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mercoledì 28 settembre 2016

Criminali contro il Patrimonio

La notizia di questi giorni - della condanna a 8 anni di carcere per Ahmad Al Faqi Al Mahdi, estremista maliano che nel 2012 ordinò la distruzione di una parte importante del patrimonio archeologico di Timbuktu, la "città d'oro", oltre d essere una decisione di portata storica, pone un punto fermo nella storia del diritto e della giustizia in questi difficili tempi.
Al Mahdi, un tuareg oggi di 41 anni, ex direttore di una scuola, che è stato a capo delle brigate fondamentaliste che a partire dall'aprile 2012 (vedi post) hanno messo a fuoco e fiamme l'Azawad  (la regione desertica a nord del Mali), anche a grazie a pericolose alleanze con gli estremisti di matrice islamica, è stato condannato dalla Corte Internazionale dell'Aia "per crimini di guerra".
Certo le colpe di Al Mahdi sono anche peggiori (e per ora non indagate nei capi d'accusa del processo iniziato il 22 agosto e da poco concluso), infatti sono certe le sue azioni (e dei suoi uomini) per quanto attiene la sfera delle torture e degli stupri.
A partire dal 2012 (in particolare tra giugno e luglio) i suoi uomini presero d'assalto, con martelli e zappe, il cimitero di Djingareybar e la moschea di Sidi  Bahia di Timbuktu e diedero fuoco alla storica biblioteca cittadina e al centro di documentazione Ahmed Babà.
La condanna di Al Mahdi arrestato nell'agosto 2014 e che durante il processo si è dichiarato pentito delle sue azioni rappresenta una fatto di grande importanza. Per la prima volta la corte giudica qualcuno non per reati contro l'Uomo ma contro il Patrimonio dell'Uomo. Si afferma con forza il principio secondo il quale nessuno può permettersi di distruggere patrimoni architettonici dell'Umanità senza per questo pagare per le proprie azioni.

A partire dal 2015 e per tutto l'anno in corso il Patrimonio architettonico della città d'oro è stato restaurato grazie all'intervento dell'UNESCO che da subito ha dichiarato l'emergenza per il Patrimonio Storico di Timbuktu.
E' bene sottolineare che per ora i distruttori del Patrimonio artistico in Afghanistan, in Iraq o in Siria non sono stati ancora puniti per i loro crimini.
Certo resta l'amarezza di vedere Al Mahdi condannato per i crimini contro la storia e non per quelli (per ora) contro la vita.



giovedì 22 gennaio 2015

La Falesia di Bandiagara


La falesia di Bandiagara, in Mali, rappresenta oggi uno dei maggiori siti di importanza archeologica, etnologica e geologica dell'intera Africa.  La falesia, che in termini geologici corrisponde ad una parete rocciosa a picco, composta di roccia sedimentaria  è, nel caso di Bandiagara, una parete di circa 500 metri d'altezza, che spunta da un terreno sabbioso, lunga quasi 200 chilometri. Situata nell'est del Mali non molto distante (circa 65 chilometri) dalla città di Mopti. La sua importanza è accresciuta dalla presenza di insediamenti umani che risalgono al XI secolo. In quell'epoca giunsero infatti sulla falesia i Tellem, un popolo pigmeo (almeno questo è il giudizio che gli archeologi hanno dato dopo aver trovato testi ossei nelle tombe), che viveva in alloggi ricavati tra grotte e incavi della roccia. Essi scelsero quel posto per la difficile accessibilità, infatti accedevano alle loro abitazioni attraverso corde, rendendo così più sicura la loro vita.
A partire dal XIV secolo giunse nell'area un altro popolo, i Dogon, in fuga dalle invasioni islamiche nel regno Mendè e nel tentativo di preservare la loro cultura e le loro complesse tradizioni. Essi si stabilirono nell'area della Falesia (oggi infatti la falesia è denominata "terra dei Dogon") determinando la fuga dei Tellem (verso il Burkina Faso) o la loro assimilazione. Infatti gli archeologi hanno trovato tra le usanze dei Dogon molti elementi che richiamano alle tradizioni Tellem.

I Dogon, popolo interessantissimo da un punto di vista etnografico e dalla complessa cosmogonia, hanno trasformato nel tempo le grotte abitate dai Tellem in luoghi di sepoltura, facendo crescere intorno a loro un alone di mistero e di sacralità.

Nel 1989 l'UNESCO ha inserito la Falesia di Bandiagara tra i Patrimoni dell'Umanità da tutelare e conservare per i posteri. Si teme molto per la tenuta delle costruzioni che necessitano di continua e costante manutenzione.

La Falesia costituisce un complesso luogo culturale, composto da quasi 300 villaggi Dogon, dalle cave antiche e dalle architettura delle tombe, dai riti mascherati che ancora oggi (nonostante l'abbandono dei villaggi a cui si assiste negli ultimi decenni) rendono questo luogo unico e raro.

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mercoledì 23 luglio 2014

La cerimonia della casa sacra di Kangaba

Ogni sette anni, nel villaggio di Kangaba, nel sud-ovest del Mali, si svolge la cerimonia di rifacimento del tetto della casa Kamablon (letteralmente "casa dei discorsi"). La casa (una tipica capanna con il tetto in paglia) fu costruita nel 1653, dal diametro di 4 metri e alta 5 metri, rappresenta ancora oggi un simbolo dell'antico Impero del Mali e della dinastia reale dei Keita. Da secoli ogni sette anni la capanna viene restaurata ed in particolare viene sostituito il suo tetto. Ad organizzare la cerimonia sono i membri del clan Keita, discendenti del fondatore dell'Impero del Mali Sundiata Keita e i griots, conservatori e testimoni delle tradizioni orali dell'Africa Occidentale. La carimonia rappresenta il momento in cui, oltre a rievocare e far rivivere le antiche tradizioni, si cercano di risolvere conflitti sociali e dispute in corso e allo stesso tempo di predirre (e sotto certi versi indirizzare) gli eventi del prossimo ciclo di 7 anni.
La cerimonia, che dura 5 giorni, rappresenta anche un passaggio di testimone, in cui giovani ventenni eseguono i lavori di rifacimento del tetto, sotto l'attenta e vigile supervisione degli anziani, che approfittano dell'occasione per impartire conoscenze e valori simbolici di ogni azione.

Nel 2009 la cerimonia è stata inserita all'interno della Lista dei Patrimoni Immateriali dell'UNESCO con il fine di conservare un rituale secolare, che senza un sostegno forte della comunità internazionale, rischiava di perdersi per sempre.

