mercoledì 26 agosto 2020

Addio alla poliomielite (quasi)

In un momento storico in cui il mondo intero affronta forse la più grave crisi sanitaria della sua esistenza, suscita interesse e speranza l'annuncio dato in questi giorni dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il continente africano dopo decenni di lotte ha eradicato (si è liberato, in altri termini) della poliomielite che ha creato decine di migliaia di paralisi e deformazioni in giovanissimi. Ma andiamo con ordine.


La poliomielite (chiamata anche paralisi infantile) è una malattia virale molto contagiosa (trasmissione via oro-fecale) provocata dal poliovirus (di cui si conoscono tre ceppi, WPV1, 2 e 3, sebbene assolutamente sovrapponibili dal punto di vista clinico)  che fu isolato per la prima volta nel 1909 dal biologo austriaco Karl Landsteiner (più noto per aver identificato nel 1900 i gruppi sanguigni, per cui fu anche vincitore del Premio Nobel nel 1930). In realtà la malattia (riconosciuta come tale nel 1840) ha una storia lunga evidenziata anche da dipinti e sculture egizie.

La malattia che per 9 casi su 10 è asintomatica può essere molto pericolosa quando il virus penetra attraverso il sistema circolatorio nel sistema nervoso centrale causando paralisi flaccida acuta (0,5% dei casi di cui circa il 10-15% muore). Ma, la cosa molto attuale (ora che il mondo intero è popolato da virologi improvvisati), è che la polio ha/aveva la caratteristica che per ogni caso accertato vi erano circa 3000 casi asintomatici che potevano diffondere la malattia. I segni della malattia sono visibili in ogni parte del mondo e chi non è più giovane (come chi scrive) ha ricordi molto nitidi di conoscenti e amici interessati, purtroppo, da questa patologia.

La lotta alla malattia è stata possibile grazie alla scoperta di un vaccino. Il primo, chiamato Koprowski (dal nome del virologo Koprowski), fu somministrato la prima volta nel febbraio 1950. Nel 1952 è stato sviluppato (e usato dal 1955) un secondo vaccino (sviluppato da Jonas Salk) ma, la svolta che ha permesso di aggredire meglio la malattia è stata nel 1962 quando è stato autorizzato il vaccino Sabin (Albert Sabin) che ha avuto anche il vantaggio di essere orale e quindi facilmente utilizzabile e soprattutto poco costoso! In Italia infatti è stato reso obbligato nel 1966 e l'ultimo caso endemico di poliomielite risale al 1982.

In Africa (ma più in generale nel sud del mondo) la massiccia campagna di vaccinazione fu lanciata nel 1988, quando si registravano circa 350 mila casi all'anno. Oggi solo due paesi, l'Afghanistan e il Pakistan hanno ancora forme endemiche di malattia (nel 2020 complessivamente una novantina di casi). Sono il Tipo 2 (eradicato nel 2015) e il Tipo 3 (il cui ultimo caso risale al 2012) ad essere invece stati eradicati dall'Africa (gli ultimi due Paesi dichiarati polio free sono stati la Nigeria e il Camerun). Questo significa che potranno ancora esserci casi - derivati dal vaccino - del Tipo 1 in Africa.

La notizia è particolarmente "buona" perchè si tratta della seconda volta nella storia  africana, dopo che 40 anni fa era stato eradicato il vaiolo (1978), che si riesce al eliminare un patogeno pericoloso. Del resto l'obiettivo di eradicare la polio dal mondo potrebbe essere il terzo della storia dopo appunto il vaiolo e la peste bovina (2011). 

La questione dell'eradicazione delle malattie richiama però l'attenzione su una questione che ci riguarda molto da vicino. Eliminare dal pianeta virus capaci di offendere gravemente l'uomo è molto, molto difficile e particolarmente lungo. Per ora l'unica strategia conosciuta è quella del vaccino che come abbiamo visto necessita di tempi molto lunghi affinché l'intera popolazione mondiale possa essere messa al sicuro. Inutile ricordare che come è avvenuto per la polio i tempi sono differenti a secondo della ricchezza delle aree del Pianeta (insomma, siamo onesti, quando il mondo ricco ha eradicato la polio dalla sua terra, si è posto il tema di farlo anche altrove!).

