mercoledì 31 luglio 2013

La moda che sviluppa: l'esperienza di Kinabuti

foto da Vogue
Facciamo una doverosa premessa: la moda per me è un buco nero. Non ne conosco le regole e talora mi appare (e forse lo è) come un mondo finto e privo di contatto con la realtà. Avevo scritto un post lo scorso anno intitolato L'Africa che veste, con il solo scopo di evidenziare un settore dal sicuro futuro. Osservo, come molti comuni mortali, i servizi televisivi sulle sfilate e apprezzo, le bellezze di modelle e modelli. Non sempre mi piacciono i vestiti, a volte buffi e impensabili nella vita reale.

L'esperienza di Kinabuti mi ha subito colpito. Per prima cosa una casa di moda nigeriana aperta da due giovani italiane mi aveva incuriosito. Caterina Bortolussi e Francesca Rossett sono le protagoniste di questa bella storia. Oggi sono entrambe poco più che trentenni, native di Spilimbergo in provincia di Udine, hanno iniziato questa esperienza nel 2010 a Lagos, dove, per motivi diversi lavoravano (Caterina laureata in Economia con la passione della moda era in Nigeria dal 2006 e Francesca, esperta di marketing, è giunta dopo).

dal sito di Kinabuti
L'idea è stata quella dell'impresa sociale. Un piccolo atelier per cominciare e un programma di formazione (chiamato In Our Ghetto) di giovani modelle nelle aree più disastrate della Nigeria. Il risultato è stato straordinario: dopo due anni 21 ragazze sono da considerarasi top model nigeriane, ricercate da marchi di tutto il mondo e soprattutto sono diventate punti di riferimento nelle loro comunità. Della casa di moda ne parlano tutti all'estero (in Italia la cosa sembra essere quasi ignorata).

Kinabuti è cresciuta come impresa (è oggi un punto di riferimento della moda in tutta l'Africa Occidentale) e non ha dimenticato il suo approccio sociale ed etico, attraverso l'impegno diretto nel campo delle realtà del martoriato Delta del Niger (vedi questo post di Sancara), ed in particolare la città di Port Harcourt. Il suo stile, a detta degli esperti, eccentrico, aggressivo e colorato, è molto apprezzato e amato in quest'area dell'Africa.

La moda come veicolo per lo sviluppo è senz'altro una frontiera nuova ed affascinante. Nuova perchè cresce fortemente la richiesta di questa tipologia di prodotti. Al crescere della ricchezza (non dimentichiamo che la Nigeria possiede enormi quantità di risorse petrolifere e il suo PIL viaggia da tempo ad alte cifre) la richiesta dei "generi di lusso" aumenta e quello della moda in particolare. Nel passato la risposta è stata sempre quella di importare i prodotti dall'estero (diciamo la verità, conveniva molto a noi!).
La produzione in loco, la nascita di una forte imprenditoria locale, è forse la vera chiave per lo sviluppo. Da un lato si creano posti di lavoro (ovviamente non solo quelle delle bellissime modelle) e dall'altra si elimina quella forte dipendenza dall'estero che ha caratterizzato la storia, purtroppo in negativo, di gran parte dell'Africa. Inoltre non sottovalutiamo che le enormi e creative capacità artigianali africane. Ancora oggi, per rimanere sul tema, la manifattura dei vestiti avviene in gran parte su misura. Sarti e e sarte sono ad ogni angolo della strada e sono veramente bravi e creativi (del resto le donne africane hanno sempre vestito con gusto, fierezza e ricercatezza): la manodopera specializzata quindi non manca!

Insomma Kinabuti è una splendida realtà non solo imprenditoriale. E' un esempio delle grande opportunità che esistono in Africa.


