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sabato 16 aprile 2016

Il poema epico T'heydinn

Tra le tradizioni della Mauritania quella dei poemi epici T'heydinn che raccontano le gesta degli emiri e dei sultani Mori rischiava di essere perduta per sempre senza un intervento importante della comunità internazionale. Nel 2011 infatti, l'UNESCO, pose i poemi nella lista dei Patrimoni immateriali dell'umanità che necessitano di cure e salvaguardia. Una sorta di tutela di una manifestazione culturale e artistica, in lingua Hassaniya, che da secoli si tramanda attraverso i cantastorie griots (o iggawen) che sono accompagnati dalla musica degli strumenti della tradizione (il tidnit, uno strumento a 6 corde simile ad un liuto, l'ardin, una simil-arpa a 13 corde, oltre alle immancabili percussioni come il tbal). Oggi i cantori sono sempre meno e sempre più anziani.

Il loro compito è stato quello, oltre che salvaguardare la memoria collettiva, di tenere vivo quel legame tra la comunità e la loro storia.
I poemi, alcune dozzine, risalenti XVII secolo, raccontano infatti la nascita e l'evoluzione della cultura e dell'arte dei Mori, delineandone i passaggi fondamentali e le tappe più significative.
Essi sono cantati e suonati durante le maggiori cerimonie della comunità, dai matrimoni alle feste di riconciliazione. 
Tra gli interventi a sostegno della salvaguardia vi è quello della trascrizione dei poemi e della formazione dei giovani griots (che storicamente erano sostenuti, per la loro sopravvivenza, dalla comunità). 

Ecco il link al video promosso dall'UNESCO sui poemi
 
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lunedì 29 dicembre 2014

La falconeria

Per un appassionato di birdwatching (ovvero l'atto di osservare gli uccelli nel loro habitat) il volo e la cattura di una preda da parte di un rapace rappresenta uno spettacolo unico, quasi commovente. Il volo di perlustrazione di un rapace, che con la sua vista acuta osserva dall'alto le possibili prede, è una immagine che difficilmente si dimentica una volta osservata. Così come la potenza e la velocità con cui il rapace si fionda sulla preda, senza lasciarle scampo. Sono l'espressione di una natura che non ha lasciato nulla al caso.



Di questo l'uomo ne è stato sempre consapevole.

L'arte di utilizzare i rapaci (ed in particolare i falchi) per la caccia di altri uccelli (o di piccoli mammiferi), è infatti conosciuta fin dai tempi antichissimi. Tracce di tale pratica si trovano già tra i Sumeri e gli Assiri. Si colloca quindi in area medio-orientale l'origine della Falconeria, che solo a partire dal VII secolo a.c. fu diffusa in estremo Oriente. Attraverso i Barbari, infine, giunse, nel Medioevo, in Europa.

Oggi nei luoghi in cui i rapaci non vengono più utilizzati per la caccia, la falconeria ha trovato nuovi e importanti utilizzi. In primo luogo quello negli aeroporti, dove il volo guidato dei rapaci impedisce il formarsi di stormi di uccelli  al fine di evitare quel pericoloso fenomeno del bird strike (ovvero l'aspirazione di numerosi volatili da parte dei motori con grande pericolo per il volo). Da oltre 15 anni un grande aeroporto come è quello di Venezia utilizza i falchi per allontanare gli uccelli (soprattutto gabbiani e piccioni).
Inoltre sono frequenti gli usi amatoriali (caccia) e ricreativi della falconeria.
Oltre naturalmente ai falchi, vengono utilizzate anche altri rapaci quali poiane, aquile, gheppi, gufi e qualche non rapace come il corvo.

Infatti la falconeria non è il semplice addestramento di un rapace, bensì un intenso e intimo rapporto con l'animale, il quale deve, da un lato rispondere a dei "comandi" e dall'altro rimanere libero e "aggressivo" come in natura.
Non a caso nelle culture più rurali la falconeria è un'antica tradizione, tramandata da padre in figlio, fatta di conoscenze e di riti, che appartengono all'intera sfera sociale del vivere. Nulla è lasciato al caso, dall'addestramento  alla preparazione dell'addestratore e fino alle bardature dell'animale. E' un insieme di conoscenze che nel passato ha spaziato anche nel campo della spiritualità e dell'ascetismo.

