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giovedì 27 agosto 2015

Kenya, non solo corsa

Da tempo gli esperti e gli appassionati dell'atletica osservano la crescita delle vittoria degli atleti africani nella varie competizioni internazionali, dalle Olimpiadi ai Mondiali. Kenya, Etiopia, Somalia e Uganda, ma anche Algeria e Marocco sono entrati negli annali delle competizioni che contano. Lo hanno fatto nella corsa e in particolare in quelle lunghe dove resistenza e fisico si sommano a una condotta di gara "a strappi" quasi impossibile da tenere per chi non ha la pelle scura. Nel 2011, commentando la prima giornata dei Mondiali di Atletica di Deangu avevo scritto questo post sulle donne keniote, che nelle prime due gare del programma (maratona e 10.000 metri) avevano occupato tutte le posizioni del podio.
Del resto guardando il medagliere dei mondiali di atletica leggera dopo Stati Uniti e Russia vi è il Kenya con 112 medaglie (di cui 43 d'oro), davanti a Germania e Giamaica (ma già oggi quest'ultima potrebbe scavalcare la Germania). L'Etiopia si colloca invece come 7° potenza mondiale dell'atletica ai mondiali (la cui storia inizia nel 1983).

Ma, i mondiali in corso a Pechino hanno già messo in luce due aspetti importanti dell'Africa in questo sport. Non solo nella corsa l'Africa eccelle. Con la vittoria del keniano Julius Yego nel lancio del giovellotto, il paese dell'Africa Orientale si rende protagonista per la prima volta (a dire il vero, un altro africano aveva vinto il titolo del giovellotto, ma si trattava del sudafricano bianco Marius Corbett che vinse ad Atene nel 1997) in una disciplina dei lanci. La vittoria di Yego nel giovellotto rappresenta un fatto assolutamente nuovo per una disciplina tecnica come il lancio del giovellotto. Disciplina che da sempre è saldamente in mano a nord-europei e che ha visto nei finnici, nei cechi e negli estoni i suoi massimi interpreti. 

Ma non basta. Nicholas Bett, giovane keniano, ha vinto anche il 400 metri ostacoli, disciplina altrettato tecnica oltre che molto veloce. Non è la prima volta di un africano (nel 1991 a Tokyo vinse lo zambiano Samuel Matete, un'icona di questa corsa). Anche "il giro della morte ad ostacoli", secondo alcuni forse la gara più massacrante dell'atletica, la gara che fu dominio di mostri sacri come gli americani Edwin Moses o Kevin Young (ancora detentore del record del mondo) in cui oltre a velocità e resistenza, vi è bisogno di una tecnica straordinaria, non è più un tabù per l'Africa.

Con le vittorie arrivano anche - purtroppo - i problemi. I primi due test positivi al doping ai mondiali di Pdechino sono due donne keniane. La neo- primatista nazionale dei 400 metri, Joyce Zakary e la meno nota atleta dei 400 ostacoli, Francisca Koki Manunga. Speriamo che siano casi isolati e non il segno di una diffusa pratica.

Voglio pensare che lo sport rappresenti per l'Africa un nuovo volano di sviluppo e di crescita dei suoi popoli.

Sancara ha pubblicato, in occasione delle Olimpiadi di Londra, un serie di post sullo sport olimpico africano. Ecco i link, per chi avesse voglia di approfondire.
- L'Africa ai Giochi olimpici - prima parte
- L'Africa ai Giochi olimpici - seconda parte
- L'Africa ai Giochi olimpici - terza parte
 -L'Africa ai Giochi olimpici - quarta parte

mercoledì 8 aprile 2015

Quelli che non contano

Solo pochi mesi fa, in occasione dei fatti di Parigi ed in relazione a quello che nelle stesso ore accadeva in Nigeria, avevo scritto un post intitolato Il valore della vita, in cui oltre a prendere atto che il valore stesso della vita non è uguale ovunque, mi chiedevo finchè l'assenza di valore dell'esistenza umana in molti angoli del pianeta poteva rendere la nostra vita ancora sicura e felice.

I fatti atroci dei giorni scorsi nell'Università di Garissa hanno, per l'ennesima volta confermato quanto alcune vite sono in grado di smuovere i potenti del pianeta, che con ipocrisia sfilano mano nella mano nella capitale francese, mentre altre riescono a malapena ad occupare la terza pagina di un giornale.


Naturalmente a nessuno importa niente di 150 studenti kenioti trucidati a Garissa, così come a nessuno importa dei 3500 bambini palestinesi intrappolati nei campi profughi di Yarmouk in Siria, così come delle 500 mila donne vittime di stupro nella Repubblica Democratica del Congo, degli oltre 10 mila morti affogati nel Canale di Sicilia e nemmeno dei 10 milioni di somali (da cui provengono i terroristi di Al-Shebab) che dal 1991 vivono in un paese fantasma, privo di uno Stato e senza leggi.

Ma è una insensibilità diffusa, che interessa trasversalmente tutti, oramai quasi rassegnati. Interessa anche molti dei quali non avevano esitato, per loro storia o  perchè convinti, a dire e scrivere Je Suis Charlie.
Questo è il mondo che noi tutti abbiamo costruito e che continuiamo a volere. Un mondo capace di guardare molto poco in avanti e interessato solo a soddisfare i bisogni attuali. La storia recente è piena di "anomalie" evidenti che si sono create perchè ci si è interessati solo ad affrontare problemi del momento ignorando le ripercussioni che nel tempo quelle scelte avrebbero avuto. Si sono innescati veri e propri corti circuiti che hanno contribuito a far crescere - quasi ovunque nel mondo - la tensione. Una tensione che è aumentata allo stesso ritmo con cui le notizie si propagavano. E' accaduto ad esempio in Afghanistan, quando si sono armati guerriglieri in chiave anti-sovietica. E' accaduto in Iraq quando si è armato Saddam contro la rivoluzione khomeinista. E' accaduto anche recentemente quando si sono armati estremisti islamici contro il regime siriano. Tutti poi diventati acerrimi nemici.
Ma, la lista potrebbe continuare all'infinito. Con luoghi depredati (e con essi le popolazioni e l'ambiente circostanti) per i nostri consumi o situazioni abbandonate per decenni, come la Palestina o la Somalia, e da cui non abbiamo ottenuto altro che rabbia e violenza. Una rabbia che cresce dentro - e oggi sempre più - da chi vive in luoghi dove nulla è un diritto, nemmeno la stessa vita. Come pensiamo possa sentirsi un ragazzino che nasce, vive e cresce (quando è fortunato) nella miseria e nella paura,  che vede i suoi simili in altri luoghi convivere con ogni stranezza, con ogni trasgressione, con ogni possibilità e con ogni fantasia che la mente possa immaginare. Perchè quello che è veramente cambiato è che 20 o 30 anni fa, l'Europa o l'America si immaginavano, oggi si vede in tempo reale.

