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sabato 31 ottobre 2015

La Nigeria condanna le mutilazioni genitali femminili

Il provvedimento adottato in Nigeria nello scorso maggio è probabilmente destinato a far scuola. Il più popoloso e complesso stato africano, inserisce all'interno di una legge (Violence Against the Person 2015) il reato di mutilazione genitale femminile, con pene pecunarie e detentive. La scrittura della norma e' stato un processo lungo, fortemente voluto dalle associazioni delle donne nigeriane, che ha richiesto oltre 14 anni di lavoro a cause delle difficoltà incontrate con le comunità religiose e etniche più conservatrici. Il testo infatti comprende, e condanna, tutte le violenze di genere (ma non solo) e vuole essere una sorta di protezione della persona (in particolare della donna) nel suo insieme. Infatti oltre ai reati e alle pene detentive, essa introduce anche elementi di assistenza e protezione delle vittime.
La Nigeria è uno dei 29 paesi (solo due fuori dall'Africa) in cui ancora si praticano ancora le mutilazioni genitali femminili, mentre sono altri 20 i paesi in cui essa è, in qualche modo, "tollerata" (Sancara aveva pubblicato un post, Mutilazioni genitali femminile: uno stupro silenzioso - a cui vi rimando per una trattazione più completa). Si calcola che il 27% delle donne nigeriane (circa 20 milioni) siano state costrette a subire questa orrenda pratica.

Una pratica inutile, dannosa e discriminatoria, che deve essere spazzata via senza mezzi termini.
Le Nazioni Unite da tempo hanno messo al bando queste pratiche (dal 2003 è stata istituita anche una Giornata Mondiale contro le MGF, stabilita il 6 febbraio), ma è chiaro che leggi e proibizioni faticano a scardinare credenze e riti che sono spesso radicati nelle identità delle tribù. E' un lavoro faticoso che coinvolge le donne (ricordiamoci che in molte comunità le mutilazioni sono sostenute soprattutto dalle donne) e che deve tener conto delle realtà di comunità che sotto altri versi vanno tutelate e salvaguardate quali patrimoni umani. La ricerca ad esempio di riti alternativi di passaggio, condivisi e che trovano la piena adesione della società, è un settore in cui, in molte aree si lavora con buoni successi.

Certo anche per la Nigeria non tutto è semplice. La legge, valida immediatamente solo nello Stato federale della capitale Abuja, deve essere approvata anche dagli altri 36 stati federali (alcuni dei quali già proibivano queste pratiche) e naturalmente deve essere messa alla prova per quanto concerne la sua efficacia.

In Italia è stato istituito presso il Dipartimento delle pari Opportunità un numero verde (800.300.558) sulle mutilazioni genitali femminili per aiutare le donne migrate nel nostro Paese. Infatti non sono rari i casi di MGF in donne africane fuori dai loro paesi. Un recente studio in Inghilterra ha evidenziato come sono oltre 1000 le donne che in un trimestre si sono rivolte a servizi sanitari per problemi relativi a mutilazioni "domestiche".

Tra le Associazioni Italiane attive in questo campo segnalo l'AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), dal cui sito è possibile seguire iniziative, campagne e luoghi di formazione nei singoli Paesi, in Italia ed in Europa tramite la piattaforma STOPFGM/C

