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venerdì 28 aprile 2017

Filippo Grandi e l'UNHCR

Mentre in Italia divampa una sterile e inutile polemica sulle presunte colpe delle Organizzazioni Non Governative (ONG) nell'ambito della situazione migratoria, l'Alto Commissario delle Nazione Unite per i rifugiati, rilascia questa intervista a Famiglia Cristiana, che vi invito a leggere prima di proseguire in questo post.

La polemica è tutta italiana, cavalcata ad arte e racchiude in se tutta la bassezza del popolo italiano. Quella bassezza che porta a generalizzare, a screditare e a mettere in discussione il lavoro delle Organizzazioni non Governative, spesso le stesse che in altre situazioni sono stati gli eroi che ci hanno salvato (Ebola insegna!).

Il blog che si occupa d'Africa, come Sancara, guarda alle parole di Grandi con grande interesse  e preoccupazione. Nella "più grave crisi umanitaria del dopoguerra", come la chiama l'UNHCR, vi è molta, moltissima Africa. Naturalmente non parliamo delle poche centinaia di migliaia di persone che giungono in Europa ed in Italia, che non possono definirsi un'invasione, bensì di quei 65 milioni di persone fuggite del loro paese e che per il 90% sono "accampate in Africa" e in Medio Oriente.

I 65 milioni di profughi (più della popolazione italiana) che scappano da guerre, carestie e mutazioni climatiche. Ma, scappano anche dalla politica, dall'incapacità dei governi di fronteggiare le crisi, dalla presenza di stati falliti (si veda su questo tema i vari post di Sancara) o dall'abbandono delle istituzioni.

Grandi, mette in luce anche, con molta chiarezza, la situazione economica dell'organizzazione (legata a donazioni statali "libere") e pone l'accento sulla necessità di tener separato, nettamente, colui/colei che scappa da situazioni di pericolo da altre tipologie di migrazioni. Quest'ultimo punto, molto dibattuto nell'ambito delle organizzazioni umanitarie, contiene una trappola enorme. Le tutele giuridiche del profugo (titolare di un diritto di asilo) sono giustamente molto alte e devono essere mantenute. Il profugo non può essere rimpatriato, non puo' essere espulso. Il rischio (e da qui la trappola) è che gli Stati riducano le tutele per tutti, danneggiando in modo particolare coloro i quali hanno diritto allo status di profughi. E' una distinzione non da poco che deve fare riflettere tutti. 

Più volte, scrivendo di campi profughi, ho sottolineato come in alcuni luoghi del pianeta queste enormi tendopoli sono diventate la casa di intere generazioni. Allora le parole di Grandi, testimone diretto dell'enorme tragedia dei profughi dal Ruanda del 1994 a Goma, devono farci pensare sul senso delle emergenze e su alcune parole che spesso usiamo senza conoscerne il reale significato.

Infine, Grandi guarda al futuro prossimo, che non appare per nulla roseo. Le situazioni del Sud Sudan e della regione dei Grandi Laghi (Repubblica Democratica del Congo e Burundi in testa) destano forti preoccupazioni per chi è abituato a confrontarsi con le emergenze ed ha la consapevolezza che la politica, quelle delle decisioni anche coraggiose, ancora una volta, sarà latitante.

Filippo Grandi, milanese, è nato nel 1957. Una carriera svoltasi tutta nell'UNHCR (ACNUR per l'Italia) dove è entrato nel 1988 e dove ha accumulato sul campo un'esperienza che pochi oggi possono vantare.
Dal 1 gennaio 2016 è stato nominato Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (è l'italiano che ha raggiunto  "il più alto grado" di sempre nel sistema delle Nazioni Unite).