Il sistema di guardare solo quello che succede a casa nostra, riservandoci di fare, quando serve, un pò di elemosina, non funziona più. Oggi o si assumono importanti impegni e si cambiano radicalmente le cose (compresi gli interventi del cosidetto sviluppo) o siamo destinati ad una crescita delle tensioni e ad una serie messa in discussione della nostra sicurezza.

giovedì 28 agosto 2014

C'e l'Africa nella donna più bella del mondo

La rivista People l'ha definita la donna più bella del mondo. Per Lupita Nyong'o il 2014 sarà l'anno che ricorderà per sempre. L'anno che l'ha consacrata nel mondo del cinema e della bellezza. Lupita, che ha da poco superato i 30 anni, ha vinto l'Oscar come migliore attrice non protagonista per il film 12 anni schiavo, è stata scelta come testimonial da una importante casa di cosmetici, è ritratta in tutte le riviste di moda e di costume ed infine è stata giudicata la donna più bella del mondo. Credo che, per ora, possa bastare.

Lupita è keniota di etnia Luo. Sebbene il suo certificato di nascita reca anche la nazionalità messicana (dove effettivamente è nata a Città del Messico il 1 marzo 1983), ella è figlia (seconda di sei) di Dorothy e di Peter Anyang' Nyong'o, oggi senatore keniano dell'Orange Democratic Movement (trasferitosi in Messico per lavoro quando era docente universitario di Scienze Politiche) e in Kenya ha trascorso la sua infanzia e l'adolescenza.

Cresce in un'ambiente, alla periferia di Nairobi, della classe medio-alta africana. Studia e si appassiona alla recitazione. A 16 anni torna per 8 mesi in Messico a Taxco a studiare spagnolo. Si diploma nel 2001 alla Saint Mary School di Nairobi (una scuola privata cattolica) e successivamente si trasferisce negli Stati Uniti prima all'Hamphire Collage di Amherst (dove si laurea in teatro e cinema) e poi alla Yale School of Drama di New Haven.

Svolge qualche piccolo ruolo (un cortometraggio e una mini-serie televisiva) fino a quando viene scelta da Steve McQueen (nulla a che fare con l'attore morto nel 1980) per il suo film 12 anni schiavo (decisamente un bel film), basato sul libro autobiografico di Solomon Northup (nel film interpretato dall'inglese di origine nigeriane Chiwetel Ejofor) del 1853. A Lupita è affidata la parte di Patsey, una giovane e bella schiava, oggetta dei desideri (e non solo) sessuali del padrone.

Il film è la sua consacrazione. Bella e brava, raggiunge come lei ha avuto modo di dire, il suo sogno di bambina.
Ha poi lavorato nel thriller Non Stop con Liam Nesson e Julianne Morre e la sua carriera sembra lanciata verso mete prestigiose e ambiziose.

Lupita, che ama anche fare il regista, ha prodotto, diretto e scritto nel 2009 un documentario, In My Genes, che racconta la storia di 8 ragazzi albini del Kenya. Ecco in questo come video come Lupita lo raccontò quando lo presentò. In esso si evidenzia il suo piglio di donna bella e impegnata.

Sono sicuro che sentiremo ancora parlare, molto di lei. Con se porta il colore,  le emozioni e il respiro della terra africana, che mi auguro non smetta mai di accompagnarla nella sua vita. Così come spero che l'Africa possa rimanere al centro della sua esistenza e delle sue scelte future di attrice, regista e di donna.

Good luck, Lupita!

Lupita è il diminutivo di Guadalupe.

Ecco un'intervista a Lupita su The Telegraph

Ecco un post di Sancara sull'Albinismo

giovedì 13 marzo 2014

Shujaaz, un fumetto dall'Africa

Da quando nel febbraio 2010 Shujaaz (che significa eroi) iniziò le pubblicazioni a Nairobi, i suoi personaggi sono diventati dei veri e propri eroi tra i giovani della capitale e di gran parte del Kenya. Scritto in lingua sheng, uno slang frutto dalla fusione tra inglese, swahili e altre parole in alcune lingue locali, usatissimo tra gli adolescenti di Nairobi.

Il fumetto, distribuito mensilmente e gratuitamente con un quotidiano (si parla di milioni di copie) disegnato da giovani artisti della capitale (Eric Muthoga, Naddya Oluoch-Olunya, Salim Busuru, Daniel Muli, Movin Were e Joe Barase) si pone l'obiettivo di far riflettere e di ispirare le giovani generazioni. Attraverso quattro personaggi, Boyie (un tecnico del suono di giorno e un DJ notturno che mette su una radio pirata, Shujazz FM che parla ai ragazzi e che resta anonimo), Maria Kim (giovane, bella e intelligente, cresce il fratellino dopo la morte dei genitori e lotta contro l'ingiustizia e la corruzione) Malkia (una giovane che vive sulla costa e che è molto attiva nella scuola e con gli studenti) e Charlie Pele  (un fanatico del calcio che lotta con il padre che non capisce la sua passione), il fumetto vuole puntare il dito contro la disonestà, contro la classe politica ipocrita, ma anche contro la chiesa e le organizzazioni internazionali.

Lo fa in un modo energico, giovane e divertente. Soprattutto in modo innovativo: la radio, con la voce di DJ Boyie, è realmente ascoltabile, con giochi, idee e discussioni. Si calcola che la metà dei giovanni (18-24 anni) di Nairobi ascolti il breve programma (dura 5 minuti) di DJ Boyle. Vi è poi il profilo facebook, quello twitter e tutte le connessioni ai più comuni social networks.

L'esperienza di Shujazz non è quindi solo quella di un comix, ma una forma di comunicazione a tutto campo, capace di stimolare le giuste corde dei giovani di Nairobi e di influenzare, in senso positivo e costruttivo, le loro idee e le loro scelte.

