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venerdì 31 luglio 2015

Un occhio al Sudafrica

Sancara, per scelta, raramente pubblica scritti o opinioni di "altri" in tema di Africa. Lo fa perchè si tratta, pur sempre, di un blog personale e, soprattutto, perchè altre e molto più autorevoli soggetti (African Voices, in testa) riescono a convogliare e rendere disponibili scritti, opinioni, post, articoli, ricerche e altro che attengono al continente africano.

una delle foto di Giuseppe Origo
Questa volta però faccio, con piacere, una piccola eccezione. Attraverso una segnalazione mi è arrivato il link al post della piattaforma (definizione alquanto arbitraria) REVOLART, la quale si occupa, in senso molto generico, di arte e cultura. 

Il post in questione "La mia ALTRA Africa" , scritto da uno dei redattori di Revolart, Giuseppe Origo, e corredato di alcune belle immagini, è un'impressione su Johannesburg, interessante e stimolante. Insomma un modo per "dare un'occhiata da dentro" ad una società in grande cambiamento che offre interessanti opportunità, alcune lacune intollerabili ed una fragilità elevata.

Un'idea dell'Africa ma anche uno sguardo ad un'iniziativa, quella di Revolart, da seguire con attenzione e curiosità.

Sulle impressioni del "nuovo Sudafrica" vi rimando anche al post sul libro di Franco Arato "I turbamenti della nazione arcobaleno", edito da Il Canneto nel 2013.

domenica 24 maggio 2015

Libri sull'Africa: L'impostore

L'impostore è un libro del sudafricano Damon Galgut, scritto nel 2008, e pubblicato in Italia da Guanda nel 2009. E' un testo che si legge in modo decisamente scorrevole, sebbene non costituisca la miglior cosa scritta ad Galgut. Il libro resta fino alla fine in un sospeso di ottime intuizioni senza mai decollare nel modo più pieno che il lettore si aspetta.

Il romanzo, che a tratti può sembrare un thriller, ambientato nel Sudafrica post-apartheid, gioca ogni suo elemento nei contrasti, a partire da quello del colore della pelle dei protagonisti, passando tra quello degli ambienti e fino a quello tra legalità e illegalità, tra verità e menzogna. Una menzogna che accompagna, come appunto nel titolo, ogni personaggio, che non è mai veramente quello che dichiara o sembra essere.
E' anche un viaggio nel Sudafrica moderno, tra affari e corruzione, tra segreti e dissapori antichi. 
Ma forse, la giusta chiave di lettura è proprio in un'apparente realtà , che non è mai così come si pensa, probabilmente come il Sudafrica di oggi, che vive ancora nella sua pienezza le contraddizioni e i limiti di una storia che non vuole, e forse non può, essere dimenticata.

E' interessante notare alcune scelte, forse non felicissime, sulla traduzione in italiano. Dal nome della protagonista femminile Baby, che diviene Bimba in italiano e soprattutto del protagonista il cui nomignolo Nappy, viene tradotto in un improbabile Pannolino!


Damon Galgut, sudafricano bianco di Pretoria, è nato nel 1963 ed appartiene alla generazione di scrittori emersa dopo la fine dell'apartheid (il suo esordio letterario è negli anni '80, ma il suo successo è datato 1991). Il suo libro più noto è sicuramente Il buon dottore, pubblicato nel 2003 e scritto quasi interamente a Goa in India. Scrive anche per il teatro.

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giovedì 30 ottobre 2014

Libri: Luglio


Luglio e' un piccolo (ma intenso) romanzo scritto nel 1981 da Nadine Gordimer (con il titolo July's People), la scrittrice sudafricana bianca, premio Nobel per la Letteratura nel 1991, scomparsa recentemente. In questo libro (pubblicato da Rizzoli nel 1984, e poi da Feltrinelli nel 1991), la Gordimer immagina un futuro ipotetico (quando lo scrive in Sudafrica vigeva il sistema dell'apartheid, era ancora fresca la ferita dei fatti avvenuti a Soweto nel 1976 e Nelson Mandela era in carcere), ma non così impossibile, in cui una famiglia di ricchi bianchi (gli Smales, una coppia con tre figli) è costretta a fuggire allo scoppiare di gravi disordini sociali (ovvero la presa di potere, violenta, dei neri in Sudafrica). Disperati, accettano l'invito del loro servitore nero, Luglio, di rifugiarsi nel suo villaggio natale.

Comincia così una lenta e progressiva trasformazione, descritta con meravigliosa maestria (da non confondere però con un modo superficiale e trascinante di affrontare il problema, che non appartiene allo stile della Gordimer) dalla scrittrice sudafricana, delle abitudini, dei ruoli e delle convenzioni che fino a quel momento hanno accompagnato la vita dei protagonisti. 

Attraverso il romanzo a quel tempo si cercava di ipotizzare un possibile ruolo dei bianchi in un paese guidato dalla maggioranza nera. Le ipotesi più pessimistiche prevedevano la fuga di massa dei bianchi sudafricani (la realtà come sappiamo, grazie ad un uomo straordinario come Nelson Mandela, ha intrapreso una strada, difficile, ma decisamente di altissimo valore: quella della convivenza). Nadine Gordimer esplora, immaginandolo, questo interregno tra il vecchio e il nuovo.

Un libro da leggere, oltre che per apprezzarne lo stile letterario, come opera dal valore storico, simbolico e sotto alcuni versi evocativa, capace di mettere in relazione un drammatico passato con un presente di speranza.

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giovedì 14 agosto 2014

Rinoceronti volanti



Le immagini della fotografa sudafricana Emma Gatland fecero già il giro del mondo qualche anno fa, pubblicate sul National Geographic. Esse documentavano, con grande bellezza, il trasferimento di alcuni rinoceronti  bianchi Sudafricani verso luoghi ritenuti più sicuri. Erano immagini stupende e allo stesso tempo tristi, tremendamente tristi. Le autorità sudafricane decretavano la sconfitta contro i trafficanti, contro quei bracconieri, che non esitavano a uccide animali a rischio estinzione per venderne i corni nei mercati asiatici.

Oggi la situazione appare ancora più grave. Il Ministro sudafricano dell'Ambiente, Edna Molewa, ha annunciato che i rinoceronti del Parco Kruger (l'ultima stima conta tra gli 8.400 e i 9.600 capi) saranno evacuati verso altre riserve in Sudafrica o all'estero.

Il motivo è sempre lo stesso: nei primi sei mesi del 2014 sono stati uccisi 618 rinoceronti in Sudafrica (370 nel Kruger). I tentativi di arginare il fenomeno sono stati inutili. 

