sabato 30 giugno 2012

Zanzibar, la regina delle spezie

Zanzibar, Tanzania, agosto 1991

L'arrivo a Zanzibar, dopo alcune ore di barca, è sorprendente. La prima sensazione evidente , che sarà poi pienamente confermata, è di trovarsi in un'altro Paese rispetto al continente. Di aver lasciato la Tanzania, e in particolare la caotica Dar El Saalam, e di essere giunti in un'altro luogo, più pacato e rilassante. 
Le isole, ovunque esse si trovino, sono luoghi magici, la vita scorre con ritmi più lenti ed è come che i confini d'acqua rallentino tutte le azioni, rendendo la vita più semplice. Zanzibar non fa eccezione e, complice un clima mitigato dal vento e un armonioso incrocio di razze, diventa un luogo di cui ti innamori a prima vista. Stone Town ti accoglie di giorno con la sua aria tranquilla, perfino svogliata, perchè è a sera che offre il meglio di se. Girare per le strade diventa un'esperienza unica e appagante. Per le strade si mangia, si beve, si gioca, si suona e si canta. In questa isola nacque, e ci visse alcuni anni, Farrokh Bulsara (il grande Freddy Mercury una delle voci più straordinarie e carismatiche del panorama rock mondiale), parte della sua carica deriva anche da questo piccolo paradiso.
Zanzibar una miscela di culture, di razze e di sapori, che si sono nel tempo mescolate tra loro, creando nuove e straordinarie realtà. Bantu, arabi e indiani hanno saputo mettere in comune la loro genetica, le loro tradizioni e la loro cucina, offrendo a chi arriva in questo magnifico luogo un infinito piacere. Al centro della cultura e dell'economia di Zanzibar vi sono le spezie, coltivate in grande varietà e quantità in tutta l'isola da secoli. Le spezie sono state al centro dello sviluppo dell'isola sin dalla fine del primo millennio.
Cibo ai Giardini di Forodhani, dalla rete
Presi alloggio alla Malindi Guest House, un luogo delizioso, con stanze ampie arredate in modo semplice e con grande gusto, in un'atmosfera da vecchio e nobile palazzo. Allora il costo di una camera era di 10 dollari a notte, un pò più alto della media, ma ne valeva la pena. Ho visto che esiste ancora, ecco il suo sito.
Se di giorno girare per Stone Town, è una piacevole camminata, tra portali di legno in stile arabo finementi intagliati, tra palazzi di cui si continua ad intravedere l'antico splendore, tra i colori dei tessuti indiani e africani, tra il profumo delle spezie e tra un pollulare di gente sorridente e chiassosa, è all'imbrunire che Stone Town offre il suo magnifico spettacolo.
Sul lungomare, mentre il sole tramonta all'orizzonte, e in particolare nei Giardini di Forodhani, si inizia a cucinare. Alla sera l'intera area diventa un'enorme ristorante all'aria aperta dove è possibile assaggiare i piatti tipici della cucina locale, che così come la sua gente, è un intreccio di aromi e sapori di vari angoli del pianeta. Intorno i vecchi giocano a backgammon o a bao, mentre improvvisate orchestre organizzano jam-session traordinarie.

Coltivazioni di allghe a Jambiani (dalla rete)
Ma Zanzibar è anche (e per qualcuno soprattutto) mare. Al tempo vi era ben poco di costruito e la costa est, quella più incantevole, era persino difficile da raggiungere.  Vi erano alcune jeep che, a prezzi modici, ti trasportavano dove volevi e a cui chiedevi di venirti a prendere la settimana dopo. Andai a Jambiani. Al tempo (a volte mi sembra di essere un vecchio, ma il mondo è molto cambiato) vi era un'unica Guest House, con otto camere che davano su di un cortile interno di sabbia, da dove si attingeva l'acqua. Non vi era energia elettrica, e tutto aveva il sapore del decadente. Questo significava che si beveva birra calda! L'edificio era sul mare, davanti una splendida spiaggia di sabbia bianca, alcune palme e uno straordinario mare.
Dormii la prima notte su di una capanna al lato dell'edificio perchè le otto stanze erano tutte occupate.
Dietro alla Guest House, si sviluppava un piccolo villaggio di pescatori, una trantina di capanne. Un tipo villaggio africano se non fosse stato per la presenza di grossi polipi messi ad essiccare ovunque.  Gli abitanti erano ottimi pescatori. Uscivano con delle barche a vela e tornavano con il loro bottino. Altri si recavano a piedi (l'escursione di marea permetteva di inoltrarsi per quasi un chilometro fino alla barriera corallina) cacciando squisiti polipi e aragoste. Le donne coltivavano in mare alghe (l'alga rossa del genere Euchema), che viene utilizzata in vari modi, come addensante e nei cosmetici. La coltivazione dell'alga non è un fatto della tradizione di Zanzibar (appartiene alle culture orientali), ma è stata introdotta sul finire degli anni '80.