Ecco il sito ufficiale di Shujazz

venerdì 11 ottobre 2013

Tradizioni e riti della foresta sacra Kaya dei Mijikenda

foto dalla rete
I Mijikenda sono 9 gruppi etnici bantù (il nome significa nove tribù), che vivono nei pressi della foresta sacra di Kaya (divenuta Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO nel 2008) sulla costa del Kenya.
I riti e le pratiche relative alla foresta, ritenuta sacra, sono stati inseriti tra i Patrimoni Immateriali dell'UNESCO nel 2009, in quanto bisognosi di urgente salvaguardia. Si tratta di uno dei rari esempi in cui l'UNESCO oltre a salvaguardare il luogo fisico (la foresta) ha impegnato anche i governi alla tutela di un patrimonio di conoscenze, tramandate da generazione in generazione, che rischiava di essere perduto per sempre.
L'insieme delle pratiche rituali, che comprendono cerimonie di vario genere, ma anche un'intima conoscenza della foresta, come ad esempio il compendio delle erbe medicinali, sono state sviluppate a partire dal XVI secolo, quando i Mijikenda migrarono dall'odierna Somalia,  in villaggi fortificati chiamati Kayas, 11 complessivamente, in un'area di 200 chilometri. Questi villaggi, di cui oggi rimangono i resti (furono abbandonati negli anni '40), sono oggi preservati da un consiglio di anziani, denominato Kambi.

foto dalla rete
La foresta è un ecosistema molto ben mantenuto a causa della sua sacralità. Le popolazioni locali ritengono che all'interno della foresta vi abitino gli spiriti degli antenati, il cui legame e la cui protezione influisce sulla vita di ogni giorno. All'interno della foresta, tra i suoi sentieri si tengono cerimonie quali le sepolture, i matrimoni, i riti di passaggio e il consiglio degli anziani.

Gia' dal 1992 il Kenya aveva decretato che le foreste fossero Monumento Nazionale, inserendo così le foreste tra le area di conservazione, di studio e di tutela.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa
Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

martedì 24 settembre 2013

Oltre Nairobi

I drammatici fatti che si sono svolti a Nairobi (in parte ancora in corso), con l'attacco al centro commerciale Westgate (oltre 60 morti e quasi 200 feriti è il bilancio provvisorio), confermano, ancora una volta, la pericolosità di una paese come la Somalia, in un ambito geopolitico già molto compromesso ed instabile. Proprio alcuni giorni fa avevamo segnalato come, la presenza di "stati falliti" rappresenti un elemento di grande minaccia per l'intero pianeta.

foto dalla rete
Gli osservatori mondiali si sono soffermati a descrivere (eccone un ottimo esempio) chi sono questi "giovani" (Al Shabaab, significa appunto la gioventù) che dalla Somalia hanno pianificato un'azione complessa e precisa da un punto di vista militare.
Un gruppo nato in Somalia nel 2006 (quindi ben 12 anni dopo l'abbandono della Somalia) all'interno delle Corti Islamiche, di cui erano appunto il braccio armato (Harakat al-Shabbab Al--Mujahidin) e che a partire dall'ottobre 2011, ovvero quando le truppe del Kenya hanno affiancato i caschi blu dell'Unione Africana (AMISOM) e le truppe governative in Somalia (certamente non per ragioni umanitarie), hanno giurato la vendetta nei confronti del paese confinante.

Naturalmente le azioni di Al Shabbab (anche in Kenya) non sono nuove (vi riporto il link a questo post di Sancara del 2010) ed il gruppo, nonostante le sconfitte militari in patria, ad opera delle truppe etiopi e kenyote, si rafforza grazie anche agli appoggi esterni (paesi arabi e non solo) e all'adesione al movimento di molti stranieri della diaspora somala.

foto dalla rete
La questione centrale però, piaccia o no, resta la Somalia. Un paese che da oltre 20 anni è senza guida (nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale), che è stato abbandonato quasi da tutti e che proprio grazie a questa situazione (quasi unica nel pianeta) permette ai movimenti estremisti di proliferare e di crescere. Nei campi di addestramento del terrorismo nel nord-est della Somalia,  a Galgata (che gli analisti ritengono essere la nuova Tora Bora) i giovani si recano nella speranza di cambiare la loro vita che è già a livelli della semplice sopravvivenza. Pericolose illusioni che qualcuno fomenta. Il caos, la guerra, le ingiustizia, gli interesse reali (e quelli mascherati), l'indifferenza, l'assenza di uno stato, la mancanza di istruzione e la ricchezza del resto del mondo sono un brodo di coltura ottimale per l'integralismo. Questo vale in Palestina, in Iraq, in Afghanistan e ovunque nel mondo.

Bisogna essere realisti. Le alternative non sono molte. O si rilancia una nuova stagione di pace e di sviluppo (ove possibile), che porti a ridurre la miseria e a creare istituzioni statali credibili, al fine di contenere l'attrazione delle giovani generazioni verso tutti gli "ismi", oppure continuiamo con l'attuale strategia: proteggersi sempre più nei propri paesi (gli Stati Uniti insegnano, dopo l'11 settembre) lasciando che i terroristi si "sfoghino" in territori che a noi interessano meno e dove i morti, per noi, valgono molto poco. E' crudele, certo, sicuramente.


venerdì 31 maggio 2013

Popoli d'Africa: Daasanach

foto dalla rete
I Daasanach (chiamati anche Dama, Merile o Geleb) sono un piccolo gruppo etnico che vive prevalentemente in Etiopia (circa 50 mila) intorno all'area bassa del fiume Omo, dove questo entra nel Lago Turkana (il loro nome significa appunto "popolo del delta"). Altri gruppi, meno numerosi, vivono in Kenya e Sud Sudan (altri 10 mila).
Originariamente questo popolo abitava le sponde del Lago Turkana, di cui l'Omo è immissario, (dove ancora oggi una parte di loro vive), per poi spostarsi verso nord alla ricerca di pascoli. Oggi è l'ultima (in senso geografico) etnia che vive lungo il fiume Omo e anche tra le più isolate e a rischio.
Per tradizione pastori nomadi, i Daasanach i sono lentamente trasformati in agricoltori (sorgo, mais e piselli, i loro principali raccolti), sfruttando il terreno semi-arido del loro habitat. Sono diventati anche abili pescatori e costruiscono
foto dalla rete
canoe ricavata da un tronco d'albero. L'habitat dove vivono è molto estremo: arido, con temperature oltre i 35 gradi, in zona malarica e, lungo il fiume, infestato dalla mosca tze-tze.
Il bestiame assume - come avviene spesso in Africa e non solo - un forte valore simbolico e rituale, mentre da esso si ricava oltre al latte e al cibo, anche il sangue (che viene bevuto) e quel poco abbigliamento che usano.