La decisione segna probabilmente la definitiva sconfitta delle autorità sudafricane (ma, siamo onesti, più in generale del genere umano) a bloccare un fenomeno frutto dell'avidità, della follia e della stupidità umana.
Della stupidità perché oggi il maggiori mercati dei corni di rinoceronte sono la Cina e il Vietnam, che attribuiscono ai corni poteri curativi (e miracolosi) che nessuno è ancora riuscito a dimostrare. I suoi supposti poteri miracolosi antitumorali attraggono acquirenti disposti a tutto pur di non cedere al cancro.
E i bracconieri non esitano a amputare i corni (che sono di cheratina) dei rinoceronti lasciandoli agonizzanti e indifesi a morire.
Il business del corni (assieme a quello dell'avorio e delle pelli) è orami in mano ad organizzazioni criminali che agiscono con mezzi e strutture che perfino gli apparati statali faticano a contrastare.

Questi criminali stanno distruggendo un patrimonio che appartiene a tutti noi, e che tra breve nessuno più potrà restituirci, spesso tra l'indifferenza dei paesi dove i commerci avvengono.

Il rinoceronte bianco (in realtà poco distinguibile dal suo gemello nero) è stato salvato dall'estinzione grazie ad alcuni progetti di "ripopolazione" (soprattutto in Namibia e Sudafrica) che hanno fatto ottimi risultati.
Il rinoceronte nero invece è una specie a rischio critico di estinzione (quello che popolava l'Africa Occidentale è già ritenuto estinto).

Non vi preoccupate: il trasferimento in elicottero, legati per le zampe (e con una sedazione) nonostante possa apparire "cruenta" è ritenuta dai veterinari il miglior modo per trasferire questi animali (il viaggio in camion sarebbe molto lungo e affaticante per gli animali). Gli esperti giurano che ai rinoceronti all'arrivo resta solo un po' di mal di testa e di vertigini!

Vi invito a visitare e seguire il sito Traffic, che segue i commerci illegali di animali (o parti di essi) nel mondo

Ecco le foto di Em Gatland dal suo sito (questa invece è la sua pagina Facebook)

martedì 15 luglio 2014

Nadine Gordimer (1923-2014)

Ieri, nella sua casa a Johannesburg, città dove era nata oltre 90 anni fa, è morta quella che unanimamente è ritenuta la più importante scrittrice sudafricana, Nadine Gordimer. In un'intervista a Repubblica aveva, in occasione dell'uscita del suo ultimo romanzo, dichiarato di essere malata di cancro al pancreas.

Nadine Gordimer, figlia di immigrati ebrei (padre lettone, madre londinese) è stata sicuramente un'autentica "africana bianca". Ha speso la sua intera vita a denunciare, con i suoi scritti e le sue azioni, il regime di segregazione razziale in Sudafrica, che fin dai tempi dei suoi studi universitari (mai conclusi) l'aveva fatta indignare.
Era entrata in contatto con l'African National Congress (ANC) di Nelson Mandela, dove si era iscritta quando il partito era clandestino, e con Mandela, che aveva conosciuto nel 1964. A Mandela è rimasta legata da amicizia e rispetto fino alla sua morte, quando aveva scritto " Noi sudafricani siamo fortunati ad averlo avuto con noi. Perché se dovessi provare a spiegare tutto quello che ho avuto da lui, io che sono fra le persone che hanno avuto l'onore di conoscerlo di persona, credo che non ci riuscirei. Madiba era un democratico naturale, una cosa piuttosto inusuale in Africa. In un continente che ha lottato per decenni per liberarsi dalla dominazione straniera e raggiungere la libertà, è raro trovare qualcuno che non basi la sua azione sull'odio o il risentimento".

La Gordimer è stata sicuramente una voce critica e pungente contro il regime dell'apartheid (tanto da dover lasciare il paese) ma, allo stesso tempo non ha risparmiato critiche anche aspre alla gestione del Paese e del Partito del dopo Mandela, accusando, a ragione, la classe dirigente dell'ANC di aver tradito lo spirito e l'impegno del Madiba.

Ma, la Gordimer, Premio Nobel per la Letteratura nel 1991 (una dei quattro africani a riceverlo), ha lottato una vita contro le ingiustizie e le miserie africane. Ha sempre sostenuto le cause della lotta all'AIDS e dei diritti umani, come elemento indivisibile dell'eliminazione della segregazione razziale e come pilastro dello sviluppo e delll'emancipazione sociale. Con la stessa tenacia e con uguale impegno ha lottato contro la sua malattia.

Con lei, esce di scena un'altra anima nobile africana. Una donna capace di raccontare, con una scrittura bella ed elegante, un mondo per alcuni distante mille miglia e di renderlo comprensibile e chiaro. Come molti le letture della Gordimer hanno accompagnato la mia crescita e contribuito a far radicare l'indignazione verso ogni forma di razzismo e l'amore per l'Africa.

Grazie Nadine (mi permetto questa piccola confidenza) per tutto quello che hai insegnato a me e a molti altri. Mi auguro che i miei figli quando cresceranno, guardando un intero scaffale dei tuoi libri nella nostra libreria, possano amarti come ho fatto io. Buon viaggio e ancora grazie.

La signora Gordimer era molto legata all'Italia (sia perchè Giangiacomo Feltrinelli aveva da subito pubblicato tutte le sue opere) sia perchè una sua figlia vive in Piemonte.

Ecco la sua bibliografia dal sito della Feltrinelli

venerdì 24 gennaio 2014

Kimberley: un buco nella terra

Oggi a Kimberley, citta' del Sudafrica, è possibile osservare quello che universalmente è conosciuto come il Big Hole (il grande buco), la più grande miniera diamantifera, scavata a mano, del mondo. A Kimberley di fatto cominciò, a fine 1800, la storia, a tratti tragica e drammatica, dei diamanti.
Nel 1866 sul fiume Orange fu trovato un diamante di 21,25 carati (oltre 4 grammi). Nel 1871 sulla collina di Colesberg Kopje, quella del grande buco appunto, fu trovato una diamante di 83,50 carati (quasi 17 grammi!). Si incominciò a scavare dando inizio a quella che è comunemente chiamata la corsa ai diamanti. Nel giro di poco tempo non solo la collina sparì, ma 50.000 minatori, scavarono a mano fino a 215 metri di profondità. Quando il 14 agosto 1914 la miniera (diventata anti-economica con la prima guerra mondiale) fu chiusa, erano stati rimossi, a mano, 22,5 milioni di tonnellate di terra e, cosa molto più importante, erano stati estratti 2.722 chilogrammi di diamanti! (circa 14,5 milioni di carati).

Dopo la guerra si tentò di riaprirla, ma l'impresa risultò impossibile. Oggi 41 metri di acqua ricoprono il grande buco. Dal 2006 la miniera è diventata un'attrazione turistica.
Il Big Hole è candidato a diventare Patrimonio dell'Umanità UNESCO.