Oggi Zanzibar è molto cambiata, ma sono sicuro resta un luogo incantevole del nostro pianeta.


Su Zanzibar vi segnalo il nuovo Blog dell'amico Marco Pugliese (già redattore di African Voices), Passion Zanzibar, fatto da un vero esperto e appassionato dell'isola.




Storicamente Zanzibar è sempre stato un luogo strategico, per la sua posizione, per il commercio con l'Oriente. Abitato fin dalla prestoria da popoli Bantu, intorno alla fine del I millennio risentì fortemente dell'espansione araba e persiana come punto terminale dei commerci con l'India e la Cina. Dalla mescolanza tra arabi e persiani e le popolazioni locali bantu, nacque quella che è conosciuta come cultura swahili. Intorno al XV secolo giunsero poi i Portoghesi che usarono anch'essi l'isola come base per l'Oriente. Nel XVII secolo vi fu l'espansione del Sultanato dell'Oman che nel 1840 fece di Stone Town la propria capitale. Solo nel 1861 a seguito di lotte interne, nacque il Sultanato di Zanzibar, separato da quello dell'Oman. Nel 1890 Zanzibar divenne protettorato britannico e  tale vi rimase fino al 1963 quando divenne indipendente. Poco dopo, nel gennaio 1964, una rivoluzione pose fine al Sultanato e costruì le basi per un'unione federale con il vicino Tanganica. A ottobre del 1964 naque l'odiena Tanzania.

giovedì 28 giugno 2012

Una donna madre, africana e mussulmana alla guida della Corte Penale Internazionale

Chissà se quando, anni addietro, Fatou Bensouda guidava da capitana la nazionale di pallavolo del Gambia pensava, tra un bagher e una schiacciata, al suo futuro professionale. Certo non poteva immaginare che avrebbe guidato un organismo che a quel tempo non esisteva nemmeno. Dal 16 giugno scorso, questa donna preparata, tenace e forte, è alla guida (Procuratore Generale) della Corte Penale Internazionale (in inglese International Criminal Court -ICC), l'organismo giuridico delle Nazioni Unite, incaricato di perseguire i crimini più seri che riguardano la Comunità Internazionale come genocidi, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.

Fatou Bensouda è nata a Banjul in Gambia il 31 gennaio 1961, si è laureata in Nigeria ed ha svolto un master a Malta divenendo una delle massime esperte di diritto marittimo. Dopo vari incarichi di prestigio, pubblici e privati, nel suo paese, tra cui alcuni di governo, dal 2004 e' diventata Vice-Procuratore Generale della Corte Penale Internazionale. Il Procuratore Generale della Corte è stato, dal 2003 al 2012 (l'incarico dura nove anni) l'argentino Luis Moreno Ocampo.

La Corte, che ha sede all'Aia, in Olanda, ha una storia travagliata e ancora complessa. Nonostate si parli di un simile organismo sin dall'immediato dopoguerra (quando fu istituito il processo di Norimberga), bisognerà aspettare la fine del 1994 (dopo l'ennessimo genocidio, quello del Ruanda e la pressione politica di molte associazioni, tra cui i radicali italiani) perchè la discussione internazionale riprenda con vigore. Il 17 luglio 1998 a Roma viene firmato un accordo (e lo Statuto) che istituisce la Corte, con il compito di perseguitare gli individui che commetto i crimini e non gli Stati. Bisognerà aspettare il 1 luglio 2002, quando con la ratifica del 60° stato, la Corte diviene a tutti gli effetti operativa. Il primo processo iniziò il 26 gennaio 2009, a carico del congolese Thomas Lubanga (primo arrestato, il 17 marzo 2006, su mandato delle Corte). Lubanga, capo militare nelle seconda guerra del Congo, è stato condannato in primo grado il 14 marzo 2012 a 30 anni di reclusione per una serie di crimini tra cui stupro, tortura, arruolamento di bambini soldato, mutilazioni e crimini contro l'umanità.