Nel 2012, infatti, la Falconeria è stata inserita all'interno della lista dei Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, come bene culturale da salvaguardare. Tra i 13 paesi in cui questa tradizione è tutelata vi è anche il Marocco. Gli altri sono: Emirati Arabi Uniti, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria Corea del Sud, Mongolia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna e Siria. Come si vede un'area che dall'estremo oriente giunge fino all'Oceano Atlantico.

Ecco un possibile approfondimento sul portale italiano della falconeria

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mercoledì 17 settembre 2014

La dieta mediterranea, Patrimonio Immateriale dell'Umanità


Quando si parla di dieta mediterranea si pensa a quel regime nutrizionale, di cui le nostre nonne erano maestre indiscusse, che caratterizza i popoli della sponda nord del Mar Mediterraneo (Italia, Spagna e Grecia). Un regime che, seppur sempre meno familiare, è stato dimostrato essere il miglior modo per prevenire le malattie metaboliche e cardio-vascolari del nostro tempo. Un vero antidoto contro la morte anticipata.
In realtà la dieta mediterranea è qualcosa di molto più complesso, che attinge dalla tradizione, dai riti e dai simboli molto del suo essere, divenendo di fatto uno spazio culturale unico e prezioso. E' uno stile di vita e allo stesso tempo e' un insieme di sapere e di conoscenze che spaziano dai metodi di coltivazione alla tecnologia della pesca, dalla lavorazione degli alimenti alla sua preparazione.  Inoltre, coinvolge anche altri paesi del nord  Mediterraneo (Portogallo e Croazia), del centro (Cipro) e della costa sud come il Marocco.
Proprio questi paesi sono stati coinvolti nell'inserimento della Dieta Mediterranea tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità, avventua nel 2013 (su una proposta del 2010).

E' da sottolineare come altre aree costiere di altri Paesi (ad esempio Francia, Tunisia, Albania e Turchia) hanno regimi alimentari assimilabili sotto molti versi alla Dieta Mediterranea.

Per le questioni generali sulla dieta mediterranea (il cui termine fu coniato nel dopoguerra dal un fisiologo americano, sebbene le origini sono da ricercarsi in epoca greca e romanica) vi rimando alle innumerevoli trattazioni che si possono trovare anche in rete. Alcune caratteristiche generali le sottolineo come elementi specifici della dieta mediterranea:

- uso dell'olio d'oliva (il cui frutto è tipico del Mediterraneo) i cui grassi insaturi sono enormemente preziosi;
- uso di legumi (piselli, fagioli, ceci, lenticchie) spesso combinati con cereali (riso, grano, mais, orzo, farro) e le sue lavorazioni (pasta, pane e couscous);
- abbondanza di frutta fresca e di verdure;
- preferenza al pesce rispetto alla carne (il pesce azzurro, in particolare, sardine, alici, sgombri, la carne in preferenza bianca);
- uso uova e latticini;
- vino e moderazione nei dolci.

Per quanto riguarda il Marocco, unico dei paesi africani nella lista, la dieta mediterranea è combinata con la tradizione culinaria della cultura araba, rendendola unica e ancora più varia.
E' naturalmente il couscous il piatto che in assoluto mette insieme la caratteristiche maggiori della dieta mediterranea, un piatto che attinge appunto dagli antichi saperi delle combinazioni alimentari e degli equilibri nutrizionali.
Ma, come detto più in generale, la questione della Dieta Mediterranea non si esaurisce con gli aspetti della cucina, ma investe modalità di produzione agricola e metodologie di pesca.


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mercoledì 23 luglio 2014

La cerimonia della casa sacra di Kangaba

Ogni sette anni, nel villaggio di Kangaba, nel sud-ovest del Mali, si svolge la cerimonia di rifacimento del tetto della casa Kamablon (letteralmente "casa dei discorsi"). La casa (una tipica capanna con il tetto in paglia) fu costruita nel 1653, dal diametro di 4 metri e alta 5 metri, rappresenta ancora oggi un simbolo dell'antico Impero del Mali e della dinastia reale dei Keita. Da secoli ogni sette anni la capanna viene restaurata ed in particolare viene sostituito il suo tetto. Ad organizzare la cerimonia sono i membri del clan Keita, discendenti del fondatore dell'Impero del Mali Sundiata Keita e i griots, conservatori e testimoni delle tradizioni orali dell'Africa Occidentale. La carimonia rappresenta il momento in cui, oltre a rievocare e far rivivere le antiche tradizioni, si cercano di risolvere conflitti sociali e dispute in corso e allo stesso tempo di predirre (e sotto certi versi indirizzare) gli eventi del prossimo ciclo di 7 anni.
La cerimonia, che dura 5 giorni, rappresenta anche un passaggio di testimone, in cui giovani ventenni eseguono i lavori di rifacimento del tetto, sotto l'attenta e vigile supervisione degli anziani, che approfittano dell'occasione per impartire conoscenze e valori simbolici di ogni azione.

