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martedì 20 febbraio 2018

Il Lago Tana

Il Lago Tana, con una superficie di 3600 chilometri quadrati (circa 10 volte il lago di Garda), è lo specchio d'acqua più' grande dell'Etiopia. Fu esplorato per la prima volta intorno al 1600 durante il periodo in cui si recavano le sorgenti del Nilo. Inoltre la regione del lago è stato oggetto di approfonditi studi da parte del geografo italiano Giotto Dainelli, che tra il 1937 e il 1940 guidò una missione di esplorazione italiana. Da un punto di vista geografico è situato a circa 1800 metri d'altezza ed è l'origine del Nilo Azzurro, che poco dopo l'uscita dal lago genere delle magnifiche cascate, quelle del Nilo Azzurro o in aramaico Tissisat, con un salto di oltre 40 metri. Ha una forma a cuore con il punto di massima distanza di 84 chilometri. Lago di origine vulcanica poco profondo (massimo intorno ai 14 metri), al suo interno si trovano 37 isole (20 delle quali ospitanti monasteri copti), che assieme alle coste del Lago, rivestono una grande importanza storica per la cristianità. Infatti si trovano molti monumenti e chiese - alcune delle quali risalenti al XIII secolo e fino al XVII secolo. In particolare l'isoletta di Daga Estifanos ospita una comunità importante di monaci della chiesa ortodossa etiope e un monastero aperto solo agli uomini (nemmeno le femmine di animali possono accedere all'isola).
Nel 2015 è stato inserito, per il suo valore culturale, storico, religioso e naturale, all'interno delle Riserve della Biosfera dall'UNESCO.
Infatti accanto all'estremo valore in termini di biodiversità, il lago offre anche una grande occasione per la produzione agricola (caffè e limoni, in particolare) e per la pesca. Pesca praticata con le tipiche imbarcazioni di papiro intrecciata, chiamate tankwa. 
La Riserva comprende, secondo le definizioni del programma Man and Biosphere Programme un'area di 695.885 ettari, di cui 22.841 di core area (ovvero quella parte di riserva integrale), 187.567 di buffer area e 485.477 di transition area. Intorno al Lago Tana ruota la vita di circa due milioni di persone.
Il lago è inoltre un luogo di grande presenza di specie di uccelli, alcuni in via di estinzione. Oggi il lago è in grande sofferenza a causa della pressione antropica su di esso. In un paese in forte crescita demografica e con luoghi di grande siccità e carestia il lago rischia di veder compromesse le sue funzioni di "fonte di vita" per gli uomini. Ad esempio è forte la preoccupazione dell 'ONG  NABU (Nature and Biodiversity Conservation Unit) per l'invasione del giacinto d'acqua (Eichhornia crassipes)
Il punto di partenza per la visita dell'intera area è la città di Bahir Dar che dista circa 40 chilometri dal lago.

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

mercoledì 27 aprile 2016

Land Grabbing: l'Etiopia ci ripensa?

La notizia, destinata a far discutere, è rimbalzata, attraverso l'agenzia di stampa Reuters, su Nigrizia, l'organo di informazione delle missioni Comboniane e per ora non è stata ripresa da nessun organo di informazione maggiore.
L'Etiopia, da anni "aveva messo sul mercato" ettari e ettari di terreno da dare in affitto, concessione o vendita ad investitori stranieri. Il fenomeno (che vede protagonisti altri paesi del mondo, non solo in Africa), nato alla fine degli anni '90 e ingigantitosi dopo la crisi del 2008, era stato subito chiamato Land Grabbing (letteralmente afferrare, rapinare la terra), vedeva coinvolti da una parte paesi poveri, con terre fertili incolte, bisognosi di fare cassa e dall'altra paesi e multinazionali bisognosi di terre fertili da sfruttare.
Due erano i canali principali di sfruttamento della terra: la necessità di "orti/campi" per il fabbisogno interno (in particolare nei paesi del Golfo Arabico) o di terreni per coltivare piante per ricavarne bio-carburanti. Spesso, come nel caso dell'olio di palma, le due cose erano combinate.
La questione ha creato grandi proteste di ambientalisti e popolazioni locali. In primo luogo perchè le terre incolte erano in realtà occupate da tribù nomadi o da contadini che in questo modo venivano private delle loro sussistenza e in secondo luogo perchè questo moderno neo-colonialismo rischiava di avere un impatto negativo sulla vita sociale ed economica dei paesi.
Le stime parlano di oltre 15 milioni di ettari (ovvero un territorio vasto come la Tunisia), nella sola Africa, dati in concessione, con quasi 500 contratti firmati. 
Gli organismi internazionali, più volte chiamati in causa, non sono stati capaci di assumere decisioni in tal senso (come la richiesta di una moratoria) e spesso si sono schierati (come è il caso della Banca Mondiale) a favore di speculatori e multinazionali. Oggi i "proprietari terrieri a casa d'altri" sono, in ordine di terre possedute, Stati Uniti, Malaysia, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Canada, India, Russia, Arabia Saudita e Cina.
La novità è che, il governo Etiope ha deciso autonomamente di sospendere a tempo indeterminato la vendita di terre. Il motivo è che solo il 30% delle terre vendute o affittate sono oggi coltivate e che lo sviluppo auspicato delle aree (su cui il governo aveva sperato) non si è verificato. L'effetto sulla macroeconomia e sull'occupazione è inesistente.
Insomma, come qualche visionario aveva anticipato, la rapina delle terre non corrispondeva a occupazione, sviluppo o emancipazione (come i governi volevano far credere) ma, a mera speculazione da usare a piacimento e all'occorrenza. La sospensione giunge poi in un momento in cui l'Etiopia attraversa l'ennesima grave crisi alimentare dove a fronte del fatto che risulta difficile sfamare 10 milioni di persone, vi è un'enorme quantità di terra fertile inutilizzata. 
E' presto per capire la portata di questa decisione, che potrebbe essere la chiave di volta verso un diverso modo di approcciare al problema o semplicemente una bolla di sapone che si dissolve con un piccolo ritocco al prezzo (oggi irrisorio, dai 20 ai 150 birr per ettaro, ovvero 0,80-6 euro) delle concessioni.

Per saperne di più vi fornisco il link alla raccolta di tutti i post apparsi su Sancara in merito al Land Grabbing. 

