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mercoledì 28 settembre 2016

Criminali contro il Patrimonio

La notizia di questi giorni - della condanna a 8 anni di carcere per Ahmad Al Faqi Al Mahdi, estremista maliano che nel 2012 ordinò la distruzione di una parte importante del patrimonio archeologico di Timbuktu, la "città d'oro", oltre d essere una decisione di portata storica, pone un punto fermo nella storia del diritto e della giustizia in questi difficili tempi.
Al Mahdi, un tuareg oggi di 41 anni, ex direttore di una scuola, che è stato a capo delle brigate fondamentaliste che a partire dall'aprile 2012 (vedi post) hanno messo a fuoco e fiamme l'Azawad  (la regione desertica a nord del Mali), anche a grazie a pericolose alleanze con gli estremisti di matrice islamica, è stato condannato dalla Corte Internazionale dell'Aia "per crimini di guerra".
Certo le colpe di Al Mahdi sono anche peggiori (e per ora non indagate nei capi d'accusa del processo iniziato il 22 agosto e da poco concluso), infatti sono certe le sue azioni (e dei suoi uomini) per quanto attiene la sfera delle torture e degli stupri.
A partire dal 2012 (in particolare tra giugno e luglio) i suoi uomini presero d'assalto, con martelli e zappe, il cimitero di Djingareybar e la moschea di Sidi  Bahia di Timbuktu e diedero fuoco alla storica biblioteca cittadina e al centro di documentazione Ahmed Babà.
La condanna di Al Mahdi arrestato nell'agosto 2014 e che durante il processo si è dichiarato pentito delle sue azioni rappresenta una fatto di grande importanza. Per la prima volta la corte giudica qualcuno non per reati contro l'Uomo ma contro il Patrimonio dell'Uomo. Si afferma con forza il principio secondo il quale nessuno può permettersi di distruggere patrimoni architettonici dell'Umanità senza per questo pagare per le proprie azioni.

A partire dal 2015 e per tutto l'anno in corso il Patrimonio architettonico della città d'oro è stato restaurato grazie all'intervento dell'UNESCO che da subito ha dichiarato l'emergenza per il Patrimonio Storico di Timbuktu.
E' bene sottolineare che per ora i distruttori del Patrimonio artistico in Afghanistan, in Iraq o in Siria non sono stati ancora puniti per i loro crimini.
Certo resta l'amarezza di vedere Al Mahdi condannato per i crimini contro la storia e non per quelli (per ora) contro la vita.



venerdì 18 luglio 2014

Timbuctu

La città dell'odierno Mali, Timbuctù,  per secoli ha vissuto, per noi europei, tra mito e realtà. La "città d'oro" o "l'Eldorado africano" come era stata chiamata dai mercanti arabi o dagli esploratori europei, era stata ritenuta un'invenzione e, solo nel 1806, l'esploratore scozzese Mungo Park vi giunse, ma non ebbe modo di raccontarlo. A tornare da Timbuctu fu per primo, molti anni dopo, il francese Renè Cailliè nel 1828 che vi entrò travestito da mercante arabo.
La città, costruita in un terreno arido e sabbioso, poco distante dal fiume Niger, si trova di fatto nel deserto del Sahara, lontana da altri centri abitati, nella regione contesa dell'Azauad del Mali.  Fondata durante il V secolo, ma raggiunse il suo massimo splendore e prestigio tra il 1300 e il 1500 quando divenne il più importante centro culturale e commerciale (si faceva mercato di oro, sale e schiavi, le più importanti risorse dell'epoca) del Nord Africa. Durante quel periodo furono costruiti la gran parte degli edifici oggi conservati e raggiunse una popolazione vicina ai 100 mila abitanti. Inoltre, nacque in quell'epoca l'Univesità di Sankora, tra le prime Univeristà del mondo che arrivò ad avere, nel suo apogeo, anche 25 mila studenti. Il decadimento della città iniziò alla fine del XVIII secolo e quando fu conquistata dai francesi nel 1894 si presentava già come una città in rovina. Oggi la città conta poco più di 50 mila abitanti.
Nel 1988  il sito di Timbuctu è stato inscritto tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO. Le sue tre grandi moschee (Djingareyber, Sankore e Sidi Yahia), i 16 mausolei e molti edifici pubblici, costruiti in fango, rappresentano delle testimonianze uniche e molto belle, dell'architettura islamica di quel periodo. Inoltre, l'importanza come centro culturale e religioso islamico della città, ha permesso di custodire oltre 700 mila manoscritti arabi, che abbracciano tutto il sapere umano, i quali costituiscono un sicuro e importante patrimonio culturale mondiale.
La città di Timbuctu è stata purtroppo fortemente danneggiata dalla guerra scoppiata in Mali tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013 (sul tema, e sulla criminale distruzione del patrimonio storico-culturale vi rimando a questo post di Sancara).
La "città dei 333 santi" è stata saccheggiata e bruciata, da una follia criminale che non deve assolutamente essere confusa con superficiali valutazioni religiose. Nel 2012 l'UNESCO ha inserito il sito di Timbuctu tra i siti patrimonio dell'Umanità a rischio (assieme all'altro sito maliano, la tomba di Askia) e come tale è iniziata una tutela internazionale tesa a ricostruire, riparare e salvaguardare questo patrimonio di inestimabile valore. Recentemente l'UNESCO ha dichiarato che sono stati investiti già tre milioni di dollari (in un progetto avviato nel marzo 2013) e che altri otto sono necessari per "ripristinare" la situazione.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

