Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post

domenica 7 febbraio 2016

Cinema: Beasts of no Nation

Vi sono ormai storie, che a dispetto della loro atrocità, sono entrate nell'immaginario collettivo come "classiche e normali". Un modo quasi per, accettandole come storie risapute, svuotarle della maggiore componente emotiva e renderle così meno dure e drammatiche. E' il caso dei percorsi di migrazione, inganno e sfruttamento delle molte donne nigeriane che affollano i nostri marciapiedi vendendo per pochi euro i loro corpi;  è il caso delle storie di povertà, miseria, fame e morte che scorrono in alcuni spot televisivi; è il caso più recente della morte di donne e  bambini durante le traversate in mare; è il caso della vita di molti bambini soldati chiamati a compiere atti di inaudita violenza in conflitti di cui non hanno mai potuto capire le ragioni.
Il film presentato alla mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre, Beasts of no Nation diretto dall'americano (sebbene di origini nippo-svedesi) Cary Joji Fukunaga, racconta proprio una di queste storie. Sembra appunto "la classica storia" di un bambino soldato. Appunto un orrore che diventa quasi normale: una paradosso della nostra sensibilità.
Basato sul romanzo di esordio autobiografico, scritto nel 2005, dello scrittore nigeriano diventato statunitense Uzodinma Ideala, la storia si svolge in un paese non chiaro dell'Africa Occidentale (il film è girato in Ghana) ed appunto quella di un bambino, Agu, che passa dalla vita relativamente tranquilla nel suo villaggio natale ad una spirale crescente di violenza e ingiustizie. Scappa dopo aver visto la fuga della madre, la morte del padre, un insegnante della locale scuola oramai distrutta, e infine dei fratelli.
Solo nella foresta viene intercettato da una compagnia di bambini ribelli, armati fino ai denti e stravolti da ogni tipo di sostanza, e guidati da un comandante, brutale e manipolatore, che è  anche l'unico adulto del gruppo. L'iniziazione di Agu avviene appunto secondo la più classica delle spirali dell'odio: la privazione, l'addestramento, l'uccisione di un innocente, le imboscate, gli stupri, la violenza sessuale e l'uso di sostanze stupefacenti. 
Infine, l'arresto da parte delle forze delle Nazioni Unite e la permanenza in un centro di riabilitazione, dove Agu decide di non raccontare quello che ha visto e fatto.

Un film che, pur risparmiando allo spettatore le immagini più violente, resta crudo. Neppure il finale sembra lasciare un spiraglio ad un'infanzia oramai non più recuperabile. E' proprio questo essere lineare nel suo racconto e allo stesso tempo reale, senza scioccare e senza commuovere eccessivamente lo spettatore, che non l'ha fatto apprezzare da una certa critica, che lo ha visto più come un documentario. Un film, purtroppo, che non ha girato e non girerà per i circuiti maggiori del cinema (in Italia è distribuito da Netflix).






Quello dei bambini soldati è un tema ancora attuale. Nonostante alcuni dei maggiori criminali africani che hanno fatto largo uso di bambini (da Charles Taylor a Joseph Kony passando per Foday Sankoh) sono morti, assicurati alla giustizia o resi sempre più inoffensivi, nel mondo in troppi luoghi ancora viene fatto largo utilizzo di bambini ai fini bellici. Ma l'attualità è data anche dal fatto che molti di quei bambini sono oggi ragazzi o giovani traumatizzati che difficilmente troveranno sistemazione nelle loro società.


Per approfondire il tema dei bambini soldati vi segnalo alcune cose:
- Il sito di Child Soldiers International
- Il libro di Giuseppe Carrisi - "Kalami va alla guerra"
- Il libro di Ishmael Beah "Memorie di un soldato bambino"

Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

giovedì 28 agosto 2014

C'e l'Africa nella donna più bella del mondo

La rivista People l'ha definita la donna più bella del mondo. Per Lupita Nyong'o il 2014 sarà l'anno che ricorderà per sempre. L'anno che l'ha consacrata nel mondo del cinema e della bellezza. Lupita, che ha da poco superato i 30 anni, ha vinto l'Oscar come migliore attrice non protagonista per il film 12 anni schiavo, è stata scelta come testimonial da una importante casa di cosmetici, è ritratta in tutte le riviste di moda e di costume ed infine è stata giudicata la donna più bella del mondo. Credo che, per ora, possa bastare.

Lupita è keniota di etnia Luo. Sebbene il suo certificato di nascita reca anche la nazionalità messicana (dove effettivamente è nata a Città del Messico il 1 marzo 1983), ella è figlia (seconda di sei) di Dorothy e di Peter Anyang' Nyong'o, oggi senatore keniano dell'Orange Democratic Movement (trasferitosi in Messico per lavoro quando era docente universitario di Scienze Politiche) e in Kenya ha trascorso la sua infanzia e l'adolescenza.

Cresce in un'ambiente, alla periferia di Nairobi, della classe medio-alta africana. Studia e si appassiona alla recitazione. A 16 anni torna per 8 mesi in Messico a Taxco a studiare spagnolo. Si diploma nel 2001 alla Saint Mary School di Nairobi (una scuola privata cattolica) e successivamente si trasferisce negli Stati Uniti prima all'Hamphire Collage di Amherst (dove si laurea in teatro e cinema) e poi alla Yale School of Drama di New Haven.

Svolge qualche piccolo ruolo (un cortometraggio e una mini-serie televisiva) fino a quando viene scelta da Steve McQueen (nulla a che fare con l'attore morto nel 1980) per il suo film 12 anni schiavo (decisamente un bel film), basato sul libro autobiografico di Solomon Northup (nel film interpretato dall'inglese di origine nigeriane Chiwetel Ejofor) del 1853. A Lupita è affidata la parte di Patsey, una giovane e bella schiava, oggetta dei desideri (e non solo) sessuali del padrone.

Il film è la sua consacrazione. Bella e brava, raggiunge come lei ha avuto modo di dire, il suo sogno di bambina.
Ha poi lavorato nel thriller Non Stop con Liam Nesson e Julianne Morre e la sua carriera sembra lanciata verso mete prestigiose e ambiziose.

Lupita, che ama anche fare il regista, ha prodotto, diretto e scritto nel 2009 un documentario, In My Genes, che racconta la storia di 8 ragazzi albini del Kenya. Ecco in questo come video come Lupita lo raccontò quando lo presentò. In esso si evidenzia il suo piglio di donna bella e impegnata.

Sono sicuro che sentiremo ancora parlare, molto di lei. Con se porta il colore,  le emozioni e il respiro della terra africana, che mi auguro non smetta mai di accompagnarla nella sua vita. Così come spero che l'Africa possa rimanere al centro della sua esistenza e delle sue scelte future di attrice, regista e di donna.

Good luck, Lupita!

Lupita è il diminutivo di Guadalupe.

Ecco un'intervista a Lupita su The Telegraph

Ecco un post di Sancara sull'Albinismo

lunedì 23 dicembre 2013

Cinema: Venere Nera

Nel 2010 il regista tunisino, naturalizzato francese, Abdellatif Kechiche, presenta alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, il film Venere Nera. Un film basato sulla storia vera di Saartjie Baartman, una giovane khoi khoi (ottentotta) sudafricana, che agli inizi del 1800 viene portata in Europa come mostro da baraccone.
E' un film duro, toccante e intenso che talora colpisce allo stomaco e lascia senza fiato.