giovedì 25 giugno 2015

Pagare per tenerli lontani

La nostra societa' si regge sul denaro. Non vi e' cosa che non possiamo acquistare e non vi e' cosa che non sia in vendita. Domanda e offerta si rincorrono all'impazzata, senza freno. Secondo alcuni non vi e' problema al mondo che non possa essere risolto (o comunque facilitato nella sua soluzione) con il denaro. Lo hanno pensato, e non vi sono motivi per dubitarlo, perfino su quella che molti definiscono emergenza immigrazione. La stampa internazionale ha messo in luce come alcuni governi europei, tra cui quello italiano, abbiano proposto o stiano trattando con il governo Eritreo (l'immigrazione eritrea, dei richiedenti asilo, costituisce la seconda per numero, dopo quella siriana) una soluzione di questo tipo: denaro o sgravi delle sanzioni in cambio di una rigida chiusura delle frontiere.
Naturalmente a nessuno interessa perche' gli eritrei scappano, perche' da quel paese, dove l'opposizione al dittatore Afewerki e' stata cancellata con la forza, la fuga avviene in modo sistematico.  Un paese che le Nazioni Unite hanno denunciato quale portatore di una "cultura della paura". Un paese in cui da tempo non esiste una informazione privata e dove i cronisti stranieri non mettono piede dal 2008. Un paese in cui dal 2007 quasi nessuna Organizzazione non Governativa è autorizzata ad operare. Un paese che occupa il penultimo posto al mondo per la liberta' di stampa (dopo l'Eritrea solo la Corea del Nord).
In molti tenteranno di giustificare il pagamento come una logica difesa delle nostre liberta' e un'azione contro la temuta invasione. Dimenticando che si legittimano, trattando con feroci dittatori, sistemi liberticidi che in altri contesti si contrastano. Trattare in  questo modo significa arricchire e mantenere in piedi sistemi anti-democratici (le promesse elezioni del 1997 sono state rinviate sine die) che certo non favoriscono la distensione e la pace nel mondo. Sistemi che impoveriscono la popolazione e che, con i nostri soldi, finanziano guerre ch altrove generano esodi di massa. Ma impedire di fuggire dalle dittature equivale anche a sospendere sistemi di tutela, quale il diritto all'asilo, su cui si sono fondati i capisaldi dei diritti umani e delle nostre società.
Affrontare il problema in questo modo rappresenta il fallimento di ogni politica di sviluppo e la sconfitta di quei diritti universali per cui le passate generazioni si sono spese, spesso con grandi sacrifici. Ma, allo stesso tempo, alimenta un sistema di relazioni tra paesi ricchi e paesi poveri che finirà, prima o poi, per ritorcerci contro.


Certo i profughi sono merce e come tutte le merci possono essere bloccate da rigidi controlli di frontiera, non lasciarli uscire significa farli diventare carne da macello.

lunedì 5 agosto 2013

Lo spettacolo dei rifugiati

campo in Uganda, foto dalla rete
Da tempo, nel mondo degli addetti ai lavori, è nata una forte polemica,  in relazione all'annunciato nuovo reality show, prodotto da Rai Uno, in collaborazione con l'Alto Commissariato della Nazioni Unite sui Rifugiati (UNHCR) e l'organizzazione non governativa Intersos, chiamato "The Mission". Stando alle notizie, il reality (la cui prima puntata andrà in onda il 27 novembre prossimo) porterà una coppia di VIP (si parla di Al Bano, Filippo Magnini, Elisabetta Canalis) a lavorare, fianco a fianco, con i volontari nei campi profughi del mondo (Sudan, Congo, Giordania e Libano, questi sono i siti di cui si è parlato).

La polemica è subito scattata perchè il mondo della cooperazione e del volontariato è fortemente contrario a questa inutile spettacolarizzazione della povertà. Di contro, UNHCR e Intersos assicurano che gli operatori vigileranno sul rispetto della sofferenza e delle storie personali dei rifugiati e che lo scopo del reality è quello di far conoscere queste situazioni che il pubblico medio italiano ignora.

foto dalla rete
Ora, appare evidente che se la maggior parte degli italiani ignora perfino l'esistenza dei campi profughi (alcuni in essere da oltre 30 anni), dove si stima vi siano oltre 30 milioni di esseri umani, la colpa è di chi avrebbe il compito di informare e non lo fa.
Se solo il 4% dei servizi giornalistici della RAI (ma vale anche per le altre emittenti) si occupa di questi temi, la colpa non è certo degli ultimi tra gli ultimi che non vogliono farsi riprendere.