E' da notare che ad oggi solo 121 paesi su 194 del mondo hanno ratificato l'accordo (l'ultimo il Guatemala nell'aprile 2012), accettando di fatto la competenza della Corte e il suo Statuto.

Sono 32 i paesi, che pur avendo siglato l'accordo di Roma, non hanno ratificato lo Statuto, tra di essi Stati Uniti, Russia, Israele, Angola, Egitto e Sudan.
Sono invece 41 i paesi, che non hanno siglato nemmeno l'accordo di Roma, e tra di essi la Cina, l'India, il Pakistan, l'Etiopia e la Mauritania.

Dietro a motivazioni di facciata, più o meno afferenti al diritto internazionale, si nasconde la non volontà degli stati non firmatari, di permettere ingerenze della Comunità Internazionale anche su fatti di simili gravità. Mentre questo è comprensibile (che non significa che sia giusto) da paesi come il Sudan, dove il suo Presidente è indagato per crimini contro l'umanità per i fatti del Darfur, appare decisamente inaccettabile per le grandi democrazie del mondo e per paesi che si candidano, tra gli emergenti, a guidare il mondo. Ricordiamo che stiamo parlando di "crimini seri che coinvolgono la Comunità Internazionale" e non dei ladri di merendine!

Fatou Bensouda, troverà presso la Corte alcune importati procedimenti in corso che riguardano fatti avvenuti in Repubblica Democratica del Congo, il Repubblica Centrafricana, in Uganda (il procedimento che riguarda Joseph Kony), il Sudan e il particolare il Darfur (in cui è imputato il capo di stato Al Bashir) e la Costa d'Avorio (che pur non avendio ancora ratificato lo Statuto ha accettato la giurisdizione della Corte).

Alla Corte la signora Bensouda oltre a trovare l'attuale Presidente sudcoreano Song Sang-Hyun, troverà come Cancelliera anche l'italiana Silvana Arbia, nominata nel 2008 e già uno dei magistrati che ha indagato per contro del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda sul genocidio. Sancara ha parlato di Silvana Arbia presentato il suo libro sui fatti del Ruanda  Mentre il mondo stava a guardare.

Confidiamo che Fatou Bensouda e Silvana Arbia, due donne straordinarie, possano contribuire fortemente a fare giustizia (rimarcando il fatto che crimini del genere non possono essere lasciati impuniti ovunque nel mondo e da chiunque siano stati commessi) e a creare sperenze per le vittime di crimini inauditi.
Cito volentieri una frase dal libro della Arbia, che spero possa essere il faro che guiderà per i prossimi anni il loro lavoro.

"appurare i fatti, capire come siano potuti accadere, approfondire le motivazioni dei colpevoli, ascoltare i racconti dei testimoni, ovvero ristabilire la verità, significa restituire giustizia e dignità non solo alle vittime, ma a tutti gli uomini, nessuno escluso".

mercoledì 27 giugno 2012

Popoli d'Africa: Ewe

Foto dal sito Blackethics.com
Gli Ewe, sono un gruppo etnico che vive in Africa Occidentale e in particolare in Ghana (zona sud-orientale), in Togo (sud) e in Benin (una piccola zona sud-occidentale). Si stima che la popolazione totale sia di circa 3,1 milioni di individui (di cui la maggioranza, circa 2,1 milioni, in Ghana). Parlano la lingua Ewe, una lingua simile al Gbe parlata da altri popoli della zona. Stando agli etnografi e agli storici, l'area di origine degli Ewe è controversa, secondo alcuni sarebbe il nord del Benin, da dove furono forzatamente costretti alla fuga dall'espansione degli Yoruba, secondo altri originarono nell'ovest della Nigeria e secondo altri ancora migrarono nel XV secolo dall'ovest del Niger verso il Ghana. Gli Ewe furono protagonisti di importanti regni fino all'arrivo degli europei. Durante il periodo coloniale e a seguito della Conferenza "spartitoria" di Berlino, la terra degli Ewe fu divisa tra i britannici, i tedeschi (che uscirono dopo la seconda guerra mondiale) e i francesi. Nonostante vi siano stati alcuni tentativi di riunire la "eweland" il progetto è restato nel cassetto. Originariamente agricoltori (mais, in particolare) e abili pescatori, hanno poi sviluppato l'arte del commercio e dell'artigianato, in particolare i tessuti che sono molto ricercati per la loro lavorazione e per i loro disegni.
In giallo, l'area degli Ewe
Gli Ewe sono un popolo che ha suscitato, per la loro complessa cultura e per la complessità delle conoscenze musicali, un grande interesse da parte di chi si è avvicinato a loro. Già nel 1906, il missionario tedesco Jacob Spieth scrisse un libro (Die Ewe-Stamme, tradotto anche in inglese) sul popolo Ewe, che ancora oggi, a oltre 100 anni di distanza, costituisce un valido elemento per lo studio della cultura Ewe, anche per gli antropologi africani.
Gli Ewe, che hanno una complessa struttura sociale su base patrilineare, restano ancora legati alle loro tradizioni e alla loro cosmogonia originale che vede in Mawu (femminile) e Lisa (maschile) le divinità creatrici dell'Universo. Tra gli Ewe vi sono anche cristiani e mussulmani, frutto dell'evangelizzazione e dell'espansione dell'islam.