Quella della giovane Saartijie (nel film è interpretata dall'attrice cubana Yahima Torres) è una storia che racchiude in se la cattiveria umana, lo sprezzo verso il diverso e il goffo tentativo di un certo mondo scientifico di voler spiegare, attraverso assurde teorie, le differenze (quando non le superiorità) umane.

Il film racconta molto fedelmente la storia di questa piccola donna (era alta un metro e 35), senza nome, che dopo esser rimasta orfana, era stata presa come schiava dalla famiglia Bartman, una famiglia boera di coltivatori vicino a Città del Capo. Nel 1810, il fratello del padrone, riuscì a convincerlo che portare Saartijie (così ribattezzata, "piccola Sara") in Europa ad esibirsi nelle fiere, avrebbe fruttato molto denaro. 

Prima a Londra e poi a Parigi (quando fu venduta ad una addestratore di animali) Saartijie fu esposta, legata ad una catena, come mostro da baraccone. Ad attrarre il pubblico erano e le sue natiche molto pronunciate e enormi grandi labbra (caratteristiche tipiche, sebbene nel suo caso molto accentuate, all'etnia boscimana).
Inutile sottolineare come queste caratteristiche anatomiche stuzzicavano morbosamente gli Europei e soprattutto alcuni ambienti. In particolare  a Parigi ella affascinò, per diverse ragioni, sia le ricche e libertine corti parigine, sia il mondo scientifico. In particolare, il naturalista Georges Cuvier, dell'Accademia Reale di Medicina di Parigi, tentò di dimostrare che "la donna negra" costituiva l'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, giustificando in questo modo l'inferiorità dei neri e la superiorità della razza bianca.


Gli ultimi anni di vita di Saartijie furono una vera discesa negli inferi. Dopo essere stata ammirata da ogni angolo, fu abbandonata da tutti. Malata (sicuramente di tubercolosi e sifilide), dipendente dall'alcol, senza più ritegno e costretta alla prostituzione, morì a Parigi a soli 26 anni (era il 1815) , dopo soli 5 anni di permanenza in Europa.

Alla sua morte ella continuò ad essere oggetto di morbose attenzioni. La sua vagina fu conservata in formalina (usata per dimostrare assurde teorie, come si vede nelle scene iniziali del film), come il suo cervello, il suo scheletro e un calco in gesso ricavato dal suo corpo.

Il film, finisce così, non raccontando l'epilogo di questa assurda storia.

la restituzione dei resti di Saartjie
I macabri resti di Saartijie furono esposti al Museo dell'Uomo di Parigi fino al 1974, quando alcune associazioni di femministe, costrinsero a sospendere questa esposizione. I "cimeli" furono gettati in un magazzino e li restarono, fino a quando nel 1994 Nelson Mandela, da poco Presidente del Sudafrica, chiese ufficialmente alla Francia la restituzione dei resti della giovane boscimana. La battaglia legale durò fino al 2002, quando in una giornata di agosto, i resti della Signora (come Mandela insistette nel chiamare Saartjie) Bartman furono sepolti, con un funerale di Stato, sulla collina di Hankey, protetti da una alta cancellata (a sottolineare che nessuno avrebbe più osservato la giovane da vicino).

A suo nome è stato creato il Saartjie Bartman Centre, che si occupa della violenza sulle donne e sui bambini.

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

lunedì 3 giugno 2013

Cinema: Invictus

Invictus - L'invincibile è un film girato da Clint Eastwood nel 2009 (uscito in Italia nel 2010). Tratto dal libro Ama il tuo nemico del giornalista inglese John Carlin (ex corrispondente in Sudafrica), si inspira ad una storia vera, relativa alla Coppa del Mondo di Rugby del 1995 che fu giocata in Sudafrica. Si tratta di una delle tante pagine sportive mondiali dall'alto valore storico e culturale.
La storia racconta la vicenda che vide protagonista Nelson Mandela (interpretato nel film da uno straordinario Morgan Freeman), da poco divenuto presidente del Sudafrica (10 maggio 1994), che capì che la Coppa del Mondo di Rugby, che il Sudafrica ospitò nel 1995 (dopo il lungo embargo sportivo, e non solo, dovuto all'apartheid), poteva essere una straordinaria possibilità di riconciliazione tra bianchi e neri sudafricani. Il rugby, sport diffusissimo tra gli afrikaneer sudafricani (bianchi), la cui nazionale (gli Springboks) era ed è orgoglio nazionale, diventò il collante tra il presidente Mandela (che lavorò per coinvincere i neri sudafricani a sostenere una squadra composta quasi interamente da bianchi e da un solo nero) e il capitano della squadra, il giovane Francois Pienaar (nel film Matt Demon) chiamato ad essere il portabandiera della nuova nazione arcobaleno.

La vicenda umana e politica di un uomo straordinario come Mandela, che nonostante i 27 anni di carcere dovuti al colore della sua pelle e alle assurde legge sull'apartheid, mette in gioco tutta la sua credibilità e il suo carisma per mantenere unito il Sudafrica ed evitare rancori e vendette, si incrocia con una storia sportiva degna delle migliori tradizioni. Il Sudafrica che ospitava la terza edizione della Coppa del Mondo di Rugby, il 24 giugno 1995, sconfisse a sorpresa a Johannesburg per 15 a 12 la Nuova Zelanda (i mitici All Blacks), trascinata dall'intera nazione sudafricana e Nelson Mandela potè consegnare a Francois Pienaar la coppa di Campioni del Mondo.

Girato interamente in Sudafrica, è un film intenso e pieno di contenuti, capace di suscitare forti e positive emozioni. Per qualcuno un film buonista (come se fosse un torto), resta un film piacevole, girato con precisione e capace di mostrare lo sport dal suo angolo più bello, all'interno di una storia che non è per nulla da buttar vita.

Il nome Invictus deriva da una poesia scritta a fine '800 dal poeta inglese Ernest Henley e che Nelson Mandela ha raccontato di essergli stata di grande aiuto durante gli anni della prigionia.



La Coppa del Mondo di Rugby è nata come manifestazione sportiva nel 1987 e si gioca ogni 4 anni. Nel 1995, la terza edizione, si svolse da maggio a giugno in Sudafrica. Parteciparono 16 squadre, divise in quattro gironi. Il Sudafrica vinse il proprio girone dopo aver battuto Australia, Romania e Canada. Tra le squadre partecipanti vi fu anche un'altra squadra africana, la Costa d'Avorio, che eliminata nei gironi subì la pesante umiliazione di un 89 a 0 contro la Scozia. Al Torneo parteciò anche l'Italia (eliminata ai gironi).
Nei quarti il Sudafrica battè, con un netto 42 a 14 Samoa, mentre in semifinale in una tiratissima partita sconfisse una delle favorite, la Francia per 19 a 15. Nella finalissima i Springboks, nome coniato nel 1906 che è il nome di una piccola antilipe che vive in Africa australe e che è anche il simbolo della squadra, batterono contro ogni pronostico gli All Blacks per 15 a 12. Il Sudafrica divenne per la prima volta Campione del Mondo (bisserà questo successo nel 2007 in Francia). La Federazione Rugby Sudafricana, che era nata nel 1899, fu unificata subito dopo la fine dell'apartheid. Prima esistevano due istituzioni, che gestivano rispettivamente il gioco per i bianchi e quello per i neri.