Vi posto anche questo articolo di Arianna Boria su Il Piccolo di Trieste dell'ottobre 2012 e una intervista su di una televisione nigeriana delle due simpatiche imprenditrici italiane

Ecco il sito ufficiale di Kinabuti

martedì 30 luglio 2013

Juju, tra magia nera e credenza diffusa

Affrontare il tema della magia nera in Africa è di grande complessità. Tradizioni e religione, ancestrali riti e "moderne" credenze si fondono in una miscela di difficile interpretazione e comprensione. Dal nostro mondo, dimenticando il passato (e non solo), tendiamo a liquidare in modo superficiale queste "credenze" inquadrandole all'interno di una generica ignoranza e arretratezza, come se questa presunta superiorità bastasse a risolvere il problema.
Naturalmente nulla è più sbagliato. Il rito, la magia, le credenze hanno avuto, e continuano ad avere nelle società africane, un valore di grande importanza. La funzione dello stregone o del sacerdote nelle comunità rurali africane continua ad avere grande significato nella vita quotidiana, questo oltre alcune pratiche che a noi appaiono (e spesso lo sono)  incomprensibili, assurde e talora pericolose. Un ruolo che spesso è anche quello di guida in contesti dove poche sono le alternative alla soluzione dei problemi. E' chiaro che il confine tra il ruolo guida e pratiche dannose e pericolose è molto labile.

Non è mia intenzione in questo post appofondire il tema della magia nera (che richiederebbe approfondimenti e competenze che non posseggo) bensì quello di evidenziarne come, anche nella società moderna, il legame con queste pratiche non si è mai interrotto.

foto da Wikipedia
In tutta l'Africa Occidentale (altrove assume nomi e pratiche diverse), ad esempio, l'utilizzo dei talismani o amuleti è molto frequente e investe trasversalmente tutte le classi sociali ed economiche. Lo juju (in altri contesti gris-gris) è un amuleto di grande importanza. Una delle forme più comuni è quella del "sacchetto", una sorta di piccola borsetta di pelle dove all'interno possono essere contenuti versetti del corano, erbe, ossa, piccoli oggetti, capelli o unghie. Tale sacchettino viene tenuto legato alla vita o al petto (talora anche al collo al braccio).
Le funzioni credute di questo amuleto variano di molto. Dalla protezione personale alla contraccezione, da tenere lontani i nemici a far innamorare un uomo o una donna. Insomma la personalizzazione è massima.
Quando si parla di questi talismani in Africa si spazia da quello indossato sotto la giacca del direttore di banca di Lagos, convinto che questo lo aiuterà a fare carriere o a mantenersi sano, a quello indossato dai guerriglieri durante la guerra civile in Liberia, convinti di essere, grazie al loro talismano, immuni ai proiettili.

Sono spesso innocue credenze, paragonabili al "nostro" crocifisso al collo, ma che possono assumere aspetti terrificanti, se pensiamo al contesto ad esempio delle guerre civili (non solo in Liberia).

Ricordo un episodio che, perfino ironicamente (nel suo dramma) esprime bene il contesto in cui si possono muovere queste credenze.
Lamin lavorava in un Laboratorio di Veterinaria in Gambia. Era un bravo tecnico, scrupoloso e preciso. Maneggiava con destrezza solventi e reagenti chimici. Un giorno, durante il lavoro, un veterinario svizzero parlando con lui, affrontò il tema del juju che Lamin portava gelosamente alla sua vita. Egli naturalmente sosteneva che quell'amuleto lo proteggeva da tutto, dalle malattie e perfino dai proiettili di una pistola. Potete immaginare lo stupore e lo scetticismo del veterinario, cresciuto in un ambiente scientifico materialista e laico. La discussione, come era prevedibile assunse toni sempre più accessi. Lamin sosteneva le sue tesi frutto della sua storia e delle sue credenze, il veterinario, dopo aver provato a contrapporre la ragione passò, in modo azzardato, alla derisione e alla canzonatura. Intorno si era radunata una piccola folla che commentava sostenendo l'una o l'altra tesi. Lamin infastidito, prese un coltello e dopo aver affermato che il suo juju lo avrebbe protetto persino dalla morte, se lo piantò in mezzo al petto.
Lo stupore generale e l'incredulità lasciarono immediatamente il posto all'emergenza. La ferita sanguinava copiosamente. Lamin fu tempestivamente caricato in auto e portato nel vicino ospedale. Nell'Ospedale, distante solo un chilometro, fu portato in sala operatoria dove si sapeva che l'unico medico presente, un olandese, stava iniziando un intervento. Giunto sul posto, oramai quasi privo di conoscenza, Lamin fu preso in carico dal medico olandese, il quale, con grande tempestività (complice anche la sala operatoria pronta per un'altro intervento) lo operò. 
Due giorni dopo, il veterinario, sconvolto e roso dal senso di colpo, andò a trovare Lamin (che si era ripreso alla grande) in Ospedale. Lamin lo vide e sorrise. "Hai visto - disse - avevo ragione il mio juju mi ha salvato. Non sono morto".

