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mercoledì 16 gennaio 2013

La carestia non è una dieta. La LVIA in aiuto del Sahel


E' partita la campagna della LVIA (Associazione di Solidarietà e Cooperazione Internazionale), organizzazione non governativa nata nel 1966, a favore delle popolazioni del Sahel colpite da una gravissima carestia. Con lo slogan "La carestia non è una dieta" l'associazione, che opera nell'area fin dal 1972, oltre a raccogliere fondi necessari e vitali per sostenere le cure per la malnutrizione in Burkina Faso, vuole contribuire a riportare l'attenzione su di un dramma che, nel quasi assoluto silenzio, colpisce oltre 18 milioni di persone.

Sancara aveva parlato della crisi del Sahel la prima volta nel febbraio 2012, con un post titolato "La crisi alimentare del Sahel" e successivamente nell'aprile 2012 con un'altro post intitolato "Nel Sahel si muore". Nei post si era cercato anche di analizzare le cause che conducono, sempre con maggiore frequenza e gravità, l'area del Sahel ad essere oggetto di devastanti "diete", tanto per parafrasare lo slogan della LVIA.

Naturalmente se è vero che sulle cause naturali nulla (o meglio poco) si può fare, è altrettanto evidente che alcuni fattori economici e antropici, oltre che alcune scelte del passato, incidono negativamente sulla situazione e su di essi è possibile intervenire.

Foto della LVIA
E' chiaro che oggi parliamo di emergenza, e la terapia necessaria è quella che le organizzazioni, serie e preparate, come la LVIA stanno mettendo in campo. Capaci da un lato di sfamare la popolazione (soprattutto le fasce più a rischio come i bambini - oltre un milione a rischio di vita) e dall'altro iniziare una nuova campagna agricola in luoghi dove l'agricoltura equivale alla sussistenza.

Dobbiamo oggi aiutare le popolazioni, ma allo stesso tempo abbiamo il dovere di mantenere viva l'attenzione sulle scelte che si faranno per il futuro affinché situazioni drammatiche come queste non si ripetano mai più.

Nel sito della LVIA si possono trovare tutte le informazioni relative alla campagna e l'aggiornamento quotidiano sull'ammontare dei fondi raccolti, sicuri che ogni euro donato sarà speso ad esclusivo beneficio di chi oggi ha un urgente bisogno.

Vai al sito ufficiale della LVIA

venerdì 13 luglio 2012

13 luglio 1985, il giorno del Live Aid

Per molti è stato uno dei più grandi eventi musicali della storia. Il concerto chiamato Live Aid (in realtà furono due concerti contemporanei, a Londra e Filadelfia) nasce dalla volontà dell'irlandese Bob Geldorf (cantante e leader dei Boomtown Rats oltre che impegnato attivista) e del cantatuore Midge Ure (leader degli Ultravox) con l'intento di aiutare le popolazioni dell'Etiopia, colpite da una gravissima siccità.
Il 13 luglio 1985 a partire dalle 12.00 allo Stadio Wimbledon di Londra (e fino alle 22) e dalle 13.50 al JFK Stadium di Filadelfia (e fino alle 4.05) si susseguirono sul palco i più grandi artisti del rock. Un evento ripreso dalla BBC e dall'ABC e che, un'innumerevole numero di televisioni e radio, hanno trasmesso in parte. Si stima che un miliardo e mezzo di persone seguirono il concerto. Live Aid "non solo è stato un trionfo perchè ha portato i mali dell'Africa davanti ad una platea vastissima, ma aveva anche annunciato a gran voce un'epoca di moralità". Purtroppo, la seconda parte, quella che chiedeva "un'altra dimensione delle politiche di aiuti e di sviluppo", a distanza di decenni, è decisamente fallita.
Fu un'evento straordinario capace di raccogliere 140 milioni di dollari (nel 1992 quando fu chiuso il fondo che era stato aperto nel 1985, il ricavato complessivo fu di 245 milioni di dollari). 