La musica, ed in particolare l'uso delle percussioni, è un elemento di grande importanza per gli Ewe, che credono che un bravo percussionista sia tale perchè i suoi spiriti ancestrali lo erano. I loro strumenti musicali sono diversi e conosciuti in tutta l'Africa occidentale per la loro bellezza e per la sonorità. Come spesso avviene, assieme alla musica, si sono sviluppate forme di danza rituali complesse, che interessano tutti gli eventi ritenuti importanti della comunità.

Gli Ewe sono conosciuti anche per le loro storie, simili alle nostre fiabe con una forte connotazione di insegnamento morale e per la loro poetica.

Per chi vuole approfondire vi linko questa interessante storia degli Ewe, pubblicata nel 2011 ad opera di Kobla Dotse, su uno dei tanti siti americani della diaspora Ewe.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

martedì 26 giugno 2012

L'UNESCO decide sui nuovi siti Patrimonio dell'Umanità

Laghi di Ounianga, Ciad  (foto dalla rete)
E' iniziata ieri a San Pietroburgo in Russia la 36° Sessione del Comitato UNESCO per i Siti Patrimonio del'Umanità, che tra le altre cose (il meeting si chiuderà il 6 luglio prossimo) avrà il compito di stabilire quali siti, tra i 33 candidati, diventeranno a tutti gli effetti Patrimonio dell'Umanità.
Ad oggi sono 936 i siti nel mondo nella speciale lista e di essi 121 sono in terra africana (vedi pagina di Sancara sui Siti Patrimonio dell'Umanità in Africa).
Tra i 33 siti candidati (26 dell'area culturale, 5 di quella naturale e 2 misti), sono 5 quelli africani. Essi sono:

1- Città storica di Grand Bassam in Costa d'Avorio - la città che fu capitale dell'impero coloniale francese alla fine del 1800 e che fu improvvisamente abbandonata per un'epidemia di febbre gialla.
2 -La città antica e nuova di Rabat in Marocco - città fondata nel 1150 e oggi capitale amministrativa del paese.
3 -La terra dei Bassari in Senegal - una popolazione antica e ancora parzialmente isolata.
4 -I laghi di Ounianga in Ciad - sistema di laghi salati nel deserto.
5 -Il parco Sangha Trinational in Congo, Camerun e Repubblica Centroafricana - parco nato ufficialmente nel 2000 a seguito di un accordo tra i tre governi.

Per il Ciad ed il Congo si tratterebbe della prima iscrizione nella Lista dei Siti Patrimonio dell'Umanità.

Tra i 33 siti candidati, anche uno italiano, quello delle terre vinicole delle Langhe e del Monferrato in Piemonte.

Egitto: inizia una nuova era?

Foto da Wikipedia
L'Egitto ha un nuovo Presidente. Il primo eletto direttamente dal popolo. Mohammed Morsi ha avuto il merito di battere l'avversario, l'impresentabile (perchè già primo ministro di Mubarak) Ahmed Shafiq.
Piazza Tahrir ha festeggiato lungamente l'elezione dell'uomo di Giustizia e Libertà (partito dei Fratelli Mussulmani), forse piu' per la paura che a vincere potesse essere l'uomo che era in diretta continuità con il regime dell'agonizzante Mubarak.
Per i Fratelli Mussulmani si tratta di una rivincita storica. Fin dal 1928 quando il gruppo nacque ad opera dell'insegnate al Hassan al Banna (ucciso al Cairo nel 1949), i Fratelli sono stati ostacolati in tutti i modi. Repressi duramente e resi illegali durante la Presidente di Nasser, tollerati, ma non legalizzati da Sadat (il quale nel 1981 sarà assassinato dalle frange più estremiste dei Fratelli Mussulmani) e infine a partire dal 1984, durante il regime di Mubarak, gli sarà parmesso di entrare in Parlamento (lo stesso Morsi è stato parlamentare dal 2000 al 2005), ma solo in allenza con partiti laici.
Dopo oltre 80 anni di vita, i Fratelli Mussulmani, potranno guidare il paese in cui sono nati e cresciuti.