La realtà è veramente un punto di vista.


venerdì 26 luglio 2013

Chiwoniso Maraire, voce e regina della mbira, scomparsa prematuramente

Da tempo volevo scrivere un post su questa straordinaria cantante dello Zimbabwe. Una voce antica e malinconica, dalla sonorità piena. Purtroppo due giorni fa, una malattia polmonare, l'ha strappata alla vita ancora giovanissima, dopo 10 giorni di ricovero ospedaliero. Lascia due figli avuti dall'ex marito, il musicista Andy Brown.

Chiwoniso era una figlia d'arte, suo padre Dumisani era un insegnante e un suonatore di mbira (chiamato anche pianoforte a pollice), uno strumento della tradizione Shona, con cui la giovane cantante è cresciuta carpendone tutti i segreti. La madre Linda, era una cantante e una danzatrice.

Nata il 5 marzo 1976 negli Stati Uniti (dove la famiglia si era trasferita dal 1972, torneranno in Zimbabawe quando lei ha 15 anni), sin da giovanissima, esperimento il suo carattere ribelle, si avvia a suonare la mbira, strumento fino ad allora ritenuto solo maschile. Sulla scena musicale fin dagli anni'90 quando rientra in Zimbabwe. Il suo primo gruppo, A Peace of Ebony lo fonda nella scuola di Harere. Successivamente fonda un suo gruppo acustico chiamato Chiwoniso & Vibe Culture. Nel 2001 pubblica il primo album, Ancient Voices, che la fa conoscere in tutto il mondo.
Dal 2001 al 2004 collabora anche con una band multinazionale di sole donne, chiamata Woman's Voice.




Dicevamo una donna ribelle (un suo album del 2007 si intitola appunto Rebel Woman) che non ha mai mancato di protestare contro la dittatura in Zambabwe e contro la violazione dei diritti attuata dalla polizia di stato. Proprio a pochi giorni dalle elezioni in Zimbabwe, la sua morte entra nella campagna elettorale di prepotenza.

L'Africa e il mondo perdono prematuramente una voce pura, una donna che ha saputo coniugare la tradizione con la modernità. I suoi testi sono atti di denuncia e di speranza, per un paese, e forse un mondo, migliore.


Ecco come la ricorda Raffaele Mastro sul suo blog Buongiorno Africa

Vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa

martedì 23 luglio 2013

23 luglio 1952, i "Liberi Ufficiali" conquistano l'Egitto

Alle 7.30 del mattino del 23 luglio 1952, la radio annunciò l'avvenuto golpe in Egitto. L'esercito, guidato dal gruppo clandestino denominato "Liberi Ufficiali" con a capo il generale Muhammad Neghib e il colonello Gamal al-Naser, aveva deposto il re Faruq (che guidava il paese dal 1936) obbligandolo ad affidare il trono al figlio Faud II (che all'epoca aveva 6 mesi! e sarà, sulla carta l'ultimo Re d'Egitto). La famiglia reale fuggi in Italia dove il deposto re Faruq visse fino alla sua morte avvenuta nel 1965. Nel luglio 1953 l'Egitto divenne una Repubblica.
Dal 23 luglio 1952 e fino ad oggi (salvo la breve parentesi 2012-2013) l'Egitto sarà saldamente in mano all'esercito.
A parlare alla radio quel giorno fu un giovane ufficiale, Anwar Al Sadat che successe nel 1970 a Nasser come Presidente dell'Egitto e che fu assassinato nel 1981.