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venerdì 18 luglio 2014

Timbuctu

La città dell'odierno Mali, Timbuctù,  per secoli ha vissuto, per noi europei, tra mito e realtà. La "città d'oro" o "l'Eldorado africano" come era stata chiamata dai mercanti arabi o dagli esploratori europei, era stata ritenuta un'invenzione e, solo nel 1806, l'esploratore scozzese Mungo Park vi giunse, ma non ebbe modo di raccontarlo. A tornare da Timbuctu fu per primo, molti anni dopo, il francese Renè Cailliè nel 1828 che vi entrò travestito da mercante arabo.
La città, costruita in un terreno arido e sabbioso, poco distante dal fiume Niger, si trova di fatto nel deserto del Sahara, lontana da altri centri abitati, nella regione contesa dell'Azauad del Mali.  Fondata durante il V secolo, ma raggiunse il suo massimo splendore e prestigio tra il 1300 e il 1500 quando divenne il più importante centro culturale e commerciale (si faceva mercato di oro, sale e schiavi, le più importanti risorse dell'epoca) del Nord Africa. Durante quel periodo furono costruiti la gran parte degli edifici oggi conservati e raggiunse una popolazione vicina ai 100 mila abitanti. Inoltre, nacque in quell'epoca l'Univesità di Sankora, tra le prime Univeristà del mondo che arrivò ad avere, nel suo apogeo, anche 25 mila studenti. Il decadimento della città iniziò alla fine del XVIII secolo e quando fu conquistata dai francesi nel 1894 si presentava già come una città in rovina. Oggi la città conta poco più di 50 mila abitanti.
Nel 1988  il sito di Timbuctu è stato inscritto tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO. Le sue tre grandi moschee (Djingareyber, Sankore e Sidi Yahia), i 16 mausolei e molti edifici pubblici, costruiti in fango, rappresentano delle testimonianze uniche e molto belle, dell'architettura islamica di quel periodo. Inoltre, l'importanza come centro culturale e religioso islamico della città, ha permesso di custodire oltre 700 mila manoscritti arabi, che abbracciano tutto il sapere umano, i quali costituiscono un sicuro e importante patrimonio culturale mondiale.
La città di Timbuctu è stata purtroppo fortemente danneggiata dalla guerra scoppiata in Mali tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013 (sul tema, e sulla criminale distruzione del patrimonio storico-culturale vi rimando a questo post di Sancara).
La "città dei 333 santi" è stata saccheggiata e bruciata, da una follia criminale che non deve assolutamente essere confusa con superficiali valutazioni religiose. Nel 2012 l'UNESCO ha inserito il sito di Timbuctu tra i siti patrimonio dell'Umanità a rischio (assieme all'altro sito maliano, la tomba di Askia) e come tale è iniziata una tutela internazionale tesa a ricostruire, riparare e salvaguardare questo patrimonio di inestimabile valore. Recentemente l'UNESCO ha dichiarato che sono stati investiti già tre milioni di dollari (in un progetto avviato nel marzo 2013) e che altri otto sono necessari per "ripristinare" la situazione.

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martedì 27 maggio 2014

Djenne, la città di fango

Djenne è un'antica città del Mali, distante circa 130 chilometri da Mopti, fondata nel 300 avanti Cristo nella piana alluvionale del fiume Bani, costruita interamente con mattoni di fango, da cui il nome. Considerata una delle più antiche città sub-sahariane, ebbe un'importanza strategica nella regione, divenendo presto un centro di commercio (soprattutto di oro e sale) e successivamente di cultura islamica, in particolare dopo lo spostamento del suo sito, pochi decenni dopo l'anno 1000. Nonostante la sua posizione non fu mai parte dell'Impero del Mali e solo nel 1453 cadde sotto l'Impero Songhai. Fu poi più volte conquistata e passò di mano in mano fino all'avvento dei francesi, giunti nel 1893, con cui iniziò il suo declino e perse via via di importanza.
Tra le straordinarie bellezze della città (il cui sito durante il periodo di piena del fiume diventa un'isola)  sono costituite da edifici di architettura islamica, tra cui vi è la Grande Moschea, che fu ricostruita nel 1907, sul precedente edificio, costruito nel 1200, e distrutto nel 1830.
La Moschea, capace di ospitare oltre 1000 pellegrini, è un'edificio a pianta quadrata di circa 75 metri, alta oltre 20 metri e sorretta da oltre 100 colonne. E' costruite con la tecnica tradizionale chiamata appunto djenne che usa palle di terra cruda ancora bagnata che funge allo stesso tempo da mattone e da legante. Ogni anno, dopo la stagione delle piogge, l'edificio necessita di una manutenzione atta a consolidare le pareti di fango. 
Con scavi effettuati a partire dal 1970 da archeologi americani, sono stati invece scoperti i resti dell'antica città.
Nel 1988 l'antica città di Djenne fu inserita dall'UNESCO nella lista dei Patrimoni dell'Umanità.

operazioni di manutenzione, foto dalla rete
Ancora oggi davanti alla moschea si svolge un mercato settimanale che attrae in città venditori e acquirenti di tutta la regione.

A seguito del golpe avvenuto in Mali il 22 marzo 2012 e delle successive evoluzioni, l'area del Mali ha subito una forte e distruttiva trasformazione, che hanno portato nel gennaio 2013 a temere per la distruzione del patrimonio culturale del Mali e in particolare a Timbuctu nell'area dell'Azawad. I siti patrimonio dell'Umanità di Timbuctu e della Tomba di Askia sono stati nel 2013 dichiarati siti in pericolo e per questo sottoposti a speciali tutele. Anche per il sito della città di Djenne era stato ipotizzata l'iscrizione tra i patrimoni in pericolo, ma poi l'UNESCO non diede seguito a tale ipotesi.

Vi segnalo il blog Djenne Djenno, scritto da Sophie, una svedese che gestisce un piccolo (e grazioso) hotel a Djenne e che commenta la situazione politica, e non solo, di quell'area del Mali in grande movimento.

