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martedì 16 dicembre 2014

La medina di Susa

Susa (o Sousse), antica città del nord-est della Tunisia, era chiamata, per il suo splendore e per la sua posizione strategica, la perla del Sahel. L'antica Hadrumete, fondata dai fenici nel IX secolo a.c., fu conquistata dai cartaginesi, dai romani e infine dai vandali. Saccheggiata una prima volta nel 310 a.c., fu completamente distrutta dai vandali nel V secolo. Furono infine gli Aghlabidi (800-909) a farla rinascere, con il nome attuale e a renderla un polo centrale per il commercio e la cultura del nord-Africa. Porto protetto sul Mediterraneo, fu al centro di commerci e traffici di ogni genere, oltre che punto nevralgico delle strategie militari (da Susa partirono le navi che giunsero in Sicilia). Oggi con quasi 200 mila abitanti è la terza città della Tunisia.
Il suo centro antico, denominato secondo la cultura islamica,  medina (città, appunto, spesso fortificata) è divenuta nel 1988 Patrimonio dell'Umanità UNESCO. 
Essa rappresenta una testimonianza, giunta fino a noi ben conservata, delle civiltà dei primi secoli che hanno popolato il nord-Africa e rappresenta un prezioso esempio di urbanistica arabo-islamica.
Oggi la medina si presenta come i classici quartieri delle città del maghreb; un intreccio di stradine e mercati (souks), di piccoli luoghi e di angoli che miscelano l'antico con il nuovo. Vi sono poi significativi monumenti, tra tutti il grande Ribat, una fortezza del VIII secolo che fu costruita per osservare (e difendere) il mare. La fortezza è stata completamente restaurata nel 1968. Vi è poi la Grande Moschea, costruita da Abou El Abbas Mohammed nell'850 e giunta anch'essa fino ad oggi in ottimo stato di conservazione. Interessante è anche il faro cittadino, alto 30 metri e costruito nell'859 e che rappresenta un ottimo punto di osservazione sull'intera città e, naturalmente, verso il mare.

Nel nord-Africa si trovano quasi tutte le medine ancora esistenti (altre, in Spagna come in Sicilia sono state distrutte o modificate),  tutte salvaguardate dall'UNESCO. In Marocco, in Tunisia, in Libia, in Algeria, con alcune eccesioni come Dakar, Smirne o Istanbul. Esse rappresentano un patrimonio, storico e culturale, di indubbio valore, capaci come sono di farci conoscere e capire le dinamiche di vita di un passato che a volte sembra sfuggirci di mano.

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martedì 14 ottobre 2014

Kairouan

Kairouan o Qayrawan, è una città della Tunisia, edificata a partire dal 670 da arabi mussulmani e che custodisce la più antica moschea del Maghreb. Nel 1988 l'UNESCO l'hai inserita nella lista dei Patrimoni dell'Umanità proprio a tutela della moschea.
La città, posta nel centro della Tunisia, è stata a lungo (oltre cinque secoli) la capitale del governatorato di Ifriqiya, è oggi un importante luogo sacro e di culto dell'islam.
L'edificio di maggior pregio è costituito dalla Grande Moschea di Kairouan (detta anche di Uqba, dal nome del suo edificatore), costruita nel VII secolo su una superficie di 9000 metri quadrati all'interno di una recinzione quadrilatera irregolare (415 metri il perimetro) massicciamente fortificata.

La musalla (l'oratorio, ovvero il luogo dove si compie la salat) è accessibile da 17 porte di legno e all'interno vi sono 17 navate a 8 arcate, con oltre 400 colonne di porfido o marmo bianco.

Il massiccio minareto centrale costituisce oggi la parte più antica della moschea, poichè altre aree furono abbattute (la prima volta già pochi anni dopo la sua costruzione dai Berberi) o aggiunte nel corso dei secoli.

Tra gli altri edifici presenti nella città (utilizzata tra l'altro spesso per riprese cinematografiche) sono da segnalare i due invasi idraulici comunicanti tra loro (bacini aghlabidi, costruiti attorno al IX secolo) che costituivano un sistema idrico atto ad irrigare i giardini che contribuivano ad arricchire di splendore la città e la piccola, ma deliziosa, moschea delle Tre Porte.