La vittoria del Sudafrica alla Coppa del Mondo di Rugby contribuì non poco alla riappacificazione razziale in Sudafrica e fu, sicuramente, uno straordinario successo politico e diplomatico di Nelson Mandela. Certo questo non significa che l'operazione voluta da Mandela sia stata solo un successo. Ancora oggi, molte questioni in Sudafrica, non trovano soluzioni.

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

lunedì 8 aprile 2013

Cinema: Masai bianca

Il film Masai bianca è uscito nel 2005 (in Italia nel 2008) ed è diretto dalla regista tedesca Hermine Huntgeburth. E' tratto dal romanzo autobiografico della tedesca Corinne Hofmann, pubblicato nel 1998, e che narra della sua esperienza in Kenya (tra il 1986 e il 1990), quando conosce e sposa un guerriero Masai conosciuto durante un viaggio assieme al fidanzato.

Carola Lehmann, giovane donna svizzera, (nel film il nome della protagonista, interpretata da Nina Hoss) durante l'ultima sera di permanenza in Kenya incontra il guerrigliero Masai Lemalian Mamuteli (nel film il nome di Lketinga, interpretato dall'attore burkinabè Jacky Ido) di cui si innamora. Abbandona tutto, lo raggiunge in uno speduto villaggio e lo sposa, vivendo, con grande difficoltà di adattamento, con la sua gente. I due hanno una figlia (Napirai nel libro) e aprono una piccola attività commerciale. Le differenze culturali, l'estrema gelosia di Lemalian e la sua progressiva autodistruzione, costringeranno Carola alla difficile scelta di scappare e ritornare nel suo paese.

Un film (ed una storia) che raccontano della grande difficoltà della convivenza tra culture e stili di vita differenti. Una storia comune a molti (e molte) che, nella vita reale, hanno sperimentato queste esperienze. Le differenze culturali, intese come modi diversi di affrontare l'esistenza umana, esistono e non sempre sono colmabili con l'amore. Questo sembra il maggior messaggio della storia di Corinne e di questo film. La sensazione è che la relazione tra i due sia "solo" una questione di attrazione reciproca (sebbene molto differente) e non scatti mai l'interesse e la voglia di comprende e conoscere la cultura dell'altro.

Un film, che nonostante le premesse, non riesce mai a decollare realmente. Belle riprese, ottime ricostruzioni della vita in un villaggio masai, stupendi paesaggi, ma qualcosa che stride, di continuo si avverte. Così come, ad essere sinceri, nonostante le storie vere vanno sempre raccontate per quelle che sono, la stessa sensazione si avverte anche leggendo il libro (scritto in modo semplice e privo di qualsivoglia spunto riflessivo "nobile").

Vi invito a leggere al fine di comprenderne le diffirenze, su un tema molto simile, il libro Passione d'Africa della francese Claude Njikè-Bergeret, dove l'innamoramento e l'attrazione per un uomo, si accompagna e lentamente si sostuisce con un trasporto ed una vera passione per un popolo, per una cultura, per un luogo, per l'Africa.

Per la cronaca l'attrice (brava) Nina Hoss, molto popolare in Germania, è molto attiva contro le mutilazioni genitali femminili in Africa.

Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

mercoledì 27 febbraio 2013

Cinema: Zambezia

Zambezia è un film di animazione uscito nel 2012 (in Italia nel febbraio 2013), diretto dal giovane (ha 33 anni) sudafricano bianco Wayne Thornley e prodotto appunto in Sudafrica.
Il film racconta della fantastica, ed utopica, città di Zambezia, alloggiata in un'enorme tronco di baobab e vicino alle grandi cascate Vittoria, dove vivono, più o meno in sicurezza ed in armonia, tutte le specie di uccelli dell'Africa.
E' un film colorato, con straordinarie immagini di volo e con un'insieme di personaggi tipici delle terre del continente nero. Il giovane falco pellegrino Kai, avventuroso e irriverente, il padre Tendai, ansioso e protettivo, il temibile lucertolone Budzo, la cicogna Gogo e ancora marabout, uccelli tessitori, pappagalli colorati e ogni specie animale immaginabile in Africa. 
Come quasi tutti i film d'animazione si sono due livelli di lettura: quello adatto ai bambini più piccoli, ovvero una storia fantastica, con personaggi che apparentemente sembrano cattivi e che poi si trasformano in buoni, con una lotta mai violenta e a tratti molto divertente.
Vi è poi una chiave di lettura più adulta, che affronta il tema del rapporto padre-figlio, del bisogno di libertà e di indipendenza, della necessità di sperimentare e conoscere i propri limiti.


E ancora l'utopia di una società senza pericoli e la responsabilità dei singoli e quella collettiva. Insomma un film a mio avviso ben costruito, adatto ai bambini (i miei figli l'hanno visto una prima volta in inglese, sottotitolato in italiano, e nonostante le difficoltà linguistiche, ne sono rimasti affascinati) e che lascia qualche pensiero anche agli adulti. Qualcuno l'ha definito "banale", può essere. E' pur sempre un film d'animazione che nelle cose semplici e forse banali trova gli spunti migliori per la nostra vita.

Il film è stato prodotto dalla Triggerfish Animation Studios, una azienda di comunicazione e sviluppo di media, con sede a Città del Capo, legata al mondo universitario, che fino al 2012 aveva lavorato principalmente in ambito della produzione di spot televisivi.
Speriamo sia un nuovo concorrente per i colossi americani del cinema d'animazione.

Ecco il sito ufficiale del fim

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

venerdì 11 gennaio 2013

Cinema: Moolaadè

Moolaadè è un film del 2004 (uscito però in Italia l'8 marzo 2006) ed è l'ultimo film diretto e prodotto dal senegalese Ousmane Sembene, ultraottantenne durante le riprese, prima della sua morte avvenuta nel 2007.
E' un film coraggioso e di denuncia. Coraggioso perchè rompe uno schema classico che vuole il rispetto delle tradizioni sopra ogni cosa, anche a rischio di sfidare e allontanare le cose, buone, che la modernità porta con se. Di denuncia, anch'essa coraggiosa, perchè prende una posizione chiara ed inequivocabile a favore delle donne africane e contro le orrende pratiche della mutilazione genitale femminile.
Sembene lo fa nel suo modo. Un film girato in un villaggio del Burkina Faso (Djerisso) a ritmi lenti, parlato in bambara (con sottotitoli in francese nella versione originale) e scandito dalle musiche del maestro Boncana Maiga.
La storia è forte e drammatica. Ruota attorno alla figura di una donna, Collè Gallo Ardo (interpretata dall'attrice Fatoumata Couliboly), che ingaggia una lotta a difesa di quattro bambine che si erano rifiutate di farsi "tagliare" (escissione del clitoride). Collè, che già si era rifiutata di far tagliare la figlia (dopo che due altre delle sue figlie erano morte a seguito della stessa pratica), decide di concedere asilo (moolaadè, protezione) nel suo compound alle bambine (cosa ritenuta, per cultura, inviolabile), contro la volontà delle stesse mamme e degli uomini del villaggio. La storia scorre apparentemente senza soluzioni, fino al punto in cui due omicidi sconvolgono tutti. Il primo è quello di una delle quattro bambine, che rapita dalla madre, muore dopo essersi opposta, vanamente, con tutte le sue forze all'escissione, il secondo è quello di un personaggio, chiamato il Mercenario, uomo rientrato al villaggio dopo aver vissuto in Europa, che viene assassinato la notte stessa in cui ha fermato la mano del marito di Collè mentre la frustava per punirla della sua indisciplina.