Hanno una complessa struttura sociale a discendenza patrilineare e articolata in classi di età (per cui sono previsti nella loro tradizione una serie di riti di passaggio)  divisa in otto sezioni territoriali (chiamati emeti), con grande autonomia sulle questioni interne, a loro volta suddivisi in massimo otto clan. I loro villaggi sono molto semplici, con abitazioni (capanne) ricavate tradizionalmente da tronchi e foglie, e recentemente da carta, plastica e lamiere.


I Daasanach hanno un elevato conflitto con i popoli vicini, in particolare con gli Hamar, i Nyangatom, i Turkana e i Gabra, per questioni relative ai pascoli, ma non solo (su questo tema vi segnalo questo saggio di Yntiso Gebre, dell'Universitòà di Berlino, proprio sui conflitti di questa area).

Le donne lavorano bellissime collina di perle colorato di cui amano adornarsi, assieme ad altre forme di ornamenti, di più recente introduzione, come ad esempio i tappi di bottiglie. 
Tra le donne di questa etnia è ancora purtroppo molto praticata, tra i 10 e i 12 anni, la clitoridectomia (una delle orrende mutilazioni genitali femminili), per cui donne che non l'hanno subita vengono considerate sullo stesso piano degli animali e non viene data loro la possibilità di sposarsi.

Come per molti popoli della valle dell'Omo questa etnia è soggetta, oltre alle carestie e ai rischi dovuti ai progetti invasivi (dighe) che si stanno portanto a termine (vedi scheda su Survival International), ad una forte attrazione da parte del turismo internazionale. Sicuramente "quell'alone di primitivo" che li circonda affascina, forse anche il seno nudo di belle e giovani donne deliziosamente ornate, contribuisce a questa "morbosa" attrazione. La rete offre infinite gallerie fotografiche.

Vi segnalo questa interessante racconto, anche fotografico, sul popolo Daasanach dal blog Trip Down Memory
Vi segnalo anche il blog The Angaza Project dove è possibile vedere alcuni filmati (documentari) sulla vita nella regione dei Dassanech

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

martedì 18 dicembre 2012

Popoli d'Africa: Kamba

donna kamba, foto dalla rete
I Kamba (o Akamba) sono un popolo della grande famiglia bantu che vive nella zone ad est del Kenya e in piccola parte (poco oltre le 100 mila unità) nel nord della Tanzania. La regione del Kenya dove essi vivono è chiamata Ukamba e si colloca a est di Nairobi, ed è delimitata a nord dal fiume Tana e a sud dal Parco Nazionale Tsavo. Sono quasi 4 milioni i Kamba e in Kenya rappresentano con oltre il 10% della popolazione, il quinto gruppo etnico del paese. Parlano la lingua kiKamba, sebbene molti conoscono lo swahili.
Secondo gli etnologi il gruppo è risalito, con una lenta migrazione, dal nord della Tanzania verso l'inizio del 1700. Fu un popolo che si oppose fortemente alla colonizzazione britannica, sebbene sempre in modo non violento, e fino alla fine del 1800 rimase pressocchè indipendente. Successivamente i territori furono confiscati dagli inglesi (quando iniziò la costruzione della ferrovia Mombasa-Kampala, per capirci quella del film  Spiriti delle tenebre) e molti Kamba  furono costretti a combattere nell'esercito coloniale (molti morirono nella seconda guerra mondiale). Negli anni '30 con una rivolta, in cui guidati dalla neonata Ukamba Members Association, marciariono su Nairobi e occuparno il Kariokar Market, i Kamba riuscirono a riconquistare le terre, sebbene non la totale autonomia.
danza kamba, dalla rete
Tradizionalmente i Kamba erano agricoltori (sorgo, mais, miglio, patate), allevatori (bovini, capre e pecore) e abili artigiani (il particolare lavoravano il legno e il ferro, oltre a produrre cesti). Le loro terre non sono molto fertili (se non quelle vicino ai corsi dei fiumi) e questo, in parte, li ha protetti dall'invasione coloniale. I Kamba però riuscirono a ricavare energie vitali dal commercio, che comprendeva la vendita di avorio, birra di miele e armi di ferro. I Kamba furono anche coinvolti nel mercato degli schiavi con gli arabi. Oggi la loro principale attività e l'industria del turismo (in particolare sono tra i maggiori fornitori dei negozia di artigianato del Kenya).

foto dalla rete
I Kamba sono anche ottimi musicisti e bravissimi e acrobatici danzatori. Entrambe le arti sono parte integrante di un complesso sistema di rituali. I riti e i culti dei Kamba che tradizionalmente hanno accompagnato la storia di questo popolo sono stati in parte abbandonati con l'evengelizzazione che nel loro caso è stata effettuata soprattutto dalla Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Oggi oltre l'80% è di religione cristiana.

Nonostante fin dagli anni 30' vi sia stata una forte migrazione di questo popolo verso le città, permane una rigida organizzazione sociale, composta da clan (chiamati mbai) e da una divisione per classi d'età, con numerosi riti di passaggio.