Gli ufficiali egiziani, che fin dal gennaio 1952 (a seguito degli scontri con le truppe britanniche e del crescere dei tumulti interni) pianificavano di prendere il potere, si muovevano nell'ambito di "nobili" intenzioni. Ritenevano (a ragione) che l'Egitto fosse di fatto un protettorato britannico retto da un re e da un governo fantoccio. Accusavano la famiglia reale, e non solo, di corruzione diffusa e di aver condotto l'Egitto ad una secca sconfitta nella guerra contro Israele del 1948. 
Il colpe trovò largo consenso tra la popolazione. Gli ideali repubblicani e pan-arabi dell'esercito facevano risuonare corde diffuse tra la gente comune e nel corso degli anni la popolarità e il carisma di Nasser (che nel novembre 1954 fece imprigionare il compagno Neghib - che sarà liberato solo nel 1972 -, assumendo direttamente la guida del paese).

Gli anni di Nasser - uomo di grande carisma - che vanno sotto il nome di "nasserismo", coincidono con la rinascita araba e la crescita del panarabismo (il quale tentò di sostituirsi alla vecchia idea di panislamismo). Questa rinascita araba represse duramente le organizzazioni islamiche (che in Egitto significavano i Fratelli Mussulmani). 
In pochi anni in molti paesi del nord Africa e del Medio Oriente i re furono deposti e sostituiti dall'esercito.   
Il carisma di Nasser crebbe quando nel 1956 nazionalizzando il canale di Suez, ebbe la meglio su inglesi e francesi portando il mondo sull'orlo di una guerra atomica. Nel 1958 diede vita ad un progetto di Repubblica Araba Unita (RAU) con Siria e parte dello Yemen, che naufragò nel 1961. Insomma la politica di Nasser ruotava intorno alla forte convinzione della necessità di una unificazione politica del mondo arabo in chiave anti-islamica. La sua strada fu fortemente osteggiata dagli Stati Uniti che lo vedevano avvicinarsi troppo al fronte sovietico.
Nel 1967, nonostante la disastrosa guerra contro Israele, Nasser mantenne la sua popolarità e poco prima della sua morte nel 1970 inaugurò la diga di Assuan che fortemente e caparbiamente aveva voluto.

Il recente golpe militare in Egitto, che dopo una breve parentesi civile (durata dal giugno 2012 a luglio 2013), ha riportato ancora una volta il potere nelle mani dei militari, sottolinea ancora una volta come l'esercito in Egitto sia il reale potere, oramai da oltre 60 anni. Il contrasto intenso con i Fratelli Mussulmani, in Egitto, nasconde in realtà le due diverse strade di sviluppo, in contrasto tra di loro, dell'intero mondo arabo: il nazionalismo politico o quello religioso. Finora solo l'esercito è stato in grado di contenere, o reprimere all'occorrenza, queste due contrapposte anime.

Agogo, il ritmo dalla Nigeria

L'Agogo è uno strumento idiofono (il suono è prodotto dalla vibrazione) a percussione originario della Nigeria, in particolare tra gli Yoruba (il nome significa campana). Oggi è molto diffuso in Brasile con altri nomi quali ogan o ekon, dove è alla base dei ritmi della samba e non solo. In molti testi si trova l'origine di questo strumento come brasiliano, ignorando la paternità africana. Tanto per sottolineare l'incidenza della musica africana su quella brasiliana, l'agogo viene ritenuto lo strumento più antico della samba.
Si tratta di due campane di ferro (senza batacchio) di forma conica e di grandezza diversa. le due campane sono unite da un tondino di ferro che funge da impugnatura.
Si suona percuotendo con una bacchetta di legno (o di ferro): il suono cambia nei diversi punti in cui viene colpita la campana. Come avviene in diverse culture, il suono della campana assume un ruolo "religioso". Il suo utilizzo è soprattutto legato al ritmo durante le danze rituali.

Naturalmente lo strumento fu esportato nel "nuovo continente" con la tratta degli schiavi.  

Anche la musica pop ha usato questo strumento, tra tutti David Byrne dei Talking Heads, i Rush e alcune incisioni di Pat Metheny.

Ecco un link per ascoltare l'agogo nell'uso della musica brasiliana

Vai alla pagina di Sancara sugli Strumenti musicali dell'Africa

giovedì 18 luglio 2013

Mandela Day, per sempre

Nelson Mandela, che da tempo combatte la sua ultima battaglia con la vita, compie oggi 95 anni. Avevamo già detto che questa soglia rappresenta un fatto straordinario per un uomo, ancora di più per un africano e infine, quasi un miracolo, per uno che ha trascorso quasi 30 anni in carcere.