Solo quando Collè, apparentemente sconfitta, rinuncia al  moolaadè, le donne del villaggio assumono una posizione chiara e comune, costringendo le salindane (donne che praticano l'escissione) a restituire i loro affilati coltelli. Di fronte poi degli uomini del villaggio si compie l'ultimo gesto di coraggio, quando il figlio del capo villaggio rifiuta il potere del padre e decide di sposare Amsatou, la figlia di Collè, anche se bilakoro (non tagliata, non purificata) e pronuncia la frase forse più incisiva del film, ovvero "per fare un uomo non basta avere i pantaloni".

Il film rappresenta senz'altro la vittoria delle donne contro questa terribile pratica (vi rimando per tutte le informazioni a questo vecchio post di Sancara, Mutilazioni genitali femminili, uno stupro silenzioso) che lede la dignità delle donne. Il film è divenuto subito uno strumento utilizzato nei programmi di prevenzione alle mutilazioni genitali,anche in Italia. Ma le chiavi di lettura possono essere molteplici. Sembene, da maestro del cinema qual'era, gioca sul piano del conflitto, sempre esistente, tra tradizione e modernità (il film si chiude con le immagini di un'antenna televisiva sulla moschea). Il rogo delle radio (gli uomini decidono di bruciare tutte le radio del villaggio perchè, a loro avviso, sono le parole che da esse provengono ad aver istigato la ribellione di Collè), che rimanda alla mente altri roghi frutto dell'oscurantismo, simboleggia l'ennesimo e vano tentativo di bloccare il tempo.

La moschea del film , dalla rete
Nel film è possibile anche vedere uno straordinario documentario sulla vita quotidiana africana, dove le donne svolgono un ruolo fondamentale. Un film da vedere, capace di indignare e di far sorridere, dove la sofferenza e il dolore sono non vengono mostrati con ostinazione, ma lasciati sul piano dell'immaginazione dello spettatore. Un film girato con grande arte, come solo uno straordinario maestro del cinema come Sembene poteva regalarci.

Vai alla pagina di Sancara sul Cinema sull'Africa

lunedì 5 novembre 2012

Cinema: Il Re Leone

Il Re Leone (The Lion King) è un film d'animazione, della grande famiglia delle produzioni Disney, uscito nel 1994 (regia di Roger Allers e Rob Minkoff) e che ha come ambientazione la savana africana. Per l'esattezza l'ispirazione dei luoghi è avvenuta a seguito di una supervisione dei produttori e degli sceneggiatori nell'Hell's Gate National Park, un'area protetta nei dintorn i di Nairobi in Kenya. In quel viaggio vi è anche l'origine di una delle più note canzoni (e frasi) del film, quell'Hakuna Matata, che ha fatto divertire i bambini (e non solo) del mondo intero. Si racconta che l'autista che accompagnava il gruppo in Africa cantava in continuazione questo tema degli anni '80. Una canzone, Jambo Bwana, del gruppo musicale Them Mashrooms in cui l'espressione Hakuna Matata (nessun problema, o come tradotto in italiano senza pensieri) ricorre con molta frequenza.

La storia del film è quella della lotta per il controllo della savana che vede coinvolto il re leone Mufasa, il giovane figlio Simba (erede al trono) e il malvagio fratello di Mufasa, Scar


Il film sviluppa la sua storia nel pieno della savana, evidenziandone aspetti della vita quotidiana e personaggi, che ben rappresentano la realtà. Magnifica è la scena iniziale in cui il saggio babbuino Rafiki presenta a tutti gli animali della savana, giunti in massa all'appuntamento, il neonato Simba, figlio del re leone Mufasa e della sua compagna Sarabi.
Gli altri personaggi del film sono Nala, una giovane leonessa compagna di gioco di Simba e destinata ad essere la sua compagna, le malvagie iene Shenzi, Banzai ed Ed, il suricato Timon e il facocero Pumbaa (che salvano il giovane Simba nella foresta) e il bucero Zazu. 

Il film, che nella versione originale aveva musiche di Elton John e Tim Rice, ha saputo affascinare i bambini (e non solo) del mondo intero. Rappresenta anche una delle rare storie della Disney in cui non sono presenti personaggi umani (l'altra è Bambi) e tutto si svolge nel fantastico mondo animale. Un film che racconta molto bene le rivalità e le difficoltà della vita nella savana e che ha avuto il merito di far conoscere al grande pubblico alcuni animali, come i suricati. Per alcuni uno dei più bei film di animazione della lunga produzione della Disney.

Naturalmente non sono mancate critiche e accuse al film. La prima riguarda una certa somiglianza con la storia (anni '50) del giapponese Osamu Tezuka, intitolata Kimba, il Leone bianco mentre la seconda la presenza di alcuni messaggi subliminari inneggianti al sesso (nascosti apparentemente, ma visibili nell'elaborazione cerebrale), che i produttori hanno smentito, affermando che si trattava di una scritta inneggiante gli effetti speciali.

Il film ha avuto due seguiti: Il re Leone II - Il Regno di Simba, uscito nel 1998 e che racconta le vicende, oltre che del regno di Simba e Nala, della seconda generazione di leoni, ovvero la figlia e futura regina  Kiara, e Il re Leone III- Hakuna Matata, uscito nel 2006 e che in realtà ripercorre la storia dle primo episodio, vista però dal punto di vista dei simpatici Timon e Pumbaa.

Ecco il sito ufficiale di Re Leone della Disney
Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

lunedì 27 agosto 2012

Cinema: Africa Addio

Africa Addio, è un film documentario del 1966, girato da Franco Prosperi e Gualtiero Jacopetti. Un film - poco adatto agli stomaci deboli - che ha suscitato, al tempo della sua uscita, aspre polemiche. Definito scomodo, disonesto, cinico, parziale, irritante e politicamente scorretto, tanto per citare alcune delle critiche più diffuse, voleva rappresentare (e raccontare) l'Africa durante la fine del colonialismo e il passaggio del testimone del governo agli africani.
Il film ebbe un buon successo di pubblico (vinse anche un David di Donatello ex-equo come miglior produzione) e fu molto criticato. Accusato di razzismo e di apologia del colonialismo, mentre gli autori furono accusati di aver manipolato le immagini (cosa poi parzialmente ammessa) e di essere filo-fascisti. Il film, così come le critiche, debbono essere contestualizzate. Negli anni sessanta il processo di decolonizzazione fu ostacolato da una parte politica e favorito da un'altra, su questo non vi è ombra di dubbio.
Girato in tre anni di lavoro, il film cinematograficamente è un buon prodotto.