Vi segnalo inolte l'inmminente uscita (in autunno) del libro Land Inc ,
un viaggio fotografico tra le terre oggetto di Land Grabbing curato dalla giornalista Cecile Cazenave, dal collettivo TerraProject e l'agenzia Picture Tank.

martedì 22 marzo 2016

Giornata Mondiale dell'Acqua e la diga Gibe

Il 22 marzo è, dal 1993, la giornata mondiale in cui si celebra l'acqua. Sembrerebbe un apparente paradosso celebrare una sostanza, come l'acqua, di cui il nostro pianeta abbonda. In realtà, sappiamo che non è così. La scarsa quantità di acqua dolce e potabile, la distribuzione non uniforme nel pianeta e l'intervento dell'uomo rendono, in alcuni luoghi, l'acqua inaccessibile. Le agenzie internazionali stimano in oltre 750 milioni le persone che non hanno accesso all'acqua potabile. Numeri che fanno spavento. Così come si stima che oltre il 75% delle malattie in Africa sono dovute alla contaminazione biologica dell'acqua.

foto dal blog  Geograficamente
Affermare che l'acqua è un diritto è un dovere per tutti noi (nonostante alcune buone intenzioni le Nazioni Unite non sono riuscite ad affermare ancora questo principio, ostaggio di chi l'acqua la vende e ci guadagna).

Quest'anno le Nazioni Unite dedicano un approfondimento all'acqua come fonte di lavoro per raccoglierla, trasportarla, venderla e distribuirla.Un lavoro che per alcuni rappresenta una necessità per la sopravvivenza poichè il solo atto di procurarsi l'acqua necessaria per la vita costituisce un impegno massacrante e quotidiano.

Nel primo anno di vita Sancara dedicò la Giornata Mondiale dell'Acqua raccontando la storia del Lago Ciad, un lago endoreico che è stato quasi completamente prosciugato dall'intervento dell'uomo. Quest'anno andiamo a vedere un altro scenario africano che rischia di trasformarsi in una catastrofe umanitaria.

La storia di Gibe III, una colossale diga in cemento armato costruita dalla ditta italiana Salini-Impregilo sul fiume Omo è una storia relativamente recente.  L'appalto dell'Ethiopian Electric and Power Corporation è stato "vinto" nel luglio 2006 dalla ditta italiana che si aggiudicata  a trattativa diretta la somma di 1470 milioni di euro (di cui una parte frutto della Cooperazione internazionale italiana e una parte da parte di banche commerciali cinesi) per un opera in cui molte sono le perplessità sull'impatto ambientale (assolutamente poco studiato nella fase di progettazione) sul sistema delle piene del fiume Omo e sul grande bacino del lago Turkana (dove si riversa il fiume). Il grande progetto delle dighe sul fiume è iniziato nel 1988 con la costruzione di Gibe 1 e prevede ancora un altro step chiamato Gibe 4.
La diga, che con i suoi 246 metri d'altezza, rappresenta la più grande d'Africa pur terminata ufficialmente nel giugno 2015 si stima abbia bisogno di tre anni per entrare nel pieno delle sue funzioni: ovvero il riempimento dell'enorme bacino artificiale e la produzione a regime, attraverso 10 turbine da 1870 MW complessivi, di 6500 Gwh/annui
Gli esperti, e qui vengono le note dolenti, stimano che il flusso del fiume Omo sarà ridotto del 70% e che il livello medio del lago Turkana si abbasserà di circa 6 metri (che per un lago che ha una profondità massima di 31 metri, rappresenta un'enormità). 
Quello che a tutti non è ben chiaro è che lungo il fiume, nella valle dell'Omo e del Lago Turkana vivono oltre 500 mila persone, appartenenti a gruppi etnici che ancora hanno un forte legame e dipendono dalla natura e dal suo corso. Popolazioni che rappresentano la storia non solo dell'Etiopia e dell'Africa ma, quella più in generale del nostro mondo. Luoghi in cui, con ogni evidenza, è iniziata la nostra cività. Sono anche luoghi con una grande biodiversità ed un equilibrio già fragile.
Queste popolazioni (tra cui Mursi, Daasanach, Bodi, Karo e Kwego) , isolate e non in grado di tutelarsi da sole, rischiano la vita nel silenzio del mondo.
Tra le organizzazioni non governative che maggiormente si sono battute, e continuano a farlo, per il diritto dei popoli della Valle dell'Omo vi segnalo International Rivers e Survival International quest'ultima recentemente ha anche denunciato la ditta costruttrice colpevole di non aver tenuto contodei rischi ambientali, di averli sottovalutati e di aver fornito, in tutti questi anni false rassicurazioni alle popolazioni. Ma assieme a loro altri hanno alzato la voce.

Insomma nel mondo, per fortuna, c'è ancora chi è disposto a lottare perchè il futuro sia diverso. Perchè diritti e l'ambiente non sia sacrificati al Dio denaro, perchè i patrimoni anche umani, che hanno fatto la nostra civiltà, non siano abbandonati e ignorati. 

Ben vengano dunque le giornate volute per riflettere, ma che esse siano solo il punto di partenza di una nuova idee per il nostro futuro.

Ecco il link all'UN Water Day 

Lo scorso anno, in occasione del Water Day, Sancara pubblicò una raccolta di post sul tema dell'acqua apparsi su questo blog. Vi ripropongo il link, per chi vuole approfondire.

