto adagiato su abbondante riso. Due grandi piatti sono po
rtati al centro del tavolo (in realtà siamo seduti a terra) da cui tutti elegantemente attingono con la mano sinistra, arrotolando abilmente il riso e mischiandolo, sempre tra le dita, con un pezzo di carne. Mangiano prima gli uomini e gli ospiti, le donne iniziano a rassettare la cucina. Solo alla fine i piatti (con gli avanzi ... di fatto) verranno portati dalla la parte delle donne e dei bambini che, allegramente (le donne sono sicuramente più allegre) finiranno il cibo.

Mi imbarazza questa separazione, anche se percepisco in loro un'estrema normalità.

Poco dopo, mentre sorseggiamo un the speziato, noto che tutte le donne del villaggio sono spar
ite, pochi bambini, i più piccoli, giocano ancora tra le capanne. La conversazione, resa difficile dalla lingua, -difatto Samba ci traduce, dal serer, tutto quanto viene detto ed in particolare quello che dicono gli anziani - verte principalmente sul raccolto e sulla stagione difficile per gli allevatori.

Da lontano si odono i suoni dei tamburi. Il gruppo di suonatori, chiamati per l'occasione festosa, si avvicina verso il p
iazzale - esterno al compound - sotto un grande baobab.
Mentre il suono si approssima
, siamo invitati dall'alkalo a seguirlo verso la grande bantaba posta all'ombra del baobab - i suonatori sono oramai giunti. Il ritmo dei tamburi è incalzante (rimpiango di non aver portato il registratore portatile) e cresce in modo travolgente. Tutti gli uomini sono seduti (per me recurano perfino una vecchia sedia di legno) ...... ed ecco apparire, da dietro una grande capanna, tutte le donne, vestite nel migliore dei modi, con i capelli acconciati, le quali dopo aver omaggiato i musicisti con dei dalasi, si scatenano in balli. Saranno due ore di danze- le donne del villaggio, alcune con i loro bimbi sulla schiena, si alterneranno al centro della "pista", tra le urla e gli incitamenti delle altre. Alcuni balli ironici e divertenti, alcuni ammiccanti e sensuali.... tutti comunque festosi e divertenti. Che energia le donne africane, instancabili.... una forza della natura (credo che sia la vera ragione per cui gli uomini le temono!!!).

Sankara , nel suo essere visionario, aveva perfettamente intuito la forza delle donne africane, una volta disse " ... l'esperienza dimostra sempre più che solo il popolo organizzato è capace di esercitare il potere democraticamente. La giustizia e l'equaglianza che ne sono i principi di base permettono alla donna di mostrare che le società sbagliano a non accordarle fiducia sul piano politico come su quello economico. Così, la donna che esercita il potere a cui è giunta attraverso il popolo, è in grado di riabilitare tutte le donne condannate dalla storia".

Questo errore (non accordare fiducia nella vita politica) è ancora presente nel nostro mondo politico (basti pensare all'Italia) ed in Africa in particolare.
Al di là di alcune reggenze femminili (spesso dettate da elementi luttuosi e scarsamente incisive sul piano politico) in alcuni stati africani (Etiopia, Lesotho e Swaziland) ,la prima donna africana a diventare primo ministro è stata Elisabeth Domitien nella Repubblica Centroafricana (1975-76), seguita solo molti anni dopo da Sylvia Kinigi nel Burundi (1993-1994) e da Agathe Uwiligiymana in Ruanda (1993-1994).

In questo momento ( 7.2010) l'unica donna al potere in Africa è il Presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf, in carica dal 2006.

La strada intravista da Sankara è ancora molto, molto lontana.


mercoledì 14 luglio 2010

Verso l'Africa.....

Aereoporto Heathrow di Londra, 17 aprile 1993.

Nonostante il sole sia da poco emerso dal grigiore londinese e il decollo sia previsto solo nella tarda mattinata, la sala d'imbarco del Volo Charter Air2000 Londra-Banjul è già piena. Molti turisti in cerca di quella che ho sempre chiamato l'Africa comoda.... alberghi, buon cibo, qualche escursione non troppo impegnativa, un pò di finto folklore locale condito con danze e canti e qualche ragazzo o ragazza per non annoiarsi. Il tutto ovviamente a basso prezzo. Qualche espatriato di rientro e gli immancabili businessman. Uscendo dall'albergo, dove ho dormito, ho incrociato Dayal, un indiano che vive a Banjul da decenni e che viene regolarmente a Londra per i suoi affari e per incontrare i figli che studiano a Oxford. Abbiamo bevuto insieme un caffè, commentato la giornata e ci siamo dati appuntamento in volo.