Per chi ama l'Africa, per chi vuole conoscere l'Africa e per chi vuole serenamente giudicare quest'opera è un film senz'altro da vedere (se le immagini forti non vi disturbano).

Guardandolo ci si immerge in una sagra di orrori, che sotto certi versi anticipano quello che in diverse occasioni - e spesso in modo numericamente più tragico - è avvenuto in Africa nei 50 anni successivi. Esecuzioni sommarie, genocidi, amputazioni, strerminio di animali e violenze.
Naturalmente oltre che dalle immagini, anche dal commento degli autori è possibile comprendere l'irritazione che il film destò alla sua uscita (l'uso ossessivo del termine negro, alcune affermazioni storicamente errate, alcune semplicistiche valutazioni dei fatti avvenuti e la totale decontestualizzazione dei fatti).
Il punto centrale del film è il passaggio dall'amministrazione coloniale a quella africana. Si sottolinea da una parte l'ordine e la bellezza (i giardini delle case coloniche, le norme a protezione degli animali, i prodotti provenienti da ogni parte del mondo, le tranquille missioni, la vita dei bianchi e perfino la caccia alla volpe fatta da un pezzo di volpe trascinato con una corda da un ragazzino africano) e dall'altra il caos e la violenza (i Mau-Mau e le loro violenze, gli stermini degli animali, i saccheggi, la distruzione delle merci, i genocidi e gli assalti alle missioni).
Foto di una scena del film
E' bene sottolineare che gli autori non risparmiano critiche anche all'amministrazione coloniale e ai bianchi. Certo ai coloni non vengono addossate responsabilità di quanto avverrà poi in Africa, cosa forse non del tutto corretta. 
Del resto durante il film parlando dei "ribelli" dell'Angola si afferma che "hanno voluto ignorare il motto bianchi e neri, tutti portoghesi", dimenticando che il Portogallo si trova ad oltre 1000 chilometri di distanza. Oppure quando si afferma che "l'Africa non è più quella antica degli esploratori" dimenticando che la storia dell'Africa inizia molto prima e indipendentemente dagli esploratori.
Così come stride la definizione del Sudafrica come "un miracolo" nel bel mezzo dell'apartheid e dopo aver mostrato l'oro e le borse del Sudafrica (con tutti bianchi) e i lavoratori delle miniere (con tutti neri). Oppure dopo aver documentato giovani ragazze zulu durante le riprese di un film ed aver commentato come la ragazza zulu, ora emancipata e vestita, "nuda era una preda come una femmina negra".
Infine come non irritarsi a fronte di una immagine dei mercenari bianchi (quelli di Ciombè in Congo) e ai parà belgi descritti come salvatori dei bianchi in Congo e a protezione delle violenze dei neri (ma come? i militari belgi non erano gli stessi che avevano sciolto nell'acido l'ex primo ministro Lumumba?).

Certo il genocidio degli arabi a Zanzibar durante la rivoluzione del 1964 (fatto ancora poco studiato), sebbene con qualche imprecisione storica sulla figura dell'ugandese John Okello, è sconvolgente, così come lo sono il mucchio di mani amputate in Sudan, i cadaveri ammucchiati nel Congo e gli ippopotami e gli elefanti streminati in Kenya. L'Africa, lo sappiamo, ha prodotto (e purtroppo contunua a farlo) anche queste orribili nefandezze, frutto del più barbaro animo umano, paragonabile agli orrori che gli stessi bianchi hanno compiuto in Africa e altrove.

Il film si chiude con i pinguini del Sudafrica - giunti dal Polo - ed ora stranieri in questa terra.

Insomma un film intriso di contraddizioni e per questo assolutamente da vedere.

Posto anche questo articolo su Africa Addio di Francesco Lamendola, per chi vuole approfondireanche le critiche che furono fatte al film.

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

martedì 31 luglio 2012

Cinema: African Cats

African Cats- Il regno del coraggio è un film-documentario girato da Keith Scholey e Alastair Fothergill ed  uscito nel 2011, distribuito dalla Disneynature. Si tratta di un documentario, girato nella Riserva Naturale del Masai Mara in Kenya, e che segue le avventure di un branco di leoni e una famiglia di ghepardi, alle prese con i quotidiani problemi di sopravvivenza.
Il film, girato tutto all'aperto e senza attori (nemmeno quelli animali), è di fatto uno straordinario documentario sulla vita nella savana, poichè, pur focalizzandosi su questi due gruppi di animali (leoni e ghepardi) gli incontri quotidiani con gazzelle, elefanti, struzzi, coccodrilli e innumerevoli altri abitanti del Masai Mara, lo rendono  un viaggio meraviglioso tra uno dei luoghi più incantevoli dell'Africa.
Le immagini sono di stupefacente bellezza e a tratti emozionanti. I registi, esperti documentaristi e zoologi, hanno impiegato oltre un anno per mettere insieme un prodotto di grande qualità, capace di appassionare grandi e piccoli.




Dopo aver seguito le peripezie di Sita, la coraggiosa mamma ghepardo che grazie ai suoi sforzi, al coraggio e alla destrezza, riuscirà a far crescere tre dei suoi cinque cuccioli, sarà impossibile non appassionarsi a questo stupefacente felino. Così come, dopo aver visto la fierezza del leone Fang - pur con il suo dente spezzato - e soprattutto la forza di mamma Layla che riuscirà a far vivere la figlia Mara, sarà difficile non percepire la straordinaria potenza del gruppo.
Un documentario capace di stimolare le nostre corde più sensibili, quelle della forza, dell'attaccamento alla vita e del coraggio, ma al tempo stesso di comunicarci tutta la bellezza e la poesia di una terra che ancora ha dei luoghi dove il protagonista non è l'uomo.
Nella versione americana la voce narrante è dell'attore Samuel L. Jackson, in quella italiana è quella, invecchiata e un po' roca, di Claudia Cardinale.

Un film ideale anche per i bambini, purchè gli adulti li aiutino nei momenti di maggior tensione.

Ecco il sito ufficiale del film

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

martedì 17 luglio 2012

Cinema: Muzungu - L'uomo bianco

Molto spesso anche le commedie, i film leggeri e per nulla impegnati, possono essere ben fatti e soprattutto far riflettere, molto. E' il caso di questo film uscito nel 1999, Muzungu - L'uomo bianco, diretto da Massimo Martelli e interpretato da uno straordinario Giobbe Covatta, che ha anche scritto la storia e la ha sceneggiata.
Un film girato in una missione del Kenya, con una storia molto semplice. Il protagonista, Eduardo detto Dodo (interpretato appunto da Covatta), animatore di villaggi turistici oramai quarantenne, assieme ad un collega e ad una turista, a seguito di un incidente aereo si ritrova ad essere salvato da un prete missionario di uno sperduto villaggio del Kenya. Il gruppo finisce, forza maggiore, per passare molto tempo in questo luogo, assieme alla popolazione locale e ai volontari, in attesa dei soccorsi e a Dodo spetterà anche il compito di prendere il posto di padre Luca, malato, durante la visita del Vescovo (interpretato da Flavio Bucci). Alla fine, deciderà di rimanere alla missione, per dare una mano.
Senza la pretesa di essere fonte di chissà quale morale, il film si pone l'obiettivo di raccontare un piccolo pezzo d'Africa e di mettere in risalto il travaglio interiore di Dodo, abituato alla spensieratezza e al puro divertimento di una esistenza vacanziera, di fronte "ai problemi" della vita. Non a caso, muzungu, significa in swahili più o meno "uomo confuso che gira intorno", che ben inquadra la sensazione di trovarsi, alla soglia dei quaranta anni, a porsi, forse per la prima volta, qualche interrogativo sulla vita reale.