venerdì 11 gennaio 2013

Cinema: Moolaadè

Moolaadè è un film del 2004 (uscito però in Italia l'8 marzo 2006) ed è l'ultimo film diretto e prodotto dal senegalese Ousmane Sembene, ultraottantenne durante le riprese, prima della sua morte avvenuta nel 2007.
E' un film coraggioso e di denuncia. Coraggioso perchè rompe uno schema classico che vuole il rispetto delle tradizioni sopra ogni cosa, anche a rischio di sfidare e allontanare le cose, buone, che la modernità porta con se. Di denuncia, anch'essa coraggiosa, perchè prende una posizione chiara ed inequivocabile a favore delle donne africane e contro le orrende pratiche della mutilazione genitale femminile.
Sembene lo fa nel suo modo. Un film girato in un villaggio del Burkina Faso (Djerisso) a ritmi lenti, parlato in bambara (con sottotitoli in francese nella versione originale) e scandito dalle musiche del maestro Boncana Maiga.
La storia è forte e drammatica. Ruota attorno alla figura di una donna, Collè Gallo Ardo (interpretata dall'attrice Fatoumata Couliboly), che ingaggia una lotta a difesa di quattro bambine che si erano rifiutate di farsi "tagliare" (escissione del clitoride). Collè, che già si era rifiutata di far tagliare la figlia (dopo che due altre delle sue figlie erano morte a seguito della stessa pratica), decide di concedere asilo (moolaadè, protezione) nel suo compound alle bambine (cosa ritenuta, per cultura, inviolabile), contro la volontà delle stesse mamme e degli uomini del villaggio. La storia scorre apparentemente senza soluzioni, fino al punto in cui due omicidi sconvolgono tutti. Il primo è quello di una delle quattro bambine, che rapita dalla madre, muore dopo essersi opposta, vanamente, con tutte le sue forze all'escissione, il secondo è quello di un personaggio, chiamato il Mercenario, uomo rientrato al villaggio dopo aver vissuto in Europa, che viene assassinato la notte stessa in cui ha fermato la mano del marito di Collè mentre la frustava per punirla della sua indisciplina.

Solo quando Collè, apparentemente sconfitta, rinuncia al  moolaadè, le donne del villaggio assumono una posizione chiara e comune, costringendo le salindane (donne che praticano l'escissione) a restituire i loro affilati coltelli. Di fronte poi degli uomini del villaggio si compie l'ultimo gesto di coraggio, quando il figlio del capo villaggio rifiuta il potere del padre e decide di sposare Amsatou, la figlia di Collè, anche se bilakoro (non tagliata, non purificata) e pronuncia la frase forse più incisiva del film, ovvero "per fare un uomo non basta avere i pantaloni".

Il film rappresenta senz'altro la vittoria delle donne contro questa terribile pratica (vi rimando per tutte le informazioni a questo vecchio post di Sancara, Mutilazioni genitali femminili, uno stupro silenzioso) che lede la dignità delle donne. Il film è divenuto subito uno strumento utilizzato nei programmi di prevenzione alle mutilazioni genitali,anche in Italia. Ma le chiavi di lettura possono essere molteplici. Sembene, da maestro del cinema qual'era, gioca sul piano del conflitto, sempre esistente, tra tradizione e modernità (il film si chiude con le immagini di un'antenna televisiva sulla moschea). Il rogo delle radio (gli uomini decidono di bruciare tutte le radio del villaggio perchè, a loro avviso, sono le parole che da esse provengono ad aver istigato la ribellione di Collè), che rimanda alla mente altri roghi frutto dell'oscurantismo, simboleggia l'ennesimo e vano tentativo di bloccare il tempo.

La moschea del film , dalla rete
Nel film è possibile anche vedere uno straordinario documentario sulla vita quotidiana africana, dove le donne svolgono un ruolo fondamentale. Un film da vedere, capace di indignare e di far sorridere, dove la sofferenza e il dolore sono non vengono mostrati con ostinazione, ma lasciati sul piano dell'immaginazione dello spettatore. Un film girato con grande arte, come solo uno straordinario maestro del cinema come Sembene poteva regalarci.

Vai alla pagina di Sancara sul Cinema sull'Africa

lunedì 6 febbraio 2012

Giornata Internazionale della tolleranza zero contro le mutiliazioni genitali femminili

Nel 2003 l'Organizzazione Mondiale della Sanità stabilì che il 6 febbraio di ogni anno si celebrasse la Giornata Internazionale di tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), giunta quest'anno alla decima edizione.
Un modo per ricordare, riflettere e lottare contro questo puro atto di barbaria che, stando ai numeri dell'OMS, interessa 140 milioni di ragazze e donne nel mondo e che ogni anno mette a rischio altre 3 milioni di bambine.
Sancara aveva già affrontato questo tema, con un post denominato "Mutilazioni genitali femminili uno stupro silenzioso" proprio a rimarcare come un atto di tale violenza non trova nessuna giustificazione di tipo religioso, culturale o etnico. 
Sono molte le iniziative che si svolgono nel mondo, a sostegno delle associazioni di donne impegnate contro le mutilazioni. Il problema investe anche l'Europa (alcune stime dicono che oltre 180 mila bambine nate in Europa sono a rischio ogni anno), dove, nonostante in alcuni paesi le mutilazioni siano vietate per legge (Francia, Svezia e Inghilterra ad esempio), il fenomeno non trova soluzione.