Nel 2009 la cerimonia è stata inserita all'interno della Lista dei Patrimoni Immateriali dell'UNESCO con il fine di conservare un rituale secolare, che senza un sostegno forte della comunità internazionale, rischiava di perdersi per sempre.

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mercoledì 2 aprile 2014

La Manden Charter, una delle prime Costituzioni al mondo

Secondo alcuni storici si tratta della più antica Costituzione al mondo. La Manden Charter, emanata a Karukun Fuga (o Kourdukan Fouga) a seguito della battaglia di Krina (1235), rappresenta una testimonianza della cultura mende (mandinga) che, attraverso l'Impero del Mali (o Impero del Manden) governò un'ampia area dell'Africa Occidentale fino al 1645.

l'Impero del Mali (mappa dalla rete)
La Costituzione fu emanata dall'assemblea dei nobili e divenne parte del patrimonio orale della tradizione (di essa si parla nel poema epico di Sundiata). Dal 1890 iniziò una vera e propria raccolta delle tradizioni orali e risale solo al 1967 la prima trascrizione completa della Costituzione.

Essa è composta da 44 editti, divisi per argomento: organizzazione sociale (1-30), proprietà (31-36), ambiente (37-39) e questioni generali (40-44). 
Nel 2009 l'UNESCO ha inserito la Manden Charter tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità da salvaguardare e preservare per le future generazioni.

Scorrendo il testo, si possono scorgere alcune "norme", che sono il segno di una civiltà evoluta (ovviamente per il 1200), capace di imporre regole non solo essenziali per la convivenza pacifica, ma in grado di prospettare un futuro diverso per tutti e di prendersi in carico anche dell'ambiente circostante.

La "carta" dopo aver diviso la società mende in 16 clans e in gruppi di età ed affidato ad ognuno il proprio compito, entra nel merito delle relazioni tra gli individui. Tra le cose di rilievo è bene sottolineare come l'educazione dei bambini, posta come priorità, diviene compito dell'intera società oppure come gli stranieri e gli ambasciatori non possono essere maltrattati nell'Impero.

Vi sono in questa prima parte alcune massime che ben esprimono il pensiero mende. la prima "un bugia che vive 40 anni deve essere considerata una verità" oppure " la vanità è segno di pochezza, mentre l'umiltà è segno di grandezza".

Nella parte dedicata alla proprietà gli estensori sottolinearono come "solo cinque modi permettono di acquisire la proprietà ovvero, l'acquisto, la donazione, lo scambio, il lavoro e l'eredità tutto il resto, senza una convincente testimonianza, pone dei dubbi".

Così come sono da sottolineare gli "articoli" relativi alla salvaguardia dell'ambiente (in particolare dei frutti e dei fiori della natura così come di quelli coltivati) e quelle relative al rispetto.

L'editto 41 pone l'accento  su di un concetto quanto mai attuale soprattutto se concepito come una metafora, ovvero "si può uccidere il nemico (sconfiggere), ma mai umiliarlo". Pensate se questo nobile, e alto, concetto fosse veramente entrato nell'animo umano, quante sofferenze avrebbe evitato in Africa, come nel mondo.