L'UNESCO inserì la città tra i Patrimoni dell'Umanità per il suo valore storico, culturale e religioso.

mercoledì 25 settembre 2013

La città punica di Kerkouane e la sua necropoli

foto da wikipedia
Kerkouane (Kerkwan in inglese) è l'unica città fenicio-punica sopravvissuta così come era stata costruita (le altre, come Cartagine, sono state ampliate e modificate dai romani). Questa fu una delle motivazioni che spinse l'UNESCO, nel 1985, ad inserire questa città tra i Patrimoni dell'Umanità (nel 1986 il sito fu esteso anche alla necropoli).
La città il cui nome potrebbe essere stato Tamezr, si trova nel Nord-Est della Tunisia, nella zona di Capo Bon, dopo aver vissuto per oltre 400 anni, fu probabilmente abbandonata durante la prima guerra punica (250 anni prima della nascita di Cristo).
planimetria della città, dalla rete
La scoperta delle rovine di Kerkouane (i cui scavi risalgono al 1952, sebbene sia stata "ritrovata" nel 1929) hanno permesso di studiare e conoscere il pensiero urbanistico e le capacità edilizie del periodo punico. In particolare è stato possibile studiare le modalità costruttive dei sistemi idrici che in questa città rivestono particolare interesse, per le scelte che sono state compiute.
Di particolare interesse anche la necropoli di Arg al Ghazwani, oltre duecento tombe di cui alcune non ancora scavate, in cui sono state trovate molte ceramiche e materiali di "fabbricazione italiana".
Il sito certamente straordinario sotto il profilo storico-archeologico non è molto "sfruttato" turisticamente, poichè non vi sono elementi sensazionali.

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lunedì 20 maggio 2013

Femen in Tunisia

La giovane tunisina, attivista di Femen, ha ottenuto il suo scopo: far parlare di se e delle tematiche per cui si batte. L'ha fatto in un modo insolito e sicuramente provocante per un paese, come la Tunisia, che dopo la primavera araba stenta a trovare la sua strada. Mentre, cresce. il peso dell'islam sulla vita pubblica. Amina Tyler, questo è il nome della giovane diciannovenne tunisina, è una ragazza spigliata e determinata, che non ha esitato a manifestare a seno nudo davanti ad una moschea per denunciare la condizione delle donne in Tunisia e la deriva integralista che il paese rischia di intraprendere.

dalla rete
Femen, è un movimento nato in Ucraina nel 2008, che ha come obiettivo quello di sostenere le lotte delle donne, a difesa della parità di genere e contro ogni discriminazione. Lo fa in un modo insolito, e molto criticato, da uomini e donne, scoprendo pubblicamente il seno (in realtà fino all'agosto del 2009 lo fece in biancheria intima). Anna Hutsol (o Gutsol), economista e attrice teatrale nata nel 1984 è stata una delle fondatrici, mentre gran parte delle originarie compagne di questo insolito viaggio, proveniva dall'ambiente universitario . In poco tempo il movimento è diventato noto in tutto il mondo e azioni simili sono uscite dai confini dell'Ucraina, giungendo in Polonia, in Francia, in Italia, in Svizzera, in Brasile, in Canada e ora in Tunisia.

Irina Schevchenko, altra storica leader del movimento, ha sempre voluto sottolineare come il loro messaggio, senza la provocazione del seno nudo, non sarebbe mai giunto in maniera così dirompente sue media mondiali. E' difficile darle torto.

Naturalmente Amina è stata subito arrestata dalla polizia tunisina, così come a seguito della sua precedente azione, era sparita dalla circolazione perchè la famiglia d'origine l'aveva in qualche modo "sequestrata". In Tunisia Amina ha ricevuto qualche solidarietà per la sua azione, ma soprattutto molte critiche anche dalle femministe islamiche, che hanno affermato come "Femen abbia rubato la loro voce" (perfino sui social network sono nati gruppi di donne islamiche contro Femen).


Del resto nemmeno in Occidente i giudizi su Femen sono univoci.