lunedì 15 febbraio 2016

Una storia infinita

foto da www.wfp.org
La storia si ripete. Come sempre con la sua drammaticità e con un prezzo, in termine di vite umane, sempre più alto. Come sempre è ancora emergenza. Nulla di nuovo, si direbbe.
In Etiopia si affronta l'ennesima siccità (sebbene l'area interessata si estende ai paesi vicini e in primo luogo a quelli più martoriati  dalle guerre come la Somalia e il Sud Sudan). Secondo gli esperti la più grave degli ultimi 65 anni.  Anche questo sembra un ritornello già sentito. Oltre 10 milioni di persone colpite (su di una popolazione totale di oltre 90 milioni di persone), che senza un intervento deciso, rischiano di non arrivare a fine anno. La produzione agricola (unica sussistenza per intere popolazioni) è scesa del 50% ed in alcune zone perfino del 90%.
Se non fosse che la stessa cosa è capitata negli anni '70, poi negli anni '80, poi nel 2000, poi nel 2008 e infine nel 2011 potrebbe sembrare perfino una vera ed imprevedibile emergenza.
Di emergenza - purtroppo non c'è nulla - se non il rischio della vita di milioni di poveri disperati che non interessano a nessuno.
Qualche giorno fa, rileggendo quanto scritto nel 2011, ho pensato che avrei potuto ripubblicare lo stesso post, cambiando la data, senza rischiare di essere fuori tema o di non centrare l'attualità. La cosa, non mi ha reso felice.
Da decenni continuiamo ciclicamente ad assistere alle stesse scene. A pubblicare le stesse foto di donne e bambini ridotti all'osso e a chiedere uno sforzo straordinario - in termini di carità - a tutti per l'ennesima emergenza e per scongiurare solo l'ultima delle tragedie.
Nel mezzo, tra una emergenza e un'altra, poco o nulla. Nessun intervento sui governi (che hanno grandi responsabilità), nessun intervento sulle multinazionali che sfruttano il suolo, nessun intervento sulle deviazioni dei corsi d'acqua, nessun intervento sulle infrastrutture, nessun intervento sulle speculazioni finanziarie in merito alle derrate alimentari, nessun intervento sulle guerre che generano movimenti incontrollati delle popolazioni. Niente o quasi.
Di contro la costante è sempre la colpa di una natura (indagato numero uno è El Nino che ha ridotto quasi a zero le piogge) che si incattivisce sempre sugli ultimi.
Che il cambiamento climatico abbia un impatto devastante sulle deboli economie rurali di alcuni luoghi del pianeta, è fuori dubbio. Quello che è inaccettabile è l'assenza di politiche e finanziamenti certi allo sviluppo.  In particolare appare insensata la non politica sul sistema di tassazione delle imprese multinazionali. Dallo sfruttamento intensivo della terra - ad opere delle grandi industri agro-alimentari - deriva l'altra faccia del problema che porta allo stremo le popolazioni rurali. Oggi le organizzazioni internazionali sostengono che servono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla situazione dell'Etiopia, una cifra per ora raggiunta solo per un terzo.
Come avviene sempre in queste drammatiche circostanze, sono le categorie più deboli a pagare il prezzo più alto. In primo luogo i bambini, che secondo Save the Children sono più della metà dei colpiti dalla carestia. I bambini pagano un enorme contributo in termine di vite umane e di malattie (sono oltre mezzo milione i bambini già colpiti da grave malnutrizione).
Bisogna anche sottolineare come l'aggravarsi della situazione idrica nelle aree rurali costringe interri popoli a migrare verso le città o verso i campi profughi. Alla periferia di Addis Abeba o nei mostruosi campi profughi Oggi  la vita è, se possibile, anche peggio.
foto da Internazionale
La sensazione (e molto più) è che di queste persone non importa sostanzialmente a nessuno. Spesso sono gruppi etnici che hanno vissuto per secoli in un rapporto, quasi simbiotico, con una natura che non è mai stata generosa e con la quale hanno saputo convivere e rispettare. Oggi gli interventi esterni hanno modificato i rapporti e stanno rendendo quelle aree del pianeta invivibili. 
Inutile dire che in quei luoghi stanno sparendo culture tradizionali che erano sopravvissute a secoli e alla modernizzazione ed erano arrivate a noi ancora integre nella loro complessità.

Si possono seguire gli sviluppi di questo ennesimo dramma dai siti della FAO e del World Food Programme, che assieme a molte ONG, grandi e piccole, sono in prima linea nell'affrontare una situazione sempre più complicata.

mercoledì 21 gennaio 2015

Riserva della Biosfera Sheka

La Riserva della Biosfera Sheka, è un'area di oltre 238 mila ettari di foresta tropicale che si trova nel sud-ovest dell'Etiopia. E' una delle ultime foreste tropicali presenti nel suolo etiopico. 
Nell'area della riserva sono inclusi oltre alla foresta e boschi di bambù, anche zone umide, pianure, insediamenti agricoli, piccoli villaggi e città. Vi sono quasi una settantina di cascate, 13 siti storici e sacri, una quarantina di fritte storiche e molto altro. Insomma tutto quello che la definizione di Riserva della Biosfera prevede, con la necessità di integrare la salvaguardia della biosfera con gli abitati umani. Infatti alla zona di riserva integrale (core area, circa 55 mila ettari) si aggiungono altri 76 mila ettari di buffer area (con insediamenti eco-compatibili e sostenibili, legati al ciclo della foresta) e infine altri 107 mila ettari di zona di transizione. E' un'area anche ricca di specie animali e vegetali, in particolare si ritrovano 300 specie di alberi ad alto fusto, 50 specie di mammiferi e 20 di anfibi, oltre che 200 specie di uccelli. Tra di essi vi sono 8 specie animali a rischio (tra cui 5 specie di uccelli) e 30 specie vegetali a rischio estinzione.

Nel luglio 2012 Sheka è stata inserita all'interno della lista delle Riserve della Biosfera all'interno del programma Man and Biosphere (MAB) dell'UNESCO. Facendo diventare così tre le riserve dell'Etiopia inserite in questo lista.

La comunità locale, composta da diverse etnie, tra cui spiccano i Shekacho, i Saffico e gli Amhara è molto attiva e impegnata nel mantenere l'integrità della zona.
Tra gli usi più tradizionali che le popolazioni fanno della riserva vi è quello di ricavare miele, legna da ardere e per le costruzioni, coltivare cardamomo e ricavarne erbe medicinali.