Ecco il testo completo della Manden Charter

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venerdì 11 ottobre 2013

Tradizioni e riti della foresta sacra Kaya dei Mijikenda

foto dalla rete
I Mijikenda sono 9 gruppi etnici bantù (il nome significa nove tribù), che vivono nei pressi della foresta sacra di Kaya (divenuta Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO nel 2008) sulla costa del Kenya.
I riti e le pratiche relative alla foresta, ritenuta sacra, sono stati inseriti tra i Patrimoni Immateriali dell'UNESCO nel 2009, in quanto bisognosi di urgente salvaguardia. Si tratta di uno dei rari esempi in cui l'UNESCO oltre a salvaguardare il luogo fisico (la foresta) ha impegnato anche i governi alla tutela di un patrimonio di conoscenze, tramandate da generazione in generazione, che rischiava di essere perduto per sempre.
L'insieme delle pratiche rituali, che comprendono cerimonie di vario genere, ma anche un'intima conoscenza della foresta, come ad esempio il compendio delle erbe medicinali, sono state sviluppate a partire dal XVI secolo, quando i Mijikenda migrarono dall'odierna Somalia,  in villaggi fortificati chiamati Kayas, 11 complessivamente, in un'area di 200 chilometri. Questi villaggi, di cui oggi rimangono i resti (furono abbandonati negli anni '40), sono oggi preservati da un consiglio di anziani, denominato Kambi.

foto dalla rete
La foresta è un ecosistema molto ben mantenuto a causa della sua sacralità. Le popolazioni locali ritengono che all'interno della foresta vi abitino gli spiriti degli antenati, il cui legame e la cui protezione influisce sulla vita di ogni giorno. All'interno della foresta, tra i suoi sentieri si tengono cerimonie quali le sepolture, i matrimoni, i riti di passaggio e il consiglio degli anziani.

Gia' dal 1992 il Kenya aveva decretato che le foreste fossero Monumento Nazionale, inserendo così le foreste tra le area di conservazione, di studio e di tutela.

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martedì 11 giugno 2013

Sankè mon, il rito della pesca collettiva

dal sito dell'UNESCO
Il rito della pesca collettiva (Sankè Mon o a volte scritto Sankemon) si svolge nella città di  San, nella regione del Segou in Mali, ogni secondo giovedì del settimo mese lunare. Il suo scopo è celebrare la nascita della città.
Il rito della pesca (si tiene nella laguna prodotta dal fiume Bani, tributario del Niger), dura per oltre 15 ore ed è svolto con migliaia di reti a maglia sottile: E' preceduto dal sacrificio, agli spiriti della pesca, di animali (pecore e galli) che vengono poi mangiati durante i festeggiamenti successivi. Danze mascherate nella piazza cittadina chiudono poi le cerimonie.  Il rito si svolge senza soluzioni di continuità dal XV secolo e rischiava di scomparire. Nel 2009 l'UNESCO l'ha inscritto tra i Patrimoni Intangibili dell'Umanità allo scopo di tutelare un bene, culturale e spirituale, che appartiene alla storia e all'identità del Mali. Nel 2010 fu anche lanciato un appello internazionale per salvare questo rito.
foto dal sito dell'UNESCO
Tra le azioni intraprese dall'UNESCO oltre a quella della documentazione e della trasmissione delle conoscenze orali che si tramandano da generazioni e generazioni, vi è quello di coinvolgere le giovani generazioni affinchè tali pratiche siano custodite e trasmesse al futuro.

Quello delle pesca collettiva è un rito, che con caratteristiche diverse, si celebra anche tra  altre etnie del Mali, come i Dogan e i Bambara.

Ecco il link di un video sul Sankè Mon, dal sito dell'UNESCO

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giovedì 4 aprile 2013

La lavorazione del legno degli Zafimaniry

Il popolo dei Zafimaniry (circa 30 mila persone distribuite in un centinaio di villaggi), occupa le foreste montagnose degli altipiani sud-est del Madagascar. Per questo sono chiamati "il popolo della foresta" Sono conosciuti nel mondo per la loro arte, raffinata e precisa, di lavorare il legno. Infatti queste loro conoscenze di sublimi artigiani sono diventate, a partire dal 2003, Patrimonio Immateriale dell'Umanità UNESCO.

Gli storici sono divisi sulle motivazioni per cui questo popolo si è isolato in un luogo di foreste. Secondo alcuni sfuggivano dalle repressioni dei Merina (popolo che regnò sul Madagascar fino all'arrivo dei coloni francesi), per altri si rifugiarono nella foresta per impedirne la deforestazione. 

Questo popolo, che aveva un rapporto simbiotico con la foresta, nel suo isolamento imparò a lavorare il legno in ogni sua forma, rendendo il legno di palissandro (uno dei principali alberi di quella foresta, assieme ad altri legni pregiati) la materia prima di ogni cosa. Dalle abitazioni agli arredi, dagli strumenti musicali all'arte.  