Naturalemente il grande afflusso di denaro, non ha inciso (se non alleviando, in parte, le sofferenze del momento) sulle sorti di un paese come l'Etiopia. 




Sicuramente una delle più memorabili apparizioni di quel concerto (a Filadelfia) fu quella dei Queen. L'energia impressa da Freddy Mercury, nato in Africa, fu straordinaria. Ancora oggi, guardando e ascoltando questo filmato, è impossibile non emozionarsi.

Dal sito di Rollinstones Italia è possibile vedere alcuni meravigliosi filmati di quei concerti.


La siccità e la carestia nel nord dell'Etiopia, iniziò nel 1984, per concludersi (almeno nella sua parte più acuta) alla fine del 1985. Colpì complessivamente 8 milioni di individui e di questi, un milione morirono di fame, molti dei quali bambini.
Foto di  Barry Thumma, marzo 1985
Le immagini trasmesse dalla BBC che descrivevano, come un commentatore ebbe a dire, "la cosa più vicina all'inferno sulla Terra", ebbero un impatto molto forte su chi vide quelle immagini e sugli organizzatori del concerto.
Certo la crisi del 1984-85 in Etiopia era stata largamente annunciata. Le organizzazioni avevano lanciato, inascoltate, l'allarme da tempo. Il governo etiope tentò, con la forza (e sotto gli occhi silenziosi della comunità internazionale) di spostare i contadini del nord verso il sud (furono oltre 600 mila le "deportazioni"), nel mentre infuriava la guerra - sostenuta dai sovietici -  con la guerriglia eritrea e tigrina- sostenuta dagli americani.
Per descrivere meglio com'era la situazione in Etiopia a quel tempo, vi posto, dalla rivista Nigrizia, un articolo di Angelo Del Boca (ex giornalista di Il Giorno e grande esperto di Africa coloniale italiana) apparso appunto su Nigrizia nel febbraio 1985.
E' inultile sottolineare come, nonostante le buone intenzioni e nonostante il fatto che il grande afflusso di denaro abbia, nell'immediato, portato benefici alla popolazione locale, non sono mancati, come testimonia anche questo reportage (sempre su Nigrizia o su The Telegraph), casi in cui il denaro degli aiuti è stato dirottato altrove.
Così, quando nel 2011, scoppiò l'ennesima grave carestia nel Corno d'Africa (Sancara scrisse questo post intitolato Siccità, carestie e ipocrisie) il pensiero fu quello di constatare amaramente, come eventi come Live Aid (purtroppo) e quasi 30 anni di assurde politiche si sviluppo (con un'afflusso di denaro straordinario) non siano serviti a nulla. 



Ecco una galleria fortografica su quella carestia di Brian Stewart
Vai alla pagina di Sancara su Date storiche per l'Africa

martedì 26 luglio 2011

Siccità, carestie e ipocrisie

Nelle ultime settimane è prepotentemente scoppiata, sotto gli occhi attoniti del mondo intero, l'emergenza umanitaria nel Corno d'Africa. In molti si sono accorti che un numero elevato di individui (milioni di persone), per lo più donne e bambini, stanno letteralmente morendo di fame in un angolo non tanto remoto del nostro pianeta. Qualcuno ha perfino scoperto che la Somalia è da vent'anni in una situazione di totale anarchia e che guerra e carestia si mescolano formando una miscela esplosiva.
Ieri un summit convocato in emergenza alla FAO a Roma ha ancora una volta ribadito che servono milioni di dollari - almeno 120 - per soccorsi "urgentissimi" e 1,6 miliardi di dollari per i prossimi 12 mesi. Molti degli Stati e alcune organizzazioni internazionali hanno promesso stanziamenti ingenti per l'emergenza e per progetti a lungo termine nel campo dell'alimentazione e dell'agricoltura. Domani a Nairobi, in Kenya, queste disponibilità dovranno essere confermate.
Nella riunione di ieri però il Ministro dell'Agricoltura francese Bruno Le Maire (la Francia è presidente di turno del G20) ha ammesso, sue testuali parole, che la "comunità internazionale ha fallito nel costruire la sicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo". E' l'ammissione del fallimento di decenni di politiche economiche in Africa (di cui FAO e Banca Mondiale sono stati i maggiori interpreti e quindi responsabili) costate la vita di milioni di persone e cifre inimmagginabili.