Ecco la scheda della candidatura a Riserva della Biosfera

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserva della Biosfera in Africa

lunedì 20 ottobre 2014

Qat, la droga del Corno d'Africa

Il Qat (o Khat) è un arbusto (alto 1-3 metri) originario del Corno d'Africa (probabilmente l'Etiopia) le cui foglie vengono masticate per gli effetti eccitanti, in Etiopia, Somalia, Sudan, Eritrea, Kenya, Ruanda e Zambia, oltre che nella penisola araba (Yemen e Arabia Saudita in particolare).
Il suo nome scientifico è Catha edulis ed il suo uso è descritto fin dal XIV secolo. Gli alcaloidi contenuti nelle foglie fresche (cathina e cathionone) hanno un effetto psicotropo descritto come simile all'anfetamine (seppure ridotto nella sua intensità) che essenzialmente si traduce in aumento dell'euforia e dell'eccitamento e nella diminuzione del senso della fatica, del dolore, della stanchezza e della fame.
I principi attivi sono massimi entro 48 ore dalla raccolta delle foglie e degradano in modo quasi definitivo dopo 3-4 giorni dalla raccolta. Questo è il principale motivo della scarsa (per ora) diffusione di questa droga nelle società europee. Sebbene oggi per giungere nelle capitali europee, dai campi, possono trascorrere solo 16 ore, il grosso del commercio rimane nel Corno d'Africa.
L'uso del qat ha risvestito e riveste una grande funzione sociale. Il suo uso ha aiutato poeti e scrittori ad ispirarsi e religiosi e devoti ad unirsi al divino. E' poi divenuto un consumo indispensabile durante il lungo e duro lavoro nei campi. Ancora oggi, sebbene le situazioni siano cambiate di molto, i masticatori di qat (quasi tutti maschi, sebbene siano le donne a venderla nie mercati), il cui bolo viene tenuto in bocca per lungo tempo e infine sputato, si radunano in gruppi e condividono l'esperienza di euforia.
Da un punto di vista strettamente economico il qat ha avuto un vero e proprio boom negli anni '90, quando al calare del prezzo del caffè (coltivato sugli altopiani etiopici) i coltivatori hanno optato per la più preziosa Catha edulis (viene pagata di più, ha minor bisogno di acqua e necessita di minor lavoro). Oggi è la maggior produzione agricola dell'Etiopia, in concorrenza nel mercato delle esportazioni con il caffè.
Come avviene in tutte queste storie sono le organizzazioni criminali che si sono impadronite del mercato verso l'esterno del Paese e che ne ricavano i grandi guadagni.
Nel 1980 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito le foglie della Catha edulis nella lista delle sostanze stupefacenti.

L'uso di questa pianta ha così superato le barriere della ritualità e delle tradizioni, per approdare nella melma, svestita di ogni legame con il passato, del mercato delle droghe e dei suoi grandi guadagni.

Ecco il link ad un'inchiesta svolta da Repubblica nel 2013

lunedì 18 agosto 2014

Popoli d'Africa: Nuer

I Nuer (chiamati anche Naath) sono un'insieme di tribù (qualcuno li definisce impropriamente una confederazione di tribu), che oggi assommano a circa 3 milioni di individui e che vivono prevalentemente nel Sud Sudan con alcuni priccoli gruppi in Etiopia.

Sono pastori semi-nomadi organizzati in gruppi indipendenti e privi di figure leader (capi) che popolano le sponde dell'alto Nilo e che vivono tra giugno e ottobre (durante la stagione delle piogge) in villaggi sopraelevati e che, a partire da novembre, scendono verso valle seguendo le mandrie di bovini e ovini. Durante la stagione "a valle" coltivano anche mais, fagioli e tabacco e si dedicano alla pesca.

Stando agli storici essi sono giunti nell'attuale area intorno al XVIII secolo.

La cultura, le tradizioni e le abitudini dei Nuer sono ben conosciute grazie al lungo lavoro dell'antropologo inglese Edward Evan Evans-Pritchard, che negli anni trenta dedicò un'ampia parte della suoi studi e della sua vita a questo popolo da lui definito fiero e anarchico. Nel 1940 pubblicò un testo che è ancora oggi ritenuto un "capolavoro antropologico" che nel 2012 è giunto, in Italia, alla sua 12° edizione (I Nuer: un'anarchia ordinata), pubblicato da Franco Angeli.

Dei Nuer si evidenzia lo stretto legame, economico e culturale, con il proprio bestiame il quale accompagna l'intera esistenza di questo popolo ed in particolare le dinamiche che stanno attorno al matrimonio. Il bestiame si configura quindi come una sorta di identità culturale, per cui si vive e si combatte (molti dei frequenti scontri tra loro o con i  vicini hanno origine dal bestiame). Tale legame secondo alcuni recenti osservatori è stato fortemente intaccato dagli eventi bellici che hanno accompagnato il Sudan per tutto il secolo scorso, al punto tale che si è ipotizzato una sostituzione simbolica e non solo, del ruolo dei bovini con quello delle armi. Del resto l'impatto di oltre 50 anni di guerra è stato devastante: oltre a minare le basi culturali ha creato una diaspora di rifugiati che oggi si trovano in Kenya, negli Stati Uniti e in Australia.

Una particolarità ha sempre colpito nei Nuer è la possibilitità del matrimonio tra due donne, fatto alquanto insolito. Le donne possono sposarsi tra di loro e decidere chi diviene, all'interno della coppia, il padre. Vi è poi un terzo soggetto maschio (in genere un amico o un vicino) a cui è relegato il ruolo di padre biologico, ovvero colui che permette alla coppia di poter avere dei figli.

I Nuer utilizzano la scarificazione facciale, chiamata gaar, che rappresenta una segno di iniziazione e che distingue ogni sottogruppo. Per i maschi il raggiungimento dell'età adulta è posta intorno ai 16 anni, mentre per le donne è tra i 12 e i 13 anni.

I Nuer, estremamente religiosi, hanno subito poco l'influenza del cattolicesimo (solo una piccola parte si dichiara tale), mentre permane molto vivo il culto per gli antenati.