Naturalmente con il passare del tempo, in cui le produzioni dei Zafimaniry, vendute ai vicini prima, al mercato del turismo poi, hanno garantito loro la vita, oggi si assiste al pericolo che le foreste siano completamente distrutte. Un paradosso per un popolo, che secondo una tradizione, si era isolato nella foresta per proteggerla, e che oggi si vede imputato della distruzione della stessa foresta. Su questo vi segnalo questo resoconto di viaggio nella loro terra, frammenti di un rapporto complesso con la natura.



In realtà, a incidere sulla deforestazione è anche il commercio illegale del legname (vedi questo post di Sancara), di cui certo i Zafimaniry non sono solo semplici osservatori. E' altrettanto vero che molti artigiani si sono impegnati (è in questo vi sono anche i progetti dell'UNESCO per la conservazione della loro arte) ad usare altre tipologie di legno, meno preziosi, e che ricrescono con maggior velocità.

Vi invito a vedere, dal suo sito, le stupende foto del fotografo francese, di origini ucraine, Youry Bilak. Il suo è un magnifico viaggio tra questo popolo e al tempo stesso una straordinaria panoramica sull'arte della lavorazione del legno.


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martedì 8 gennaio 2013

Canto polifonico dei pigmei Aka

dal sito UNESCO
I pigmei Aka, sono un gruppo semi-nomade, strettamente correlato con i Baka, che vive nelle foreste della Repubblica Centrafricana.
I pigmei Aka - considerati uno dei popoli più antichi dell'area - sono conosciuti per il loro canto polifonico, altamente elaborato, che appartiene alla tradizione di questo popolo, che ancora oggi vive nelle fitte foreste tropicali. Come per molti popoli africani il canto, la musica e la danza, appartengono alla loro storia ed accompagnano ogni giorno il semplice trascorrere della vita. Nel caso dei pigmei Aka, il canto è parte integrante di un sistema che comprende il ciclo della vita, la caccia e i riti di iniziazione. Si canta e si suona in occasione di un matrimonio o di un funerale o quando si costruisce un nuovo villaggio o ci si appresta ad una battuta di caccia.
Il canto dei pigmei Aka è intimamente correlato con la struttura organizzativa della società Aka (su questo è stato importante il lavoro dell'antropologo e musicista irlandese John Blacking), che si compone di piccoli gruppi (massimo 30-40 individui) che sono legati ad un'unica famiglia e che non riconoscono nessuna gerarchia se non quella del "capo famiglia" anziano.
Nel 2008 (di fatto sancito nel 2003) il canto è stato iscritto tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dell'UNESCO per la sua straordinaria unicità e complessità. Oggi vi è una grande attenzione sulla ricerca e sulla raccolta di documentazioni relativa al canto polifonico, così come si tenta in tutti i modi di far sopravvivere questa straordinaria capacità del popolo Aka, pur a fronte del fatto che è la stessa esistenza del popolo Aka ad essere in discussione.



Il canto si svolge accompagnato da alcuni semplici strumenti della tradizione (non dimentichiamo che si tratta di un popolo che si sposta) come i tamburi (enzeko), delle semplici arpe curve (geedale-bogongo) o degli archi a una corda (mbela). Le danze sono di varie tipologie, alcune ballate dai soli uomini, altre da coppie e altre ancora solo dalle donne. Il ritmo è scandito anche dal battere delle mani. I bambini vengono, fin da molto piccoli, coinvolti nei canti e nelle danze.

A studiare e a far conoscere il canto polifonico fu l'etnomusicista francese Simha Arom, sicuramente il massimo esperto di questa musica, che ha avuto il  merito di diffondere questo canto raccogliendo alcune incisioni in loco e di portare in una tournèe in Europa un gruppo di pigmei Aka (furono in Italia, a Torino, per la prima volta nel 1997).

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Sul sito di Luis Devin (ricercatore e autore del libro La foresta di ha), Pigmei.it, è possibile trovare molte informazioni sugli Aka, sul canto e sugli strumenti, oltre che numerose immagini.