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mercoledì 2 aprile 2014

La Manden Charter, una delle prime Costituzioni al mondo

Secondo alcuni storici si tratta della più antica Costituzione al mondo. La Manden Charter, emanata a Karukun Fuga (o Kourdukan Fouga) a seguito della battaglia di Krina (1235), rappresenta una testimonianza della cultura mende (mandinga) che, attraverso l'Impero del Mali (o Impero del Manden) governò un'ampia area dell'Africa Occidentale fino al 1645.

l'Impero del Mali (mappa dalla rete)
La Costituzione fu emanata dall'assemblea dei nobili e divenne parte del patrimonio orale della tradizione (di essa si parla nel poema epico di Sundiata). Dal 1890 iniziò una vera e propria raccolta delle tradizioni orali e risale solo al 1967 la prima trascrizione completa della Costituzione.

Essa è composta da 44 editti, divisi per argomento: organizzazione sociale (1-30), proprietà (31-36), ambiente (37-39) e questioni generali (40-44). 
Nel 2009 l'UNESCO ha inserito la Manden Charter tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità da salvaguardare e preservare per le future generazioni.

Scorrendo il testo, si possono scorgere alcune "norme", che sono il segno di una civiltà evoluta (ovviamente per il 1200), capace di imporre regole non solo essenziali per la convivenza pacifica, ma in grado di prospettare un futuro diverso per tutti e di prendersi in carico anche dell'ambiente circostante.

La "carta" dopo aver diviso la società mende in 16 clans e in gruppi di età ed affidato ad ognuno il proprio compito, entra nel merito delle relazioni tra gli individui. Tra le cose di rilievo è bene sottolineare come l'educazione dei bambini, posta come priorità, diviene compito dell'intera società oppure come gli stranieri e gli ambasciatori non possono essere maltrattati nell'Impero.

Vi sono in questa prima parte alcune massime che ben esprimono il pensiero mende. la prima "un bugia che vive 40 anni deve essere considerata una verità" oppure " la vanità è segno di pochezza, mentre l'umiltà è segno di grandezza".

Nella parte dedicata alla proprietà gli estensori sottolinearono come "solo cinque modi permettono di acquisire la proprietà ovvero, l'acquisto, la donazione, lo scambio, il lavoro e l'eredità tutto il resto, senza una convincente testimonianza, pone dei dubbi".

Così come sono da sottolineare gli "articoli" relativi alla salvaguardia dell'ambiente (in particolare dei frutti e dei fiori della natura così come di quelli coltivati) e quelle relative al rispetto.

L'editto 41 pone l'accento  su di un concetto quanto mai attuale soprattutto se concepito come una metafora, ovvero "si può uccidere il nemico (sconfiggere), ma mai umiliarlo". Pensate se questo nobile, e alto, concetto fosse veramente entrato nell'animo umano, quante sofferenze avrebbe evitato in Africa, come nel mondo.

Ecco il testo completo della Manden Charter

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lunedì 4 novembre 2013

Morire per informare

La storia del giornalismo è intrisa di fatti luttuosi. Molte donne e uomini hanno sacrificato la propria vita, a volte consapevoli del pericolo che correvano, altre volte ignari di andare incontro alla morte. A volte perché scrivevano cose che non era bene sapere, altre volte perché il solo essere in alcuni luoghi non era ben visto infine, qualche volta, per una semplice fatalità. 

Lo scorso anno Sancara aveva pubblicato questo post (Quando informare è pericoloso), in cui faceva il punto della strage - perchè di questo si tratta - di giornalisti nel mondo ed in Africa in particolare.
Lo scorso anno furono complessivamente 132 i giornalisti uccisi nel mondo. Quest'anno si è già a 91, di cui 18 in Africa.

L'ultimo episodio è di due giorni fa, quando la giornalista francese Ghislaine Dupont e il cameramen francese Claude Verlon, di Radio France International, sono stati freddati vicino Kidal nel nord-est del Mali.
Una vicenda che a noi italiani ha fatto subito tornare in mente la triste vicenda del 20 marzo 1994 quando in Somalia furono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Ghislaine e Claude stavano facendo, da mesi, un reportage in Mali per seguire la situazione nella regione dell'Azawad (che da decenni reclama l'indipendenza), a seguito delle elezioni di questa estate, vinte dall'ex Primo Ministro Boubacar Keita. Avevano da poco finito un'intervista a Ambe'ry Ag Rissa, un tuareg a capo del Movimento di Liberazione dell'Azaward, quando sono stati rapiti e, fatto molto insolito, immediatamente giustiziati.

La situazione del Mali è complessa (vedi questo post), dal golpe del 22 marzo 2012, il paese è in preda ad un "caos guidato". Le elezioni di luglio-agosto scorsi, organizzate secondo molti in modo frettoloso, avevano lo scopo di tranquillizzare i finanziatori internazionali (liberando così centinai di milioni di dollari di aiuti umanitari bloccati a seguito della guerra civile). Nel nord si sono inizialmente lasciati isolati i movimenti separatisti spingendoli nella mani dei movimenti islamisti radicali, salvo poi riconquistare il terreno con l'aiuto del contingente francese. Dal gennaio del 2013 infatti la Francia ha lanciato, nella quasi totale indifferenza, l'operazione Serval, inviando una massiccia forza aerea (e non solo) sul campo. Il risultato è stato che da un lato si sono garantite le elezioni e dall'altro si è ristretta la zona del conflitto al solo nord. Gli interessi in gioco sono però altri e gli impegni non sempre vengono rispettati.

L'anomalia di questo sequestro lampo (così raccontano le testimonianze) è proprio nella sua rapida risoluzione con l'omicidio (in genere i sequestri degli "occidentali" sono legati a richieste di riscatto e si risolvono con trattative sotterranee e spesso non mai rese pubbliche). Gli analisti sposano due ipotesi: una cambio radicale di strategia dei gruppi armati (?) o di promesse non mantenute dai francesi a seguito dei sequestri precedenti.