Per una approfondita trattazione vi rimando al blog Trip Down Memory Lane 
o al sito Nuer Online

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

mercoledì 30 luglio 2014

La Riserva della Biosfera di Yayu

La riserva della Biosfera di Yayu (The Yayu Coffee Forest Biosphere Reserve) si trova nella regione Oromia nel Sud-Ovest dell'Etiopia, 560 km a ovest di Addis Abeba, rappresenta una delle Riserve della Biosfera in cui è più intensa l'attività umana. All'interno della riserva, gli oltre 150 mila abitanti, producono 20 mila tonnellate di caffè (sulle circa 240 mila dell'Etiopia), della specie arabica di cui la riserva detiene il più alto numero di piante di caffè selvatico al mondo. L'ambiente della riserva, esteso su 167 mila ettari, è costituito da foreste vergini, da sistemi semiforestali e da altopiani fertili, che si trovano tra i 1000 e 2000 metri di altitudine.  Essa gioca un ruolo chiave nella conservazione naturale e culturale dell'intera regione. Inoltre grazie a siti archeologici, siti rituali e grotte riveste anche un importante valore storico, non ancora tutto riportato alla luce.
in verde le 5 core area della Riserva
La riserva è divenuta una Riserva della Biosfera tutelata dall'UNESCO nel 2010 e in accordo con le caratteristiche delle classificazioni del programma Man and Biosphere (MAB), lanciato nel 1971dall'UNESCO, si divide in una core area (in realtà a Yayu sono 5 zone distinte) di circa 27 mila ettari, che rappresenta la riserva integrale. Oltre 21 mila ettari di buffer area, dove sono previste attività produttive umane sostenibili con l'ambiente e infine 117 mila ettari di transition area dove si svolgono le principali attività produttive (coltivazione del caffè) e risiedono le popolazioni locali.
Non mancano nelle foreste mammiferi quali scimmie e babbuini, buffali, iene e jackal. Così come vi sono innumerevoli specie di uccelli (vi è un'area oggi classificata come birds reserve).
Il pericolo per la Riserva è costituita, quale novità, dall'uomo che distrugge gli habitat periferici soprattutto con gli incendi. Da anni due progetti tedeschi intervengono, con ricerca e azioni di conservazione, sulla tutela del patrimonio della pianta del caffè selvatica.

Sono in corso anche studi sulla produzione di energia elettrica dai resti della lavorazione del caffè.

Naturalmente i coltivatori locali di caffè sono l'ultimo anello di un sistema produttivo che li vede più vittime che artefici del loro duro lavoro. (vedi questo post di Sancara sul Caffè)

Vai alla Pagina di Sancara sulle Riserva della Biosfera in Africa 

venerdì 31 maggio 2013

Popoli d'Africa: Daasanach

foto dalla rete
I Daasanach (chiamati anche Dama, Merile o Geleb) sono un piccolo gruppo etnico che vive prevalentemente in Etiopia (circa 50 mila) intorno all'area bassa del fiume Omo, dove questo entra nel Lago Turkana (il loro nome significa appunto "popolo del delta"). Altri gruppi, meno numerosi, vivono in Kenya e Sud Sudan (altri 10 mila).
Originariamente questo popolo abitava le sponde del Lago Turkana, di cui l'Omo è immissario, (dove ancora oggi una parte di loro vive), per poi spostarsi verso nord alla ricerca di pascoli. Oggi è l'ultima (in senso geografico) etnia che vive lungo il fiume Omo e anche tra le più isolate e a rischio.
Per tradizione pastori nomadi, i Daasanach i sono lentamente trasformati in agricoltori (sorgo, mais e piselli, i loro principali raccolti), sfruttando il terreno semi-arido del loro habitat. Sono diventati anche abili pescatori e costruiscono
foto dalla rete
canoe ricavata da un tronco d'albero. L'habitat dove vivono è molto estremo: arido, con temperature oltre i 35 gradi, in zona malarica e, lungo il fiume, infestato dalla mosca tze-tze.
Il bestiame assume - come avviene spesso in Africa e non solo - un forte valore simbolico e rituale, mentre da esso si ricava oltre al latte e al cibo, anche il sangue (che viene bevuto) e quel poco abbigliamento che usano.

Hanno una complessa struttura sociale a discendenza patrilineare e articolata in classi di età (per cui sono previsti nella loro tradizione una serie di riti di passaggio)  divisa in otto sezioni territoriali (chiamati emeti), con grande autonomia sulle questioni interne, a loro volta suddivisi in massimo otto clan. I loro villaggi sono molto semplici, con abitazioni (capanne) ricavate tradizionalmente da tronchi e foglie, e recentemente da carta, plastica e lamiere.


I Daasanach hanno un elevato conflitto con i popoli vicini, in particolare con gli Hamar, i Nyangatom, i Turkana e i Gabra, per questioni relative ai pascoli, ma non solo (su questo tema vi segnalo questo saggio di Yntiso Gebre, dell'Universitòà di Berlino, proprio sui conflitti di questa area).

Le donne lavorano bellissime collina di perle colorato di cui amano adornarsi, assieme ad altre forme di ornamenti, di più recente introduzione, come ad esempio i tappi di bottiglie. 
Tra le donne di questa etnia è ancora purtroppo molto praticata, tra i 10 e i 12 anni, la clitoridectomia (una delle orrende mutilazioni genitali femminili), per cui donne che non l'hanno subita vengono considerate sullo stesso piano degli animali e non viene data loro la possibilità di sposarsi.

Come per molti popoli della valle dell'Omo questa etnia è soggetta, oltre alle carestie e ai rischi dovuti ai progetti invasivi (dighe) che si stanno portanto a termine (vedi scheda su Survival International), ad una forte attrazione da parte del turismo internazionale. Sicuramente "quell'alone di primitivo" che li circonda affascina, forse anche il seno nudo di belle e giovani donne deliziosamente ornate, contribuisce a questa "morbosa" attrazione. La rete offre infinite gallerie fotografiche.

Vi segnalo questa interessante racconto, anche fotografico, sul popolo Daasanach dal blog Trip Down Memory
Vi segnalo anche il blog The Angaza Project dove è possibile vedere alcuni filmati (documentari) sulla vita nella regione dei Dassanech

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

venerdì 1 marzo 2013

La chiesa ortodossa etiope elegge il suo sesto patriarca

La chiesa ortodossa etiope - comunemente chiamata Tewahedo (unitaria) - ha eletto ieri il suo sesto Patriarca. Dalla scomparsa di Abune Paulos, avvenuta il 16 agosto 2012, che era stato a capo della chiesa dal 1992, la più antica chiesa cristiana d'Africa (e l'unica autoctona e non importata, ovvero non è frutto dell'opera missionaria europea) era priva della sua guida.
L'elezione di Abune Mathias, già arcivescovo di Gerusalemme, pone fine ad un periodo di incertezza.