A beneficiare dell'enorme ricchezza non furono naturalmente i minatori o i sudafricani, ma un signore di nome Cecil Rhodes, un imprenditore inglese giunto in gioventù in Sudafrica, che dopo aver iniziato a vendere pompe idrauliche ai minatori, acquistò le miniere nel 1888, creando il più grande colosso mai esistito di estrazione di diamanti: la De Beers.
Quando nel 1902 Rhodes morì, la De Beers controllava il 100% del mercato dei diamanti sudafricani e il 90% di quello mondiale.
La morte di Rhodes fece emergere un nuovo personaggio, il giovane (aveva 22 anni all'epoca) Ernest Oppenheimer, ebreo tedesco, che sfruttando la
scoperta di un nuovo filone diamantifero il Premier Mine (non controllato dalla De Beers), divenne il nuovo "padrone dei diamanti", tanto che nel 1927 diventerà il proprietario della De Beers (ancora oggi l'azienda è controllata dai suoi discendenti).

Kimberley fu il primo nucleo di industrializzazione del Sudafrica. Attorno alla miniera cresceva la città che, a volte suo malgrado, era contesa (durante le guerre boere) e fonte di tensioni. Nel 1882 Kimberley ebbe il primato di essere la prima città dell'emisfero sud le cui strade erano elettricamente illuminate. Nel 1885 fu completata la ferrovia che portava a Capo Town, mentre nel 1913 fu inaugurato l'aeroporto.
Kimberley a fine '800, foto da Wikipedia

Nel 2000 Kimberley ospitò le trattative per quello che è conosciuto come Kimberley Process, un accordo che impegna stati, comunità internazionale e l'industria diamantifera ad una lotta contro l'uso di diamanti estratti e venduti illegalmente finalizzati a pagare guerre e gruppi guerriglieri.

I diamanti che hanno reso più belli gioielli e donne, hanno anche creato (e continuano a farlo) enormi danni sui lavoratori e su popolazioni inermi (vedi questo post di Sancara intitolato Un diamante è per sempre).

Ecco il sito del Big Hole, con notizie, immagini e storia

lunedì 23 dicembre 2013

Cinema: Venere Nera

Nel 2010 il regista tunisino, naturalizzato francese, Abdellatif Kechiche, presenta alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, il film Venere Nera. Un film basato sulla storia vera di Saartjie Baartman, una giovane khoi khoi (ottentotta) sudafricana, che agli inizi del 1800 viene portata in Europa come mostro da baraccone.
E' un film duro, toccante e intenso che talora colpisce allo stomaco e lascia senza fiato.

Quella della giovane Saartijie (nel film è interpretata dall'attrice cubana Yahima Torres) è una storia che racchiude in se la cattiveria umana, lo sprezzo verso il diverso e il goffo tentativo di un certo mondo scientifico di voler spiegare, attraverso assurde teorie, le differenze (quando non le superiorità) umane.

Il film racconta molto fedelmente la storia di questa piccola donna (era alta un metro e 35), senza nome, che dopo esser rimasta orfana, era stata presa come schiava dalla famiglia Bartman, una famiglia boera di coltivatori vicino a Città del Capo. Nel 1810, il fratello del padrone, riuscì a convincerlo che portare Saartijie (così ribattezzata, "piccola Sara") in Europa ad esibirsi nelle fiere, avrebbe fruttato molto denaro. 

Prima a Londra e poi a Parigi (quando fu venduta ad una addestratore di animali) Saartijie fu esposta, legata ad una catena, come mostro da baraccone. Ad attrarre il pubblico erano e le sue natiche molto pronunciate e enormi grandi labbra (caratteristiche tipiche, sebbene nel suo caso molto accentuate, all'etnia boscimana).
Inutile sottolineare come queste caratteristiche anatomiche stuzzicavano morbosamente gli Europei e soprattutto alcuni ambienti. In particolare  a Parigi ella affascinò, per diverse ragioni, sia le ricche e libertine corti parigine, sia il mondo scientifico. In particolare, il naturalista Georges Cuvier, dell'Accademia Reale di Medicina di Parigi, tentò di dimostrare che "la donna negra" costituiva l'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, giustificando in questo modo l'inferiorità dei neri e la superiorità della razza bianca.


Gli ultimi anni di vita di Saartijie furono una vera discesa negli inferi. Dopo essere stata ammirata da ogni angolo, fu abbandonata da tutti. Malata (sicuramente di tubercolosi e sifilide), dipendente dall'alcol, senza più ritegno e costretta alla prostituzione, morì a Parigi a soli 26 anni (era il 1815) , dopo soli 5 anni di permanenza in Europa.

Alla sua morte ella continuò ad essere oggetto di morbose attenzioni. La sua vagina fu conservata in formalina (usata per dimostrare assurde teorie, come si vede nelle scene iniziali del film), come il suo cervello, il suo scheletro e un calco in gesso ricavato dal suo corpo.

Il film, finisce così, non raccontando l'epilogo di questa assurda storia.

la restituzione dei resti di Saartjie
I macabri resti di Saartijie furono esposti al Museo dell'Uomo di Parigi fino al 1974, quando alcune associazioni di femministe, costrinsero a sospendere questa esposizione. I "cimeli" furono gettati in un magazzino e li restarono, fino a quando nel 1994 Nelson Mandela, da poco Presidente del Sudafrica, chiese ufficialmente alla Francia la restituzione dei resti della giovane boscimana. La battaglia legale durò fino al 2002, quando in una giornata di agosto, i resti della Signora (come Mandela insistette nel chiamare Saartjie) Bartman furono sepolti, con un funerale di Stato, sulla collina di Hankey, protetti da una alta cancellata (a sottolineare che nessuno avrebbe più osservato la giovane da vicino).

A suo nome è stato creato il Saartjie Bartman Centre, che si occupa della violenza sulle donne e sui bambini.

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martedì 10 dicembre 2013

Brenda Fassie, la madonna delle township

Brenda Nokuzola Fassie è stata una cantante sudafricana, nata nel 1964 e morta nel 2004.  La madre le diede il nome di Brenda in onore della cantatante pop-country americana Brenda Lee. Nota anche con il nomignolo MaBrrr o come la "madonna delle towhship".
Nata appunto nella township Lamga di Città del Capo (che nel Sudafrica dell'apartheid significava un'area metropolitana abitata dai non-bianchi), iniziò a cantare a 4 anni accompagnata dalla madre Sarah, una pianista dilettante. A 16 anni fu notata dal produttore Koloi Lebona che la porta con se a Johannesburg, dove inizia a cantare in un trio vocale. Nel 1983 incise il suo primo singolo e a 19 anni, dopo aver formato il suo primo gruppo Brenda and the Dudes, partì per la sua prima tournè in Europa, Stati Uniti e Australia. Nel 1989 incise anche il suo primo album (Too Late for Mama). Diventò, grazie ai suoi brani, un simbolo della lotta contro l'apartheid, ma negli anni '90, una serie di vicende sconvolsero la sua vita. Il divorzio dal marito Nhlanhale Mbambo nel 1991 (sposato nel 1989), pare per violenze domestiche, la morte della madre, l'uso massiccio di cocaina e alcol e la morte per overdose della compagna Poppie la condussero ad una strada senza ritorno.