Quel che è certo è che Ghislaine e Claude hanno perso la vita fecendo il loro lavoro, tentando di far passare quel poco (molto poco) di informazioni che giungono da quei luoghi dimenticati.

martedì 9 luglio 2013

Popoli d'Africa: Senufo

I Senufo (a volte si usa anche il termine francese Senoufo) sono un gruppo etnico dell'Africa Occidentale. In particolare abitano la Costa d'Avorio, il Mali, e il Burkina Faso. Parlano la lingua Gur (a sua volta divisa in molti dialetti, riconducibili ai diversi sottogruppi, almeno 14 secondo molti etnologi) e costituiscono un gruppo complessivo di 2-2,5 milioni di individui. Storicamente questo popolo è migrato dal nord tra il XV e il XVI secolo. Tradizionalmente agricoltori, hanno sviluppato molto le tecniche di coltivazione del riso (che esportano). Coltivano anche miglio, cassava, granoturco e, più recentemente arachidi e cotone. A margine allevano anche capre e pecore. Alcuni di loro sono cacciatori (Dozo).
Sono abili artigiani (gli uomini) e in particolare lavorano il cotone, il rame e il legno. In particolare le figure ligne, raffiguranti "la grande madre" sono oggetti apprezzati nell'ambito dell'arte africana (eccone in questo sito alcuni esempi)
mappa da wikipedia
Hanno una struttura sociale molto complessa, densa di riti religiosi e di divinazioni. E' presente anche un'organizzazione segreta iniziatica, solo maschile (sebbene recentemente aperta anche alle giovani donne), che detta i ritmi della vita quotidiana e che prende il nome di Poro. Per le donne (su cui viene praticata la clitoridectomia, una delle orrende mutilazioni genitali femminili) il rito iniziatico è chiamato Sandogo e ha lo scopo di formare le ragazze ad una rigida vita di relazioni.
Sebbene prevalgono le tradizioni (fondate sulle strette relazioni con gli spiriti ancestrali), un quarto della popolazione è di religione mussulmana.
Vivono in villaggi costruiti con capanne a doppia pianta circolare.
Nel 2012 i tre stati che ospitano l'etnia Senufo hanno proposto (e attenuto) di inscrivere le conoscoenze e gli usi di un balofon (chiamato ncegele), tipico strumento musicale dell'Africa Occidentale, tra i patrimoni Immateriali dell'Umanità.

Vi segnalo questo interessante post (corredato di belle immagini) sui Senufo dal Blog Trip Down Memory Lane

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa


martedì 11 giugno 2013

Sankè mon, il rito della pesca collettiva

dal sito dell'UNESCO
Il rito della pesca collettiva (Sankè Mon o a volte scritto Sankemon) si svolge nella città di  San, nella regione del Segou in Mali, ogni secondo giovedì del settimo mese lunare. Il suo scopo è celebrare la nascita della città.
Il rito della pesca (si tiene nella laguna prodotta dal fiume Bani, tributario del Niger), dura per oltre 15 ore ed è svolto con migliaia di reti a maglia sottile: E' preceduto dal sacrificio, agli spiriti della pesca, di animali (pecore e galli) che vengono poi mangiati durante i festeggiamenti successivi. Danze mascherate nella piazza cittadina chiudono poi le cerimonie.  Il rito si svolge senza soluzioni di continuità dal XV secolo e rischiava di scomparire. Nel 2009 l'UNESCO l'ha inscritto tra i Patrimoni Intangibili dell'Umanità allo scopo di tutelare un bene, culturale e spirituale, che appartiene alla storia e all'identità del Mali. Nel 2010 fu anche lanciato un appello internazionale per salvare questo rito.
foto dal sito dell'UNESCO
Tra le azioni intraprese dall'UNESCO oltre a quella della documentazione e della trasmissione delle conoscenze orali che si tramandano da generazioni e generazioni, vi è quello di coinvolgere le giovani generazioni affinchè tali pratiche siano custodite e trasmesse al futuro.

Quello delle pesca collettiva è un rito, che con caratteristiche diverse, si celebra anche tra  altre etnie del Mali, come i Dogan e i Bambara.

Ecco il link di un video sul Sankè Mon, dal sito dell'UNESCO

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Umanità in Africa.

lunedì 4 marzo 2013

Fatoumata Diawara, la nuova voce del Mali

Fatoumata "Fatou" (come sempre viene abbraviato il nome Fatoumata) Diawara è una giovane cantante e chitarrista maliana, sebbene nata, nel 1982, in Costa d'Avorio, da genitori entrambi del Mali (il padre aveva una compagnia di danza tradizionale). In realtà Fatoumata nasce come attrice cinematografica (fin dal 1996) e teatrale (lavorando con la compagnia Royal de luxe di Jean Luc Courcouit) e solo successivamente inizia la sua carriera di musicista. Proprio mentre recitava, e cantava per gioco, che Fatoumata, donna di una bellezza scultorea e dotata di uno stupendo sorriso, scopre la sua vocazione per la musica. Infatti, il suo album di esordio Fatou è solo del settembre 2011, dove tra gli altri è accompagnata da Toumani Diabatè alla kora, dall'ex bassista dei Led Zeppelin, John Paul Jones e dal percussionista nigeriano e pioniere dell'afro-beat Tony Allen (ex Fela Kuti band). I testi affrontano i temi della guerra, dell'abbandono dei minori e delle mutilazioni sessuali femminili, assieme a storie d'amore.
Dopo aver vissuto a Bamako da una zia attrice, aver rifiutato di studiare, essersi poi trasferita in Francia con i genitori ed aver studiato recitazione,  ha iniziato a lavorare con i registi maliani Adama Drabo e Cheick Oumar Sissoko.
Lo scorso anno (primavera 2012) è stata in tour in Italia. Oggi è sposata con un italiano.


Da un punto di vista musicale ha collaborato con Oumou Sagarè, Dee Dee Bridgewater, Harbie Hancock e l'Orchesta Poly-Rhytmo di Cotonou. E' molto attiva nella lotta contro la violenza sulle donne, in particolare in Africa. La sua musica, come ha avuto modo di dire, "vuole essere un modo per motivare le donne, per risvegliare le loro coscienze".
La sua voce intensa, il ritmo della sua musica energico e pulsante, la sua presenza scenica coinvolgente e trascinante (spesso balla e si scatena), assieme alla sua bellezza e ad una buona dose di sensualità, a volte molto vicina alla vera provocazione, ne fanno un'artista completa, ricercata e apprezzata nell'ambito della world music.