La chiesa ortodossa etiope, che oggi conta circa 50 milioni di fedeli, la maggior parte in Etiopia, vanta una storia antichissima che secondo alcuni inizia tra l'anno 40 e l'anno 50 (durante il regno di Axum), frutto di una sintesi tra la chiesa d'oriente e l'Africa. Fino al 1959 la Chiesa Ortodosso Etiope era legata giuridicamente alla chiesa copta egiziana. Dal 1959 è divenuta autocefala.
Tra i luoghi di culto e di pellegrinaggio vi sono le chiese rupestri di Lalibela

La chiesa ortodossa etiope è stata fortemente repressa durante la dura tirannia di Menghistu (1977-1991) - lo stesso attuale patriarca fu per quasi un trentennio in esilio.

Ecco un'approfondimento sulla storia della Chiesa Ortodossa Etiope

giovedì 31 gennaio 2013

Popoli d'Africa: Cunama

donna cunama, foto dalla rete
I Cunama, piccolo gruppo etnico chiamati anche Baza, sono ritenuti i più antichi abitanti, sin dall'epoca preistorica, dell'Eritrea. Oggi sono complessivamente circa 140 mila individui di cui 110 mila in Eritrea (costituiscono circa il 2% della popolazione), circa 20 mila in Sudan e altri 5 mila in Etiopia. In Eritrea essi occupano, dedicandosi soprattutto a pastorizia e agricoltura (hanno abbandonato quasi totalmente la caccia), i bassopiani sud-occidentali al confine con il Sudan, tra i fiumi Gash e Satit.
Parlano una lingua nilotica, il cunama che solo nel XIX secolo è stata resa scritta grazie al lavoro dei missionari svedesi che nel 1873 produssero la prima grammatica di questa lingua. La lingua cunama, fortemente influenzata dai linguaggi di altro ceppo vicini, ha fatto porre seri quesiti sulla sua classificazione agli etnolinguisti.
foto dalla rete
Molto di quello che si sa sui Cunama si deve al lavoro di Alberto Pollera, funzionario militare e civile dell'amministrazione coloniale italiana che soggiornò a lungo in Eritrea (dal 1894 al 1939, quando morì) studiando i comportamenti e le relazioni sociali soprattutto dei Cunama e dei Baria. Gran parte di quello che oggi si sa su questo gruppo etnico si deve al suo minuzioso lavoro di osservazione (la prima pubblicazione fu del 1913), in un gruppo in cui prevale una struttura sociale "equalitaria", dove le importanti decisioni sono prese a maggioranza dall'assemblea degli anziani (mohaber). Non vi sono quindi capi villaggi e prevale su tutto la collettivizzazione delle decisioni, con la possibilità di risolvere alcuni contenziosi affidandosi all'essemblea degli anziani del villaggio vicino. Così come esiste un grande rispetto e considerazione per il ruolo delle donne. Tra le ipotesi di Pollera vi è anche quella che fino all'anno 1000, i Cunama e i Nara (gruppo etnico che vive nella stessa area) fossero un'unica entità.
Anche l'EPLF (Fronte Popolare per la Liberazione dell'Eritrea), neglia nni '80 (precisamente dal 1982 al 1989) studiò i comportamenti e le abitudini dei popoli eritrei, sebbene queste pubblicazioni pare siano disponibili solo in lingua tigrina.
Alla fine dell'800 (nel 1886 per la precisione), questo popolo fu soggetto ad un vero e proprio sterminio, quando l'allora sovrano del Tigray, Ras Alula, fece sterminare un terzo della popolazione Cunama perchè non voleva sottoporsi al dominio del sovrano. Da allora i Cunama accrebbero il loro isolamento.

Da un punto di vista religioso tradizionalmente i Cunama credono in un unico dio, chiamato Anna, creatore del cielo e della terra, che si disinteressa quasi totalmente della sorta degli uomini. Le tradizioni lentamente stanno lasciando il posto all'islam e soprattutto al cristianesimo.
Sono abililissimi danzatori. La danza è un modo per rievocare e custodire la loro storia.

Recentemente, durante la guerra tra Etiopia e Eritrea del 1998-2000, i Cunama si sono trovati, involontariamente, al centro della disputa di confine, e sono stati costretti a lasciare i loro villaggi. All'epoca, migliaia di loro, furono assistiti come profughi dagli organismi internazionali.

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venerdì 7 dicembre 2012

Lupo etiope, il canide a maggior rischio di estinzione

foto dal sito www.juzaphoto.com
Se si immaginano i lupi, difficilmente si pensa all'Africa. Eppure vi è in Africa un lupo che, seppur minacciato di estinzione, continua a sopravvivere sui monti dell'Etiopia. Si tratta del lupo etiope o lupo d'Abbissinia (scientificamente Canis simensis), chiamato anche lupo del Semien, o sciacallo rosso e perfino volpe etiope. I diversi nomi sottolineano come non sempre, fin dalla prima descrizione risalente al 1835, vi è stata chiarezza sull'appartenza al genere dei lupi. Ancora oggi è chiamato volpe. Oggi il lupo etiope è ritenuto l'unico, e raro, lupo dell'Africa Sub-Sahariana, nonchè il canide maggiormente minacciato di estinzione nel mondo. Raro perchè, stando agli studi, sono poco più di 450 i lupi etiopi oggi esistenti, di cui oltre la metà (circa 300) sui Monti Bale, mentre il resto degli esemplari nel Parco del Simien. Questo lupo, che vive su montagne oltre i 3000 metri, nel 1990 fu molto vicino all'estinzione. Infatti un'epidemia di rabbia uccise quasi metà dei già scarsi lupi esistenti in due settimane. A quel tempo l'animale fu classificato come criticamente a rischio di estinzione nella lista rossa redatta dall'IUCN (il maggior ente per la conservazione della natura). Solo nel 2004, il lupo è ritornato tra le specie minacciate di estinzione (classificazione leggermente migliore).

l'habitat del lupo etiope (Wikipedia)
Questo lupo, che si nutre essenzialmente di piccoli roditori, è chiamato dalle popolazioni locali anche "volpe dei cavalli", perchè esso segue le giumente durante il parto, per nutrirsi della placenta espulsa.