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mercoledì 12 dicembre 2012

12 dicembre 1963: indipendenza del Kenya

Jomo Kenyatta, dalla rete
Il 12 dicembre 1963, il Kenya diventa il 34° stato indipendente dell'Africa e a guidarlo sarà Jomo Kenyatta, l'uomo che aveva preso in mano le redini del paese dopo la sanguinosa rivolta contro l'impero coloniale britannico. Quella dell'indipendenza del Kenya - ed in particolare la rivolta dei Mau-Mau - è stata una storia complessa, in parte mai raccontata in modo veritiero, e che ha lasciato sul campo oltre 10 mila morti, molti dei quali torturati e trucidati. Al tempo stesso è forse una delle macchie più infami della storia coloniale britannica.
Il Kenya entra nell'orbita dell'impero britannico fin dalla fine del 1800, divenendone un protettorato nel 1895. Il colonialismo inglese diede vita ad uno sfruttamento sistematico delle terre (soprattutto i fertili altopiani) a seguito del "Land Acquisition Order" del 1902, in cui i coloni bianchi poterono acquistare terre e ottenere la supremazia politica nel Consiglio coloniale. Naturalmente le terre che acquistavano erano quelle abitate, da sempre, dalle popolazioni locali, in particolare di etnia kikuyu (la stessa di Kenyatta e maggior gruppo etnico del paese). Agli africani non rimeneva che essere la manodopera a basso costo (chiamati squatters) che, anche grazie al potere politico, era sempre più discriminata e ghettizzata. Alla fine della prima guerra mondiale i bianchi erano l'1% della popolazione e possedevano il 25% delle terre. Per i Kikuyu la terra aveva un alto valore simbolico e si inseriva all'interno di una ricca e complessa organizzazione rituale tribale. 
bandiera del Kenya
Nel marzo 1922 a seguito dell'arresto di Harry Thuku, capo dell'Associazione dei Giovani Kikuyu e delle successive proteste represse nel sangue dall'esercito britannico, iniziò la rivendicazione territoriale dei movimenti che seppur di matrice spirituale intrapresero una vera e propria battaglia politica. Di questa associazione faceva parte anche Jomo Kenyatta (nato come Kamau wa Ngengi, divenuto poi Johnstone Kamau e infine Jomo Kenyatta), trentenne figlio di contadini, abbandonato dalla famiglia, cresciuto in una  missione e che aveva svolto svariati lavori manuali, che nel 1924 divenne segretario del neonato movimento KCA (Kikuyu Central Association). L'ascesa politica di Jomo (che significa "lancia fiammeggiante", mentre Kenyatta è il nome della cintura di perline che egli portava sempre con se) è repentina e negli anni '30, grazie ad una colletta delle sua tribù, si reca in Europa dove si laurea in antropologia a Oxford nel 1937 e dove viene a contatto  con personaggi della cultura, del movimento per i diritti dell'uomo e dell'ideologia socialista. Nel 1946, quando dopo oltre 15 anni, rientra in Kenya, è un'altro uomo ed è pronto per la lotta politica per l'indipendenza.
In Kenya ritrova Harry Thuku che da quell'anno guida il Kenya Africa Union (KAU) evoluzione del movimento creato da Eliud Mathu (primo africano a sedere nel Consiglio Legislativo) Kenya African Study Union. Il gruppo, nonostante sia composto da persone di quasi tutte le etnia del paese, è di fatto guidato dall'etnia kikuyu. Nel 1951 nasce in seno all'etnia kikuyu il movimento Mau Mau, una sorta di società segreta (era previsto un giuramento "per combattere per le terre che sono state prese con la forza dall'uomo bianco") di tipo militare allo scopo di resistere al colonialismo bianco.  In breve i guerriglieri Mau Mau furono oltre 15 mila e il loro scopo fu quello di terrorizzare i coloni europei con violenze e distruzioni. Ma assieme a loro crescevano i gruppi di protesta contro la politica coloniale inglese, che aveva assunto, anche a Nairobi, una forma di segregazione razziale sempre più simile a quello che accadeva in Sudafrica.
Al crescere della ribellione Mau Mau, cresceva anche la repressione inglese. Il 21 ottobre 1952 il governatore, Sir Evelyn Baring, dichiarò lo "stato di emergenza"  e fece arrestare Kenyatta accusandolo di dirigere le file dei Mau Mau. Kenyatta, pur sostenendo la legittimità della lotta Mau Mau, negò di essere coivolto nell'organizzazione, ma nonostante questo l'8 aprile 1953 fu condannato a 7 anni di reclusione e ai lavori forzati (sarà liberato solo nel 1960) e il movimento KAU fu messo fuorilegge.
campo concentramento vicino nairobi (dalla rete)
La tensione crebbe e i britannici - dopo aver decretato la pena di morte per chiunque giurava per i Mau Mau - iniziarono una repressione inaudita contro i militanti Mau Mau e contro i civili simpatizzanti. Nel 1955 solo intorno a Nairobi vi erano 20 campi di concentramento (dello stesso stile di quelli nazisti) dove si praticava ogni sorta di tortura e violenza, fisica e sessuale. Contemporaneamente si descrivono i Mau Mau come criminali violenti, cannibali e stupratori che uccidono donne e bambini, al fine di legittimare la dura repressione.
I numeri esatti non si conoscono (tutta la documentazione sui campi di prigionia fu distrutta prima dell'indipendenza quando anche in Inghilterra gruppi di pressione politica chiedevano luce su questi fatti), ma nel periodo 1952-1960 (quanto durerà l'emergenza) furono uccisi oltre 10 mila guerriglieri Mau Mau e giustiziati oltre 1000 "indigeni simpatizzanti". Mentre 333 furono le vittime europee, di cui "solo" 32 direttamente riconducibili alle violenze dei Mau Mau
La storia dei Mau Mau si concluse il 18 febbraio 1957 quando fu impiccato Dedan Kimathi, ultimo comandante Mau Mau rimasto nella foresta.
Nel 1960 - dopo che il governo britannico aveva tentato di concedere alcune concessioni governative alle popolazioni locali -  fu liberato Kenyatta (che dal 1959 era stato mandato al confino) e già l'anno dopo nel novembre 1961 egli guidò la delegazione del Kenya African National Union (KANU), nuovo nome del KAU, a Londra per trattare per l'indipendenza, che arriverà appunto il 12 dicembre 1963. Kenyatta guiderà con moderazione e senza nessuna "vendetta" nei confronti degli inglesi il paese fino al 22 agosto 1978 quando morirà a 88 anni. Il suo successore, già vice-presidente,  Daniel Arap Moi guiderà il paese fino al 2002 in modo decisamente diverso.

La ribellione Mau Mau ebbe il merito di accelerare il processo di indipendenza.  
Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

venerdì 10 agosto 2012

Il keniano Rudisha, su tutti

Foto Ansa
Straripante David Rudisha ieri negli 800 metri piani olimpici. Il figlio d'arte keniano (il padre aveva vinto l'argento a Città del Messico nel 1968 nella staffetta 4x400) ha corso il più veloce 800 metri della storia, chiudendo con il nuovo record del mondo (1'40"91) il doppio giro di pista. Una gara che lo ha visto protagonista (ed in testa) fin dai primi metri e che ha dimostrato tutta la sua supremazia. 
Gli 800 metri sono una gara di confine tra la velocità e il fondo. Si corre troppo forte per essere adatto ai fondisti e relativamente troppo lentamente per i velocisti. Gli 800 metri sono stati dominati, fino agli anni '80, dagli atleti bianchi. In particolare negli anni '70 e '80 furono tre grandi personaggi a dominare la scena: l'italiano  Marcello Fiasconaro, che stabilì il record del mondo nel 1973,  il cubano Alberto Juantorena, che detenne il record del mondo dal 1976 al 1979 e dall'inglese Sebastian Coe, che dopo aver strappato il record a Juantorena nel 1979, nel 1981 seppe correre, in una tiepida sera di giugno a Firenze, in 1'41"73, tempo che rimase record del mondo fino al 1997.