Amina però rischia molto, molto di più delle sue compagne di battaglia in Ucraina o in Francia (che pure rischiano sempre di essere malmenate, arrestate e condannate). Dopo il suo primo gesto, la pubblicazione su Facebook di una foto a seno nudo con una scritta in arabo inneggiante i diritti delle donne, l'attenzione nei suoi confronti è cresciuta e la sua aperta sfida al movimento salafita tunisino (per semplicare movimento radicale che preme per una lettura integrale del Corano e per l'applicazione della sharia) ha determinato il pronunciamento di una condanna a morte (fatwa) nei suoi confronti. I salafiti da tempo sfidano il governo.

Le gesta di Amina dividono fortemente il mondo nord-africano. Culturalmente il suo seno scoperto vuole mettere a nudo un sistema in cui la donna è messa da parte e che faticosamente tenta di conquistare un suo spazio, ora che i vari re sono usciti di scena. Lo fa, come avvenne alla fine degli anni '60 in Europa e in America con i movimenti di emancipazione, scoprendo il seno per rivendicare il proprio diritto ad esistere e pretendere, non piccole concessioni, ma un radicale cambiamento nella vita sociale del proprio paese.
La differenza semmai è nella capacità di comunicare che oggi raggiunge, in poche ore, una scala planetaria varcando confini un tempo impensabili.
Hanno ragione le attiviste di Femen, senza il seno scoperto l'attenzione mondiale sarebbe venuta meno. E' innegabile.

Mentre il seno nudo di Amina agita milioni di abitanti del Nord-Africa, stretti nella morsa tra un islam sempre più aggressivo e la voglia di libertà e democrazia, mentre in Europa il seno scoperto delle Femen attira forse più per una morbosa curiosità, in Africa sub-sahariana, le donne, a seno nudo, cercano faticosamente di sopravvivere. Non tutti i seni evidentemente, sono uguali.


Ecco il sito ufficiale di Femen

venerdì 8 febbraio 2013

Tunisia: sull'orlo del precipizio

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata senz'altro l'assassinio di uno dei leaders dell'opposizione, Chokri Belaid, avvenuto l'altro ieri mentre rincasava. Belaid, 48 anni, avvocato, laico e di sinistra, aspramente critico nei confronti del governo ritenuto troppo vicino ai movimenti estremisti islamici, era il Segretario del partito dei Patrioti Democratici e uno dei massimi esponenti del Fronte Popolare.

La sua critica nei confronti del partito di governo, l'Ennahda (Movimento della Rinascita, nato nel 1981 e che è uscito vincitore dalla ultime elezioni) era indirizzata soprattutto all'attegiamento troppo morbido (quando non complice) nei confronti degli estremisti islamici. Da quando il 14 gennaio 2011, poco più di due anni fa, la rivoluzione tunisina (la prima della cosiddetta Primavera araba) defenestrò il tiranno Abidine Ben Alì, il paese non trova pace e la tensione cresce di giorno in giorno.

Premesso che Belaid è l'ennesimo - troppi -  leader politico africano che viene assassinato, e che questo rappresenta, da qualsiasi parte si guardi, una sconfitta per la democrazia e per la libertà, è bene essere molto cauti nell'indicare responsabilità e futuri sbocchi di questa vicenda.

Oggi tutti indicano nel partito di governo, l'Ennahda, le maggiori responsabilità dell'accaduto. Responsabilità legate al ruolo dell'estremismo islamico e alla volontà, da parte di questi ultimi, di far precipitare il paese verso un antico califfato.
Molte delle questioni in gioco appartengono a divisioni, profonde, politiche più che religiose (sebbene, come è noto, in paesi islamici il confine tra politica e religione, piaccia o no, è molto labile). I partiti, anche quelli più antichi, come avviene anche in altre parti del mondo, si sono spartiti il potere, disinterressandosi del paese che vive una profonda crisi economica e sociale. Lo stesso premier, Hamed Jebali, che all'indomani dell'assassinio di Belaid aveva promesso un "governo di emergenza" è stato sconfessato dal suo stesso partito che lo accusa di non aver rispettato le procedure parlamentari. 
Così come deve far riflettere che al contrario di quanto certa stampa vuol far credere (addossando tutte le responsabilità ad una lotta tra laicità e islamismo) anche nelle manifestazioni contro il governo si sono sentiti slogan che inneggiavano a Dio e all'islam.