La la vita di Nelson Mandela è un susseguirsi di sfide, faticosamente vinte, le quali rappresentano, per tutti, un esempio da seguire, per sempre.

Allora Nelson Mandela è uno dei pochi uomini che hanno solcato la nostra terra che ha l'onore (e l'onere) di essere celebrato in vita. Nel giugno 2008 si decise (fu l'UNESCO a farlo su pressione del mondo degli intellettuali e non solo) di celebrare ogni ricorrenza del compleanno di Nelson, come il "Mandela Day", un giorno dedicato alla "lotta  per un mondo più giusto" e nel "ricordo del lavoro e dell'eredità spirituale" di quest'uomo non comune.  La prima giornata si celebrò il 18 luglio 2008, in occasione dei 90 anni di Mandela.
Una lotta che ha accompagnato l'intera vita di Nelson Mandela, rendendolo un esempio e un eroe del nostro mondo.
La sua lotta per un mondo migliore è durata 67 anni, ed è per questo lo slogan di questa giornata è "offri 67 minuti del tuo tempo agli altri, al mondo, al bene comune".

Auguri per il Suo compleanno Mister Mandela, io, come tanti piccoli uomini di questo mondo, sono cresciuto ammirando la Sua forza, la Sua determinazione e il Suo coraggio. Ho pianto dal dolore quando le cose andavano male e ho pianto di gioia quando il Suo sacrificio di una vita è stato premiato. Non credo in Dio, quindi non pregherò per Lei per questa ultima sfida della Sua vita, ma a Lei dedicherò molti pensieri della mia giornata. Sono sicuro che tutta la Sua vita, anche le ultime ore, saranno per sempre un esempio e un monito per la nostra Umanità.


Ecco il sito ufficiale del Mandela Day

martedì 16 luglio 2013

I siti rupestri di Tadrart Acacus

Situata a sud-ovest della Libia, ai confini con l'Algeria, l'area montuosa desertica di Tadrart Acacus custodisce un'incredibile collezione di arte rupestre, le cui pitture sono datate tra il 12.000 a.c. e il 100 d.c. L'area confina con l'altro sito Patrimonio dell'Umanità, posto in Algeria e denominato Tassili n'Ajjer.

Nel 1985 per la grande importanza delle incisioni e delle pitture, questo sito è stato inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO. 
In effetti, all'interno di caverne e tra le rocce, si trovano incisioni e pitture (raffiguranti principalmente animali, ma anche l'uomo e scene di vita quotidiane) che ben rappresentano i cambiamenti culturali e naturali che si sono susseguiti nell'area.
Le pitture - rinvenute in un'area di 32 mila chilometri quadrati, rappresentano le tracce del passaggio umano in un'epoca remota (gli studiosi datano tra la fine del Pleistocene e l'Olocene). Al tempo l'attuale deserto del Sahara era una savana percorsa da fiumi e riccamente popolata dalla fauna.
I disegni, ottenuti da pigmenti naturali (come l'ocra) e fissate con collanti organici (come il grasso animale) sono giunti perfettamente conservati grazie alla protezione dei luoghi (caverne) e al clima secco e asciutto. 
I siti sono stati scoperti a partire dagli anni '50 (il primo scavo fu del 1955) da missioni di archeologi italiani e libici ed in particolare all'archeologo Fabrizio Mori.

Ecco un sito su Tadrart Acacus, in cui si ripercorrono le fasi degli scavi archeologici.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

giovedì 11 luglio 2013

La Zebra di Grevy, l'unica specie di zebra in pericolo

foto da Wikipedia
La zebra è un animale affascinate. Per tutti è un cavallo striato, il quale, visto in natura, mostra tutta la sua potenza, ed eleganza, nel muoversi.