Sia chiaro a tutti il Partito Giustizia e Libertà, è una formazione politica che da noi verrebbe definita come di "centro-destra" (forse più di destra), con una forte componente di liberalismo in campo economico e una importante azione "caritatevole" nei confronti delle fasce di popolazioni di deboli. Una formazione che è totalmente in mano alla classe più agiata del paese, quella dei professionisti e dei notabili.

Foto dalla rete
La cancellerie del mondo intero, nel congratularsi con il neo-eletto Presidente, hanno espresso la speranza che Morsi mantenga le sue promesse di moderazione e rispetto degli accordi internazionali. Nelle parole di tutti si intuisce il disagio marcato nel vedere una paese strategico (e popoloso) come l'Egitto "cadere" in mano ad un partito di ispirazione islamica, dopo decenni di rigido controllo da parte dei militari e dei regimi di turno. Un pò come è stato - con le dovute differenze - in Turchia qualche anno fa.

E' ovvio che "l'occidente", prima o poi, dovrà accettare che i paesi a grandissima maggioranza islamica, siano governati, piaccia o no, da partiti di ispirazione islamica. E' il popolo a volerlo (l'Italia è stata governata per 50 anni da un partito che di chiamava Democrazia Cristiana!) e il resto del mondo non è più in grado di sostenere regimi capaci di arginare, con la repressione, la volontà del popolo, ne quantomeno di far nascere (questa era l'illusione) un nuovo movimento laico che democraticamente si sostituisse ai militari ed ai movimenti islamici.
E' forse anche il caso di instaurare - è questo sembra l'orientamento delle cancellerie più evolute - rapporti diversi con i leader politi islamici, perchè i rapporti (o meglio i non rapporti, o peggio i rapporti segreti e pericolosi) hanno contribuito fortemente a far nascere ed alimentare gli estremismi in questi paesi.

Fare previsioni oggi è difficile. Vi rimando a questo post dal blog Diario della Rivoluzione Egiziana, in cui l'autrice, l'amica Jasmine, ritrova nella piazza Tahrir festosa, una parte dello spirito "rivoluzionario" che ha permesso la deposizione di Mubarak. Naturalmente dallo stesso blog si potrà seguire, sono sicuro con competenze e precisione, l'evolversi della situazione in Egitto.
Tra le variabili in gioco vi è la posizione dei militari (che certamente non molleranno facilmente la loro situazione di assoluto privilegio) e l'annunciata nomina di Primo Ministro di El Baradai.

Resteremo ad osservare.


lunedì 11 giugno 2012

11 giugno 2010, iniziano i Mondiali di calcio in Sudafrica

L'11 giugno 2010 è stata una data importante per lo sport mondiale e per l'Africa in particolare. Con la partita inaugurale Sudafrica-Messico - finita 1 a 1 - si inaugurò la 19° edizione dei Mondiali di Calcio, per la prima volta nel continente africano. La decisione sulla scelta del luogo del campionato avvenne sei anni prima, il 15 maggio 2004, quando la FIFA optò di affidare l'organizzazione al Sudafrica. 
Il Sudafrica battè le concorrenti Egitto e Marocco, in una sfida tutta africana a seguito della decisione, del 2001, di affidare al continente l'organizzazione dei mondiali (in gara c'erano inizialmente anche Tunisia-Libia, esclusi con il divieto di organizzare congiuntamente i giochi).
Quando i giochi furuno assegnati al Sudafrica prevalse subito, la quasi certezza, che il paese (ma in genere l'Africa) non sarebbe stato all'altezza di organizzare la maggior competizione calcistica del mondo. Mentre in Sudafrica si lavorava con convinzione alla costruzione e all'ammodernamento degli stadi, nei salotti della FIFA, si lavorava a soluzioni alternative, come quella di affidare i campionati in emergenza alla Germania, che già li aveva ospitati nel 2006.
Grazie alla tenacia dei Sudafricani, al prestigio internazionale di cui godeva Nelson Mandela e alla convinta decisione del presidente della FIFA, lo svizzero Joseph Blatter, i mondiali si sono svolti regolarmente e positivamente per la prima volte in Africa. I mondiali sudafricani saranno ricordati soprattutto per la pessima figura del calcio italiano (eliminato, da campione in carica, nei gironi), per la straordinaria squadra della Spagna (capace di vincere per la prima volta i mondiali battendo in finale l'Olanda), per l'inno cantato dalla colombiana Shakira (Waka Waka - This is Time fo Africa) divenuto rapidamente un tormentone e per le vuvuzelas, le trombette di plastica usate dai tifosi, che spesso coprivano perfino il commento dei telecronisti!