Foto dalla rete
Nel 1997 entrò in scena un keniano, Wilson Kipteker (poi diventato danese di adozione) che dopo aver ritoccato tre volte il record di Sebastian Coe, dominò la scena degli 800 metri e segnò una linea di confine. Da allora, gli atleti neri prevalgono in questa distanza.
I records di Kipketer durarono fino al 2010, quando un'altro keniano, David Lekuta Rudisha, lo abbassò ulteriormente (ieri è stato il suo terzo record del mondo).

dalla rete
Forse a molti non è passato inosservato il servizio andato in onda sulla Rai - poco dopo la vittoria di Rudisha - in cui vi era un'intervista all'atleta keniano mentre si allenava, nel suo paese poco prima delle Olimpiadi.
David correva su di una pista in terra battuta (altro che costosi materiali sintetici da cui pare dipendono i successi di molti atleti), sorrideva assieme ad amici mentre la polvere si sollevava copiosamente, ed seguito da un gruppetto di ragazzini. Quando poi l'intervistatrice gli chiedeva un pronostico sulle Olimpiadi, David era comodamente seduto, in vestiti "civili", sull'erba. Quando semplicità e spontaneità sanno far rendere più che mille accortezze tecniche e di immagine.

Comunque la gara degli 800 metri di ieri ha fatto, purtroppo, passare in secondo piano la straordinaria prestazione Njiel Amos, giovane atleta del Botswana (ha 18 anni), che oltre a stabilire un tempo prestigioso 1"41"73 (guarda caso lo stesso tempo dello storico tempo del 1981 di Sebastian Coe) che rappresenta pur il terzo tempo assoluto di sempre, ha anche vinto la prima storica medaglia (di argento) per il Botswana alle Olimpiadi.


martedì 7 agosto 2012

7 agosto 1998: gli attentati a Nairobi e Dar El Salam

foto dalla rete
La mattina di quel 7 agosto 1998 è ricordata da molti. Alle ore 10.45, quasi simultaneamente, due autobombe esplosero nelle ambasciate statunitensi a Dar El Salam e Nairobi. In particolare a Nairobi l'esplosione fu molto forte e fu udita distintamente a decine di chilometri di distanza. I morti furono 213 e i feriti 4000. A Dar el Salam, dove l'esplosione fu "più leggera", i morti accertati furono 11 e i feriti 85. L'obiettivo erano le ambasciate americane nella giornata e nell'ora che ricordavano l'arrivo (ottavo anniversario) delle truppe statunitensi in Arabia Saudita durante la prima guerra del Golfo (7 agosto 1990).
Dei complessivi 224 morti, le vittime statunitensi furono 12, di cui due agenti della CIA.

L'attentato, rivendicato e subito attribuito alla rete terroristica Al-Qaeda di Bin Laden, è ancora oggi considerato dagli americani il peggior attacco contro gli interessi degli Stati Uniti, dopo l'11 settembre. Secondo alcuni gli attentati segnarono il passaggio del gruppo terroristico di Bin Laden ad una nuova forma di lotta che colpiva direttamente gli americani e che culminerà nell'attentato alle Torri dell'11 settembre. Naturalmente la scelta di Nairobi ha anche delle diverse implicazioni, è infatti da quella città, fedele agli americani, che gli Stati Uniti (e non solo) hanno gestito molte delle crisi africane (Somalia, genocidio del Ruanda, questione Sudan-Sud Sudan) e sotto molti aspetti perfino molte questioni strategiche e segrete che riguardavano il Medio-Oriente e l'antiterrorismo. In realtà se l'obiettivo degli attentatori era la politica estera americana, a morire furono esclusivamente innocenti africani.

foto dalla rete
La risposta americana non si fece attendere. Il 20 agosto l'amministrazione Clinton lanciò alcuni missili da crociera Cruise diretti verso una base di addestramento in Afghanistan (con lo scopo dichiarato di uccidere Bin Laden) e verso la fabbrica di farmaci Al Shifa alla periferia di Khartoum in Sudan (da dove Bin Laden era stato "espulso" solo 2 anni prima). La distruzione della grande industria farmaceutica sudanese (costruita nel 1992 anche con materiali americani e che produceva il 50% del fabbisogno farmaceutico sudanese) fu dettata dal sospetto - mai verificato - che si producessero anche armi chimiche. In realtà questa scelta- molto criticata da ogni parte del mondo - fu solo una prova di forza che l'amministrazione Clinton volle intraprendere. Le Nazioni Unite, come spesso è accaduto, non ebbero alcun ruolo, se non una risoluzione di condanna per le bombe alle ambasciate (1189), ma nulla fu detto sulla distruzione della fabbrica di medicinali, che aggravò la già precaria situazione sanitaria del Sudan.

Gli Stati Uniti inserirono un ventina di persone nella lista dei sospetti (alcune furono subito imprigionate). Nel 2001 una sentenza condannò al carcere a vita alcuni dei colpevoli.Altri sono ancora oggi ricercati (come l'egiziano Saif al Adel), mentre molti sono morti.

Nel suo libro Guerra alla verità (Fazi, 2002), l'analista politico di origine bangladese, Nefeez Mosaddeq Ahmed, racconta di come nonostante alti funzionari americani segnalavano l'ambasciata di Nairobi come un edificio insicuro e a rischio e ne chiedessero l'aumento della sicurezza fin dal 1996, furono totalmente ignorati dal Dipartimento di Stato americano.

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martedì 31 luglio 2012

Cinema: African Cats

African Cats- Il regno del coraggio è un film-documentario girato da Keith Scholey e Alastair Fothergill ed  uscito nel 2011, distribuito dalla Disneynature. Si tratta di un documentario, girato nella Riserva Naturale del Masai Mara in Kenya, e che segue le avventure di un branco di leoni e una famiglia di ghepardi, alle prese con i quotidiani problemi di sopravvivenza.
Il film, girato tutto all'aperto e senza attori (nemmeno quelli animali), è di fatto uno straordinario documentario sulla vita nella savana, poichè, pur focalizzandosi su questi due gruppi di animali (leoni e ghepardi) gli incontri quotidiani con gazzelle, elefanti, struzzi, coccodrilli e innumerevoli altri abitanti del Masai Mara, lo rendono  un viaggio meraviglioso tra uno dei luoghi più incantevoli dell'Africa.
Le immagini sono di stupefacente bellezza e a tratti emozionanti. I registi, esperti documentaristi e zoologi, hanno impiegato oltre un anno per mettere insieme un prodotto di grande qualità, capace di appassionare grandi e piccoli.