La Zebra di Grevy (Equus grevyi) - prende il nome dal Presidente francese Jules Grevy (1807-1891) - è una delle quattro specie (e 6 sottospecie) di zebre esistenti (le altre sono la zebra delle steppe, la zebra delle montagne del Capo e la zebra della montagne di Hartmann) purtroppo l'unica ed essere in pericolo di estinzione (in realtà una sottospecie di zebra delle pianure, si è estinta alla fine del 1800).
Il loro areale, la savana semi-arida, si è ridotto progressivamente. Oggi questa specie vive solo in Kenya ed Etiopia (non esiste più in Somalia e Sudan)
l'areale della Zebra di Grevy, da Wikipedia
Chiamata anche Zebra imperiale o reale è la più grande delle specie esistenti e la sua caratteristica è la maggiore quantità di striature e le orecchie più grandi. Il numero degli esemplari ha visto un rapido declino (negli ultimi 20 anni la popolazione è scesa di oltre il 50%). Nel 1970 si stimavano esistere circa 15 mila esemplari, oggi le Zebre di Grevy sono tra le 1900 e 2450 (nel 1988, solo in Kenya erano state censite 4300 zebre).  
La causa di questa drastica riduzione è principalmente l'uomo. La caccia, (soprattutto per il commercio illegale della sua pregiata pelle), la riduzione dell'acqua a disposizione (soprattutto negli ultimi tempi per la siccità nel Corno d'Africa) e le malattie (antrace in testa) sono alla base di questa vera e propria mattanza.
Già a partire dal 1986 l'IUCN, l'organismo mondiale che si occupa di conservazione animale, ha inserito la Zebra di Grevy tra gli animali in pericolo di estinzione (EN).

Nonostante la fragilità dell'ecosistema, si stanno sperimentando forme (progetti) di conservazione degli habitat (che sono gli stessi dei pascoli) e di gestione delle risorse naturali, assieme ai pastori.
A tal proposito vi segnalo il sito del Grevy's Zebra Trust, una fondazione nata nel 2007, allo scopo di lottare contro l'estinzione di questo stupendo animale. E' possibile ottenere tutte le informazioni e gli ultimi aggiornamenti sulle iniziative in corso. Vi posto anche la pagina su questa zebra all'interno del sito African Wildlife Foundation.

Appare evidente che in Africa, ci stiamo giocando (anche) la sopravvivenza di alcune specie animali (uniche nel mondo) che senza uno sforzo collettivo, rischiano di scomparire per sempre.

Ecco la scheda della lista rossa dell'IUCN 
Ecco invece alcune foto dal sito ArKive

Vai alla pagina di Sancara sugli Animali d'Africa

martedì 9 luglio 2013

Popoli d'Africa: Senufo

I Senufo (a volte si usa anche il termine francese Senoufo) sono un gruppo etnico dell'Africa Occidentale. In particolare abitano la Costa d'Avorio, il Mali, e il Burkina Faso. Parlano la lingua Gur (a sua volta divisa in molti dialetti, riconducibili ai diversi sottogruppi, almeno 14 secondo molti etnologi) e costituiscono un gruppo complessivo di 2-2,5 milioni di individui. Storicamente questo popolo è migrato dal nord tra il XV e il XVI secolo. Tradizionalmente agricoltori, hanno sviluppato molto le tecniche di coltivazione del riso (che esportano). Coltivano anche miglio, cassava, granoturco e, più recentemente arachidi e cotone. A margine allevano anche capre e pecore. Alcuni di loro sono cacciatori (Dozo).
Sono abili artigiani (gli uomini) e in particolare lavorano il cotone, il rame e il legno. In particolare le figure ligne, raffiguranti "la grande madre" sono oggetti apprezzati nell'ambito dell'arte africana (eccone in questo sito alcuni esempi)
mappa da wikipedia
Hanno una struttura sociale molto complessa, densa di riti religiosi e di divinazioni. E' presente anche un'organizzazione segreta iniziatica, solo maschile (sebbene recentemente aperta anche alle giovani donne), che detta i ritmi della vita quotidiana e che prende il nome di Poro. Per le donne (su cui viene praticata la clitoridectomia, una delle orrende mutilazioni genitali femminili) il rito iniziatico è chiamato Sandogo e ha lo scopo di formare le ragazze ad una rigida vita di relazioni.
Sebbene prevalgono le tradizioni (fondate sulle strette relazioni con gli spiriti ancestrali), un quarto della popolazione è di religione mussulmana.
Vivono in villaggi costruiti con capanne a doppia pianta circolare.
Nel 2012 i tre stati che ospitano l'etnia Senufo hanno proposto (e attenuto) di inscrivere le conoscoenze e gli usi di un balofon (chiamato ncegele), tipico strumento musicale dell'Africa Occidentale, tra i patrimoni Immateriali dell'Umanità.