Riescì ad entrare nel 1995 in una struttura riabilitativa per tossicodipendenti e nel 1996 ritornò alla musica grazie alla collaborazione con il musicista zairese Papa Wemba. In breve diventò un idolo musicale in Sudafrica (un suo bravo venne scelto per la campagna elettorale dell'ANC nel 1999). 
Il suo genere musicale, un misto tra hip hop, kwaito e dance assieme ad elementi della tradizione musicale africana, le permisero di incidere per ben quattro anni consecutivi, il disco più venduto in Sudafrica.

Il 25 aprile 2004 Brenda venne ricoverata in ospedale a causa di quello che sembrava un grave attacco d'asma che la portò ad un arresto cardiaco. Morì il 9 maggio 2004 senza mai riprendere conoscenza.
L'autopsia rivelò una sieropositività all'HIV e una forte assunzione di cocaina, probabilmente tagliata con topicida.
Ai suoi funerali parteciparono il presidente sudafricano Thabo Mbeki e Nelson Mandela che l'aveva sempre molto apprezzata.

Ha lasciato sette album incisi tra il 1989 e il 2004 e un figlio che aveva 19 anni al momento della sua morte.

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venerdì 6 dicembre 2013

Nelson Mandela (1918-2013)


Nelson Mandela è stato un grande Uomo. Gli attestati di stima e il dolore per la sua scomparsa si susseguono di minuto in minuto, in ogni angolo del pianeta. Non solo le formali dichiarazioni delle cancellerie e dei governi del pianeta (alcuni forse colpevolmente in ritardo con la storia) ma, e soprattutto, di milioni di cittadini del mondo, che si sono sentiti in dovere di omaggiare il Madiba.

Mandela ha dedicato, e sacrificato, la propria vita per una causa. Lo ha fatto nel modo più totale. Sulla sua storia, sul suo impegno giovanile, sui 27 anni trascorsi in carcere, senza peraltro aver commesso un solo reato,  è stato scritto e saranno scritti fiumi di parole. E' vero, i primi settanta anni della vita di Mandela sono stati intensi e straordinari. Il suo carisma cresceva di giorno in giorno (grazie, bisogna dirlo, anche a tanti amici che tenevano accesa la fiamma della sua lotta) e per le autorità razziste sudafricane è stato impossibile spegnerlo. 

Ma, forse ancor più intensi sono stati gli ultimi vent'anni di Nelson Mandela. Quando, una volta liberato nel 1990 e una volta giunto alla Presidenza (1994), ha saputo tenere unito, e in pace, un paese che, siamo onesti, rischiava di trasformarsi in una carneficina. Ha saputo - e questo è stato un suo vero capolavoro - evitare le vendette e far decollare quel processo, ancora in corso, di un grande paese africano multietnico. Ha saputo contenere lo spirito di rivalsa (anche qui dobbiamo essere onesti, assolutamente legittimo) e incanalare le energie compresse da decenni in una strada di sviluppo e di crescita.

Ha saputo non farsi prendere dalla brama di potere. Finito il suo mandato presidenziale, si è fatto da parte, tra lo stupore e perfino le critiche di molti. Ad ottanta anni ha capito - e questo ne fa un politico quasi unico - che altri dovevano fare, che il suo tempo era finito e che dopo aver sacrificato la sua vita per una causa, che dopo aver vinto, era giunto il tempo di riposarsi.

Certo come tutti gli uomini Nelson avrà fatto i suoi errori, avrà commesso qualche ingenuità o si sarà fidato di chi non lo meritava. Gli storici, nell'approfondire la biografia di quest'uomo, sapranno guidarci tra le mille sfumature di un periodo storico e di una vicenda umana complessa e non sempre limpida.

Certo per il Sudafrica la strada è ancora lunga, la morte di Mandela porrà anche seri problemi all'interno del suo African National Congress (ANC), oramai da tempo in un ciclone di scandali e corruzione, tenuti per ora a freno solo dalla presenza, recentemente solo carismatica, del grande vecchio.

Nelson Mandela ha avuto la forza, la tenacia, la grandezza, il privilegio e perfino la fortuna, si sopravvivere alla propria storia, di riuscire a vedere il frutto, forse ancora acerbo, della sua lotta e del suo sacrificio. Ha avuto il piacere di veder crescere, da osservatore, la propria nazione con quella che egli considerava la sua maggiore ricchezza: il suo popolo. Altri, non solo sono stati eliminati prima, ma spesso non vedranno mai realizzati i sogni e le idee per cui hanno sacrificato la propria vita.

mercoledì 23 ottobre 2013

Hugh Masekela, un virtuoso della tromba

Hugh Ramopolo Masekela è un trombettista jazz sudafricano, nato nel 1939 nella città di Witbank. Il suo contributo all'evoluzione del jazz è stato determinante, avendo collaborato con i maggiori musicisti del jazz moderno.
Inizia a suonare il piano da bambino, ma la svolta avviene a 14 anni, quando dopo aver visto un film dedicato a Bix Beiderbecke, decide si passare alla tromba. La prima gli viene donata dall'arcivescovo Trevor Huddleston e anche grazie a lui pochi anni dopo forma la sua prima band chiamata Father Huddleston Band (con cui nel 1956 incide il primo album).
Ascolta la musica jazz dal grammofono e ne diviene un vero e proprio esperto riconoscendone dettagli e sfumature tecniche. Nel 1956 si aggrega all'African Jazz Revue di Alfred Herbert e suona con i Manhattan Brothers di Nathan Mdledle. Lavora anche in tournè con Miriam Makeba e nel 1959 con Dollar Brand.
Come tutta una generazione di musicisti neri sudafricani, dopo il massacro di Sheperville del marzo 1960 e a seguito delle ulteriori leggi razziali, è costretto a alasciare il paese e si rifugia a Londra. Poco dopo, grazie all'intervento di Miriam Makeba, Herry Bellafonte e Dizzy Gillespie riesce a trasferirsi a New York, dove incontra il suo mito, Louis Armstrong.
La collaborazione musicale, e non solo, con Miriam Makeba lo portano ad incidere con lei ed arrangiare molti dei suoi pezzi contribuendo alla sua notorietà internazionale. I due si sposano anche nel 1964 (per separarsi solo due anni dopo, sebbene la collaborazione tra loro non sarà mai interrotta).
La carriera di Hugh prosegue negli Stati Uniti (dove collabora con i gruppi rock emergenti ed in particolare con i The Byrds e con Bob Marley), poi agli inizi degli anni '70 in Ghana prima e in Nigeria dopo, dove incontra e suona con Fela Kuti e Manu Dibango.

Nel 1981 si trasferisce in Botswana, dove fonda la Botswana International School of Music. Poi è ancora in Inghilterra dove è in tour con Paul Simon e con i Ladysmith Black Mambazo.
Solo nel 1990, a seguito della liberazione di Nelson Mandela, torna, dopo 30 anni di esilio in Sudafrica, dove nel 1991 effettua il suo prima tour ormai da musicista affermato e molto seguito.



Da allora non si contano le collaborazioni e le incisioni.