Per la polio come per altre malattie, la strada è comunque sempre lunga!



martedì 14 luglio 2020

10 anni di Sancara dedicati a Silvestro

Era il 14 luglio 2010, quando feci nascere questo piccolo blog dedicato, con grande umiltà, ma con altrettanta fermezza  alla figura di Thomas Sankara. Un leader come pochi in Africa la cui breve vita è stata prima di tutto un esempio e la cui prematura morte è ancora avvolta in un mistero. Il blog nasceva con questo post che raccontava l'origine del nome e delle mie intenzioni.
Sono passati 10 anni, certo i primi fatti con grande enfasi e con ore passate a studiare e documentarmi gli altri più lentamente. E' forse perfino scorretto chiamarlo blog, perchè questo sito conserva pagine che ancora oggi in molti consultano. Si è trasformato nel tempo in una raccolta di materiali sull'Africa, di pensieri e di approfondimenti. Molti dei quali ancora attuali.
Un'esperienza che mi ha consentito di entrare in contatto con molte persone, alcuni diventati amici: nativi, abitanti, amanti, frequentatori e studiosi del continente. 
A dieci anni di distanza, la mia passione per l'Africa è rimasta immutata (del resto mi appassiona fin dalla tenera infanzia), purtroppo però la vita non mi ha permesso di tornare tra la terra rossa. Forse un giorno, forse.

Avevo tante idee per festeggiare i dieci anni di Sancara, ma stamane una delle prime notizie che ho letto, purtroppo apparsa non sulle prime pagine, è stata quella della morte di Silvestro Montanaro. Silvestro era un grande giornalista, con cui molte volte ho scambiato, rigidamente via mail o social, alcuni commenti ai fatti africani e non solo.
Silvestro ci ha lasciato una delle inchieste più serie e complete proprio su Thomas Sankarà. Il suo documentario prodotto da Rai 3 intitolato "quel giorno che uccisero la libertà" è un piccolo capolavoro del giornalismo. Lo linko di seguito (oppure potete trovarlo sul post di Sancara) in occasione dei dieci anni di Sancara e soprattutto in omaggio di Silvestro, il cui contributo e il cui impegno mancherà a tutti noi! 
Ciao Silvestro !



mercoledì 15 aprile 2020

Coronavirus e Africa, qualche pensiero

La pandemia dovuta al nuovo coronavirus ha oramai colpito l'intero pianeta. Seppur con grandi differenze solo alcuni piccoli Paesi sono, ad oggi, esenti da contagi. Inoltre se alcuni Paesi come gli Stati Uniti, gran parte dell'Europa (Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito in testa) e dell'Asia (Cina, India, Corea e Giappone in particolare) stanno facendo i conti con una vera e propria tragedia, non solo in termini di morti bensì di tenuta del sistema sanitario e, in prospettiva, di quello economico, vi sono altri luoghi del pianeta, come l'Africa, ove il virus "sembrerebbe" colpire meno. Il condizionale è d'obbligo, ma il continente africano con 15879 casi confermati e con 834 morti, si connota come l'area geografica del pianeta meno colpita dal virus.

Inoltre se si osservano nel dettaglio la distribuzione dei casi (ad oggi solo due paesi, il Lesotho e le Comore, sono immuni al virus) essi si concentrano nell'Africa Mediterranea (Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia) e in Sudafrica (primo Paese africano, con 2272 per numero di casi). mentre è l'Algeria con 313 morti ad essere responsabile di oltre il 62% delle morti da coronavirus nel continente).

Certo la prima cosa che viene in mente è se i dati forniti dai paesi africani all'Organizzazione Mondiale della Sanità siano veritieri e attendibili e se l'esiguità dei tamponi effettuati si alla base di questa apparente difficoltà del virus a entrare nell'Africa nera.

Allora, facciamo un passo indietro. Sin dall'origine della pandemia la comunità internazionale è sempre stata molto preoccupata da un eventuale diffondersi dell'epidemia in Africa. Quando il 14 febbraio 2020 si registrò il primo caso nel continente e precisamente in Egitto (il primo caso in Africa sud-Sahariana si ebbe il 28 febbraio in Nigeria) l'opinione diffusa era di un'imminente catastrofe (l'ennesima) in Africa.