venerdì 28 settembre 2012

Moussem di Tan-Tan

Foto dal sito UNESCO
Il Moussem di Tan Tan é un ritrovo annuale di tribù nomadi del deserto sahariano. Una trentina-quarantina di tribù si ritrovano spontaneamente ogni anno per dare vita a questa grande festa che vuole anche ricordare lo sceicco Mohammed Laghdaf (combattente contro l’occupazione franco-spagnola, morto nel 1960) che a Tan Tan é sepolto. Il Moussem appartiene alla tradizione della cultura nomade, come festa religiosa e culturale. Diventa anche il luogo ideale dove scambiarsi merce (mercato), idee e elementi che appartengono alla cultura nomade del deserto. Il primo Moussem di Tan Tan, cittadina del profondo sud-ovest del Marocco. (ve ne sono altri, che prendono il nome dai luoghi in cui si svolgono) ebbe luogo nel 1963. Originariamente ebbe luogo a maggio, ma l'ultima edizione, quella del 2012, si è svolta alla fine di marzo. Dal 1979 al 2003 l'incontro non si svolse per motivi di sicurezza (si trovava nel luogo di confine con il Sahara Occidentale, nel mezzo degli scontri tra l'esercito marocchino e i guerriglieri del Fronte Polisario) e solo nel 2004 fu ripristinato come luogo d'incontro della cultura nomade, infatti a giungere nella cittadina di Tan Tan sono tribù berbere che giungono anche dalla Mauritania e dal Niger.

Foto dal blog Blanee
Il festival dura tre giorni (giungono migliaia di persone e vengono montate centinaia di tende) ed è una vera e propria fiera, condita di feste che durano l'intera notte, di musica e danze, di giochi, di commerci di ogni genere di merce (in particolare quella del settore agro-pastorizio), di incontri e perfino di matrimoni e celebrazioni.
Allo stesso tempo l'incontro si configura anche come un incontro mistico, in cui tradizioni e religiosità, si fondono in una perfetta armonia che rende l'evento ancora più carico di tensione e magia.

Oggi le tribù del deserto sono concentrate nel tentativo di preservare il loro stile di vita e la loro cultura. L'urbanizzazione massiccia, la riduzione degli spazi culturali, oltre che fisici, rischia di far morire lentamente tradizioni che si tramandano di padre in figlio, di generazione in generazione, da secoli e secoli.

Per il suo grande valore culturale e con lo scopo di preservarne l'integrità, il Moussem di Tan Tan è stato proclamato nel 2005 (iscritto nel 2008) Patrimonio Immateriale dell'Umanità dall'UNESCO.

Ecco il link del video dell'UNESCO sul Moussem

Ecco un sito con tutte le informazioni sull'ultimo Moussem

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giovedì 13 settembre 2012

La danza Mbende (Jerusarema)

Dal sito UNESCO
La Mbende (Jerusarema) è una danza popolare praticata nell'est dello Zimbabwe dall'etnia Shona-Zezuru. Si trattava originariamente (pare sia nata come danza di guerra) di una danza acrobatica, ballata da uomini e donne, dai forti connotati sessuali. I ballerini sono accompagnati dal suono dei tamburi (mitumba) e dal battito delle mani e dal suono di pezzi di legno sbattuti tra di loro. La danza Mbende aveva un grande legame con la caccia, veniva infatti svolta come rito propiziatorio prima delle battute di caccia e dopo come ringraziamento per quanto la natura aveva offerto. Lentamente la danza ha iniziato ad essere praticata in ogni occasione, sia essa un matrimonio, un funerale, un evento religioso e perfino un accadimento politico.
Foto dal sito UNESCO
Fortemente osteggiata dai missionari cristiani (all'inizio del 1900 fu perfino proibita in alcune aree) - nell'occasione pare fu adottato il nome Jerusarema (da Gerusalemme) nel tentativo di darle una valenza religioso - oggi, dopo essere diventata una sorta di icona nazionale dello Zimbabwe, rischia di diventare una danza da uso turistico.

Per questa ragione nel 2008 (in realtà nel 2005 la prima proclamazione) la Danza Mbende è stata inscritta tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, 
nel tentativo di salvaguardarne le caratteristiche originarie, per la sua unicità e per la sua antica tradizione. 

Le azioni coordinate dall'UNESCO tendono a favorire la pratica e la conoscenza tra le nuove generazioni, insegnando loro non solo la danza Mbende, ma la necessità di salvaguardarla per il futuro. Contemporanemente si favorisce lo studio e la raccolta di materiali al fine di permetterne lo studio e la ricerca.

Questo è il video dell'UNESCO su questa danza.

Si veda anche questo articolo di approfondimento di Jasmel Mataga dell'Università del Lesotho.