Dopo aver seguito le peripezie di Sita, la coraggiosa mamma ghepardo che grazie ai suoi sforzi, al coraggio e alla destrezza, riuscirà a far crescere tre dei suoi cinque cuccioli, sarà impossibile non appassionarsi a questo stupefacente felino. Così come, dopo aver visto la fierezza del leone Fang - pur con il suo dente spezzato - e soprattutto la forza di mamma Layla che riuscirà a far vivere la figlia Mara, sarà difficile non percepire la straordinaria potenza del gruppo.
Un documentario capace di stimolare le nostre corde più sensibili, quelle della forza, dell'attaccamento alla vita e del coraggio, ma al tempo stesso di comunicarci tutta la bellezza e la poesia di una terra che ancora ha dei luoghi dove il protagonista non è l'uomo.
Nella versione americana la voce narrante è dell'attore Samuel L. Jackson, in quella italiana è quella, invecchiata e un po' roca, di Claudia Cardinale.

Un film ideale anche per i bambini, purchè gli adulti li aiutino nei momenti di maggior tensione.

Ecco il sito ufficiale del film

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mercoledì 23 maggio 2012

Popoli d'Africa: Turkana

I Turkana sono un popolo di origine nilotica che vive nel nord-est del Kenya, in una zona arida, nei pressi del Lago Turkana (un tempo chiamato Lago Rodolfo). Si ritiene che siano giunti in quest'area migrando dall'est dell'Uganda. Le ultime stime raccontano di circa 850 mila persone (circa il 2,5% della popolazione del Kenya), sebbene altre dicono 450 mila. Solo la loro indole fiera e forte gli ha permesso di continuare a vivere in questi luoghi alquanto inospitali.  Vivono a stretto contatto con altri gruppi etnici della zona, come i Pokot, i Rendile, i Samburu, i Karimojong e i Toposa. Parlano una lingua nilotica orientale chiamata turkana e sono animisti, sebbene negli ultimi anni hanno conosciuto una lenta convensione al cristianesimo.
Tradizionalmente sono pastori semi-nomadi, allevano principalmente cammelli, pecore, capre e asini. Inoltre allevano gli zebù, per cui sono anche chiamati il "popolo del bue grigio".
Capanna Turkana
Si alimentano essenzialmente di latte, carne e sangue frutto dei loro allevamenti (sebbene la carne di zebù sia mangiata solo in occasioni particolari) e di frutti selvatici raccolti dalle donne. Inoltre scambiano i loro prodotti con i loro vicini in cambio di mais e vegetali.
Pur vivendo vicino al lago Turkana, essi hanno sempre ritenuto la pesca un tabù e solo recentemente, anche grazie a dei progetti di sviluppo, hanno iniziato ad intraprendere, con molta diffidenza, tale attività.
Sono tradizionalmente poligami (usano il bestiame come scambio nuziale) mentre il numero delle collane intorno al collo, rappresentano un segno di ricchezza.
Costruiscono delle capanne a forma di botte, con rami spinosi intrecciati e con foglie di palma a formarne il tetto (recentemente sono stati inseriti anche altri materiali, come la plastica).
Sono inoltre conosciuti per la produzione di ceste ad intreccio.

I Turkana sono coinvolti nella lotta contro la minaccia di un lento prosciugamento del Lago Turkana. Infatti, poco più in là, in Etiopia, il governo stà costruendo una enorme diga (Gibe 3), alta 243 metri, sul fiume Omo. L'Omo è uno (il maggiore) dei tre immissari del lago (gli altri due sono il Turkwell e il Keria). Il Lago Turkana, che ha una superficie di 6500 chilometri quadrati, non ha emissari (è un bacino chiuso), bensì l'acqua esce per evaporazione.
La diga sull'Omo ridurrà notevolmente la portata di acqua con innegabili conseguenze sulla dinamica idrica del lago e ne altererà l' equilibrio salino. Secondo alcuni la scarsità d'acqua derivata dalla diga (che si sommerà alle peridiche siccità) renderà la vita dei Turkana e degli altri gruppi etnici del lago, più difficile, innescando anche conflitti per il controllo delle risorse idriche.

Ecco un link con un'ampia galleria di foto sui Turkana, o un'altro con altrettanto belle immagini.

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giovedì 29 marzo 2012

Popoli d'Africa: Luo

I Luo (chiamati anche Joluo o Lwo) sono un gruppo etnico dell'Africa Orientale. Vivono in Kenya dove sono il terzo gruppo etnico (dopo i Kikuyu e i Luhya, con circa il 12-13% della popolazione), in Uganda (nell'est), in Tanzania (nel nord) e in piccoli gruppi in Sud Sudan e nella R.D. del Congo.
Complessivamente si stima siano un numero vicino ai 4,5 milioni le persone di etnia Luo, di cui circa 3,2 milioni in Kenya.
Parlano una lingua nilotica, che in Kenya è chiamata Dholuo, che è condivisa anche da altri popoli dell'area che hanno adottato la loro lingua.
Oggi sono per lo più cristiani, sebbene permangono, nelle aree rurali, ancora tradizioni e antichi riti religiosi.
Secondo gli storici i Luo abitavano l'area che è oggi è il Sud Sudan fin dal 3000 A.C., iniziando poi verso il XIII secolo una discesa verso Sud (sebbene alcuni studi parlano di una prima migrazione già a partire dal 1500 A.C.) fino agli attuali luoghi di penetrazione. Secondo gli stessi studi, i Shilluk, oggi piccolo gruppo etnico del Sudan, hanno origine da questa migrazione dei Luo e con cui condividono le origini.
Tradizionalmente sono pastori nomadi, divenuti poi agricoltori e pescatori delle acque del Lago Vittoria. Sono, per intenderci, i pescatori del Pesce Persico del Nilo, conosciuto nei nostri banchi del pesce (viene esportato in grandi quantità verso l' Europa) e che è alla base del film-documentario del 2004 dell'austriaco Hubert Sauper, L'incubo di Darwin.