Ma, Sudafrica 2010, è stato anche la prima volta in cui hanno partecipato 6 squadre africane alla finale. Un record dovuto al fatto che assieme alle 5 qualificate del continente (a partire dal 1998, prima erano tre) si è aggiunta la nazione ospitante qualificata di diritto.
Il logo ufficiale di Sudafrica 2010
Ai mondiali del Sudafrica hanno preso parte, oltre al Sudafrica, anche la Nigeria, l'Algeria, il Ghana, il Camerun e la Costa d'Avorio. Tutte le squadre, ad eccezione del Ghana, sono state eliminate nella fase a gironi. Il Ghana negli ottavi ha eliminato gli Stati Uniti, giungendo ai quarti di finale. Nella storia dei mondiali solo il Camerun nel 1990 (perso con Inghilterra) e il Senegal nel 2002 (perso con la Turchia) erano giunti ad un traguardo simile. 
Il Ghana di fatto ha sfiorato l'impresa storica. Nella tiratissima gara con l'Uruguay, dopo il pareggio (1-1) ha avuto l'occasione di approndare, prima volta per l'Africa alle semifinali. Infatti nell'ultimo minuto dei tempi supplementari ha battuto un calcio di rigore, che il giocatore Gyan ha stampato sulla traversa. In quell'attimo tutto il continente africano si è ammutolito, quella traversa ha soffocato l'urlo che da Algeri a Città del Capo era pronto a liberarsi ad unisono. Nella successiva lotteria dei rigori, l'Uruguay ha conquistato la semifinale, dando il colpo decisivo alle speranze africane.

Sono complessivamente 13 i paesi africani che hanno partecipato alla fase finale dei Campionati Mondiali di calcio. Il Camerun, con 6 presenze (1982,1990, 1994,1998,2002 e 2010) detiene il record assoluto, seguito dalla Nigeria, la Tunisia e il Marocco con 4. Con 3 presenze Sudafrica e Algeria, mentre con 2 il Ghana, la Costa d'Avorio e l'Egitto. Infine, con una partecipazione l'Angola, il Togo, il Senegal e lo Zaire (oggi RD del Congo).