Che il sistema sanitario africano sia tecnologicamente e numericamente arretrato non è una novità (qualche riflessione meriterebbe la questione degli aiuti allo sviluppo, soprattutto alla sanità, degli ultimi 60 anni....). Prendendo in considerazione solo il dato dei posti di terapia intensiva (parametro che tutti hanno imparato a conoscere negli ultimi mesi), in tutto il continente (54 stati) vi erano circa 5000 posti per oltre 1,3 miliardi di persone (gli stessi della sola Italia, 5200, per circa 60 milioni di abitanti e quasi un sesto della Germania, che ne ha 28 mila), con grandi differenze nei 43 Paesi che dispongono di tali presidi (ad esempio circa 1000 in Sudafrica, 500 in Tunisia, 400 in Algeria, 150 in Kenya, 50 in Senegal).

Accanto a questo dato "grezzo", vanno considerati altri fattori determinanti. In alcuni paesi africani l'età media è sotto i 20 anni (il 70% della popolazione è sotto i 30 anni) e l'aspettativa di vita non supera i 64 anni. Il tasso di urbanizzazione (percentuale di persone che vivono nelle città) è del 43% (in Cina è ben oltre il 60% e l'Europa è mediamente oltre il 75%). Sono tre le città africane che superano i 10 milioni di abitanti (Lagos, Kinshasa e il Cairo).

In Africa vi sono 60 milioni di bambini che soffrono di malnutrizione (così come quasi 700 milioni milioni di individui che non hanno di che mangiare), malattie di ogni genere (dal morbillo alla malaria, dall'aids alla tubercolosi), circa il 40% della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e manca di servizi sanitari. Proprio nei giorni in cui il mondo affrontava l'insorgere della nuova epidemia di Coronavirus nella Repubblica Democratica del Congo si cercava di spegnere l'ennesimo focolaio di Ebola (oltre 4000 morti).
Senza contare guerre, estremismi, rivalità religiose e politiche, le locuste e la siccità.

E' chiaro che i fattori che fanno pensare che l'arrivo del Corona virus in Africa sarà un'ecatombe vi sono tutti. A metà febbraio solo due laboratori medici (uno in Senegal e uno in Sudafrica) erano in grado di processare i tamponi e fornire una risposta sulla positività al coronavirus.

Allora qualcosa - fino ad ora - ha impedito una diffusione di massa e una strage nel continente. La giovane età degli africani, le abitudini di vita all'aperto e una temperatura più alta (la questione se il corona virus, contrariamente ai suoi simili, sia sensibile alle temperature è ancora oggetto di discussione nella comunità scientifica). Questi fattori finora stanno facendo la differenza. 
In tutta l'Africa (con variazione tra Paese e Paese e all'interno dei singoli Paesi) sono state introdotti elementi di prevenzione. Chiusura delle scuole, distanziamento sociale, chiusura di attività produttive, allestiti rifugi per i senza tetto, coprifuoco e rinviato elezioni e feste religiose. 

E' sicuramente presto per fare previsioni (del resto questo virus ha insegnato che chiunque si sia sbilanciato in previsioni o minimizzazioni è drammaticamente stato smentito dai fatti). Certo l'Africa a suo vantaggio ha una naturale resistenza "alla vita" (e alla sue condizioni più estreme), una "familiarità" con la morte (altro tema che dalle nostre parti, giunti oramai a oltre 85 anni di aspettativa media di vita, eravamo convinti di aver "sconfitto"), un sistema giovane e dinamico capace di trovare soluzioni razionali e creative.

E se il continente fosse meno toccato dal virus? e se la sua fragile economia sapesse trarre profitto dal rallentamento su scala mondiale per chiudere un pò la forbice delle differenze? e se proprio dai laboratori africani (da anni in prima linea su molte patologie) arrivasse una soluzione per l'Umanità?

A presto

PS- tutte le foto sono tratte dalla rete



lunedì 30 marzo 2020

Ciao Raffaele!