Dal sito UNICEF
E' chiaro che gli sforzi, oltre che di tipo legislativo, devono essere spinti verso il lavoro nelle comunità locali e in particolare attraverso il ruolo attivo delle donne. 
Naturalmente le mutilazioni genitali femminili vanno candannate e combattute in modo deciso, senza scuse e senza attenuanti.
Al tempo stesso è fondamentale aiutare le donne  (e sono molte e sempre più) delle comunità locali che lottano per una trasformazione culturale delle credenze che stanno alla base dei motivi che inducano intere etnie a ricorrere a queste orribili pratiche. E' un passaggio delicato perchè tutti noi abbiamo anche il compito di salvaguardare popolazioni che hanno sopravvissuto con le loro tradizioni e la loro cultura ai secoli e che oggi sono molto fragili. 

giovedì 18 novembre 2010

Mutilazioni genitali femminili, uno stupro silenzioso

Le mutilazioni genitali femminili (MGF o FGM) hanno una storia antica, già Erodoto nel V sec. a.c. raccontava di queste pratiche diffuse tra Ittiti, Egizi, Etiopici e Fenici. Oggi sono praticate quasi esclusivamente nel continente africano, dove in ben 28 stati vengono eseguite su bambine dai 0 ai 15 anni. Fuori dall'Africa, in alcune comunità di paesi della penisola araba e del sud-est asiatico, vengono ancora praticate.

Secondo alcune fonti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si stima che tra i 100 e i 140 milioni di donne siano state sottoposte a mutilazioni genitali e che circa 3 milioni di bambine, dai 0 ai 15 anni, siano a rischio ogni anno (vi posto il link del Rapporto dell'OMS).
Stime di varie fonti dicono che, tra le donne di 15-49 anni, hanno subito mutilazioni sessuali il 97,9% in Somalia, il 95,8% in Egitto, il 95,6% in Guinea, il 94% in Sierra Leone, il 93,1% in Gibuti, il 91,6% in Mali, il 90% in nel Nord Sudan, l'88,7% in Eritrea, il 78,3% in Gambia, il 74,3% in Etiopia.
Incidenza molto più bassa in Uganda 0,6%, in Cameroon 1,4%, in Niger 2,2%, in Ghana 3,8% e in Togo 5,8%.
L'OMS classifica, dal 1995 (con modifiche adottate nel 2007), le mutilazioni genitali in quattro tipi: la clitoridectomia (parziale o totale rimozione del clitoride), l'escissione (parziale o totale rimozione delle piccole labbra con o senza escissione delle grandi labbra), l'infibulazione (chiusura dell'orifizio vaginale attraverso la cucitura delle piccole o/e delle grandi labbra, lasciando un piccolo foro per il passaggio dell'urina e del sangue mestruale, con o senza clitoridectomia) e altre pratiche pericolose sui genitali femminili senza una ragione medica (piercing, incisioni, cauterizzazione, allungamenti).

Nella stragande maggioranza dei casi le mutilazioni vengono effettuate con strumenti rudimentali (lamette, pietre appuntite, pezzi di vetro, filo da cucito), da personale non qualificato (spesso levatrici tradizionali), in situazioni per nulla asettiche (non pulite, per capirci) e senza anestesia.
I rischi sanitari sono notevoli e i traumi, non solo fisici, restano per sempre.