Nello stile di Giobbe Covatta, è significativo il suo discorso (postato qui sotto) di fronte a Vescovo, quando egli iniziando in modo impacciato e formale,  finisce con un'arringa appassionata, che apparentemente è un pezzo comico ma, che in realtà nasconde, con notevole intensità, una triste presa d'atto della condizione di molti abitanti dell'Africa. Guardatelo, perchè merita.

Insomma un film da guardare, ripeto senza nessuna pretesa, ma capace di far sorride, come è giusto che sia quando si guarda una commedia con protagonista un bravo comico, ma che al tempo stesso è capace di concedere qualche riflessione più intensa.



Giobbe Covatta, pugliese di nascita, ma napoletano di adozione, oltre ad essere uno scrittore e un attore comico, è da tempo impegnato come testimonial di organizzazioni non governative del calibro di AMREF e di Save The Children.
Nella sua carriera ha sempre posto il tema del rapporto tra Africa e mondo occidentale. 

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

lunedì 21 maggio 2012

Film sull'Africa: Spiriti nelle tenebre

Spiriti nelle tenebre (il titolo originale è The Ghost and The Darkness) è un film del 1996 diretto da Stephen Hopkins e tratto dal romanzo di John Henry Patterson, The Man-Eaters of Tsavo and Other East African Adventures. Il film si ispira ad una storia vera, avvenuta a partire dal marzo 1898, quando l'autore del romanzo, l'ingegnere capo e militare Henry Patterson, incaricato dal 1896 dalle autorità coloniali britanniche di costruire un ponte ferroviario sul fiume Tsavo in Kenya, si trovò a combattere con due leoni molto aggressivi. Durante i lavori, due leoni, descritti nel libro come "due maschi privi di criniera", aggredirono ripetutamente gli operai incaricati della costruzione (nel libro si parla di 135 operai morti).
La storia è quella della lotta per abbattere questi felini, cosa che avvenne, dopo innumerevoli tentativi negli ultimi giorni del 1898. Le pelli dei leoni, conservate da Patterson, furono poi vendute al Field Museum di Chicago, dove ancora oggi sono custodite.
Il film racconta delle avventure di Hanry Patterson (interpretato da Val Kilmer) che tenta, con l'aiuto del cacciatore Charles Remington (interpretato da Michael Douglas, ed inventato per il film) di uccidere i due leoni (mangiatori d'uomini) che rallentano, con le loro incursioni, l'avanzata del cantiere per la costruzione del ponte sul fiume Tsavo. Il tentativo di cacciare i leoni è accompagnato da elementi di magia, peraltro presenti anche nel testo del romanzo. Alcuni degli operai Masai, coinvolti, assieme agli indiani, nella costruzione del ponte, iniziarono a credere che i leoni non fossero altro che spiriti incaricati di impedire la profanazione del territorio (da cui il titolo). La lotta si chiuderà con la morte del primo leone, ucciso dal cacciatore Remington (nel libro entrambi i leoni sono uccisi da Patterson) a sua volta divorato dal secondo leone. A Patterson resterà la soddisfazione di eliminare l'ultimo dei leoni e completare i lavori del ponte.



Il film, che per motivi fiscali fu girato in gran parte in Sudafrica (in particolare nel Songimvelo Game Reserve), con solo alcune scene girate nello Tsavo National Park del Kenya, appare sotto molti aspetti incompleto. Non riesce a trasmettere ne il clima di quel periodo storico, a parte qualche rappresentazione ben riuscita dello sforzo enorme che fu prodotto per la costruzione dei grandi tratti ferroviari africani (in questo caso si tratttava della ferrovia che da Mombasa andava verso il Lago Vittoria), ne tantomeno la complessità dei rapporti interetnici tra i soggetti coinvolti nella costruzione della ferrovia (in realtà molti dei "Masai" del film sono sudafricani). Il film diventa alla fine un omaggio alla suspance e al clima di tensione, tipico dei film dell'horror e di avventura. Sotto certi versi, un'occasione persa per raccontare un episodio simbolico di un particolare periodo storico.

Rispetto al libro, il film aggiunge il personaggi del cacciatore (in una pessima interpretazione di Douglas), toglie l'importante elemento dell'assenza della criniera nei leoni e aggiunge alcuni tratti romantici, inesistenti nel racconto.
Gli storici dissentono molto sul numero elevato degli uomini "mangiati" dai leoni. Si ritiene che il numero non abbia superato la trentina (non 130 come scritto da Patterson). Inoltre si ritiene che i leoni siano - inusualmente - diventati affamati di carne umana, in parte per l'epidemia di peste che coinvolse i bovini negli anni 1890 (che ridusse quindi le prede disponibili, soprattutto zebu' e bufali).


Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

martedì 6 marzo 2012

Cinema: Catch a Fire

Catch a Fire è un film del 2006 diretto dal registra australiano Philip Noyce e basato sulla vera storia dell'attivista politico sudafricano  Patrick Chamusso, interpretato nel film dall'attore americano Derek Luke.
Una storia di un uomo comune, un lavoratore che vive con moglie e figli, che ama il calcio. Un uomo normale. A seguito delle torture subite alla fine degli anni '70 in ragione del colore della sua pelle, nera, accusato dall'agente Nic Vos, di aver compiuto atti di sabotaggio, decide di diventare quello che tutti sospettano che lui sia: un terrorista. Il film rispecchia, abbastanza fedelmente, la storia di Patrick (del resto è tratto da un libro scritto dalla figlia di Joe Slovo, Shawn, che era il responsabile militare dell'organizzazione che lo addestrò militarmente nonchè leader del Partito Comunista Sudafricano).
E' una storia di apartheid, una delle tante e tristi storie di violenza, di segregazione e di intolleranza. Una storia che è incentrata anche sulla figura del Colonnello Nic Vos (interpretato da Tom Robbins) che dietro alle apparenze di un uomo gentile e disponibile, nasconde tutte le insidie e la crudeltà della polizia politica sudafricana di quel tempo. Allo stesso tempo è un film che punta alla speranza e al futuro. Il film si chiude infatti con Patrick, che una volta libero, pur avendo la possibilità di vendicarsi di Vos (lo vede da solo sulle rive di un fiume), decide di lasciarsi, per sempre, alla spalle il passato. Una sorta di appello a chiudere per sempre il rapporto con il passato e a guardare in avanti. Nel finale appare anche il vero Patrick Chamusso (oggi un omone sorridente), a sostenere le tesi del perdono e dello sguardo rivolto al futuro e alle giovani generazioni con cui, e per cui, oggi conduce le sue battaglie.
Il film è anche una riflessione sul passato, e su quei terribili anni che hanno generato così tanto odio tra gli uomini.