Le parole di Le Maire, che sono macigni lanciati in un momento di grave crisi (quindi meno evidenti a fronte del dramma umano), contengono l'essenza di gran parte dei problemi d'Africa e rappresentano quel comune sentire di chiunque si sia interessato d'Africa. Il ritornello, per usare le parole di le Maire, "se non vogliamo ritrovarci tra due anni davanti alle stesse scene di disperazione, dobbiamo cambiare metodo, non basta fornire aiuto finanziario, non basta portare milioni di dollari qua e là. Bisogna investire nell'agricoltura mondiale, aiutare i Paesi in via di sviluppo a sviluppare la propria sicurezza alimentare", rappresenta per molti una nenia che ascoltiamo da decenni e che francamente indigna.
Ora si scaricano tutte le responsabilità sulla natura, che ingenerosa nei confronti degli uomini, sempre degli ultimi, si accanisce nel Corno d'Africa  facendo mancare l'apporto delle piogge. Certo gli studiosi del clima sostengono che alcuni importanti cambiamenti climatici sono in corso e che la siccità potrebbe avere relazioni con correnti oceaniche e che quindi parte della catastrofe è attribuibile alla natura.

Ciò non toglie che vi sono questioni che da decenni organizzazioni non governative, ambientalisti, popolazioni locali e studiosi denunciano con insistenza e che restano irrisolte e inascoltate. Come è il caso del fenomeno del land grabbing, ovvero delle terre in affitto o acquistate (e sottratte alle popolazioni locali) dalle multinazionali per produrre biocarburanti o prodotti alimentari da esportare e di cui la FAO si occupa da anni (la prossima conferenza internazionale si terrà dal 17 al 20 novembre a Nyeleni in Mali) senza avere il coraggio di trovare soluzioni definitive che mettono fine a questo scempio. Proprio su questo tema qualche giorno fa, mentre migliaia di persone muoiono di fame, vi è stata una denuncia di Survival International su terre fertili in Etiopia sottratte alle popolazioni locali e che chiama in causa anche imprese italiane.
Così come non possono essere trascurate le continue denunce sulla pericolosità delle deviazioni di corsi di fiumi per costruire enormi impianti di produzione eletttrica che sottraggono acqua alle popolazioni locali e che hanno contribuito a peggiorare il quadro idrico dell'intera regione.
Sono state inascoltate le proposte dei movimenti contadini (Via Campesina in testa) sulla necessità di regolamentazione del mercato agricolo mondiale atte ad impedire la speculazione finanziaria sulle derrate alimentari.

Questi e altri temi (come ad esempio i costi esagerati della gestione dei grandi organismi internazionali) sono alla radice delle carestie ed è disumano continuare, da anni, a non affrontarli.

In Africa si interviene solo nelle emergenze. Vi una rassegnata, e talvolta consapevole, consuetudine di attendere la catastrofe prima di intervenire, di lasciare sedimentare e "cronicizzarsi" situazioni che altrove griderebbero allo scandalo e indignerebbero l'opinione pubblica. Gli africani sopportano con dignità e fatalismo. Assistono, oramai senza lacrime, alla morte dei propri figli, vedono la propria terra seccarsi e morire, abbandonano la propria casa e vivono pensando che il domani forse non verrà.

Certo guardando le immagini dei campi profughi del Kenya oggi vi è la consapevolezza che bisogna intervenire, subito. Lo stanno facendo e lo continueranno a fare, con capacità e passione, centinaia di volontari e di organizzazioni che sono sul campo, che raccolgono fondi e che tentano, in condizioni disperate, di alleviare le sofferenze di chi non ha colpe. In attesa di una nuova catastrofe.