Dalla borsa estraggo il mio libro, sulla cui prima pagina è impressa la data 1 aprile 1993. Fin da ragazzo ho avuto questa metodica mania (sicuramente comune a molti), di scrivere il mio nome e la data di acquisto su tutti i miei libri. Oggi mi capita di aprire qualche libro e trovare, ahimè, le date dei primi anni '70.
La quarta parte del libro, che inizia a pagina 158 e lo chiude, si intitola "Vita e morte di Thomas Sankara", leggo la citazione dall'Elogio del rivoluzionario di Brecht stampata sulla copertina di questo capitolo.... un donna non più giovane, vestita con un coloratissimo vestito giallo, marrone e verde si siede accanto a me.

Ecco saranno quelle ore a Londra che mi faranno scoprire Thomas Sankara.

La storia dell'Africa, ed in particolare il periodo post-coloniale e delle dichiarazioni di indipendenza dei paesi africani, non si studia nelle nostre scuole. Ai miei tempi sembrava che la storia dell'umanità si concludesse con la conferenza di Yalta e gli accordi di Bretton Woods.

Il libro che tenevo quel giorno tra le mani è un testo di Jean Ziegler dal titolo "La vittoria dei vinti - una speranza del terzo mondo" (scritto nel 1988, e pubblicato in Italia nel maggio 1992 dalle edizioni Sonda). E' un'analisi approfondita e cruda sul terzo mondo, ancora oggi attuale.

La storia di Sankara è singolare e il suo assassinio è stata una tragedia per l'Africa. Un uomo capace di trasformare profondamente il tessuto tradizionale ancestrale africano e allo stesso tempo di essere incisivo nei confronti dei potenti della terra. Capace di azioni che hanno trasformato un'intero Paese e di idee che hanno fatto sognare generazioni di uomini. Un uomo semplice che aveva intuito la forza del cambiamento culturale come elemento essenziale per lo sviluppo dell'Africa e che aveva saputo, per primo, cogliere la centralità delle donne per questo definitivo e profondo cambiamento.

Mi sono sempre chiesto come sarebbero stati il Burkina, e di conseguenza l'Africa, se Thomas Sankara non fosse stato abbattuto da una raffica di mitra nell'ottobre del 1987, decretando la fine di un sogno, forse di un'utopia, ma pur sempre di un modo diverso di usare il potere, di concepire l'amministrazione di un Paese, di credere nello sviluppo e nella crescita dell'intero continente africano.

Ricordo però con grande chiarezza quella mattina a Londra, quelle pagine lette quasi in apnea, come se il tempo di colpo si fosse fermato. Sento ancora l'urlo di Dayal... che mi gridava di correre perchè l'aereo stava partendo ed avevano già più volte invitato i passeggeri ad imbarcarsi...... verso l'Africa.


PS: Per chi avesse voglia di conosce altro su Thomas Sankara, oltre al citato libro di Ziegler (che consiglio), ho trovato molto interessante il piccolo testo, edito da manifestoLibri nel 1997 per la collana "Grandi Discorsi" e curato da Marinella Correggia intitolato "Il Presidente ribelle", dove è contenuto il discorso integrale all'ONU di Sankara quando propose ai paesi africani di non pagare il debito estero (per la cronaca questo libretto porta la data 7.12.1997). Interessanti anche i testi di Carlo Batà (L'Africa di Thomas Sankara, Edizioni Achab, 2003) , di Valentina Biletta (Una foglia, una storia. Vita di Thomas Sankara, Ediarco, 2005) e il romanzo di Vittorio Martinelli (La voce nel deserto, Zona, 2009).

Nel web, il sito in francese (e non solo) www.thomassankara.net.





Chi era Thomas Sankara?

Thomas Isidore Noel Sankara era nato a Yako nell'Alto Volta il 21 dicembre 1949. Iniziò la carriera militare a 17 anni (nel 1966) e fu formato come ufficiale dell'esercito in Madagascar (1971-72) divenenedo capitano. Durante la presidenza del colonnello Saye Zerbo, formò insieme ad altri giovani ufficiali una organizzazione segreta chiamata Regroupement des Officiers Communistes (ROC), cioè Gruppo degli Ufficiali Comunisti. Divenne Segretario di Stato nel 1981 e il 21 aprile 1982 - in opposizione alla deriva anti-labour del regime - rassegnò le dimissioni. Dopo un colpo di stato nel novembre 1982, che portò al potere Jean Baptiste Ouedraogo, Sankara divenne Primo Ministro. Venne presto destituito dal suo incarico e messo agli arresti domiciliari. L'arresto di Sankara e di altri suoi compagni causò una rivolta popolare, che sfociò in una e vera e propria rivoluzione guidata da egli stesso nel 1983. Divenne presidente dell'Alto Volta il 4 agosto 1983, il cui nome fu cambiato in Burkina Faso il 4 agosto 1984.
Burkina Faso significa "la terra degli uomini integri" nella lingua more e nella lingua bamanankan, parlate rispettivamente delle etnie mossi e dioula.