La questione che emerge con forza, ancora una volta, è che l'esito delle "primavere arabe" non è stato quello che qualcuno, da noi, si aspettava. Il trionfo della democrazia, della laicità e la sconfitta dell'islam al potere (anche quello moderato).  
Nel Nord Africa qualsiasi governo oggi trova legittimazione popolare solo attraverso partiti islamici. Piaccia o no. 
Che questo entri fortemente in conflitto con interessi e priorità dei paesi europei è una verità.

Forse dovremmo imparare ad osservare questi paesi in modo diverso, uscendo dalla logica, forse comoda e strumentale, che l'origine dei loro mali risiede nell'islam, cercando di analizzarne, e di comprenderne, le cause della povertà (in paesi che possiedono molte più risorse dei loro "dirippettai" nel Mediterraneo) e dei conflitti sociali in corso. L'islamismo estremo interpreta, nel modo certamente meno corretto, la rabbia e la disperazione di intere popolazioni e di decenni di atteggiamenti neo-coloniali.


giovedì 5 luglio 2012

Addax: in critica situazione

L'Addax, chiamato anche antilope dalle corna a vite o antilope del deserto o antilope di Mendes, è un'antilope dell'area desertica del Sahara (Ciad, Mauritania e Niger) gravemente minacciato di estinzione. Il suo nome scientifico è Addex nasomaculatus (per la colorazione dell'area nasale che assomiglia ad una x) e, stando alla classificazione dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), è classificato, fin dal 2000  nella Lista Rossa come a Critico (CR), ovvero a grave rischio di estinzione (già dal 1986 era classificato come minacciato di estinzione).
Un animale adatto al clima desertico, resistente a temperature anche molto elevate e adatto alla siccità. Infatti vive soprattutto di notte e al crepuscolo, mentre di giorno forma, scavando con le zampe nella sabbia, dei luoghi di protezione dove ripararsi dalla calura. Può arrivare a pesare 130 chilogrammi.
Habitat attuale degli Addex (da Wikipedia)
Oggi si stima che in tutta le regione vi siano, liberi, solo 300 esemplari di questa antilope che assomiglia molto all'orice. La popolazione si è ridotta dell'80% in una generazione (circa 21 anni). Fino agli anni '70 vi erano esemplari anche in Mali, Sahara Occidentale, Algeria, Libia, Egitto e Sudan, per un totale stimato di 5000 esemplari. In Egitto, in alcune raffigurazioni risalenti al 2500 a.c., si vede l'Addex trattato come animale domestico. Tra le maggiori cause che hanno portato al lento, ma inesorabile, declino della popolazione di Addax vi è la caccia incontrollata (per la carne e per la pelle), la desertificazione e l'aumento dei territori dedicati all'agricoltura. Da tempo sono in corso esperimenti di reintroduzione di questi animali nell'area naturale del suo habitat. In particolare in Marocco e Tunisia (un migliaio di esemplari complessivi), tanto che in particolare presso il Jebil National Park della Tunisia, sono in corso anche i primi tentativi di reintroduzione in natura, mentre a breve partiranno anche simili tentativi in Marocco. L'obiettivo è quello di evitare che l'Addax diventi l'ennesima specie animale "scomparsa in natura".
Paradossalmente sono molti di più gli animali che vivono negli zoo del mondo (circa 600) in particolare in Germania e Israele e soprattutto nelle collezioni private e nel ranches (circa un migliaio), in particolare negli Stati Uniti e nel Medio Oriente.