Ho avuto la fortuna di essere in Africa durante i Campionati Mondiali del 1994. Si svolgevano negli Stati Uniti e la differenza di fuso orario permetteva di vedere le partite a pomeriggio inoltrato. Qualche ora prima dell'inizio delle gare importanti (quelle dell'Italia), si partiva in macchina, si percorrevano oltre 60 chilometri per recarsi a Basse, dove all'interno dell'MRC (un Istituto di ricerca medico inglese) vi era l'unico televisore nel raggio di oltre 300 chilometri. Ci si sintonizzava sulla TV Senegalese che trasmettava in diretta (via televisone francese) i Mondiali. La televisone - nemmeno di grandissime dimensioni -  era stata posta nel cortile, sotto un grande albero in modo da limitare l'effetto della luce del sole, e mediamente tra persone sedute (su sedie e per terra) ed in piedi ci si avvicinava ai 200 spettatori. Il tifo era potente e le urla e i commenti, come in tutte le partite che si rispettino, erano continui. Agli ottavi di finale vi fu poi una sfida straordinaria. Si giocava Italia-Nigeria. In quell'occasione imparai che l'Africa - dietro alle sue enormi divisioni - nasconde un senso di unità che per noi europei è perfino incomprensibile. Tutti, oltre ai gambiani e senegalesi (per ovvie ragioni), vi erano nigeriani, ghanesi, avoriani, maliani e guineiani, a tifare per la Nigeria, unica africana ancora in gara. I giorni precedenti alla partita gli scherzi con amici e colleghi africani erano continui e le previsioni non mancavano.
Il giorno della partita, ci recammo con grande anticipo alla nostra televisone nel giardino, oltre 300 persone erano già assipate e altre ne arrivarono. Eravamo due-tre bianchi in mezzo ad una marea nera, festosa e chiassosa.
La partita iniziò nel boato collettivo. Ad ogni azione le urla si moltiplicavano e la tensione saliva. Al 26' del primo tempo, la svolta. Emmanuel Amuneke portò in vantaggio la Nigeria, grazie ad uno stupendo assist involontario della difesa italiana. La Nigeria era in vantaggio. Il tifo cresceva e i minuti passavano. Al 75' del secondo tempo, Gianfranco Zola, entrato da dieci minuti, veniva (ingiustamente) espulso e l'Italia restava in dieci. Oramai tutti erano pronti alla storica impresa, una squadra africana ai quarti dopo aver battuto l'Italia. Ma, come spesso avviene nel calcio, all'88' Roberto Baggio, lasciato ingenuamente solo al centro dell'area pareggio'.
La mia reazione fu di quelle classiche: urlo con repentina alzata dalla sedia..... e ancora urlo. In quel momento, voltandomi, realizzai di essere l'unico felice, in un mare di volti improvvisamente silenti e tristi! Baggio con quel goal spense i sogni dell'intera Africa. Poco dopo, al 102' minuto del primo tempo supplementare, Baggio calciò il rigore che diede vittoria e qualificazione all'Italia. 


Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

mercoledì 6 giugno 2012

Parco Nazionale Tai

Foto dal sito del Parco
Il Parco Nazionale Tai è una delle ultime foreste primarie ancora esistenti dell'Africa Occidentale. E' situato in Costa d'Avorio, al confine con la Liberia, ed occupa una superficie di circa 3.300 chilometri quadrati, tra i fiumi Cavally e Sassandra. Il territorio, prevalentemente collinare, si pone tra gli 80 e 623 metri di altitudine. L'area fu definita riserva di caccia nel 1926 e nel 1972 (con un decreto governativo del 28 agosto) è divenuta parco nazionale. Oltre ad essere uno straordinario esempio di biodiversità è divenuto anche un luogo ideale per lo studio e la ricerca.


Il parco è stato nel 1977 iscritto tra le Riserve della Biosfera classificate dall'UNESCO e complessivamente comprende un'area di 620 mila ettari (6200 chilometri quadrati) di cui 520 mila come core area e 100 mila come area di transizione. Nel 1982 è diventato anche Patrimonio dell'Umanità UNESCO (vedi scheda) per la sua straordinaria biodiversità. In particolare vi sono oltre 1300 specie di alberi ad alto fusto (molti, circa la metà, esistenti solo nell'area) e una grande varietà di animali, molti dei quali minacciati di estinzione come l'ippopotamo nano, il cefalofo di Jentink e lo scimpanzè dell'Africa occidentale (sono stati contati 2000 esemplari). Complessivamente sono state identificate 1000 specie di vertebrati, di cui 140 di mammiferi (sono 11 as esempio le specie di primati).Vi sono inoltre 250 specie di uccelli e 40 specie di rettili. 

Il Parco è ancora oggi un luogo di ricerca. Negli anni '80 i coniugi tedeschi Hedwige Acherman Boesch e Christhophe Boesch studiarono gli scimpanzè, fornendo un notevole contributo alla conoscenza su questi primati. Ancora oggi è attiva la Fondazione (Wild Chimpazee Foundation) nata dal loro lavoro. Il Parco è stato anche oggetto di studi sul virus Ebola, che vive endemico in quest'area. Insieme ad un notevole numero di progetti specifici che riguardo spesso singole specie animali o vegetali, è attivo all'interno anche l'Istitut d'Ecologie Tropicale.

In basso in verde chiaro, l'area del Parco
All'interno dell'area della riserva della biosfera (il parco esteso) vivono oggi circa 160 mila persone (molte di etnia Kru). La situazione della convivenza tra l'uomo e l'habitat naturale si è notevolmente complicata durante la guerra civile della Liberia. Durante gli anni degli scontri si sono riversati nelle aree del parco un numero considerevole di profughi.