Il film, mai uscito nelle sale italiane, è parlato in inglese, afrikans, zulu e portoghese (sottotitolato in italiano nella versione uscita in DVD) ed è girato in Sudafrica, Mozambico e Swaziland.
In Italia è stato presentato alla 27° Festival del Cinema Africano di Verona.





Il vero Chamusso
Patrick Thibedi "Chamusso", nasce in Mozambico nel 1949, figlio di minatori. Emigra in Sudafrica lavorando come pittore e fotografo di strada. Riesce, cosa non comune per un giovane nero, a comprare un'auto e una macchina fotografica, che presto gli verranno confiscate, e mai più restituite, in un fermo di polizia. E' anche un bravo calciatore e un grande lavoratore. Nel 1977 inizia a lavorare al Petrolchimico Sasol's a Secunda. Nel giugno 1980 viene arrestato e torturato perchè sospettato di un'attentato alla raffineria organizzato dall'ANC. Rilasciato senza che nessuna imputazione o condanna (nonostante a seguito delle torture anche ai suoi familiari, avesse confessato colpe di cui non era responsabile), decide di andare in Mozambico e arruolarsi nell'Umkhonto we Sizwe (La lancia nella Nazione), l'ala militare dell'ANC guidata a quel tempo da Joe Slovo. Dopo l'addestramento il 21 ottobre 1981 torna in Sudafrica per compiere un'attentato alla stessa raffineria dove aveva lavorato. Il piano è quello di far esplodere una prima carica esplosiva, in modo da permettere l'evacuazione della fabbrica, per poi far detonare un'altra carica più distruttiva, in modo da non causare vittime. Il piano fallisce perchè la polizia interviene disinnescando la seconda carica. Arrestato il 27 ottobre, viene prima detenuto e torturato per 9 mesi, e poi condotto a Robben Island (dove era detenuto anche Nelson Mandela) e condannato a 24 anni di carcere. Sarà liberato nel 1991 con l'amnistia a seguito della fine dell'apartheid. Una volta liberato, oltre a sposarsi e ad avere 3 figli, assieme alla moglie adotta 80 orfani di genitori morti per AIDS (l'orfanotrofio si chiama Two Sisters). Il suo nome diventa conosciuto con l'uscita del film.

Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

mercoledì 8 febbraio 2012

Cinema: L'ultima alba

L'ultima alba (titolo originale Tears of Sun) è un film d'azione girato nel 2003 dal regista americano di colore Antoine Fuqua e che ha come protagonisti Bruce Willis a l'italiana Monica Bellucci. E' un film molto criticato e per lo più accompagnato da giudizi negativi, a volte perfino offensivi, per aver affrontato, secondo alcuni, in modo superficiale, banale e non veritiero, la drammatica realtà africana.
La storia è quella di un commando di forze speciali americane, capitanate dal tenente Waters (Bruce Willis nel film),  che, a seguito di un colpo di stato in Nigeria (in film è girato negli Stati Uniti e nelle isole Hawai), è chiamato a portare in salvo una cittadina americana,la dottoressa Lena Kendricks (Monica Bellucci), che opera in una missione. Il medico riuscirà a far disattendere al tenente ed ai suoi uomini gli ordini, mettendo in salvo sugli elicotteri malati, anziani e bambini, e avventurandosi in un difficile viaggio verso i confini del Camerun. Il gruppo dopo aver attraversato un villaggio nel mezzo di una pulizia etnica, scopre di essere stato tradito da uno degli stretti collaboratori della dottoressa e di essere braccati dall'esercito perchè sotto falso nome nel gruppo si nasconde un membro della famiglia presidenziale deposta e sterminata. I militari, gran parte pagando con la vita, riusciranno a portare il gruppo in salvo oltre il confine.



Raccontato, è un film d'azione, ricco di effetti speciali e centrato sulla figura del militare americano buono, che diventa un eroe perchè salva donne e bambini. Dicevemo un film stroncato dalla critica come banale, accusato di non avere nessun legame con la realtà.
Io consiglio comunque di vederlo, perchè spesso anche in questi film apparentemente superficiali, vi si possono intravedere chiavi di lettura diverse e che fanno riflettere. La storia regge ad un confronto della realtà. Durante le crisi "africane" non è stato infrequente vedere azioni di "recupero", spesso militari, del personale espatriato. Operazioni che erano coperte da segreto e che spesso non sono mai state nemmeno conosciute. Operazioni che non prevedevano una presa di posizione o l'ingaggio con gli eserciti locali, ma solo recupero ad ogni costo e senza contatto con le popolazioni locali che venivano, spesso cinicamente, abbandonate alla loro sorte.
Gli aspetti di pulizia etnica che si vedono nel film non hanno nulla di "irreale", anzi ad essere onesti quello che è accaduto in Sierra Leone, in Liberia, nella Repubblica Democratica del Congo o in Ruanda (per citare gli esempi più conosciuti) hanno superato, di molto, gli episodi già orribili descritti nel film.

Il film si chiude con una citazione da Edmund Burke, scritta in rosso su fondo nero, che dice" perchè il male trionfi e sufficiente che i buoni rinuncino all'azione".


Vai alla pagina di Sancara sui Film sull'Africa

martedì 27 dicembre 2011

Cinema: Giorni di guerra

Giorni di guerra (trasposizione italiana, di poco effetto, del francese L'ennemi intime) è un film del francese Florent Emilio Siri, uscito nel 2007 e sceneggiato da Patrick Rotman.
E' un film bellico, che racconta, dalla parte dei francesi, la guerra tra le montagne della Cabilia in Algeria sul finire degli anni '50 (per l'esattezza a partire dal giugno 1959) durante la guerra di liberazione algerina (1954-1962).
La guerra dell'Algeria (ovvero la lotta per l'indipendenza del popolo algerino) iniziò "ufficialmente" il 1 novembre 1954, per chiudersi, con gli accordi di Evian, il 19 marzo 1962, che decretarono l'indipendenza dell'Algeria (1 luglio 1962). 
E' un film che affronta il dramma della guerra, sottolineandone più gli aspetti psicologici ed individuali, che quelli storici e/o politici. Un film francese che forse per la prima volta racconta la guerra d'Algeria (probabilmente una delle più atroci guerra coloniali, dopo quella del Vietnam) con lo stesso stile con cui i registi americani hanno affrontato, oramai decenni addietro, il tema della guerra del Vietnam. Infatti in Francia il film è stato molto criticato e non ha ottenuto un grande successo (in Italia non è neanche uscito nelle sale). La contestazione è avvenuta non tanto sul piano storico-politico, ma su quello appunto stilistico non piaciuto ai francesi. Una scelta quella del regista, di indagare soprattutto sugli aspetti psicologici che coinvolgono il luogotenente idealista Terrien, interpretato da Benoit Magimel (convinto di essere stato inviato in una missione di pacificazione, perchè questo diceva la propaganda in patria) e il sergente Dougnac, interpretato da Albert Dupontel, militare duro e puro, reduce dalla guerra di Indocina, abituato ad atrocità di ogni genere.