Ecco alcune belle immagini dal sito ArKive

Ecco la scheda dell'Addex dalla Lista Rossa IUCN

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sabato 23 luglio 2011

Parco Nazionale di Ichkeul

Il Parco di Ichkeul si sviluppa attorno all'omonimo lago vicino alle coste mediterranee della Tunisia e deve la sua notorietà (e salvaguardia) al fatto che rappresenta un punto di sosta degli uccelli migratori tra i quali anatre, cicogne, fenicotteri e oche, che si spostano dall'Europa verso l'Africa e viceversa. Nel 1977 è diventata area protetta e riserva della biosfera e dal 1980, per le sue caratteristiche, il sito è stato inscritto tra i Patrimoni dell'Umanità UNESCO.
Dista circa 25 chilometri da Bizerte e si estende su di una superficie di 12.600 ettari, di cui il lago occupa da 8.600 a 11.000 ettari a secondo della stagione. La profondità del lago varia dai 2,5 metri in inverno al metro in estate. Il Parco comprende una collina, Jebel Ichkeul, alta 510 metri. Stando ad alcune stime sono oltre 200 mila gli uccelli provenienti dall'Europa (in passato anche 400 mila) che sostano in questa area. In uno studio del 1986 furono identificate 226 specie di uccelli, di cui 34 residenti: un vero paradiso ornitologico. E' una tipica macchia mediterranea, abitata anche da alcuni mammiferi tra cui la lontra europea, il gatto selvatico e il cinghiale.
Tra il 1996 e il 2006, a causa delle dighe costruite lungo gli immissari del lago, il sito è stato inserito nella lista dei patrimoni a rischio. Purtroppo la situazione si è radicalmente modificata, la ridotta portata dei fiumi ha alterato, forse per sempre, l'ecosistema. La salinità dell'acqua è notevolmente cresciuta assieme all'aumento di piante acquatiche adatte all'acqua salata. Si teme un netto calo degli uccelli migratori che vedono diminuire l'acqua dolce e i vegetali. Nelle due immagini satellitari a lato, scattate quella in alto nel 2001 e quella in basso nel 2005, mostrano l'incremento delle piante acquatiche nel lago (in rosso).

Vi posto questo interessante approfondimento sul Parco.

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venerdì 4 marzo 2011

Emergenza profughi ai confini tra Tunisia e Libia e tra Egitto e Libia.

Qualsiasi crisi politica, con situazioni che si avvicinano più o meno pesantemente alla guerra civile, tra le tante cose generano migliaia e migliaia di profughi. Gente che scappa, spesso donne, bambini e anziani impauriti dalle violenze e dalle repressioni. Raccolgono poche cose, quelle più care, e trasportandole a mano o con mezzi di fortuna cercano di superare il confine per trovare protezione. Ne sanno qualcosa gli operatori dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR in inglese o ACNUR in italiano) che proprio lo scorso anno hanno celebrato i sessanta anni di attività.
Come avviene in ogni crisi umanitaria nel mondo, gli uomini e le donne dell'UNHCR sono i primi a giungere sul posto fornendo la prima assistenza umanitaria. Sono state montate tende, forniti i generi di prima necessità, erogata la prima assistenza sanitaria e cercato di garantire delle minime condizioni igienico-sanitarie. E' stato immediatamente attivata una raccolta fondi per l'Emergenza Nord Africa.
Nel confine tra Libia e Tunisia sono giunti in queste ultime settimane (a partire dal 20 febbraio) 90 mila profughi, altri 80 mila sono approdati al confine tra Libia e Egitto. La situazione appare più grave nel confine con la Tunisia, poichè in quello egiziano per ora la grande maggioranza sono lavoratori egiziani che erano in Libia.
Tra di essi vi sono lavoratori stranieri in fuga dalla Libia (non dimentichiamo che il Libia vi erano/sono circa 2 milioni di lavoratori stranieri) e cittadini libici spaventati. Nonostante, come hanno avuto modo di dichiarare in ogni luogo i funzionari dell'Alto Commissariato, lo sforzo enorme che civili, Mezzaluna Rossa e esercito tunisino hanno messo in campo, la situazione con il passare delle ore diventa sempre più difficile. Non dimentichiamo che entrambi i paesi, Tunisia e Egitto, si trovano in una fase "post-rivoluzionaria" a seguito del collasso dei vecchi regimi, con delle strutture statali ancora molto fragili e con un'alta tensione interna. Certo non nelle condizioni ideali per accogliere profughi.
Da giorni l'UNHCR ha lanciato un'appello per un "urgente massiccia evacuazione delle persone giunte in Tunisia".