L'obiettivo di Sankara era la cancellazione del debito internazionale: cancellazione ottenibile soltanto se richiesta all'unìsono da tutte le nazioni africane. Non ebbe successo. Gli riuscì invece l'obiettivo di dare due pasti e 10 litri di acqua al giorno a ciascun abitante.

Sankara venne ucciso il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali, in un colpo di stato organizzato da un suo ex compagno d'armi (e poi suo braccio destro), l'attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Campaorè. Il complotto fu organizzato per consentire a Paesi fortemente industrializzati di poter continuare ad attingere, a costo bassissimo, alle risorse naturali del Burkina Faso e poter essere così altamente competitive sul Mercato Internazionale, così si disse. In realtà le idee di Sankara si stavano estendendo in tutto il continenete africano. Alla sua morte il Burkina Faso ripiombò nel dramma della povertà.

La sua politica rivoluzionaria si ispirò agli esempi di Cuba e del Ghana. Come Presidente, promosse la "Rivoluzione Democratica e Popolare". L'ideologia della rivoluzione venne da lui definita anti-imperialista nel suo Discorso di Orientamento Politico tenuto il 2 ottobre 1983.
Lottò contro la corruzione, promosse la riforestazione, l'accesso all'acqua potabile per tutti, e fece dell'educazione e della salute le priorità del suo governo.
In un discorso tenuto ad Addis Abeba in Etiopia, Sankara suggerì l'istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense.
Soppresse molti dei privilegi detenuti sia dai capi tribali, sia dai politici, e attraverso dichiarazioni e gesti molto chiari, applicò con grande coerenza le sue idee. Ad esempio:
° il suo governo incluse un grande numero di donne, condannò l'infibulazione e la poligamia, promosse la contraccezione. Fu il primo governo africano a dichiarare che l'AIDS era la più grande minaccia per l'Africa;

° fece costruire centri sanitari in ogni villaggio burkinabé (l’Unicef definì la campagna di vaccinazione effettuata sui bambini, la più grande registrata nel mondo) e cantieri per opere idrauliche, creando un Ministero dell’Acqua;

° Sankara e i suoi collaboratori viaggiavano sempre in classe economica e a ranghi ridotti nelle visite diplomatiche. Vendette la maggior parte delle Mercedes in forza al governo e proclamò l'economica Renault 5, l'automobile ufficiale dei ministri;

° volle realizzare la "ferrovia del Shael", una linea che collega Ouagadougou al confine con il Niger, nonostante molti economisti e la banca Mondiale non lo ritenessero un progetto redditizio. Tale opera, successivamente ampliata, costituisce tuttora la principale via di comunicazione del Paese;

° durante un suo discorso all'ONU il 4 ottobre 1984, avanzò la richiesta di sospensione di Israele e di espulsione del Sud Africa dalle Nazioni Unite.

Altri provvedimenti voluti da Sankara, furono malvisti dalle potenze imperialiste, in primis gli Stati Uniti, che cercarono in tutti i modi di destabilizzare il Burkina Faso fino ad aiutare i golpisti per farlo uccidere. I paesi occidentali contribuirono dunque a isolare il paese dal punto di vista economico, come fatto con Cuba o altri stati nemici accelerando la fine violenta della rivoluzione in Burkina Faso.







Il perchè di un nome......


Perchè Sancara? Semplice, ho preso in prestito, storpiandolo, il nome di Thomas Sankara, leader del Burkina Faso (allora Alto Volta), ucciso durante un golpe nel 1987, un idealista, per molti il Che Guevara d'Africa. Fin da bambino l'Africa mi ha affascinato, ricordo che sfogliavo il mio grande atlante (De Agostini, credo) e mi soffermavo ad osservare i contorni di quell'enorme continente, a seguirne i corsi dei giganteschi fiumi o le pianure desertiche. Sono cresciuto (un giorno senz'altro ritornerò sul mio amore infantile per l'Africa) e finalmente sono riuscito ad atterrare a Dar El Salam (la mia prima volta in Africa) e poco dopo a rimanerci per un paio di anni.
La storia di Thomas Sankara mi ha appassionato sin dalla prima volta, (anche su questo ritornerò) e per molto tempo Tommaso Sancara è stato un mio pseudonimo quando mi accingevo a scrivere cose poco gradite.