Ecco il sito ufficiale di Fatoumata Diawara

Vai alla pagina di Sancara sulla Musica d'Africa

mercoledì 30 gennaio 2013

Timbuctu: crimine, non religione

la grande moschea di Timbuctu, foto dalla rete
La guerra in Mali si combatte, sul serio. Sul serio significa che si spara, vi sono morti e feriti, distruzioni e terrore. In queste ore è la città di Timbuctu, nel nord del Mali (in realtà nel centro, perchè il vero nord è deserto), a far parlare di se. Non certamente per le sue opere architettoniche (riconosciute patrimonio dell'umanità dall'Unesco), nemmeno per quell'alone di mistero che per secoli ha accompagnato questa città che alcuni non ritenevano nemmeno esistere, bensì per la follia di un gruppo di estremisti che hanno pensato bene, prima di lasciare, sconfitti, la città di bruciare una biblioteca che conteneva antichi e preziosi manoscritti. 
Naturalmente la religione non c'entra nulla. Affermare che queste distruzioni derivano da chissà quali prececetti religiosi, equivale ad offendere non solo l'islam, ma perfino chi legge.
rogo al Centro Ahmed Baba, foto dalla rete
Tra le tante bellezze, nella città di Timbuctu, erano e sono ancora conservati manoscritti (non solo religiosi) risalenti perfino al XIII secolo. Molti dei manoscritti (si parla di oltre 700 mila pezzi) sono custoditi da famiglie facoltose che negli anni hanno conservato e tutelato questi patrimoni della cultura e della storia. Quelli bruciati nel Centro di Documentazione Ahmed Baba (nell'edificio inaugurato nel gennaio 2009) erano - paradossalemente - quelli donati alla collettività e resi consultabili anche grazie ad un grande progetto finanziato e messo in opera dal Sudafrica.  

La questione è complessa (vedi post). Sin dal giugno 2012, quando le milizie "islamiche" avevano occupato Timbuctu, si erano contraddistinte per l'assurda follia di distruggere tombe e moschee, ritenuti Patrimonio dell'Umanità. Le organizzazioni internazionali erano intervenute minacciando ritorsioni e interventi armati. Sono passati oltre 6 mesi, e l'intervento armato - francese - vi è stato. In questo tempo, le organizzazioni dei tuareg, che da decenni lottano per l'autonomia dell'Azawad avevano stretto malsane alleanze con le milizie estremiste (molte giunte dalla Libia assieme alle armi), armate e determinate.
Dopo gli incendi, oggi si assiste ai saccheggi contro i commercianti arabi colpevoli di aver collaborato con gli estremisti. Il rischio di aver innescato nuove tensioni e conflitti, è alto.

Quello che avviene in Mali, da qualsiasi angolo si guarda è l'ennesima conferma del fallimento delle politiche internazionali (nel Mali soprattutto quelle francesi) che hanno consegnato nelle mani degli estremisti le ale più moderate e laiche dei movimenti autonomisti e indipendentisti. I tuareg del nord, nel Mali come altrove, sono stati per decenni emarginati e repressi. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti.

Resta il fatto, che deve essere sancito senza incertezze e timori, che i criminali culturali vanno isolati e perseguiti senza indugi dalla Corte Internazionale di Giustizia, smontandone qualsivoglia giustificazione di tipo politico e religioso. Chi distrugge il patrimonio artistico, religioso e culturale non può che essere catalogato tra coloro i quali compiono crimini contro l'umanità e per tali ragioni debbono essere giudicati.

Aggiornamento  31.1.2013: dopo aver scritto questo post, le agenzie di stampa hanno battutto la notizia che "solo" il 5% dei manoscritti del Centro Ahmed Baba erano stati danneggiati, perchè preventivamente portati altrove. Tiriamo un sospiro di sollievo, sebbene l'analisi e le riflessioni non si spostano di una virgola.

venerdì 18 gennaio 2013

Il Mali, e il Nord Africa, che esplodono.

Solo due anni fa, il mondo fu trovato impreparato da quella che poi è stata definita la Primavera Araba. Giovani e donne in particolare, a partire dalla Tunisia, misero in ginocchio vecchi e corrotti regimi, alleati dell'Europa e non solo, e decretarono la fine di un sistema che aveva retto per oltre 30 anni. Assieme a loro ripresero forza gruppi ben organizzati, di matrice islamica, che per anni erano stati tenuti a bada, spesso con la forza, nella logica di un patto scellerato tra governanti e potenze straniere. In cambio della repressione e del contenimento di tutto ciò che aveva a che fare con l'islam (il cattivo, ma anche il buono) si garantiva la sopravvivenza di regimi che delapidavano i patrimoni derivanti dalle risorse (petrolio, gas, minerali) affamando la maggioranza della popolazione.
Questa apparente calma, che in realtà era la chiusura di un coperchio su di una pentola a pressione in ebollizione, esplode ora con tutte le sue pericolose contraddizioni.

I gruppi islamici - anche quelli estremisti - sono stati usati nel passato, come lo sono ancora oggi, all'occorrenza. Armati fino ai denti, quando dovevano destituire (e uccidere) lo scomodo Gheddafi o appoggiati quando ancora oggi lottano in prima fila contro il regime di Assad in Siria. Insomma, le geometrie delle alleanze, quelle scomode, sono variabili e, quasi mai, rispecchiano i canoni e le politiche che alla luce del sole si professano nei palazzi dei governi. Osama bin Laden fu usato contro i sovietici e non solo, prima di diventare il nemico giurato.

Quello che succederà nel futuro è difficile da pronosticare. Dalle macerie della guerra di Libia, oggi si raccolgono solo veleni. Finita la fase militare (che ha lasciato sul campo armi di tutti i tipi e ha fatto riversare in Mali e in Algeria i gruppi filo-Gheddafi sconfitti, ma anche dei vincitori oggi non graditi in Libia) è mancata, e manca tutt'oggi, quella politica. Raggiunto lo scopo della riapertura dei gasdotti (e della fine dello sterminio della popolazione civile), vitali per l'Europa, l'impegno è venuto meno.
In Mali si è aspettato quasi un anno, dalla fine della guerra della Libia e dal successivo colpo di stato a Bamako, per decidere di fare qualcosa. Si è aspettato che i vari gruppi si organizzassero e stringessero alleanze malsane. 
Il territorio dell'Azawad, il nord del Mali, è conteso da decenni, ed ha sempre rappresentato "uno stato nello stato" o meglio la periferia dell'impero. E' dal 6 aprile 2012 che l'Azawad ha proclamato unilateralmente l'indipendenza.
Da anni infatti il Movimento di Liberazione dell'Azawad (MNLA), composto soprattutto da tuareg di tendenza laica o moderata nato nel 1990, lotta per l'indipendenza (per la cronaca nel 2006 nell'area è stato scoperto il petrolio). L'isolamento e la miopia politica, non solo dei francesi (da sempre veri "padroni" dell'area), hanno portato l'MNLA ad allearsi con i gruppi islamici (più potenti militarmente e organizzativamente) con obiettivi che solo parzialmente convergevano e che già oggi sono diversi. L'MNLA ha tra i sui programmi la lotta all'estremismo islamico.
Con l'iniziativa militare francese nel nord del Mali (almeno si poteva coinvolgere qualche africano!), ufficialmente contro il terrorismo, si colpiscono anche, e soprattutto, i gruppi indipendentisti spingendoli nuovamente, e pericolosamente nelle braccia dei jihadisti.
Il primo risultato dell'attacco armato è stato la ritorsione in territorio algerino (l'Algeria è ritenuta colpevole di aver concesso lo spazio aereo alla Francia) con l'attacco agli impianti petroliferi ai confini con la Libia, che ha già causato oltre 40 morti.