Oggi, ad oltre 70 anni di età, si può affermare senza dubbio che Mesekela sia uno dei musicisti africani più noti e più apprezzati (nel 2004 ha pubblicato anche un'autobiografia). Le sue collaborazioni internazionali (nella sua carriera vi sono anche partecipazioni a musical, documentari e film) portano il suo stile sonoro che è sinonimo di qualità e raffinatezza.

Ecco il suo sito ufficiale
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martedì 8 ottobre 2013

Libri: I turbamenti della nazione arcobaleno

I turbamenti della nazione arcobaleno è un libro, scritto da Franco Arato e pubblicato da Il Canneto Editore nel 2013, che si presenta così come sottolineato dal suo sottotitolo: un diario sudafricano. Si tratta però, come lo stesso autore precisa, non di una guida turistica (sebbene l'uso per il turista è ampiamente da consigliare), ma di note, appunti e riflessioni di chi ha vissuto, lavorando come docente Universitario a Johannesburg, nella nazione arcobaleno.
L'autore ci conduce in un interessantissimo viaggio tra le contraddizioni del nuovo Sudafrica, quello emerso dalla lunga e dolorosa storia del regime razziale, e che, nonostante gli sforzi stenta a superare vecchie e radicate abitudini. Quel paese che la scrittrice novantenne, forse la più conosciuta del paese, Nadine Gordimer definisce come un "paese adolescente". Arato ci guida, con uno sguardo attento alle sfumature, attraverso i luoghi simbolo delle tensioni del paese, come le township di Soweto e di Alexandra. 
Lo fa attraverso la ricerca dei particolari e delle sensazioni, sempre ben amalgamate con interessanti e puntuali riferimenti letterari e cinematografici.
Ma, il suo viaggio non si esaurisce nelle città e nei ghetti sudafricani, dove forse più evidenti sono i turbamenti, ma percorre strade curiose, e forse meno conosciute, come quelle dell'arte magica delle sangoma, che resistono con tenacia alla modernità o come quelle del Market Theatre, palcoscenico della musica e del teatro sudafricano e al tempo stesso  luogo di formazione di nuove e interessanti generazioni musicali.
Il libro di Arato si chiude (alla fine anche una ricchissima bibliografia) con i luoghi della natura, spettacolare a questa latitudine, da quelli più propriamente turistici come il Parco Kruger a quelli meno noti ma, piu' "cocciutamente sudafricani" come la regione del Karoo.

Il pregio del lavoro di Arato, acuto e competente osservatore, è quello di scoprire, in un'unico quadro d'insieme, tutti i nervi della complessa situazione sudafricana. Quei turbamenti, quando non vere e proprie tensioni, anche politiche (interessante in quadro del giovane leader Julius Malema) che ancora inquietano, molto, e di contro le enormi potenzialità e la ricchezza di questa nazione, che come sottolineava Nelson Mandela, sta nel suo popolo. 

La sintesi del lavoro di Franco Arato è ben rappresentato da questo passaggio del suo libro: "Certamente è gia' nata una generazione di persone che sono, colour-blind, cieche ai colori, per le quali cioè il colore (della pelle) non esiste più. Ma quella generazione non ha ancora in mano le redini del paese, nè si sa quando mai le avrà".

Ecco, l'imprevedibile futuro del Sudafrica è nella sua gente, in quell'arcobaleno che ancora stenta a splendere come insieme.

Franco Arato, genovese, nato nel 1960, è professore di Letteratura all'Università di Torino e dal 2009 al 2012 ha insegnato all'Università di Wits a Johannesburg.

Ecco il sito della casa editrice Il Canneto Editore, di Genova.

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giovedì 18 luglio 2013

Mandela Day, per sempre

Nelson Mandela, che da tempo combatte la sua ultima battaglia con la vita, compie oggi 95 anni. Avevamo già detto che questa soglia rappresenta un fatto straordinario per un uomo, ancora di più per un africano e infine, quasi un miracolo, per uno che ha trascorso quasi 30 anni in carcere.

La la vita di Nelson Mandela è un susseguirsi di sfide, faticosamente vinte, le quali rappresentano, per tutti, un esempio da seguire, per sempre.

Allora Nelson Mandela è uno dei pochi uomini che hanno solcato la nostra terra che ha l'onore (e l'onere) di essere celebrato in vita. Nel giugno 2008 si decise (fu l'UNESCO a farlo su pressione del mondo degli intellettuali e non solo) di celebrare ogni ricorrenza del compleanno di Nelson, come il "Mandela Day", un giorno dedicato alla "lotta  per un mondo più giusto" e nel "ricordo del lavoro e dell'eredità spirituale" di quest'uomo non comune.  La prima giornata si celebrò il 18 luglio 2008, in occasione dei 90 anni di Mandela.
Una lotta che ha accompagnato l'intera vita di Nelson Mandela, rendendolo un esempio e un eroe del nostro mondo.
La sua lotta per un mondo migliore è durata 67 anni, ed è per questo lo slogan di questa giornata è "offri 67 minuti del tuo tempo agli altri, al mondo, al bene comune".

Auguri per il Suo compleanno Mister Mandela, io, come tanti piccoli uomini di questo mondo, sono cresciuto ammirando la Sua forza, la Sua determinazione e il Suo coraggio. Ho pianto dal dolore quando le cose andavano male e ho pianto di gioia quando il Suo sacrificio di una vita è stato premiato. Non credo in Dio, quindi non pregherò per Lei per questa ultima sfida della Sua vita, ma a Lei dedicherò molti pensieri della mia giornata. Sono sicuro che tutta la Sua vita, anche le ultime ore, saranno per sempre un esempio e un monito per la nostra Umanità.


Ecco il sito ufficiale del Mandela Day

venerdì 5 luglio 2013

Un ciclista africano in testa al Tour de France


Oggi la Gazzetta dello Sport dedica un'intera pagina ad una storica notizia: un ciclista proveniente dal continente nero, per la prima volta nella storia, guida la classifica generale della più importante delle gare a tappe del mondo: il Tour de France.
Si tratta di un ragazzo bianco sudafricano, nato a Johannesburg nel 1984, che corre per una squadra australiana, la Orica Greenedge. Daryl Impey, ha avuto una carriera complicata da infortuni e problemi, che ha sempresuperato con grande forza.

L'articolo della Gazzetta ripercorre, tra notizia e colore,la storia del ciclismo africano. Una storia giovane e povera, con episodi che si confondono tra sport e folklore.Vi rimando al quotidiano sportivo per l'articolo. Mi preme invece riportare una frase di Daryl, con cui ha chiuso l'intervista.

Ecco cosa dice: "C'è un corridore infinitamente più celebre di me. E' Nelson Mandela. Ha compiuto imprese, fatto miracoli. Ha lottato, combattuto, resistito. Ha scritto la storia, ci ha regalato la vita. Gli siamo eterni debitori".