Pensare che gli stessi che per decenni hanno trascurato questi fatti, si trasformino improvvisamente in paladini della corretta informazione e dell'aiuto umanitario, mi sembra alquanto improbabile.

Avete mai visto un servizio su questi temi in prima serata? Tutto viene rigorosamente trasmesso passata la mezzanotte, forse per non disturbare troppa la digestione dei telespettatori.

Il vantaggio per gli abitanti dei campi profughi quale sarà? I produttori sostengono che il denaro versato dai telespettatatori sarà consegnato ai responsabili del campo.
Il reality show tenterà quindi, come sempre, di smuovere le solite corde, quelle cioè che attraverso un sms, una telefonata o una carta di credito è possibile, per qualche giorno, mettere l'anima a riparo.

C'è da chiedersi anche quale sarà il vantaggio dei produttori e dei VIP. Nulla si fa per nulla, soprattutto in quel mondo. Allora l'immancabile pausa pubblicitaria (dopo aver fatto vedere coloro che non hanno nulla e mangiano forse una volta al giorno, mostreranno l'ultimo modello di smarthphone e la nuova confezione di merendine per la scuola), pagherà tutte le spese di produzione (generalmente non proprio economiche), il cachet dei protagonisti e dei conduttori.
Infine ci sarebbe da chiedersi cosa ci guadagnano l'UNHCR e Intersos, che pure questi luoghi, e questi temi, li conoscono. 

Foto Cristina Francesconi
Vi sono profughi che vivono in condizioni precarie da decenni (sicuramente sostenuti - loro fortuna -dalle agenzie internazionali e dalle ONG). Quello di cui hanno bisogno è di porre fine alla loro assurda e miserabile situazione e far ritorno nei loro paesi. In molti casi le organizzazioni internazionali, gli stati e la politica potrebbero agire, ma non lo fanno. Gli interessi economici internazionali, la logica delle strategie della geopolitica e molte distrazioni, fanno sì che questi ultimi siano sempre sacrificati.

Il compito di una corretta informazione dovrebbe essere quello di martellare ogni giorno sulle questioni irrisolte di questo pianeta, sulla necessità di porre fine all'ingiusta sofferenza di intere generazioni che, in questo caso, hanno avuto l'unica colpa di nascere in paesi dove la vita umana non valeva nulla mentre il petrolio, il coltan, l'oro, i diamanti o l'uranio molto.
 Insomma di far sì che nessuno possa dire non sapevo o peggio ho già dato (la moneta)

Ecco comunque, ed ad ogni buon conto, un estratto dalla Carta di Roma  una sorta di codice deontologico per i giornalisti.

c. Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, adottando quelle accortezze in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona, onde evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari, tanto da parte di autorità del paese di origine, che di entità non statali o di organizzazioni criminali. Inoltre, va tenuto presente che chi proviene da contesti socioculturali diversi, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione attraverso i media;


Ecco i link ai post di Sancara sui rifugiati, per chi ha voglia.

venerdì 4 marzo 2011

Emergenza profughi ai confini tra Tunisia e Libia e tra Egitto e Libia.