Non vi sono ragioni igienico-sanitarie per giustificare le mutilazioni sessuali femminili. Molti studi hanno affrontato la questione, evidenziando una complessità di motivazioni alla base dell'uso di queste pratiche. Ragioni che affondano nelle tradizioni, nella religione e nell' architettura della società. Eradicare una barbaria che trova le sue radici sulla pressione sociale (la comunità gioca un ruolo essenziale), su falsi canoni estetici (secondo alcune culture si eliminano le parti maschili), su presunte credenze religiose (in nessun testo sacro si parla di tale pratica), su tradizioni ataviche e che coinvolge, indifferentemente, uomini e donne (non è vero che siano solo gli uomini a volere tali pratiche) è complesso e richiede uno sforzo importante da parte della comunità internazionale e dei governi.
Thomas Sankara, tra i primi a condannare l'infibulazione, aveva tentato in tutti i modi di lottare un fenomeno fortemente radicato nel Burkina Faso trovando ostacolo nei capi villaggi e anche in molte donne.

Recentemente la questione delle mutilazioni genitali femminile ha interessato anche l'Italia attraverso le comunità straniere immigrate, che non intendono abbandonare tale pratica.

E' bene essere chiari. La lotta contro le mutilazioni sessuali femminili deve essere chiara, senza giustificazione alcuna e portare alla completa eliminazione di tale pratica perchè priva di giustificazioni e lesiva dell'integrità fisica e psichica della donna.

Tra le molte campagne internazionali di lotta contro le mutilazioni genitali femminili vi segnalo quella di Emma Bonino Stop FGM! lanciata nel 2001, quella dell'Organizzazione non Governativa No Peace Without Justice, quella di Amnesty International, quella del'UNICEF, del Ministero delle Pari Opportunità, del Parlamento Europeo.
Ovviamente sono molto attive anche le organizzazioni non governative in Africa, i gruppi di donne in vari Paesi africani. Così come è vero che molti governi si sono attivati con leggi proibitive (l'Egitto ad esempio ha proibito le mutilazioni genitali femminili definitivamente nel 2008).

Riporto di seguito un'annotazione di qualche anno addietro.

Ricordo ancora molto intensamente quella giornata piovosa sul finire di settembre del 1992. La stagione delle piogge era ancora nel pieno e quella mattina l'acqua non dava tregua. Da pochi mesi ero giunto in Gambia e mi aggiravo tra i corridoi del Bansang Hospital cercando un luogo dove istituire un nuovo Record Office. Di fronte al reparto di pediatria tre delle infermiere discutevano animatamente, con toni inusualmente aggressivi e seri, con due donne vestite di magnifici colori. Mi avvicinai e Maimuna, una delle infermiere, mi venne incontro raccontandomi, non senza trasporto emotivo, di una bambina, di poco più di quattro anni, giunta in ospedale in fin di vita a seguito di una escissione (taglio delle grandi e piccole labbra) praticata con mezzi improvvisati e in modo esagerato. La bimba aveva perso molto sangue, la ferita era infetta e erano state compromesse anche le vie urinarie. Stavano urlando alla madre e alla nonna della piccola la loro rabbia e richiamandole alle loro respnsabilità. In particolare Fatou, la responsabile del reparto dall'aspetto molto mascolino, urlando in serer, sembrava proprio fuori di sè. Mi dissero che continuava ad urlare alla mamma che era una stupida (credo che fosse una grave offesa nella loro lingua). Maimuna mi costrinse - nonostante le mie perplessità - ad andare a vedere lo scempio fatto alla bambina. Quella mattina feci la mia prima donazione di sangue. Restai scioccato, allora devo ammettere le mie conoscenze sul fenomeno delle mutilazioni genitali femminili erano molto vaghe e imprecise, non tanto per le ferite viste (credo di aver visto cose anche peggiori) ma, per gli occhi di paura e di disperazione di quella bimba che mi tornavano in mente in ogni momento. La sera rividi Maimuna ad una festa, mi raccontò, con le lacrime agli occhi, della lotta che stava conducendo all'interno della sua famiglia (e solo in parte con suo marito), per evitare che alla sua bimba nata da poco più di due anni, fosse fatto quello che era stato fatto a lei quando era piccola.
A Maimuna, Fatou e le altre donne d'Africa è affidata l'eliminazione di questa orrenda pratica. Devono essere sostenute.