martedì 24 settembre 2013

Oltre Nairobi

I drammatici fatti che si sono svolti a Nairobi (in parte ancora in corso), con l'attacco al centro commerciale Westgate (oltre 60 morti e quasi 200 feriti è il bilancio provvisorio), confermano, ancora una volta, la pericolosità di una paese come la Somalia, in un ambito geopolitico già molto compromesso ed instabile. Proprio alcuni giorni fa avevamo segnalato come, la presenza di "stati falliti" rappresenti un elemento di grande minaccia per l'intero pianeta.

foto dalla rete
Gli osservatori mondiali si sono soffermati a descrivere (eccone un ottimo esempio) chi sono questi "giovani" (Al Shabaab, significa appunto la gioventù) che dalla Somalia hanno pianificato un'azione complessa e precisa da un punto di vista militare.
Un gruppo nato in Somalia nel 2006 (quindi ben 12 anni dopo l'abbandono della Somalia) all'interno delle Corti Islamiche, di cui erano appunto il braccio armato (Harakat al-Shabbab Al--Mujahidin) e che a partire dall'ottobre 2011, ovvero quando le truppe del Kenya hanno affiancato i caschi blu dell'Unione Africana (AMISOM) e le truppe governative in Somalia (certamente non per ragioni umanitarie), hanno giurato la vendetta nei confronti del paese confinante.

Naturalmente le azioni di Al Shabbab (anche in Kenya) non sono nuove (vi riporto il link a questo post di Sancara del 2010) ed il gruppo, nonostante le sconfitte militari in patria, ad opera delle truppe etiopi e kenyote, si rafforza grazie anche agli appoggi esterni (paesi arabi e non solo) e all'adesione al movimento di molti stranieri della diaspora somala.

foto dalla rete
La questione centrale però, piaccia o no, resta la Somalia. Un paese che da oltre 20 anni è senza guida (nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale), che è stato abbandonato quasi da tutti e che proprio grazie a questa situazione (quasi unica nel pianeta) permette ai movimenti estremisti di proliferare e di crescere. Nei campi di addestramento del terrorismo nel nord-est della Somalia,  a Galgata (che gli analisti ritengono essere la nuova Tora Bora) i giovani si recano nella speranza di cambiare la loro vita che è già a livelli della semplice sopravvivenza. Pericolose illusioni che qualcuno fomenta. Il caos, la guerra, le ingiustizia, gli interesse reali (e quelli mascherati), l'indifferenza, l'assenza di uno stato, la mancanza di istruzione e la ricchezza del resto del mondo sono un brodo di coltura ottimale per l'integralismo. Questo vale in Palestina, in Iraq, in Afghanistan e ovunque nel mondo.

Bisogna essere realisti. Le alternative non sono molte. O si rilancia una nuova stagione di pace e di sviluppo (ove possibile), che porti a ridurre la miseria e a creare istituzioni statali credibili, al fine di contenere l'attrazione delle giovani generazioni verso tutti gli "ismi", oppure continuiamo con l'attuale strategia: proteggersi sempre più nei propri paesi (gli Stati Uniti insegnano, dopo l'11 settembre) lasciando che i terroristi si "sfoghino" in territori che a noi interessano meno e dove i morti, per noi, valgono molto poco. E' crudele, certo, sicuramente.


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