Gran parte dei lavori di ricerca e di protezione su questo animale si deve allo zoologo argentino (ma britannico di adozione, è infatti docente a Oxford) Claudio Sillero-Zubiri e alla Born Free Foundation. I suoi studi portarono alla realizzazione di un vaccino orale contro la rabbia, ancora oggi utilizzato nei programmi di conservazione di questa specie.
In Etiopia esiste, fin da 1974, un programma specifico - l'Ethiopian Wolf Conservation Programme (EWCP), che segue da vicino l'evolversi di questi ultimi esemplari di lupo africano. Dal sito è possibile anche ricavare ogni informazione su questo animale e conoscerne le iniziative e la situazione.
Sebbene le malattie come la rabbia costituiscono la maggiore minaccia per questa specie, l'uomo gioca una parte fondamentale entrando in competizione per l'habitat e con la caccia. In Etiopia la legge condanna fino a due anni di reclusione chi uccide un canide di questa specie.
Nel mondo non si hanno notizie di esemplari di lupo dell'Abbissinia presenti negli zoo o in collezioni private.

Ecco la pagina sul lupo etiope sul Wildlife Conservation Network

La pagina di ArKive con magnifiche immagini di questo lupo
Ecco la scheda della Lista Rossa dell'IUCN

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mercoledì 26 settembre 2012

Menghistu Hailè Mariam e il terrore rosso

Menghistu Hailè Mariam è stato un dittatore che ha guidato l'Etiopia dal 1977 fino alla sua deposizione avvenuta nel 1991. A partire dalla sua presa di potere scatenò una violenta repressione contro tutti gli oppositori . Tale periodo viene ricordato come il "terrore rosso" visto che Menghistu si spacciava per fervido assertore del comunismo.
Menghistu, figlio di un militare, è nato nel 1937 e nel 1966 si è diplomato all'Accademia Militare di Addis Abeba. Dal 1967 al 1971 è negli Stati Uniti a perfezionare i suoi studi miliari e viene in contatto con i movimenti radicali dei neri americani.
Tornato in Etiopia è posto al comando di un battaglione (diventerà poi colonnello) e come tale partecipa a partite dal 1974 (dopo il golpe che depone l'ultimo e il 225° imperatore etiope,  Haile Salassie, il 12 settembre 1974) al DERG, un Consiglio delle Forze Armate che detiene il potere nel paese. Diventa ben presto - grazie al suo radicalismo, alla sua determinazione e all'eliminazione fisica dei suoi superiori - l'uomo forte ed il 3 febbario 1977, alla morte del leader Tafari Bante avvenuta durante una riunione del Derg che si concluse con una sparatoria in cui morirono 58 persone, assunse il pieno controllo del Derg.
Da quel momento Menghistu ebbe come obbiettivo principale l'eliminazione dei suoi oppositori - accusati di contro-rivoluzione - cosa che avvenne nel biennio 1977-78. Ad uno ad uno membri del partito EPRP (Partito Rivoluzionario del Popolo Etiope), rappresentanti delle società civile, religiosi, oppositori e membri dei gruppi indipendentisti Eritrei caddero sotto le armi del regime. Anche l'imperatore Salassie e il Patriarca Ortodosso della chiesa Etiope fecero la stessa fine nelle carceri di Addis Abeba. Amnesty International ha stimato che oltre 500.000 persone furono eliminate durante la dittatura.
La politica interna di Menghistu era l'esasperazione (con eccessi in tutte le direzioni) del modello comunista-marxisita, destinato a soppiantare l'antica struttura feudale della società etiope, supportato sin dal 1977 (prima di allora erano gli Stati Uniti a supportare militarmente l'Etiopia) da forti aiuti militari da parte dell'Unione Sovietica (che finivano per aiutare la repressione interna piuttosto che la difesa da attacchi esterni - la Somalia aveva tentato l'invasione dell'Etiopia a partire dal luglio 1977).



Bisogna collocare la vicenda dell'Etiopia nel contesto storico adeguato. Il Paese, unico tra quelli africani, non aveva mai conosciuto l'umiliazione della colonizzazione (fatto salvo una breve -1936-41 - occupazione italiana durante la seconda guerra mondiale) e dopo aver rappresentato un riferimento per i nuovi stati africani (nel 1963 l'imperatore etiopico Salassie avevà fortemente stimolato la nascita dell'Organizzazione dell'Unità Africana, oggi Unione Africana) divenne importante luogo strategico per il controllo del continente durante gla fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, quando si combattavano ancora guerre d'indipendenza (il tutta l'area lusofona) e vi era necessità di controllare le risorse del continente. La cooperazione militare americana in Etiopia era alta.
Quanto il DERG salì al potere nel 1974 - facendo di fatto entrare l'Etiopia nella sfera socialista - le guerre in Angola, Mozambico e Guinea Bissau si erano concluse con la vittoria dei partiti assistiti da Cuba e Unione Sovietica. Con l'Etiopia una fetta importante del continente cadeva sotto il controllo sovietico. Questo certo non era tollerabile.

La situazione si aggravò in modo determinato durante la carestia del 1984-85 quando a fronte di una situazione esplosiva sotto il profilo alimentare (mentre i governi occidentali ignoravano le richieste di aiuto), la risposta del governo fu esclusivamente un calcolo politico (come il tentativo di spostare forzatamente intere popolazioni dalle zone colpite dalla siccità). Ecco come in questo pezzo del 1985, Angelo Del Boca sulle pagine di Nigrizia, vede la situazione del regime etiopico in occasione del decennale della "rivoluzione".

Solo il 21 maggio 1991, a seguito di un'azione congiunta tra la resistenza etiope e quella eritrea, Menghistu, oramai isolato internazionalemnete e privo degli aiuti sovietici, sarà costretto alla fuga nello Zimbabwe, dove ancora oggi vive prestando consulenza all'anziano capo di stato Mugabe. Nel 2008 è stato condannato, in contumacia, alla pena di morte per genocidio.

E' probabile che anche senza di lui, l'Africa oggi, sarebbe diversa.