Un omaggio, genuino e sincero, all'uomo la cui vita in queste ore si sta spegnendo, per consegnarlo per sempre alla storia.

mercoledì 19 giugno 2013

Mongezi Feza, una tromba dal Sudafrica

Mongezi Feza è stato una stella della musica jazz mondiale che ha brillato troppo poco per essere apprezzata e ricordata da tutti. Nato nei ghetti neri del Sudafrica (esattamente a Queentown) nel 1945 è cresciuto suonando, sin dall'età di 8 anni, la tromba e aggregandosi poi a gruppi sudafricani di musica kwele. Cresce, suo malgrado, anche durante gli anni dell'apartheid. Nel 1962, durante il Johannesburg Jazz Festival viene notato dal pianista bianco Chris McGregor (figlio di emigrati scozzesi) che lo fa entrare nel gruppo The Blues Note (gruppo che coniuga le sonorità della musica nazionale sudafricana con il jazz). Dopo i primi successi a causa delle leggi razziali, che impedivano a bianchi e neri di suonare insieme, il gruppo è costretto alla clandestinità e infine ad emigrare. Nel 1964 infatti il gruppo si trasferì prima in Francia, poi in Svizzera, poi in Danimarca e infine in Inghilterra. L'arrivo in Inghilterra dei musicisti sudafricani fu un fatto straordinario per il jazz londinese, come ha avuto modo di ricordare Robert Wyatt in un'intervista pubblicata su Musica Jazz. Nel 1969, quando il gruppo si scioglie, Mongs (come è soprannominato amichevolmente Feza) segue McGregor nella banda The Brotherhood of Breath (fino allo sciogliemento che avverrà nel 1974). La sonorità di Feza, aggressiva e energica, assieme alla sua serietà professionale lo fanno apprezzare in vari ambienti non solo del jazz, come quello del rock progressivo e sperimentale e dell'afro rock.
Collabora con numerosi musicisti come Robert Wyatt (suo fraterno amico e batteria e voce dei Soft Machine), Keith Tippett, Gary Windo e Henry Cow e incide con molti gruppi come gli Assagai, i Centipede, gli Isipinge e i Xaba (quest'ultimo un trio da lui diretto). In tutti le incisioni (molte delle quali postume) si evidenzia "la voce" della sua tromba (che spazia da elementi tipici del free jazz a quelli di un jazz più caldo) con assoli straordinariamente veloci. A tutti gli effetti a quel tempo Feza rappresenta l'avanguardia del jazz.



Nel dicembre 1975 Feza venne ricoverato a Londra per un forte esaurimento nervoso. Morirà il 14 dicembre 1975, a soli 30 anni, a causa delle complicanze di una polmonite, per molti mal curata. Il suo comportamento l'aveva fatto ricoverare in una celle di sicurezza, dove, secondo gli amici, la sua malattia fu sottovalutata ed ignorata.

Tra i pezzi scritti da Feza vi è la stupenda Sonia.

Quello dell'arrivo, a cavallo degli anni 60 e anni 70, dei musicisti sudafricani a Londra, è un capitolo molto interessante (e relativamente poco raccontato) della storia del Jazz. Gli esuli sudafricani (musicisti bianchi e neri che fuggivano dalle imposizioni razziali sudafricane che impedivano agli stessi di suonare insieme) portarono uno "scatto di vitalità e innovazione" nell'ambiente jazzistico londinese. La contaminazione di musica sudafricana, la curiosità e lo stimolo positivo di quell'ondata di musicisti, determinò una serie di collaborazioni (soprattutto dal vivo e poco negli studi di registrazione) che furono come una vera e propria rivoluzione. Nuove esperienze e nuovi linguaggi musicali furono la base in cui si sviluppò l'avaguardia jazzista londinese che a sua volta contaminò il rock progressivo e sperimentale.
Mongezi Feza fu uno sfortunato protagonista di questa frizzante stagione. 

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lunedì 3 giugno 2013

Cinema: Invictus

Invictus - L'invincibile è un film girato da Clint Eastwood nel 2009 (uscito in Italia nel 2010). Tratto dal libro Ama il tuo nemico del giornalista inglese John Carlin (ex corrispondente in Sudafrica), si inspira ad una storia vera, relativa alla Coppa del Mondo di Rugby del 1995 che fu giocata in Sudafrica. Si tratta di una delle tante pagine sportive mondiali dall'alto valore storico e culturale.
La storia racconta la vicenda che vide protagonista Nelson Mandela (interpretato nel film da uno straordinario Morgan Freeman), da poco divenuto presidente del Sudafrica (10 maggio 1994), che capì che la Coppa del Mondo di Rugby, che il Sudafrica ospitò nel 1995 (dopo il lungo embargo sportivo, e non solo, dovuto all'apartheid), poteva essere una straordinaria possibilità di riconciliazione tra bianchi e neri sudafricani. Il rugby, sport diffusissimo tra gli afrikaneer sudafricani (bianchi), la cui nazionale (gli Springboks) era ed è orgoglio nazionale, diventò il collante tra il presidente Mandela (che lavorò per coinvincere i neri sudafricani a sostenere una squadra composta quasi interamente da bianchi e da un solo nero) e il capitano della squadra, il giovane Francois Pienaar (nel film Matt Demon) chiamato ad essere il portabandiera della nuova nazione arcobaleno.

La vicenda umana e politica di un uomo straordinario come Mandela, che nonostante i 27 anni di carcere dovuti al colore della sua pelle e alle assurde legge sull'apartheid, mette in gioco tutta la sua credibilità e il suo carisma per mantenere unito il Sudafrica ed evitare rancori e vendette, si incrocia con una storia sportiva degna delle migliori tradizioni. Il Sudafrica che ospitava la terza edizione della Coppa del Mondo di Rugby, il 24 giugno 1995, sconfisse a sorpresa a Johannesburg per 15 a 12 la Nuova Zelanda (i mitici All Blacks), trascinata dall'intera nazione sudafricana e Nelson Mandela potè consegnare a Francois Pienaar la coppa di Campioni del Mondo.

Girato interamente in Sudafrica, è un film intenso e pieno di contenuti, capace di suscitare forti e positive emozioni. Per qualcuno un film buonista (come se fosse un torto), resta un film piacevole, girato con precisione e capace di mostrare lo sport dal suo angolo più bello, all'interno di una storia che non è per nulla da buttar vita.

Il nome Invictus deriva da una poesia scritta a fine '800 dal poeta inglese Ernest Henley e che Nelson Mandela ha raccontato di essergli stata di grande aiuto durante gli anni della prigionia.