mercoledì 30 gennaio 2013

Timbuctu: crimine, non religione

la grande moschea di Timbuctu, foto dalla rete
La guerra in Mali si combatte, sul serio. Sul serio significa che si spara, vi sono morti e feriti, distruzioni e terrore. In queste ore è la città di Timbuctu, nel nord del Mali (in realtà nel centro, perchè il vero nord è deserto), a far parlare di se. Non certamente per le sue opere architettoniche (riconosciute patrimonio dell'umanità dall'Unesco), nemmeno per quell'alone di mistero che per secoli ha accompagnato questa città che alcuni non ritenevano nemmeno esistere, bensì per la follia di un gruppo di estremisti che hanno pensato bene, prima di lasciare, sconfitti, la città di bruciare una biblioteca che conteneva antichi e preziosi manoscritti. 
Naturalmente la religione non c'entra nulla. Affermare che queste distruzioni derivano da chissà quali prececetti religiosi, equivale ad offendere non solo l'islam, ma perfino chi legge.
rogo al Centro Ahmed Baba, foto dalla rete
Tra le tante bellezze, nella città di Timbuctu, erano e sono ancora conservati manoscritti (non solo religiosi) risalenti perfino al XIII secolo. Molti dei manoscritti (si parla di oltre 700 mila pezzi) sono custoditi da famiglie facoltose che negli anni hanno conservato e tutelato questi patrimoni della cultura e della storia. Quelli bruciati nel Centro di Documentazione Ahmed Baba (nell'edificio inaugurato nel gennaio 2009) erano - paradossalemente - quelli donati alla collettività e resi consultabili anche grazie ad un grande progetto finanziato e messo in opera dal Sudafrica.  

La questione è complessa (vedi post). Sin dal giugno 2012, quando le milizie "islamiche" avevano occupato Timbuctu, si erano contraddistinte per l'assurda follia di distruggere tombe e moschee, ritenuti Patrimonio dell'Umanità. Le organizzazioni internazionali erano intervenute minacciando ritorsioni e interventi armati. Sono passati oltre 6 mesi, e l'intervento armato - francese - vi è stato. In questo tempo, le organizzazioni dei tuareg, che da decenni lottano per l'autonomia dell'Azawad avevano stretto malsane alleanze con le milizie estremiste (molte giunte dalla Libia assieme alle armi), armate e determinate.
Dopo gli incendi, oggi si assiste ai saccheggi contro i commercianti arabi colpevoli di aver collaborato con gli estremisti. Il rischio di aver innescato nuove tensioni e conflitti, è alto.

Quello che avviene in Mali, da qualsiasi angolo si guarda è l'ennesima conferma del fallimento delle politiche internazionali (nel Mali soprattutto quelle francesi) che hanno consegnato nelle mani degli estremisti le ale più moderate e laiche dei movimenti autonomisti e indipendentisti. I tuareg del nord, nel Mali come altrove, sono stati per decenni emarginati e repressi. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti.

Resta il fatto, che deve essere sancito senza incertezze e timori, che i criminali culturali vanno isolati e perseguiti senza indugi dalla Corte Internazionale di Giustizia, smontandone qualsivoglia giustificazione di tipo politico e religioso. Chi distrugge il patrimonio artistico, religioso e culturale non può che essere catalogato tra coloro i quali compiono crimini contro l'umanità e per tali ragioni debbono essere giudicati.

Aggiornamento  31.1.2013: dopo aver scritto questo post, le agenzie di stampa hanno battutto la notizia che "solo" il 5% dei manoscritti del Centro Ahmed Baba erano stati danneggiati, perchè preventivamente portati altrove. Tiriamo un sospiro di sollievo, sebbene l'analisi e le riflessioni non si spostano di una virgola.