La discussione che si è sviluppata su questo tema in Italia ha assunto una strada singolare. Poichè questi paesi sono geograficamente vicini al nostro, si è immediatamente lanciato l'allarme "invasione". L'Italia, secondo qualche indovino, sarà a breve invasa da 300 mila persone in fuga dal Nord Africa (su questo tema vi rimando al Blog di Laura Boldrini, portavoce italiano dell'UNHCR che per prima ha denunciato questo eccessivo allarmismo).
Questo atteggiamento - decisamente incauto - ha fatto dimenticare che in primo luogo l'Italia dovrebbe guardare con attenzione ed essere protagonista dei cambiamenti storici che sono in corso in tutta l'area del Nord Africa. L'avvento della democrazia auspicata - che per ora è solo l'aver defenestrato il tiranno in Tunisia e Egitto o provare a farlo nel mezzo di una durissima repressione in Libia- dovrebbe far scattare ben altre idee e interventi che l'insensata paura dell'invasione.
Stando ai numeri dell'UNHCR sono quasi 20 milioni i rifugiati nel mondo. Vi sono paesi che da decenni vivono con milioni di rifugiati al proprio interno e di questo il nostro paese non sembra interessarsi minimamente. Certo sono lontani da noi.
Perfino la missione umanitaria italiana ai campi profughi, approvata di recente e che è in partenza in questi giorni, sembra più dettata dalla necessità di bloccare quante più persone in Nord Africa, impedendone la partenza, che da reali intenti umanitari. Del resto le dichiarazioni del Ministro dell'Interno sono state chiare: bisogna dare assistenza ai profughi in loco per evitare che, in mancanza di cibo e assistenza, decidano di fuggire e venire da noi.
Esattamente il contrario di quanto suggerisce l'UNHCR.

Un paese che vuole essere leader nel Mediterraneo come l'Italia, certo dovrebbe prepararsi a tutte le emergenze, fornire assistenza e aiuti umanitari, organizzare l'accoglienza nel proprio paese, ma soprattutto attivare tutti i canali diplomatici ed economici (perchè non usare l'ingente patrimonio della famiglia Gheddafi confiscato in Europa per pagare le spese della crisi umanitaria?) per incidere fortemente - pur nel l'assoluto rispetto delle sovranità territoriali - sull' assetto geopolitico dell'intera area. Certo è molto difficile farlo quando fino ad ieri si sono baciate le mani dei dittatori di turno.


giovedì 3 febbraio 2011

Entra in vigore la Lex Duvalier

E' entrata in vigore in Svizzera il 1 febbraio 2011 la Legge dulla restituzione degli averi di provenienza illecita (LRAI), da subito chiamata "Lex Duvalier" poichè la procedura d'urgenza della legge è stata avviata, nel settembre del 2010, allo scopo di bloccare i fondi illeciti del ex dittatore di Haiti Jean Claude Duvalier (Baby Doc), che ammontano a circa 7 milioni di franchi svizzeri e che è recentemente tornato ad Haiti.
La legge prevede la restituzione allo Stato originario di averi depositati nelle banche elvetiche conseguiti illecitamente da dittatori o politici corrotti.Giustifica
La legge è stata varata in urgenza per impedire che con Duvalier si verificasse quanto era già accaduto nel 2009 con i fondi di Mobutu Sese Seko, che dopo una lunga vicenda aveva visto il governo elvetico costretto a restituire alla famiglia del dittatore circa 7,7 milioni di franchi rubati allo Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo).
La Svizzera è ancora in trattativa con il clan di Sani Abacha (provenienti dalla Nigeria) che nonostante annunci sulla sottoscrizione di accordi in realtà continua a temporeggiare.
Certo in questo momento dove alcune dittature di lunga data, soprattutto africane, vacillano, la Lex Duvalier può creare qualche preoccupazione a chi si è arricchito attrevreso la corruzione e l'impunità.
Purtroppo per i beni del tunisino Ben Ali (da poco costretto alla fuga dalla rivolta popolare), la legge non può essere applicata in quanto il governo elvetico aveva bloccato i fondi il 19 gennaio scorso, mentre le autorità tunisine hanno presentato domanda di assistenza giudiziaria il 27 gennaio, prima dell'entrata in vigore della legge.
Stando agli esperti del settore, la legge pur rappresentando una svolta nel campo della restituzione di fondi sottratti dai dittattori e dai corrotti, presenta alcune lacune che dovrebbero essere sistemate. La prima riguarda la necessità che le autorità locali chiedano ufficialmente assistenza giuridica. Tale evenienza è difficilmente praticabile quando i clan o le stesse famiglie degli ex-dittatori sono ancora coinvolti nel governo e nel sistema giuridico (per fare un esempio il figlio di Mobutu nella R.D. del Congo è Ministro della Repubblica). La seconda lacuna è un'eccessiva libertà di "accordo amichevole con i clan dei potentati" senza fissare un ammontare massimo che in un simile accordo può essere versato direttamente all'ex dittatore o ai familiari. Infine fintanto che solo la Svizzera sarà dotata di una simile legge, le maglie della sua efficienza si allentano molto.
Resta comunque un atto importante che può far tremare molte dittature africane (e non solo).