La sensazione è che dietro alla lotta al terrorismo, che oramai da anni è diventata l'etichetta da attaccare per giustificare qualsiasi azione militare nel mondo, si nascondano strategie e obiettivi, meno nobili e più legati ad interessi strategici ed economici. Tali motivazioni renderebbero più comprensibili (non giustificabili) alcune scelte del passato e del presente, che altrimenti risulterebbero dei gravissimi e banali errori di strategia che poco si adattano a paesi che avrebbero il compito di guidare il mondo.

Infine, vale la pena ricordare, senza distrarre troppo dalle questioni militari, tanto care ai quotidiani del mondo intero, che nei luoghi in cui oggi i militari francesi combattono, il Sahel, è in corso una delle più gravi carestie della storia, dove oltre 18 milioni di persone (di cui un milione di bambini) rischiano di non arrivare a fine anno (Sancara ne ha parlato anche recentemente a supporto della campagna "La carestia non è una dieta" promossa dalla LVIA).

mercoledì 7 novembre 2012

Habib Koitè

Habib Koitè, nato in Senegal (il padre lavorava alla costruzione della ferrovia che unisce il Senegal al Niger), ma di fatto maliano, è un musicista nato nel 1958. Solo 6 mesi dopo la sua nascita la famiglia ritorna in Mali. Originario di una famiglia di griot (musicisti, cantastorie e tenutari della tradizione orale nelle culture dell'Africa Occidentale), cresce seguendo la madre, anch'essa griot, che suona e canta negli eventi (matrimoni, funerali e feste) e impara a suonare la chitarra, da autodidatta, con cui inizia ad accompagnare, musicalmente, la madre. Matura uno stile che assieme alla tradizione attinge dal blues. A vent'anni, quando sembra avviato agli studi di ingegneria, viene convinto a frequentare il National Institute of Arts (INA) di Bamako. Si diploma nel 1982 ma, in quei quattro anni ha modo di affinare la sua tecnica, miscelando oltre al blues anche elementi tratti dalla chitarra flamenca, e di suonare con altri giovani musicisti maliani, come Toumani Diabatè. Grazie al suo talento inizia ad insegnare chitarra presso lo stesso istituto.
Nel 1988 forma il suo primo gruppo, chiamato Bamada, frutto della collaborazione con giovani musicisti maliani (tra cui Keletigui Diabatè al balafon), alcuni dei quali amici fin dall'infanzia. Il loro percorso musicale li porta prima a vincere, nel 1991, un premio al Festival di Perpignan in Francia (da cui ottengono i soldi per finanziare incisioni di singoli che diventano molto popolari in Africa occidentale) e successivamente, a partire dal 1994, ad intraprendere il primo tour in Europa.
Nel 1995 incide il suo primo album, Muso Ko che lo lancia definitivamente nel panorama della World Music europea.
 


Da allora Habib è diventato un apprezzato artista che frequenta con regolarità i Festival europei. Nel 1998 ha inciso il suo secondo album Ma Ya e nel 2000 ha suonato con lo storico gruppo dell'Art Ensamble of Chicago. A lavorato e inciso con i grandi del blues come Eric Bibb e Bonnie Raitt. Con il suo gruppo continua a suonare (molto) in giro oramai per il mondo e a incidere (meno) album (l'ultimo Afriki è del 2007). Ha inciso anche a favore dell'UNICEF.

Il suo stile di suonare la chitarra è molto particolare (lascio agli esperti le discussioni sulle scale pentatoniche) e risente anche dell'influenza dell'uso degli strumenti musicali della tradizione. Habib, canta in francese, inglese, spagnolo e bambara, la lingua della sua etnia. Il suo carisma, la sua carica e il suo entusiasmo ne hanno poi fatto uno straordinario personaggio. Ecco la pagina a lui dedicata sul sito Playing For Change.

Ecco quanto Habib ha dichiarato, pensando al suo Mali (riporto la traduzione dal sito Musicclub, mentre l'originale è nel suo sito ufficiale):
“Le persone in Africa sono disposte a rischiare la vita per emigrare in Europa o negli Stati Uniti, ma non sono disposte a correre gli stessi rischi per sviluppare qualcosa qui in Africa”. “La vita può essere bella o brutta ovunque tu vivi. Le persone devono capirlo. Anche se il Mali è povero abbiamo ancora una alta qualità della vita: si può andare in giro e sorridere, e qualcuno ti sorriderà a sua volta. Ci ho pensato a lungo e non sono sicuro che i paesi poveri abbiano una qualità della vita inferiore”. 
Come dargli torto.

Ecco il suo sito ufficiale

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martedì 9 ottobre 2012

Baba Sissoko, una voce griot

Baba Sissoko è un polistrumentista del Mali, nato a Bamako l'8 marzo 1963. Discendete da una famiglia di griot, poeti, musicisti e cantastorie a cui è affidato tradizionalmente il compito di tramandare la cultura orale nelle popolazioni dell'Africa Occidentale, in particolare all'interno delle etnie mandinka, bambara e fulana.
Oggi rappresenta una delle massime espressioni  della musica tradizionale maliana che si è fusa nell'ambito della ricerca jazz. La sua avventura musicale inizia in ambito familiare, quando impara a suonare il tamani (chiamato tamburo parlante) un tamburo che viene tenuto sotto l'ascella e percosso con un un'unica bacchetta ricurva. Il braccio comprime le corde che tendono la membrana del tamburo, alterando la tonalità del suono. Si ottengono suoni che ricordano appunto la voce umana. Con il tamani Baba Sissoko accompagna i griot durante le celebrazioni rituali. Nel 1985 è in tournè con l'orchesta Instrumental Ensamble of  Mali con cui collabora fino al 1990. Impara a suonare anche altri strumenti della tradizione dell'Africa occidentale come lo ngoni (ritenuto da molti un antico parente del banjo), il kamalengoni, il balafon, il calabasse e il sildrum.
Nel 1991 fonda il gruppo Taman Kan che ancora oggi l'accompagna nelle sue turnè. E' del 1995 il suo primo album intitolato appunto Taman Kan.