La mappa dei popoli del Kenya
I Luo ebbero contatti tardivi con i coloni inglesi e successivamente stabilirono rapporti con essi non conflittuali (grazie anche al fatto che gli inglesi non occuparono mai le loro terre). Ancora oggi, ad esempio, l'elite Luo (molto influente in politica ed in economia) vengono ritenuti dei corretti padroni delle lingua inglese. Infatti, pur annotando tra i fautori dell'indipendenza membri dell'etnia Luo, essi non aderirono mai, se non in forma residuale e al contrario dei Kikuyu, a movimenti radicali quali i Mau Mau. A seguito dell'indipendenza avvenuta nel 1963, il leader luo Oginga Odinga (1911-1994), divenne vice-presidente di Yomo Kenyatta, ma contrasti tra i due crearono una spaccatura, avvvenuta nel 1966, che marginalizzarono politicamente l'etnia Luo (Odinga fu arrestato nel 1969 e dopo la morte di Kenyatta, avvenuta nel 1978, egli andò in contrasto anche con il nuovo Presidente Arap Moi e nel 1982 fu nuovo arrestato per tentato golpe). Il figlio Raila Odinga è divenuto Primo Ministro il 17 aprile 2008, sotto la presidenza di Mwai Kibaki. Ancora oggi le rivalità tra i due gruppi etnici, che necessariamente si mescolano con rivalità politiche e con il controllo economico del paese, costituiscono un serio problema che, tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 (a seguito della rielezione di Kibaki), è sfociato in sanguinosi scontri.

Nelle tradizione del popolo Luo erano previsti complessi riti di iniziazione (molti dei quali oggi abbandonati) che ad esempio prevedevano la rimozione di alcuni denti inferiori e che, contrariamente ad altre etnie vicine, non contemplavano la circoncisione.
Inoltre vi era un obbligo dei fratelli di prendere in moglie la vedova dei loro congiunti eventualmente defunti.
Vivono in clan con una struttura sociale patrilineare. Come avviene per ogni popolo africano, non mancano rituali in cui la danza, con costumi risalenti alla tradizione e la musica (con percussioni, strumenti a corda tipo lira e flauti) sono al centro delle cerimonie. Ai Luo si deve anche la nascita, tra gli anni '40 e gli anni '60, di uno stile musicale, chiamato benga, suonato con il nyatiti (una sorta di lira e 5 corde) e cantato in Dholuo, Swahili e Inglese.

Un giovane Barak Obama con la nonna paterna di etnia Luo
L'etnia Luo è anche stata conosciuta nel mondo poichè è il gruppo etnico da cui discende la famiglia (per linea paterna) dell'attuale presidente degli Stati Uniti d'America, Barak Obama.




Tra gli approfondimenti possibili sui Luo, vi è questo libro di Daniela Chiapperini, Luo del Kenya (Stilo, 2011)

 
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giovedì 2 febbraio 2012

Popoli d'Africa: Kikuyu

I Kikuyu (anche Gikuyu) sono il gruppo etnico più numeroso del Kenya e vivono (sono circa 5,5 milioni di individui) nell'altopiano centrale del paese dove sono migrati oltre 4 secoli or sono. Parlano la lingua kikuyu, ritenuta una delle più antiche lingue della famiglia bantu. Per tradizione sono agricoltori ed allevatori.
Hanno sempre avuto un legame molto solido con le loro terre che hanno difeso dagli altri gruppi etnici in particolare dai Masai, con cui hanno un rapporto conflittuale sebbene caratterizzato anche da frequenti matrimoni misti. Successivamente i Kikuyu furono uno dei gruppi etnici più ostili al colonialismo.


Hanno un sistema di credenze tradizionali religiose in cui esiste un solo Dio chiamato Ngai e che vive sul Monte Kenya (che essi chiamano Montagna della bianchezza o della Luce). Egli creò il mondo. La tradizione racconta poi del suo rapporto con un uomo chiamato Kikuyu a cui egli diede una moglie, Mumbi, i due ebbero nove figli e fondarono la "stirpe dei Kikuyu".
La struttura sociale è organizzata tradizionalmente attraverso la discendenza familiare patrilineare esogamica e una rigida divisione per classi di età e di sesso (denominata riika). Il potere è nelle mani di un sistema di assemblee (kiama) di diversi livelli che garantiscono il principio della "decisione collettiva" di tutte le scelte importanti.
Numerosi sono i riti tradizionali che i Kikuyu organizzano a sottolineare il passaggio in classi di età (sottopongono i giovani a circoncisione e purtroppo ancora le bambine alla clitoridectomia). Sono poligami.


Il grande conflitto con le potenze coloniali si verificò proprio sulle questione delle terre, a cui i Kikuyu sono molto legati (i giuramenti vengono praticati utilizzando una manciata di terra che sancisce l'impegno solenne), quando la politica coloniale portò all'esproprio dei terreni. La sollevazione si manifestò in vari modi, guidata dalla Kikuyu Central Association (KCA), nata nel 1920, e con l'appoggio alla lotta per l'indipendenza (il massimo fautore dell'indipendenza, nonchè primo presidente del Kenya, Yomo Kenyatta era di etnia Kikuyu e da tutti è considerato il padre della patria) e in particolare al movimento dei Mau Mau che nasce nel 1948, come braccio armato del Kenya Africa Union (KAU) guidato dallo stesso Kenyatta.
I Mau Mau che nascono in seno all'etnia kikuyu, si estendono poi ad altri gruppi etnici (Embu e Meru). La ribellione Mau Mau costrinse il governatore della colonia a dichiarare lo stato d'emergenza. La repressione contro i Mau Mau non si fece attendere e fino al 1955 i membri catturati ed i simpatizzanti furono torturati e internati in campi di concentramento. Lo stesso Kenyatta fu arrestato e condannato nel 1953 ai lavori forzati. 
dal sito The Africa Image Librery
La storia dei Mau Mau si conluse nel 1957 quando l'ultimo vero capo militare, Dedan Kimathi fu impiccato dagli inglesi. Il bilancio di nemmeno un decennio di lotte è stato di oltre 10 mila guerriglieri Mau Mau uccisi, 1068 giustiziati e 333 vittime tra gli inglesi. Kenyatta, liberato nel 1959, divenne primo ministro e successivamente Presidente della neonata Repubblica a seguito dell'indipendenza conquistata il 12 dicembre 1963. Restò in carica fino alla sua morte avvenuta il 22 agosto 1978. Kenyatta tra le tante cose è autore di un libro sulla cultura Kikuyu pubblicato in Italia nel 1977 da Jaca Book e intitolato "La montagna dello splendore".
Di etnia Kikuyu è anche l'attuale presidente del Kenya Mwai Kbaki e il premio Nobel per la Pace Wangari Maathai, scomparsa di recente.
Nel libro autobiografico la Mia Africa, Karen Blixen racconta il suo rapporto con questa etnia.



Sui Mau Mau vi posto questo interessantissimo approfondimento di Renzo Paternoster  su quelli che sono ritenuti i "grandi attori del risorgimento keniota"


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