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sabato 4 agosto 2012

Con l'atletica, arriva l'Africa nera

Dibaba alle premiazioni, dalla rete
Se il buon giorno si vede dal mattino, l'atletica leggera, iniziata ieri nel programma Olimpico di Londra, porterà bene all'Africa. Sono state assegnate solo le prime due medaglie d'oro dell'atletica leggera e nei 10.000 metri la tripletta africana è subito arrivata. In realtà delle sei africane iscritte (su 22 partenti), 5 sono giunte nei primi 5 posti e una si è ritirata!
La gara più lunga del fondo in pista, quella dei 10 mila metri femminili, è stata una lotta tra africane. Alla fine l'ha spuntata Tirunesh Dibaba, etiope di 27 anni, già vincitrice dei 5.000 e dei 10.000 a Pechino 2008 e bronzo nei 5.000 ad Atene 2004. La Dibaba diventa così la prima medaglia d'oro femminile africana di questa olimpiade (vedi post di Sancara sulle medaglie africane femminile alle Olimpiadi) e la prima donna etiope a raggiungere i tre ori Olimpici (e, non è finita).

La Dibaba ha lasciato dietro di se le prime due atlete che avevano vinto gli ultimi mondiali a Daeugu, le keniane Sally Kipyego (argento) e Vivian Cheruiyot (bronzo). Ad ordine inverso, Cheruiyot, Kipyego, assieme ad un'altra keniana Lanet Masai, avevo composto l'intero  podio dei 10.000 ai mondiali di Corea (Sancara ne aveva parlato in questo post).

dalla rete
Il dominio africano nel fondo sembra non avere rivali. I record mondiali maschili a partire dagli 800 metri e fino alla maratona (passando per tutte le misure intermedie e non praticate nei programmi ufficiali) sono detenuti da atleti africani.
In campo femminile i 5000 metri (tra l'altro il record mondiale è della stessa Dibaba) e a partire dai 15 chilometri su strada (sempre record della Dibaba) per finire ai 30 mila metri, sono tutti record di atlete africane.

La propensione a correre, forte e nel tempo, sembra essere una prerogativa africana. Ma, come abbiamo visto nei giorni scorsi, è lo sport africano, in genere a crescere. Ieri, lo straordinario nuotatore sudafricano Chad Le Clos ha vinto un grande argento nei 100 farfalla, dopo che solo pochi giorni fa aveva vinto l'oro nei 200.

venerdì 13 luglio 2012

13 luglio 1985, il giorno del Live Aid

Per molti è stato uno dei più grandi eventi musicali della storia. Il concerto chiamato Live Aid (in realtà furono due concerti contemporanei, a Londra e Filadelfia) nasce dalla volontà dell'irlandese Bob Geldorf (cantante e leader dei Boomtown Rats oltre che impegnato attivista) e del cantatuore Midge Ure (leader degli Ultravox) con l'intento di aiutare le popolazioni dell'Etiopia, colpite da una gravissima siccità.
Il 13 luglio 1985 a partire dalle 12.00 allo Stadio Wimbledon di Londra (e fino alle 22) e dalle 13.50 al JFK Stadium di Filadelfia (e fino alle 4.05) si susseguirono sul palco i più grandi artisti del rock. Un evento ripreso dalla BBC e dall'ABC e che, un'innumerevole numero di televisioni e radio, hanno trasmesso in parte. Si stima che un miliardo e mezzo di persone seguirono il concerto. Live Aid "non solo è stato un trionfo perchè ha portato i mali dell'Africa davanti ad una platea vastissima, ma aveva anche annunciato a gran voce un'epoca di moralità". Purtroppo, la seconda parte, quella che chiedeva "un'altra dimensione delle politiche di aiuti e di sviluppo", a distanza di decenni, è decisamente fallita.
Fu un'evento straordinario capace di raccogliere 140 milioni di dollari (nel 1992 quando fu chiuso il fondo che era stato aperto nel 1985, il ricavato complessivo fu di 245 milioni di dollari). 

Naturalemente il grande afflusso di denaro, non ha inciso (se non alleviando, in parte, le sofferenze del momento) sulle sorti di un paese come l'Etiopia. 




Sicuramente una delle più memorabili apparizioni di quel concerto (a Filadelfia) fu quella dei Queen. L'energia impressa da Freddy Mercury, nato in Africa, fu straordinaria. Ancora oggi, guardando e ascoltando questo filmato, è impossibile non emozionarsi.

Dal sito di Rollinstones Italia è possibile vedere alcuni meravigliosi filmati di quei concerti.


La siccità e la carestia nel nord dell'Etiopia, iniziò nel 1984, per concludersi (almeno nella sua parte più acuta) alla fine del 1985. Colpì complessivamente 8 milioni di individui e di questi, un milione morirono di fame, molti dei quali bambini.
Foto di  Barry Thumma, marzo 1985
Le immagini trasmesse dalla BBC che descrivevano, come un commentatore ebbe a dire, "la cosa più vicina all'inferno sulla Terra", ebbero un impatto molto forte su chi vide quelle immagini e sugli organizzatori del concerto.
Certo la crisi del 1984-85 in Etiopia era stata largamente annunciata. Le organizzazioni avevano lanciato, inascoltate, l'allarme da tempo. Il governo etiope tentò, con la forza (e sotto gli occhi silenziosi della comunità internazionale) di spostare i contadini del nord verso il sud (furono oltre 600 mila le "deportazioni"), nel mentre infuriava la guerra - sostenuta dai sovietici -  con la guerriglia eritrea e tigrina- sostenuta dagli americani.
Per descrivere meglio com'era la situazione in Etiopia a quel tempo, vi posto, dalla rivista Nigrizia, un articolo di Angelo Del Boca (ex giornalista di Il Giorno e grande esperto di Africa coloniale italiana) apparso appunto su Nigrizia nel febbraio 1985.
E' inultile sottolineare come, nonostante le buone intenzioni e nonostante il fatto che il grande afflusso di denaro abbia, nell'immediato, portato benefici alla popolazione locale, non sono mancati, come testimonia anche questo reportage (sempre su Nigrizia o su The Telegraph), casi in cui il denaro degli aiuti è stato dirottato altrove.
Così, quando nel 2011, scoppiò l'ennesima grave carestia nel Corno d'Africa (Sancara scrisse questo post intitolato Siccità, carestie e ipocrisie) il pensiero fu quello di constatare amaramente, come eventi come Live Aid (purtroppo) e quasi 30 anni di assurde politiche si sviluppo (con un'afflusso di denaro straordinario) non siano serviti a nulla. 



Ecco una galleria fortografica su quella carestia di Brian Stewart
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