Fin dal 1999 Baba Sissoko frequenta molto l'Italia, ed in particolare la Calabria dove stabilisce anche la residenza della sua famiglia tra un tour e un'altro. La sua attività su sviluppa da una parte sulla ricerca delle tradizioni e degli strumenti musicali ad essa collegata e dall'altra alle collaborazioni con grandi personaggi della musica africana e mondiale tra cui Youssur N'Dour, Rokia Traorè, l'Art Ensamble of Chicago, Santana e Buena Vista Social Club, tanto per citare i nomi più noti.  Tra le collaborazioni particolarmente produttive è stata senz'altro quella con la cantante Dee Dee Bridgewater. A partire dal 2003, Sissoko accompagna la cantante durante una ricerca musicale in Africa e in particolare in Mali, successivamente è con lei in un tour mondiale e per cui scrive il brano Dee Dee.

Oggi è sicuramente un apprezzato musicista, capace di coniugare la musica con il racconto dell'esperienza dei griot, che lo spinge ad affermare che tutta la musica nera da noi conosciuta (il jazz, il blues e il soul) traggono origine da queste tradizioni portate oltre oceano dagli schiavi.

Il suo ultimo lavoro, del 2012, è con un gruppo di strumentisti, proveniente da ogni parte dell'Africa chiamato African Griot Groove.

Ecco il sito ufficiale di Baba Sissoko

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venerdì 30 marzo 2012

L'ultimo golpe in Africa

Quello del 22 marzo scorso, in Mali, è stato l'ultimo di una lunghissima serie di colpi di stato avvenuti in Africa negli ultimi 50 anni. Per il Mali si tratta della terza esperienza di rovesciamento militare delle sua storia di paese indipendente. Il primo avvenne il 19 novembre 1968, quando un sanguinoso golpe depose Modido Keita - che venne incarcerato (morì in carcere nel 1977) - portando al potere Moussa Traorè, che a sua volta venne deposto con un golpe militare il 26 marzo 1991 dopo la spinta forte di una rivolta studentesca. Quest'ultimo golpe portò alla costituzione di un governo di transizione e alle prime elezioni "libere" nel 1992, vinte da Oumar Konarè.
Al netto delle rivolte che nel corso del 2011 hanno spodestato alcuni capi di stato di vecchia data (in Egitto e in Libia, oltre che in Kirghizistan nel 2010), l'ultimo golpe nel mondo risaliva al 18 febbraio 2010 quando in Niger rovesciò Tandja Mamadou. 
Nel 2009 invece avvennero due colpi di stato : il 17 marzo in Madagascar, quando l'esercito e il leader dell'opposzione depongono il Presidente Ravalomanana  e il 28 giugno in Honduras, quando l'esercito, con l'appoggio della Corte Suprema, depose il presidente Manuel Zelaya Rosales.

Foto Harouna Traore
Vi sono stati anni in cui i colpi di stato di susseguivano con grande rapidità e spesso con inaudita violenza. Erano sicuramente anni diversi, dove quasi sempre vi era la complicità (che andava dalla semplice informazione alla partecipazione attiva con uomini e soprattutto mezzi) dei servizi dei paesi ex-coloni e delle due grandi potenze, intenti a ristabilire il controllo delle risorse o delle strategie geopolitche. E' il caso del 1966, quando già nella notte di Capodanno nella Repubblica Centrafricana il colonnello Jean Bedel Bokassa (che diventerà poi uno dei più feroci dittatori africani) prese militarmente il potere. Solo pochi giorni dopo, il 3 gennaio, in Alto Volta (ora Burkina Faso) avvenne il primo colpo di stato (l'ultimo nel 1987 portò all'assassinio di Thomas Sankara) che destituì il presidente Maurice Yameogo, portando al potere i militari con Sangooulè Lamizana.
Il 15 gennaio, avvenne il sanguinoso golpe in Nigeria che mise fine alla prima Repubblica e che portò al potere prima Johnson Aguiyi-Ironsi e successivamente con un secondo golpe il 29 luglio il generale Yakubu Gowon.
Il 24 febbraio in Ghana, i militari guidati da Joseph Arthur Ankrah, deposero il presidente Kwame Nkrumah mentre si trovava in missione ad Hanoi, nello stesso giorno, in Uganda, il Primo Ministro Milton Obote prese il potere sospendendo le funzioni del Parlamento e del Presidente. Infine, il 1 settembre in Burundi Ntare V, destituì il padre Mwambutsa e il 29 novembre dello stesso anno fu a sua volta destituito dal Primo Ministro, il capitano Michael Micombero.
Per la cronaca nel 1966, vi furono anche i colpi di stato in Argentina e in Siria.

Per quanto riguarda quello che accade in Mali, vi rimando a questa interessante analisi su Il Post, che titola "L'improbabile golpe in Mali" e naturalmente a quanto la rete e i media offrono in tema di aggiornamento sulla situazione che appare tutt'altro che stabile e definita.
Quel che preme sottolineare è che se da un lato gli uomini del capitano Amadou Sanogo appaiono poco organizzati e per nulla con le idee chiare, dall'altro lato la situazione geopolitica che si è venuta a creare, a seguito della caduta di Gheddafi in Libia, lascia ampia spazi a qualsiasi soluzione sul terreno.
Ufficialmente i golpisti hanno dichiarato di essere insoddisfatti della politica del governo maliano nei confronti della rivolta dei Tuareg (che è in realtà una sempre maggiore richiesta di indipendenza) nel nord del Paese e che il loro obiettivo è stroncare le rivendicazioni berbere nel nord.
Tuareg in appoggio alle milizie di Gheddafi in Libia
Il Mali è un paese strategico in quanto cerniera tra il nord Africa (quella che impropriamente chiamiamo Africa araba) e l'Africa Nera. Un' area che negli ultimi decenni ha visto una forte presenza di un paese come la Libia, con il suo leader capace di dialogare con il mondo arabo (quello del golfo, naturalmente), di avere l'appoggio del blocco socialista, di addestrare gruppi politici e rivoltosi dell'intera Africa Nera, di avere contatti con i gruppi terroristici del mondo intero, di colloquiare ed essere protetto da molti paesi Europei, di intimorire militarmente i vicini e infine di "tener testa", propagandisticamente, agli Stati Uniti d'America. Un paese che di fatto non esiste più (oggi la Libia è ancora una paese di scontri, senza uno stato e senza interlocutori credibili) e che rischia di divenire la "Somalia del Mediterraneo".
In queste situazioni si muovono le nuove offensive dei Tuareg (fedeli a Gheddafi fino alla fine) che cercano di alzare la posta (stanno avanzando militarmente verso Timbuctu), di cercare nuove alleanze con l'Algeria, che a sua volta si candida ad essere, più per assenza di concorrenti credibili, il nuovo centro strategico dell'Africa del Nord.
Forse è all'interno di queste logiche che il golpe del Mali, che come dicevamo appare disorganizzato e forse perfino anacronistico, deve essere letto. E deve far riflettere ancora di più il futuro assetto di questa importante area del nostro pianeta che guarda con mutato interesse al Mediterraneo e all'Africa Nera. 