Il film dimostra l'atrocità della guerra e la follia umana che spesso - dietro di essa - si nasconde, senza entrare nelle questioni politiche e storiche che sono state alla base del conflitto algerino.
Nel finale delle scritte ci ricordano gli oltre 2 milioni di militari francesi inviati nella zona di guerra e gli oltre 500 mila morti, in maggioranza algerini, di questo conflitto coloniale.
Il film è girato totalmente in Marocco.


Sancara aveva già recensito un film che trattava la Guerra d'Algeria, La battaglia di Algeri (1966) dell'italiano Gillo Pontecorvo. Un film impegnato, di uno stile completamente differente.

Vai alla pagina di Sancara Film sull'Africa

giovedì 3 novembre 2011

Cinema: Nata libera

Nata libera (Born Free) e' un film del 1966, tratto dal romanzo autobiografico di Joy Adamson  Nata libera: La straordinaria avventura della leonessa Elsa, scritto nel 1960. Entrambi (il libro prima e il film dopo) furono un grande successo. Il film, diretto da James Hill, fu interpretato da Virginia McKenna (nei panni di Joy) e da Bill Travers (nei panni del marito George) che per girare il film vissero a lungo con i coniugi Adamson, divenendone amici. La storia, ispirata alla realtà, è quella di una coppia di naturalisti inglesi George Adamson (in realtà nato in India da famiglia inglese-irlandese) e Joy Adamson (in realtà Friederike Victoria Gessner, austriaca nata nell'attuale Repubblica Ceca, naturalizzata inglese), che vivono in Kenya, nel Parco Naturale di Meru, in cui George riveste il ruolo di capo guardiano della riserva. Nel 1956 la coppia adotta tre cuccioli di leoni rimasti orfani in seguito all'abbattimeno dei genitori. Due dei cuccioli saranno inviati allo zoo, mentre una leonessa, la più piccola, che sarà chiamata Elsa, sarà cresciuta dalla coppia e da Joy in particolare, divenendo un'amica inseparabile. Elsa una volta cresciuta, sarà non senza fatica, reintrodotta nell'ambiente naturale grazie alla tenacia e alla competenza di Joy, pur senza mai perdere il contatto con loro. Morirà pochi anni dopo di malattia. Il film, frutto degli scritti di Joy, è  girato in Kenya, ed è una piacevole avventura, girata con intelligenza anche in considerazione dei tempi.
Sia il libro che il film hanno avuto dei seguiti, senza naturalmente lo stesso successo. 

Qualche sera fa, ho rispolverato questo vecchio film dalla "mia cineteca africana" e l'ho rivisto, complice il ponte scolastico, assieme ai miei figli. Per noi adulti forse il film risente di tutto il peso dei suoi quasi 50 anni: colori un pò sbiaditi, qualche eccesso di perbenismo e una visione dell'Africa spiccatamente "da uomo bianco". Però mentre lo guardavo apprezzavo il grande sforzo che fu fatto per trasmettere al pubblico l'amore per questi felini, per sottolinearne le difficoltà nelle relazioni e perchè no anche la pericolosità, in un'epoca in cui i mezzi di comunicazioni non erano certo quelli che oggi conosciamo. Poi ho visto gli occhi affascinati dei miei figli, che hanno seguito, incollati al divano, l'evolversi dell'avventura di Elsa con grande curiosità, partecipazione e stupore. Poi guardando i siti internet abbiamo visto le foto della vera Elsa. Da qualche giorno molte delle nostre chiacchierate vertono sui leoni, sugli Adamson e sui parchi naturali dell'Africa.


Come spesso accade il libro e poi il film ebbero il grande merito di far conosce al pubblico un lavoro eccezionale - quello dei coniugi Adamson - che portò non solo a delle conoscenze straordinarie sui leoni e la loro organizzazione sociale (in particolare George studiò fino alla fine dei suoi giorni il comportamento di questi felini), ma diede un forte impulso al tema della conservazione animale in Africa.

George Adamson, "il padre dei leoni",  è considerato da tutti anche uno dei padri della conservazione animale.
Il 20 agosto 1989 George, all'età di 83 anni, fu barbaramente assasasinato, assieme a due assistenti,da un gruppo di banditi somali vicino al suo campo al Kora National Park.
Anche Joy (nella foto in alto con Elsa), che è stata anche una pittrice, era stata assassinata il 3 gennaio 1980 (iniziamente ritenuta uccisa da un leone, in realtà assassinata da un'ex dipendente licenziato).


Ecco alcuni siti dove è possibile trovare foto, documenti e filmati sulla vita di George e Joy Adamson. Consiglio caldamente di esplorarli perchè contengono documenti di una rara bellezza e densi di emozioni.


Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

giovedì 8 settembre 2011

Cinema: Lumumba

Lumumba, è un film del 2000 diretto dal regista haitiano Raoul Peck ed la ricostruzione più veritiera dell'ascesa (gli ultimi mesi della sua vita) e dell'assassinio di Patrice Lumumba, principale interprete della lotta all'indipendenza del Congo Belga (poi Zaire e oggi Repubblica Democratica del Congo), divenuto Primo Ministro e poco dopo assassinato da militari belgi, dalla Cia e da ufficiali congolesi vicini a quello che succesivamente diventerà il signore e padrone del paese, Mobutu Sese Seko.
E' un film duro, a tratti forte e comunque triste. La storia di un uomo che ha fortemente creduto e lottato per la sua gente e per i suoi ideali e che è rimasto vittima di un complotto internazionale. Un uomo che come ha avuto modo di definirlo Ryszard Kapuscinski "non ha avuto il tempo di diventare una leggenda come Che Guevara, diventato un simbolo".

Raoul Peck, nato ad Haiti nel 1953, scappa nel 1961 dal suo paese, sotto la dittatura di Duvalier, assieme alla sua famiglia, per recarsi, nello stesso anno dell'assassinio di Lumumba, a Leopoldville nel Congo Belga, dove vivrà fino a 32 anni. Questo legame con il paese lo segna profondamente. Già nel 1991 girerà un documentario su Lumumba (Lumumba, la mort du prophete"), mentre il film Lumumba lo farà conoscere al mondo. Per breve tempo, negli anni '90, Peck è stato anche Ministro della Cultura ad Haiti durante la presidenza Aristide.



Il film è girato in Mozambico ed è interpretato dall'attore francese di origine camerunese Eriq Ebouaney, che oltre ad offrire una grande prova di attore ha anche una straordinaria somiglianza con il vero Lumumba.
Putroppo il film non è mai uscito ufficialmente nella sale italiane (nonostante sia giunto secondo al Festival del Cinema Africano di Milano nel 2001), un vero peccato, per un prodotto che oltre ad essere ben confezionato da un punto di vista cinematografico avrebbe anche consentito di comprende l'origine di molti dei mali che oggi affliggono la Repubblica Democratica del Congo, e che fanno del paese da tutti hanno definito uno "scandalo geologico" per l'immensità delle sue risorse minerarie, uno dei paesi più poveri ed insanguinati del pianeta.

Il 17 gennaio 1961 non solo si spegneva violentemente la giovane vita di Patrice, ma forse si soffocavano per un lungo tempo le speranze si emancipazione e di crescita di un'intero continente.

In film è visibile tutto su Youtube (in 9 pezzi) a partire dal primo.

Vai alla pagina di Sancara su Film dall'Africa