Vi segnalo questo interessante post (corredato di belle immagini) sui Senufo dal Blog Trip Down Memory Lane

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa


venerdì 5 luglio 2013

Un ciclista africano in testa al Tour de France


Oggi la Gazzetta dello Sport dedica un'intera pagina ad una storica notizia: un ciclista proveniente dal continente nero, per la prima volta nella storia, guida la classifica generale della più importante delle gare a tappe del mondo: il Tour de France.
Si tratta di un ragazzo bianco sudafricano, nato a Johannesburg nel 1984, che corre per una squadra australiana, la Orica Greenedge. Daryl Impey, ha avuto una carriera complicata da infortuni e problemi, che ha sempresuperato con grande forza.

L'articolo della Gazzetta ripercorre, tra notizia e colore,la storia del ciclismo africano. Una storia giovane e povera, con episodi che si confondono tra sport e folklore.Vi rimando al quotidiano sportivo per l'articolo. Mi preme invece riportare una frase di Daryl, con cui ha chiuso l'intervista.

Ecco cosa dice: "C'è un corridore infinitamente più celebre di me. E' Nelson Mandela. Ha compiuto imprese, fatto miracoli. Ha lottato, combattuto, resistito. Ha scritto la storia, ci ha regalato la vita. Gli siamo eterni debitori".

Un omaggio, genuino e sincero, all'uomo la cui vita in queste ore si sta spegnendo, per consegnarlo per sempre alla storia.

giovedì 4 luglio 2013

Golpe in Egitto. Molti interrogativi ed alcuni pensieri.

Evidentemente luglio è un mese propizio per i militari in Egitto per prendere il potere. Avvenne il 23 luglio 1952, quando i liberi ufficiali guidati da Mahammad Naguib e Gamel al-Nasser posero fine alla dinastia reale egiziana e proclamarono la Repubblica. Dopo Naguib e Nasser, fu la volta di Anwar al-Sadat (salito al potere alla morte di Nasser, avvenuta il 28 settembre 1970) che fu assassinato il 6 ottobre 1981 proprio da un ala dei Fratelli Mussulmani. A lui successe un altro militare, Hosni Mubarak che fu destituito (ponendo fine a quasi sessanta anni di guida militare) dalla pizza della Primavera araba nel gennaio 2011.
Ieri, 3 luglio, i militari hanno destituito il Presidente Mohammed Morsi, eletto solo un anno fa.

foto dalla rete
La lotta tra l'elite militare (che è, non dimentichiamolo, una lobby che detiene la maggioranza degli interessi economici del paese) e i Fratelli Mussulmani (di cui è esponente, anche se non di primissimo piano, il presidente deposto) ha radici vecchie e ha accompagnato, nel bene e nel male, gli ultimi 60 anni della storia Egiziana.

Il golpe di ieri (annunciato da mesi) è tecnicamente un "golpe interno", nel senso che ad attuarlo è stato il Comandante Supremo delle Forze Armate, Abdel Fattah al Sisi, che dall'agosto del 2012 era anche Ministro della Difesa (questo a segnalare che, nonostante le elezioni, i militari non hanno mai lasciato le loro posizioni). Al Sisi, formatosi in Inghilterra e negli Stati Uniti, mussulmano, ritenuto "nemico del popolo" e troppo vicino ai Fratelli Mussulmani, ha assunto un ruolo, sospetto, di salvatore del popolo solo nelle ultime settimane.