Il periodo migliore per visitare il parco è durate la stagione secca (tra dicembre e febbraio). Mediamente sono 10 mila i visitatori annuali del parco.


Ecco il sito ufficiale del Parco Nazionale Tai


Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa
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lunedì 4 giugno 2012

Gorilla, un animale straordinario

Il Gorilla è, nell'immaginario collettivo, sinonimo di forza e potenza. A ben vedere questa scimmia antropomorfa, che incute timore per la sua stazza (mediamente raggiunge l'altezza di un uomo - 170 centimetri - e il peso tra i 160 e 200 chilogrammi), in realtà è un erbivoro (raramente mangia formiche) che attacca solo per difendere se stesso e soprattutto il proprio branco e la propria "famiglia".
Vive esclusivamente in Africa equatoriale. Esistono due specie Gorilla Occidentale (Gorilla gorilla) e Gorilla Orientale (Gorilla beringei) e due sottospecie per ogni specie (Occidentale di pianura e Cross River, e Orientale di pianura e di montagna).



Habitat delle due specie di Gorilla
Il Gorilla Occidentale è ritenuto dall'IUCN una specie a critico rischio di estinzione (è classificato infatti CR nella Red List dell'IUCN). Oggi il gorilla occidentale vive in Camerun, Gabon, Nigeria, Congo, Centrafrica, RD Congo, Guinea Equatoriale e Angola (enclave di Cabinda). La popolazione ha subito una riduzione dell'80% in tre generazioni (circa 66 anni). Si stima che vi siano tra gli 80 e i 100 mila Gorilla Occidentali di pianura (Gorilla gorilla gorilla) e non più di 200 Gorilla Occidentali di Cross River (Gorilla gorilla diehli). Questa specie è stata ritenuta vulnerabile fino al 1996 quando è stata inclusa tra le specie a rischio e dal 2007 è ritenuta a critico rischio. Una progressione negativa che è principalmente dovuta alla mano dell'uomo, che è di fatto il suo unico predatore, (bracconaggio e commercializzazione della pelliccia e della carne, oltre che all'uso dei territori per l'agricoltura e l'estrazione mineraria) e ad alcune malattie, tra le più comuni l'Ebola.

Gorilla catturati (foto dalla rete)
Il Gorilla Orientale è invece ritenuto, fin dal 1988, in pericolo di estinzione (classificato EN nella Red List dell'IUCN). Vive in Ruanda, Uganda e RD del Congo. La sottospecie Gorilla orientale di montagna (Gorilla beringei beringei), che vive esplusivamente nei parchi di Bwindi Impenetrabile National Park in Uganda e nel Virunga National Park nella RD Congo, conta complessivamente di circa 700 individui. Mentre la sottospecie di pianura (Gorilla beringei graueri) contava circa 17.000 esemplari nel 1995 e si pensa che vi sia stata una notevole decrescita.
Il Gorilla orientale di montagna è stato l'oggetto degli studi della primatologa statunitense Dian Fossey (e prima di lei George B.Schaller), assassinata nel 1985, la cui storia è stata resa celebre al mondo intero grazie ad un film, Gorilla nella nebbia, ricavato da un suo libro, che ne racconta le lotte contro i bracconieri.
Dian Fossey con i suoi gorilla (dalla rete)
Ancora oggi la situazione non è per nulla risolta. Il bracconaggio nei parchi  e gli scontri tra diverse fazioni in lotta nel Parco di Virunga, sono le principali cause della riduzione drastica dei gorilla orientali.


Purtroppo la situazione dei gorilla è aggravata dal fatto che i suoi tempi di riproduzione sono simili a quelli umani, con un cucciolo per femmina partorito (rarissimi i parti gemellari) ogni 3-4 anni e con un tasso di mortalita "infantile" molto alto (40%). Per cui anche senza bracconieri e malattie, la ripopolazione della specie può avvenire in tempi molto molto lunghi.


Ecco alcuni approfondimenti su questi straordinari animali:


Il sito della Dian Fossey Gorilla Foundation , creata dalla stessa Fossey e che ancora oggi studia i gorilla.
E il sito della The Gorilla Foundation.

Per i più piccoli segnalo che il film di animazione Tarzan, uscito nel 1999, racconta dell'uomo della giungla allevato dai gorilla (a differenza del testo originale di Edgar Rice Burroughs, che parla di una specie inventata di scimmie) e la narrazione della vita sociale di questi primati e molto ben fatta.


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