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mercoledì 18 gennaio 2012

Gule Wamkulu

Il Gule Wamkulu è una danza rituale che accompagna generalmente il passaggio verso l'età adulta e che è praticata dall'etnia Chewa, in Malawi, Zambia e Mozambico. Il rito viene poi usato in molte delle occasioni importanti come la celebrazione del raccolto, un matrimonio, un funerale o l'incoronazione del nuovo capo. Dal 2005 la danza (e in generale il culto segreto che l'accompagna) è diventato Patrimonio Immateriale dell'UNESCO.
Il rito (gule wamkulu significa semplicemente grande danza) può essere datato al XVII secolo, ovvero ai tempi dell'Impero Chewa e viene "custodito" e praticato dai membri di una società segreta chiamata Nyau. Infatti il rito, osteggiato dall'arrivo dei cristiani e dei coloni britannici dopo, ha dovuto sopravvivere in modo per così dire "clandestino" per alcuni secoli.
Molti dei membri della società di iniziati Nyau appartengono anche alla chiesa cristiana (nel rito sono stati anche inseriti elementi provenienti dalla religione cristiana). Oggi il rito ha perso gran parte delle sue radici, divenendo più una sorta di spettacolo, spesso ad uso del turismo.
La danza è ballata da uomini mascherati (le maschere sono tramandate da generazioni) vestiti di pelli di animali e vuole simboleggiare il contatto tra il mondo ancestrale spirituale e il presente, attraverso l'intero spettro delle emozioni e delle azioni dell'esistenza umana. Si tratta secondo alcuni da un lato di un rito di passaggio e dall'altro di un tentativo di mantenere la propria identità rispetto all'esterno (ovvero ai non Chewa).
Per chi desidera approfondire, vi posto il link di un interessante articolo del 2007, scritto da Anusa Daimon del Dipartimento di Storia dell'Univesrità dello Zimbabwe, sul ruolo del Gule Wamkulu nella costruzione dell'identità Chewa.

Il video di seguito è tratto invece dai documenti dell'UNESCO.


L'impegno dell'UNESCO per salvaguardare il Gule Wamkulu è un progetto multinazionale atto a non disperdere un patrimonio secolare, favorendo l'apprendimento delle tecniche alle nuove generazioni di iniziati e diffondendone la conoscenza. Vi è poi il tentativo di favorire da un lato la divulgazione con l'organizzazioni di festival  e di incontri tra le comunità e dall'altro di salvagurdare il patrimonio degli oggetti (maschere, suoni, materiali e tutto quanto ruota intorno ai preparativi e alla danza) e delle documentazioni afferenti al Gule, tutelandone anche gli aspetti della protezione legale.

Ecco un sito (www.gulewamkulu.net) con molte documentazioni su questa danza.


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martedì 6 dicembre 2011

I nuovi patrimoni immateriali dell'umanità

Si sono conclusi da poco i lavori del Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Immateriale dell'Umanità, riunito a Bali in Indonesia dal 22 al 29 novembre. Nella settimana di lavori il Comitato ha analizzato le poposte di di iscrizione dei nuovi Patrimoni Immateriali dell'Umanità, in accordo con la la Convenzione del 2003 e preparato il gruppo di lavoro che analizzerà le candidatura per il 2012. 
Alla fine del meeting è stato deciso l'iscrizione di nuovi 11 elementi nella Lista dei Patrimoni che necessitano di urgente salvaguardia, di 19 nuovi elementi nella Lista dei Patrimoni dell'Umanità e infine l'inscrizione di 5 elementi in una lista dedicata alle attività ed ai programmi conformi ai principi della Convenzione del 2003.
Nella lista dei 30 nuovi patrimoni immateriali dell'umanità che interessano il mondo intero (per la cronaca nessuna nuova iscrizione per l'Italia), vi sono ben 3 elementi africani.
Due di essi sono inseriti nella lista di quelli che richiedono urgenti interventi di salvaguardia e sono:
- I poemi epici T'heydinn delle comunità Moorish della Mauritania (nella foto)
- La società segreta Koredugaw e il rito della saggezza in Mali 
Mentre un altro elemento è iscritto nella lista "ordinaria" dei Patrimoni ed è:
- Le pratiche culturali ed espressive legate al balafon delle comunità Senufo in Mali e Burkina Faso.

In questo modo sono ora 28 (sui complessivi 267) gli elementi del Patrimonio Immateriale dell'Umanità dell'UNESCO che appartengono al continente africano.