martedì 1 febbraio 2011

Il sito archeologico di Cartagine

Cartagine (che significa città nuova) era una fiorente città (oggi nella periferia di Tunisi) - molto influente nel Mediterraneo. Oggi è un sito archeologico che dal 1979 è inserito nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'Unesco.
La data di fondazione di Cartagine è incerta: alcuni storici la collocano nell'814 a.c. altri nell'829 a.c., quel che è certo è che furono coloni fenici, provenienti da Tiro, a farla nascere.
Cartagine crebbe via via di importanza, arrivando a competere con Roma per il dominio del Mediterrano. Infatti per oltre un secolo, dal 264 a.c. al 146 a.c. vi fu un violento scontro con Roma (le guerre puniche, per la precisione tre), che portano alla fine alla caduta e alla distruzione di Cartagine. I romani poi la ricostruirono, facendola diventare un'importante città e porto dell'Impero.
Fu conquistata successivamente dai Vandali (popolazione germanica guidata da Genserico) nel 439 (di cui fu capitale fino al 533). Nel 533 fu conquistata dal generale bizantino Belisario. Nel 689, a seguito della conquista araba di tutto il nord africa, Cartagine fu definitivamente distrutta.
Nel 1817 grazie al lavoro del militare e archeologo olandese Jean Emile Humbert, i primi resti della Cartagine antica furono riportati alla luce.
Dal 1921 è iniziata un'importante opera di scavi che ha permesso di portare alla luce i resti delle due città (quella punica e quella romana). Tra i monumenti da vedere il tempio sepolcrare sacrificale chiamato Tophet, la collina di Byrsa (dove sorgeva l'Acropoli cartaginese), le Terme di Antonino (costruite tra il 146 e il 162 a.c.) e di cui oggi restano solo i basamenti, il Teatro d'Adriano e l'Anfiteatro dei martiri.
A Cartagine tra il 371 e il 374 visse Agostino d'Ippona, conosciuto poi come Sant'Agostino.

Per chi vuole approfondire vi rimando al ricco sito dell'Associazione Storico-Culturale S.Agostino che racconta l'Africa agostiniana.
Vi rimando al sito con alcune descrizioni degli scavi archeologici del 2000 e del 2004.

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venerdì 14 gennaio 2011

Anfiteatro romano di El Jam

L'anfitreato romano di El Jam, situato nell'omonima cittadina della Tunisia (il cui nome romano era Thysdrus), è considerato una delle maggiori rovine romane in Africa.
Nel 1979 è stato inserito nei Patrimoni dell'Umanità UNESCO.
L'anfitreato fu costruito nel III secolo all'epoca del proconsole Giordano I (poi morto suicida a Cartagine), e poteva contenere 35.ooo spettatori (solo il Colosseo di Roma e il Teatro di Capua erano più capienti). Lungo 148 metri e alto 35 metri è un'edificio grandioso che al suo interno sviluppava un'arena da 65 metri per 40 metri (un pò più piccola di un campo da calcio, per intenderci)
Fino al XVII secolo l'anfiteatro restò più o meno intatto. Da allora le sue pietre furono usate per costruire altri edifici e in epoca più recente i Turchi usarono i cannoni per stanare i ribelli rinchiusi all'interno.
Alcune fonti affermano che di fatto l'anfitetaro non fu mai terminato.
D'estate si tengono regolarmente concerti all'interno della grande arena.