E' bene chiarire subito una cosa. Un golpe non è mai un processo democratico (anche se sostenuto da milioni di cittadini) e non può essere accettato come strumento di lotta politica. Su questo punto il Presidente deposto Morsi ha ragioni da vendere: gli egiziani, solo un anno fa, lo hanno eletto a maggioranza. Non si è voluta trovare una strada diversa (proposta da più parti), come quella di un referendum per chiedere elezioni anticipate.
Così come - siamo onesti - una parte del mondo è soddisfatta dell'azione militare perchè pone fine ad un "governo islamico", ritenuto pericoloso e destabilizzante per un'area geopoliticamente instabile come quella egiziana. Sarebbe interessante vedere la reazione Europea o Americana a parti invertite.

Fatte queste premesse l'evoluzione della situazione egiziana è densa di incognite. Evocare lo spettro dell'Algeria degli anni '90 è forse esagerato, ma il clima non è dei migliori. Gli arresti degli esponenti dei Fratelli Mussulmani fanno tornare ad un clima del passato, che forse molti dei manifestanti della prima ora (bisogna sottolineare che i manifestanti in piazza di oggi, non sono gli stessi di due anni fa) speravano di non vedere mai più.
Il punto centrale resta quello legato agli occhi con cui si osservano i fenomeni politici del  nord-Africa. Noi pensiamo solo alla "nostra" democrazia, al "nostro" modello di sviluppo (sarà poi quello giusto?) ai "nostri" processi che accompagnano la vita politica. Ma, in paesi dove per decenni si sono soppresse le opposizioni, dove per decenni si sono tenuti "a bada" i movimenti religiosi, dove per decenni si è dato alle forze armate il reale potere del paese, ci si stupisce che le cose procedano in questo modo?

Fanno molto riflettere i commenti che la blogger Jasmine Idem (il suo blog è Diario della Rivoluzione Egiziana), la quale non esulta per questo golpe. Gli interessi in gioco sono molteplici e per nulla coincidenti tra di loro. Lei è rammaricata dal fatto che vi è più entusiasmo oggi in Piazza Tahrir (per un golpe militare) che quando fu destituito Mubarak. Che il popolo, che oggi abbraccia l'esercito, sembra aver dimenticato le sue colpe. Che i sostenitori di Mubarak oggi esultano nelle piazze.
Jasmine sostiene che "le immagini di oggi sono uno schiaffo alla memoria del 25 gennaio" : è difficile non darle ragione.

I prossimi giorni saranno determinanti per capire dove andrà l'Egitto.

Ecco alcuni vecchi post di Sancara, per provare a comprendere il presente e tentare di prevedere (cosa difficile) il futuro.

- Al Baradai e l'Egitto (11 febbraio 2011)
- Egitto: inizia una nuova era? (26 giugno 2012)
- Sull'Egitto non tutto è chiaro (6 dicembre 2012)

lunedì 1 luglio 2013

Due nuovi siti (e due estensioni di siti esistenti) Patrimonio dell'Umanità per Africa

La 37° sessione del Comitato per il Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, riunita in Cambogia ha concluso i suoi lavori, decretando l'iscrizione di 19 nuovi siti Patrimonio dell'Umanità (oltre a tre estensioni di siti esistenti). Diventano così 981 i siti mondiali iscritti nella lista dell'UNESCO (759 dell'area culturale, 193 di quella naturale e 29 dell'area mista). Tra i nuovi siti vi sono anche due italiani ( l'Etna e il giardini e le ville dei Medici)
Per l'Africa, a fronte delle quattro candidature (vedi post di Sancara), sono stati accettati due nuovi siti, ovvero:

centro di Agadez, foto dalla rete
- Il centro storico di Agadez (Niger), porta verso il deserto del Sahara che ha avuto il suo massimo sviluppo tra il 15° e il 16° secolo, e lo straordinario deserto costiero (mare di Sabbia) della Namibia.

Inoltre è stata concessa l'ampliamento di tre siti, di cui due sono africani. Il primo riguarda l'estensione del sito del Monte Kenya (patrimonio dell'Umanità dal 1997) a cui è stato legato il Lewa Wildlife Conservatory e il Parco di Drakensberg in Sudafrica (Patrimonio dell'Umanità dal 2000) a cui è stata aggiunta l'estensione dello stesso in Lesotho, diventando Maloti Drakensberg Transbourdary.

Con i nuovi ingressi sono dunque 128 i siti africani (vedi pagina di Sancara ad essi dedicata) tutelati, come Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.