Sancara, nella sua pagina dedicata ai Patrimoni Immateriali dell'Africa approfondirà, con un post dedicato, ognuno degli elementi africani. 

mercoledì 13 luglio 2011

Bark Cloth, una tecnica tessile dall'Uganda

Bark Cloth (o Barkcloth), e' una tecnica tessile che un tempo era comune in Africa oltre che in alcune aree dell'Asia e dell'Oceania e che oggi è ancora praticata in particolare tra i Baganda dell'Uganda.
Il tessuto che si ricavava, di rara bellezza e finezza, colorato e decorato, serviva alla famiglia reale del regno di Buganda e veniva usato tradizionalmente nelle importanti cerimonie quali le incoronazioni, i matrimoni e le cerimonie funebri.
Il tessuto è ricavato dalle fibre di alcune piante della famiglia delle Moraceae, tra cui la Broussonetia papyrifera, la Artocarpus altilis (albero del pane) e il Ficus.
In Uganda viene in modo particolare usata la corteccia dell'albero Ficus natalensis, che in loco viene chiamato Mutuba.
Il tessuto si ottiene battendo delicatamente la corteccia (bark, in inglese) fino a farla diventare sottile ed elastica. Da una corteccia di 75x150 centimetri, si ottiene un tessuto grande fino a 400x180. L'albero decorticato, viene ricoperto con grandi foglie di banano in modo da consentire la ricrescita della corteggia. Un albero nel corso della sua esistenza (40 anni) può arrivare a produrre fino a 400 metri quadrati di stoffa.
Al fine di salvaguardare questa tecnica (secondo alcuni studi risalente ad epoca preistorica), praticata dai Baganda almeno dal XIII secolo, che rischiava di andar perduta, a seguito dell'introduzione del cotone a partire dal XIX secolo, l'UNESCO nel novembre 2005 la iscrive tra i Patrimoni immateriali dell'Umanità.




Tra le azioni per la salvaguardia che l'UNESCO ha messo in campo in questi anni, vi è la formazione, soprattutto dei giovani artigiani (la tecnica storicamente veniva tramandata di generazione in generazione), la promozione della cultura del barkcloth e la sua diffusione anche fuori dall'Uganda e una serie di interventi per favorire il mercato e rendere quindi remunerativo il lavoro artigianale.


Ecco un blog per parla dell'arte del barkcloth ugandese.

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mercoledì 13 aprile 2011

Patrimoni orali e immateriali dell'umanità UNESCO in Africa

L'UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) fin dal 1972 ha deciso di proteggere i siti, naturali o costruiti dall'uomo, che per la loro unicità, rappresentano un patrimonio per l'umanità da non disperdere.
La scelta di tutelare il patrimonio dell'umanità si è rivelata di storica e straordinaria importanza.
Nel 2001 l'UNESCO si è posta, giustamente, il tema di salvaguardare anche quel patrimonio culturale immateriale che l'umanità ha prodotto e che in taluni casi rischia di essere disperso. E' nata così nel 2001 la lista dei Patrimoni orali e immateriali dell'umanità, che comprende tradizioni orali, riti, festività, arte e artigianato, pratiche sociali e conoscenze antiche concernenti la natura e l'universo (in realtà il programma fu lanciato nel 1999).
Una prima lista di 19 elementi fu stilata nel 2001, nel 2003 furono aggiunti altri 28, nel 2005 altri 43. Di questi primi 90 elementi, 18 appartenevano a tradizioni e conoscenze africane.
Nel 2008 entrò in vigore la Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'umanità del 2003 e ratificata a oggi da 134 stati.
Venne allora ufficialmente istituita la Lista dei Patrimoni Culturali Immateriali dell'UNESCO, che oltre ad inglobare i 90 elementi già protetti dal 2001, ne aggiunse altri 91 nel 2009 e altri 51 nel 2010. Ogni anno si aggiungeranno quindi nuovi patrimoni da tutelare.

Oggi (2013) sono 281 gli elementi nella lista e 35 quelli che richiedono urgente salvaguardia. Di questi , di cui 37 in Africa.
Eccoli, nella pagina di Sancara dedicata a questi patrimoni.

Sancara, così come per i Patrimoni dell'Umanità dell'Africa, proporrà degli approfondimenti su tutti gli elementi africani appartenenti al patrimonio immateriale dell'umanità.