Non avrei mai pensato di salutare Raffaele Masto da questo blog. I dieci anni che ci separavano mi facevano sperare che avremmo smesso di scrivere, entrambi, prima di salutare questo mondo. Ancora più triste è farlo in questo modo. Perché Raffaele non è morto in una delle sue scorribande africane (in luoghi e tempi non sempre facili) ma nella sua Bergamo a causa di questo virus che ha messo in ginocchio il mondo. Ironia della sorte per un uomo che ha fatto della conoscenza diretta il suo mantra, del viaggio l'inchiesta e del girovagare la sua "fortuna" morire mentre si è chiusi in casa.



Raffaele è stato un testimone privilegiato e un critico appassionato dei fatti africani (e non solo, ma per l'Africa aveva una passione fuori dal comune). Lo ha fatto molto prima che le notizie si diffondessero così velocemente nella rete, quando per appurare i fatti, la verità e i risvolti meno conosciuti, bisognava andare sul posto, bisognava sporcarsi le mani e spesso rischiare la vita. Lo ha fatto con grande intelligenza, denunciando le ingiustizie e i sistemi di poteri che hanno massacrato l'Africa in quei anni e che hanno prodotto molte delle storture e dei drammi che ancora oggi osserviamo impotenti.

In uno dei suoi resoconti più intensi (L'Africa del tesoro, pubblicato nel 2006) Raffaele ci guida in un percorso tra enormi ricchezze e drammatiche povertà, tra saccheggi e ingiustizie, tra guerre e splendori di un continente che ha sempre fatto irritare chi lo ha frequentato e studiato.
Come scriveva appunto Raffaele "c'è qualcosa che non va nel nostro mondo , se la popolazione di una nazione microscopica come il Belgio, che non ha risorse naturali, è tra le più appagate del mondo, mentre quella del Congo (Repubblica Democratica del Congo ndr), che è definito uno "scandalo geologico" tanto è ricco di oro, diamanti, petrolio, rame, cobalto, uranio e legname pregiato, è invece tra le più povere"
Quella irritazione e quella rabbia che ha spinto sempre Raffaele a raccontare, a denunciare e rompere il silenzio dei grandi mezzi di comunicazione. Lo ha fatto con i suoi libri, con la "sua radio" (Radio popolare), con la "sua" rivista (Africa Rivista) e con il suo blog (Buongiorno Africa). 

Ciao Raffaele, è una tristezza infinita scrivere del tuo ultimo viaggio e salutarti. Sapere di non poter più contare sulle tue idee, sulla tua saggezza e sulla tua passione, elementi che a me hanno sempre permesso di osservare le cose con occhi diversi, lucidi e critici, ma sempre umani e ricchi di emozioni, mi riempie di malinconia. 
Continuerò a scrivere di Africa, come tu mi ha sempre incitato, lo farò ogni volta con un pensiero per te. 


PS - Non ho mai conosciuto personalmente Raffaele. Ci siamo a lungo scritti perché poco dopo la nascita di Sancara mi giunse un suo messaggio (*) a commento di un mio articolo. Per me era un grande onore. Avevo letto tutti i suoi libri, avevo seguito (con una sana invidia e un pò di nostalgia) il suo pellegrinare nel continente nero alla ricerca di risposte alle tante domande che, chi ama l'Africa, si è spesso posto senza trovare facili risposte.  Dialogare con Raffaele era un privilegio. Così condividemmo alcuni pensieri e di tanto in tanto commentavamo reciprocamente i nostri scritti. Ci fissammo anche un appuntamento, nel 2015, quando Raffaele era a Mestre e precisamente a Forte Marghera per un incontro e ironia della sorte non riuscii ad arrivare.

(*)Trovo molto lucida questa analisi. In Sudafrica si scontrano le logiche che ormai in tutto il mondo sono contrapposte. Entrambe rientrano in una logica economica che non può che stritolare chi possiede meno potere. Ma ci sarà qualcuno, in questo pantheon di economisti infallibili che tutti i giorni ci ammaestrano sul fatto che non ci sono risorse, che abbia una visione diversa? Per esempio qualcuno che riesca a dire che il welfare non è necessariamente un costo, ma un investimento. E che in Sudafrica (ma in tutto il mondo) se qualche politico decidesse di dare a quei minatori un vero potere d'acquisto (direttamente in salario o, appunto, in Welfare) avvenimenti come quello di Marikana probabilmente non si verificheranno più.
Cmq grazie per le tue analisi. Per me sono sempre fonte di riflessione. Raffaele Masto.