La Coppa del Mondo di Rugby è nata come manifestazione sportiva nel 1987 e si gioca ogni 4 anni. Nel 1995, la terza edizione, si svolse da maggio a giugno in Sudafrica. Parteciparono 16 squadre, divise in quattro gironi. Il Sudafrica vinse il proprio girone dopo aver battuto Australia, Romania e Canada. Tra le squadre partecipanti vi fu anche un'altra squadra africana, la Costa d'Avorio, che eliminata nei gironi subì la pesante umiliazione di un 89 a 0 contro la Scozia. Al Torneo parteciò anche l'Italia (eliminata ai gironi).
Nei quarti il Sudafrica battè, con un netto 42 a 14 Samoa, mentre in semifinale in una tiratissima partita sconfisse una delle favorite, la Francia per 19 a 15. Nella finalissima i Springboks, nome coniato nel 1906 che è il nome di una piccola antilipe che vive in Africa australe e che è anche il simbolo della squadra, batterono contro ogni pronostico gli All Blacks per 15 a 12. Il Sudafrica divenne per la prima volta Campione del Mondo (bisserà questo successo nel 2007 in Francia). La Federazione Rugby Sudafricana, che era nata nel 1899, fu unificata subito dopo la fine dell'apartheid. Prima esistevano due istituzioni, che gestivano rispettivamente il gioco per i bianchi e quello per i neri.

La vittoria del Sudafrica alla Coppa del Mondo di Rugby contribuì non poco alla riappacificazione razziale in Sudafrica e fu, sicuramente, uno straordinario successo politico e diplomatico di Nelson Mandela. Certo questo non significa che l'operazione voluta da Mandela sia stata solo un successo. Ancora oggi, molte questioni in Sudafrica, non trovano soluzioni.

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mercoledì 23 gennaio 2013

Si gioca la 29° Coppa d'Africa

E' iniziata lo scorso 19 gennaio, per concludersi il 10 febbraio, la 29° Coppa delle Nazioni Africane (meglio nota come Coppa d'Africa). In Sudafrica si deciderà chi sarà il successore dello Zambia che lo scorso anno in Guinea Equatoriale e Gabon vinse, a sorpresa, l'ambizioso titolo.
E' una Coppa particolare questa del 2013 perchè si svolge solo un anno dopo la precedente edizione - contrariamente alla usuale cadenza biennale - per permettere lo slittamento negli anni dispari. Inoltre, la Coppa doveva essere ospitata dalla Libia, ma, a seguito della guerra civile, fu deciso lo spostamento in Sudafrica, che solo nel 2010 aveva ospitato i Mondiali, ed era già pronta per il torneo. La Libia dovrebbe ospitare l'edizione 2017, mentre nel 2015 toccherà al Marocco
tifosi alla Coppa d'Africa, foto dalla rete
Delle 46 nazioni partecipanti alla fase di qualificazione, 16 di esse si affronteranno in 4 gironi. Tra i paesi che si sono qualificati mancano due delle nazioni più titolate del torneo: l'Egitto, che ha vinto la Coppa 7 volte e il Camerun che l'ha vinta (assieme al Ghana) 4 volte. Due volte l'hanno vinta la RD del Congo e la Nigeria.
Si è inoltre qualificata per la prima volta nella sua storia Capo Verde, mentre ritorna, dopo 30 anni, (fu presente l'ultima volta nel 1982), l'Etiopia.
Oramai sono molti i calciatori africani che giocano in squadre straniere (soprattutto europee). La nazionale del Burkina Faso ha tutti i 23 convocati che giocano in campionati stranieri, mentre Mali e Capo Verde hanno solo due dei loro rispettivi portieri che giocano in campionati dei loro paesi. Di contro, l'Etiopia con solo 3 giocatori militanti in campionati stranieri è la squadra più radicata sul suo territorio, seguita dal Sudafrica con 6 solo "stranieri".
Nutrita anche la pattuglia di calciatori africani che giocano in Italia a partire dallo juventino Asamoah (Ghana) che ha segnato all'esordio, ai milanisti Muntari (Ghana) e Traorè (Mali), agli udinesi Badu (Ghana), anch'egli al goal nell'esordio, e Benatia (Marocco), al fiorentino El Hamdaoui (Marocco), al laziale Onazi (Nigeria), per finire con il novarese Alhassan (Ghana) e il ternano Dianda (Burkina Faso).

Per ora si è giocato solo il primo turno che ha delineato un forte equilibrio (5 pareggi su 8 gare). Con il secondo turno, in programma da oggi, la Coppa entra nel vivo.

Il calcio resta lo sport più popolare in terra d'Africa.

martedì 6 novembre 2012

Nelson Mandela sui nuovi rand

Da oggi entrano in circolazione i nuovi rand, la moneta sudafricana, con impresse le immagini di Nelson Mandela.  Madiba, il nome con cui i sudafricani chiamano l'anziano leader (oggi ha 93 anni), comparirà su tutte le banconote (da 10 a 200 rand), mentre i "big five", i cinque animali (leone, rinoceronte, elefante, bufalo e leopardo) oggi sulle banconote sudafricana, troveranno posto sul retro. Annunciato dalla Banca Centrale Sudafricana l'11 febbraio 2012 (data storica per i neri sudafricani), da oggi le monete circoleranno sul territorio sudafricano.

Nelson Mandela, storico leader dell'African National Congress (ANC) e della lotta contro l'apartheid, ha trascorso 27 anni della sua lunga vita in carcere (fu liberato l'11 febbraio 1990) e il 10 maggio 1994 fu il primo Presidente nero eletto in Sudafrica. Restò il carica fino al 1999 quando decise, alla fine del suo primo mandato, di non ricandidarsi. Nel 1993 vinse, assieme all'ultimo presidente bianco del Sudafrica De Klerk, il Premio Nobel per la Pace. La sua grandezza è stata certamente la sua lotta contro la discriminazione razziale (che in Sudafrica ha sempre significato segregazione violenta), ma la sua capacità di mantenere unito il paese evitando inutili e sanguinose vendette, non è stata certamente da meno.

L'eccezionalità dell'uomo Mandela ha portato a questa scelta - diffusa tra i dittatori, ma rara nelle democrazie - di immortalare sulle monete un uomo ancora in vita.

Il rand sudafricano è la moneta ufficiale del Sudafrica fin dal 14 febbraio 1961. Il nome deriva dalla parola Witwatersrand, che significa in afrikaner "spartiacque di acqua bianca". La prima moneta recava l'immagine dell'esploratore olandese e fondatore di Città del Capo, Johan Van Riebeeck. Negli anni '90 il volto di Van Riebeeck fu sostituito dai 5 grandi animali, simbolo dell'Africa.

martedì 30 ottobre 2012

Il vino, e non solo, dal Sudafrica

Dal sito dell'azienda vinicola Thandi
Quando si pensa al vino, raramente a qualcuno, anche tra gli adetti ai lavori, viene in mente l'Africa. In effetti la produzione di vino in Africa è del tutto marginale, se si esclude il Sudafrica.
L'Africa mediterranea (Egitto, Marocco e Algeria in particolare), qualcosa in Namibia e Zimbabwe e qualcosina negli altopiani della Tanzania e in Madagascar. Ecco più o meno, l'intera produzione africana.
Il Sudafrica invece è diventato negli ultimi anni uno dei maggiori produttori mondiali di vino (tra il 7° e l'8°posto) dopo la Francia, l'Italia, la Spagna, gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia, l'Argentina, in competizione con Cile e Australia. La regione del Capo di Buona Speranza è da tempo una terra fertile e dedicata alla crescita dei vitigni. Tutte le uve coltivate in Sudafrica sono di origine francese, con alcune eccezioni come l'autoctona Pinotage (un incrocio tra Pinot nero e Cinsaut).
La storia vinicola del Sudafrica non è recente (come negli altri paesi africani), infatti da queste parti il vino si produce da oltre tre secoli, per l'esattezza, stando ad alcuni resoconti, l'inizio della porduzione può essere datata 1659. Da allora sono nate varie aziende, ma la svolta vi è stata nel 1918 quando nacque la KWV  (Kooperatiewe Wijinbouwers Vereeniging) che durante il periodo dell'apartheid raggiunse anche l'85% del controllo dell'uva del Sudafrica (ancora oggi, sebbene molte cose sono cambiate, la KWV controlla il 25% delle esportazioni).
Assieme alla produzione negli ultimi decenni è cresciuto in Sudafrica anche il consumo di vino.