Quando iniziai a scrivere questo blog, raccontai in un post intitolato Il golpe delle noccioline sulla mia esperienza durante il golpe, incruento e tranquillo, in Gambia nel  1994.

venerdì 16 marzo 2012

Musica: Rokia Traorè, una nuova regina d'Africa

Rokia Traorè, cantante e chitarrista del Mali , è considerata unanimamente una delle nuove regine d'Africa. La sua voce elegante, una presenza scenica di grande impatto, una travolgente carica ritmica e vitale, assieme alla sua naturale bellezza, ne fanno uno dei nuovi e grandi talenti del continente africano. Oggi è una delle più ricercate artiste africane in Europa.
Figlia di un diplomatico maliano di etnia Bambara, nata nel 1974 a Kolokani, nella regione di Beledougou, sin da piccola è stata abituata a spostarsi da un posto all'altro seguendo il lavoro del padre, in Algeria, in Arabia Saudita, in Francia e in Belgio. E' stata, a partire dal 1997, quando già si esibiva da alcuni (la sua carriera inizia nel 1992 in un ruppo rap di Bamako) anni con alcune apparizioni anche nella TV maliana, l'allieva prediletta del grande Ali Farka Tourè, il re del blues africano, scomparso nel 2006. Il suo stile musicale risente di questa contaminazione: tradizione e modernità, generi e ritmi sono sapientamente mescolati a formare una sonorità unica e di grande impatto. Si è sempre avvalsa di musicisti provenienti dalla grande cultura degli strumenti musicali tradizionali africani, il balafon, lo ngoni, la kora, le percussioni e le voci corali in particolare che ha saputo coniugare con il blues, il jazz e la musica "occidentale". In una recente intervista Rokia ha confermato il suo grande amore per il jazz, ed in particolare per i Weather Report ed il suo leader Joe Zawinul, che lei ritiene essere un suo grande ispiratore. Certo, i puristi del jazz, avrebbero qualcosa da ridire.
Nel 1997 incide il suo primo disco, Mouneissa, mentre nel 2000 esce il suo secondo lavoro intitolato Wanita. Rokia canta in bambara, la lingua del suo popolo. I testi delle sue canzoni hanno avuto un forte impatto nel suo paese, perchè affrontano temi ancora considerati "difficili", come la condizione della donna.





Nel 2005 è stata consacrata tra i grandi della musica africana quando ha partecipato al grande concerto a Dakar (Africa Live) per sensibilizzare il mondo sui problemi del suo continente.
Le sue collaborazioni, iniziate nell'album Wanita, con Toumani Diabatè (altro grande musicista del Mali con cui Rokia ha condiviso i lavori presso il Centro Culturale di Bamako) rappresentano una vera e propria ricerca nell'ambito della musica della tradizione dei cantastorie dell'Africa Occidentale.
Dal 2006 Rokia inizia ad esplorare anche strade musicali diverse, a testimonianza della sua grande  sete di novità e si contimanazione della sua musica. Dedica un lavoro al 250° anniversario della nascita di Mozart e successivamente alla grande voce del jazz Billie Holiday.

Dopo che nel giro di pochi anni l'Africa ha perso due delle sue più straordinarie voci ed interpreti femminili, Miriam Makeba e Cesaria Evora, il continente è alla ricerca della sua nuova grande regina e Rokia Traorè è una delle più accreditate donne ad indossare questa corona.

Il 24 marzo prossimo Rokia Traorè sarà in concerto a Pordenone.

Ecco il sito ufficiale di Rokia Traorè


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lunedì 19 dicembre 2011

Land Grabbing ieri nella puntata di Report

Nella puntata di ieri sera di Report la giornalista Milena Gabanelli (assieme a Piero Riccardi) ha afforntato il tema della "corsa alle terre". Questo è il link dove poter rivedere la puntata di ieri, vale la pena. Come sempre Report affronta con grande professionalità e competenza un tema che rischia, di sfuggire dalle mani della comunità internazionale.
Si parla dell'accaparramento delle terre in Senegal e in Mali, ma come abbiamo visto più volte su Sancara, il problema oramai riguarda tutta l'Africa e non solo. Un problema che le multinazionali (sia quelle che produco biocarburanti, sia quelle che produconmo derrate alimentari per i paesi ricchi) controllano con grande attenzione riuscendo a bloccare fino ad oggi tutti i tentativi di bloccare e perfino di regolamentare un fenomeno molto pericoloso. Non ci stancheremo mai di dire che le terre non sono di nessuno (come spesso si vuol far credere) ma sono l'elemento di sussistenza di intere popolazioni locali. Si parla anche del coinvolgimento di ditte italiane. La teoria economica dell'AD della Nuove Iniziative Industriali (azienda lombarda nata nel 1999 e che è impegnata nei biocarburanti) è chiara da un punto di vista delle leggi del mercato, che come è noto ignorano qualsiasi ripercussione sulle povere popolazioni locali.

Ecco gli articoli di Sancara che hanno affrontato questo tema:
- Land Grabbing (recensione del libro inchiesta di Stefano Liberti)

Bisogna assolutamente continuare a parlare di Land Grabbing (e per questo la trasmissione di ieri, su un format di grande visibilità come è Report è un elemento di assoluto valore), dar voce alle associazioni dei coltivatori locali, alle popolazioni indigene perchè questo fenomeno, di grande pericolosità sociale, possa essere arrestato. La loro lotta, iniziata da anni, rischia di essere vana se non è supportata dalla diffusione delle loro idee e del loro sapere.

Ecco alcuni siti per approfondire:
- Dakar Appel (contro il land grabbing)
- Il CNOP