Naturalmente non mancano storie di aziende che si sono caratterizzate, oltre che per la qualità del prodotto (a detta degli esperti il vino sidafricano è eccellente), anche per le loro storie umane, sociali ed economiche.
fota dalla rete
Tra le tante vi segnalo l'Azienda Vinicola Thandi, (thandi nella lingua Xhosa significa "coltivare l'amore") nella Elgin Valley, non distante da Città del Capo, che, nata nel 1995 è stata la prima azienda completamente in mano ai sudafricani neri all'interno del programma denominato Black Economic Enpowerment (BEE), varato ufficialmente nel 2007. Infatti essa è posseduta da 250 agricoltori sudafricani, ex dipendenti, che a partire dal 2009 hanno preso in mano le sorti dell'azienda. La storia di questa azienda, basata anche sulla sostenibilità ambientale della produzione, sta lentamente incidendo sull'intera comunità agricola dell'area e rappresenta una di quelle storie che meriterebbero maggior attenzione, anche dai nostri media e soprattutto in questo periodo storico. Un esempio di politica economica ed aziendale da studiare. Da una ricerca fatta, per ora, il vino dell'azienda, pur esportato in mezzo mondo, non è giunto ancora in Italia.

Ecco il sito dell'Azienda Vinicola Thandi

Ecco alcuni dati sulla produzione sudafricana di vino da i NumeridelVino
Ecco il sito di AfriWines sui vini africani (sudafricani)

venerdì 17 agosto 2012

Dal Sudafrica un monito

Foto Corriere.it
Una buona parte dell'umanità è rimasta sconvolta dalle immagini che i telegiornali di mezzo mondo hanno trasmesso dal Sudafrica. La scena della polizia sudafricana, che spara ad altezza d'uomo, su di un gruppo di minatori in sciopero, resterà nei ricordi di molti, almeno dei più sensibili. Sono già 30 le vittime accertate della carneficina, mentre le polemiche in Sudafrica, come altrove, divampano.
I minatori della miniera di platino di Marikana - oltre 3000 - erano in sciopero, da oltre una settimana, per una rivendicazione salariale e contro l'annunciato taglio della manodopera. Le trattative tra i sindacati (due e in netto contrasto tra di loro) e la multinazionale inglese Lomlin (leader nel settore dell'estrazione del platino) erano in corso, senza risultati e progressi significati. Oggi i minatori guadagnano l'equivalente di 400 euro al mese.
La dinamica esatta della strage sarà appurata dall'inevitabile inchiesta, sebbene ai fini delle vittime e della questione generale, interessa poco.

Vi sono degli elementi che devono far riflettere, su questa questione. La prima attiene al commento che molti giornalisti hanno fatto ovvero che era dai tempi dell'apartheid che non si vedevano simili atti di repressione. Ovvero dal 21 marzo 1960 a Sheperville o dal 16 giugno 1976 a Soweto, quando la polizia sudafricana fece un'azione paragonabile a quella di ieri (a dire il vero molto peggiore). Con una grande differenza: allora a protestare erano i neri e a sparare i bianchi, oggi a protestare sono stati i neri ed a sparare quasi tutti neri.                                                            
Se è vero che la storia si ripete, a volte i protagonisti non sono gli stessi.

E' giusto analizzare questo episodio alla luce di un incompleto (e molto difficile) processo di trasformazione, democratico e multirazziale, della società sudafricana. Una situazione che ancora vede la popolazione nera marginalizzata e isolata nei suoi ghetti (sebbene con eccezioni sempre più numerose). A questo proposito vi segnalo il post Il tramonto di un sogno dal blog Buongiorno Africa.

Però vale la pena soffermarsi su di un principio molto più vasto.
Quello per cui protestavano i minatori sudafricani è del tutto simile alle rivendicazioni dei lavoratori di mezzo mondo. Richiesta di aumento del salario, migliori condizioni del lavoro e la paura (annunciata) di perdere anche quel poco che guadagnano.
Perdere quel lavoro significa fare quel salto - mai attuale anche dalle nostre parti - tra una vita dignitosa di stenti e la povertà.
La risposta del datore di lavoro è analoga lì come altrove. La crisi. La crisi mondiale che investe soprattutto la classe media, riduce i consumi (stando alla tesi delle multinazionali) quindi bisogna ridurre i costi della produzione (spesso non la quantità della stessa).
Naturalmente i lavoratori - in Sudafrica come da noi - sottolineano come la forbice tra i ricchi e i poveri aumenti in modo vistoso. I manager delle nostre aziende che riducono la manodopera, così come quelli delle multinazionali dell'estrazione sudafricane, continuano a guadagnare, molto e sempre di più in relazione ai lavoratori. Mentre i lavoratori faticano a vivere.

La risposta della polizia (e quindi dei governi) è quella di reprimere le proteste dei lavoratori. I governi oramai sono retti, quasi ovunque dalla grande economia (quando non ne sono espressione diretta) capace di farli rimanere in sella o di farli saltare in qualsiasi momento. In luoghi ove la vita vale davvero poco, il passaggio tra le manganellate e i proiettili è purtroppo sottile. 

Così come è lieve il salto dalla protesta ferma, ma democratica e pacifica, e l'escalation della violenza (in Sudafrica nei giorni scorsi erano stati uccisi dai protestanti due vigilantes), soprattutto quando non si ha nulla da perdere (nel senso letterale, perchè nulla si ha).

Vale la pena sottolineare che per quanto sembri assurdo a molti, la situazione dei minatori sudafricani non è dissimile da molti lavoratori del nostro continente. Vi sono regolari contratti di lavoro (certo ancora lontani dai nostri standards) e dei sindacati forti e con una lunga tradizione. Nella maggior parte delle miniere estrattive dell'Africa (per fare un esempio nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in Niger o in Zambia) i lavoratori entrano e escono senza che nessuno sappia neppure il loro nome.

In questo senso l'episodio del Sudafrica deve essere un monito per tutti.