Qualsiasi crisi politica, con situazioni che si avvicinano più o meno pesantemente alla guerra civile, tra le tante cose generano migliaia e migliaia di profughi. Gente che scappa, spesso donne, bambini e anziani impauriti dalle violenze e dalle repressioni. Raccolgono poche cose, quelle più care, e trasportandole a mano o con mezzi di fortuna cercano di superare il confine per trovare protezione. Ne sanno qualcosa gli operatori dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR in inglese o ACNUR in italiano) che proprio lo scorso anno hanno celebrato i sessanta anni di attività.
Come avviene in ogni crisi umanitaria nel mondo, gli uomini e le donne dell'UNHCR sono i primi a giungere sul posto fornendo la prima assistenza umanitaria. Sono state montate tende, forniti i generi di prima necessità, erogata la prima assistenza sanitaria e cercato di garantire delle minime condizioni igienico-sanitarie. E' stato immediatamente attivata una raccolta fondi per l'Emergenza Nord Africa.
Nel confine tra Libia e Tunisia sono giunti in queste ultime settimane (a partire dal 20 febbraio) 90 mila profughi, altri 80 mila sono approdati al confine tra Libia e Egitto. La situazione appare più grave nel confine con la Tunisia, poichè in quello egiziano per ora la grande maggioranza sono lavoratori egiziani che erano in Libia.
Tra di essi vi sono lavoratori stranieri in fuga dalla Libia (non dimentichiamo che il Libia vi erano/sono circa 2 milioni di lavoratori stranieri) e cittadini libici spaventati. Nonostante, come hanno avuto modo di dichiarare in ogni luogo i funzionari dell'Alto Commissariato, lo sforzo enorme che civili, Mezzaluna Rossa e esercito tunisino hanno messo in campo, la situazione con il passare delle ore diventa sempre più difficile. Non dimentichiamo che entrambi i paesi, Tunisia e Egitto, si trovano in una fase "post-rivoluzionaria" a seguito del collasso dei vecchi regimi, con delle strutture statali ancora molto fragili e con un'alta tensione interna. Certo non nelle condizioni ideali per accogliere profughi.
Da giorni l'UNHCR ha lanciato un'appello per un "urgente massiccia evacuazione delle persone giunte in Tunisia".

La discussione che si è sviluppata su questo tema in Italia ha assunto una strada singolare. Poichè questi paesi sono geograficamente vicini al nostro, si è immediatamente lanciato l'allarme "invasione". L'Italia, secondo qualche indovino, sarà a breve invasa da 300 mila persone in fuga dal Nord Africa (su questo tema vi rimando al Blog di Laura Boldrini, portavoce italiano dell'UNHCR che per prima ha denunciato questo eccessivo allarmismo).
Questo atteggiamento - decisamente incauto - ha fatto dimenticare che in primo luogo l'Italia dovrebbe guardare con attenzione ed essere protagonista dei cambiamenti storici che sono in corso in tutta l'area del Nord Africa. L'avvento della democrazia auspicata - che per ora è solo l'aver defenestrato il tiranno in Tunisia e Egitto o provare a farlo nel mezzo di una durissima repressione in Libia- dovrebbe far scattare ben altre idee e interventi che l'insensata paura dell'invasione.
Stando ai numeri dell'UNHCR sono quasi 20 milioni i rifugiati nel mondo. Vi sono paesi che da decenni vivono con milioni di rifugiati al proprio interno e di questo il nostro paese non sembra interessarsi minimamente. Certo sono lontani da noi.
Perfino la missione umanitaria italiana ai campi profughi, approvata di recente e che è in partenza in questi giorni, sembra più dettata dalla necessità di bloccare quante più persone in Nord Africa, impedendone la partenza, che da reali intenti umanitari. Del resto le dichiarazioni del Ministro dell'Interno sono state chiare: bisogna dare assistenza ai profughi in loco per evitare che, in mancanza di cibo e assistenza, decidano di fuggire e venire da noi.
Esattamente il contrario di quanto suggerisce l'UNHCR.

Un paese che vuole essere leader nel Mediterraneo come l'Italia, certo dovrebbe prepararsi a tutte le emergenze, fornire assistenza e aiuti umanitari, organizzare l'accoglienza nel proprio paese, ma soprattutto attivare tutti i canali diplomatici ed economici (perchè non usare l'ingente patrimonio della famiglia Gheddafi confiscato in Europa per pagare le spese della crisi umanitaria?) per incidere fortemente - pur nel l'assoluto rispetto delle sovranità territoriali - sull' assetto geopolitico dell'intera area. Certo è molto difficile farlo quando fino ad ieri si sono baciate le mani dei dittatori di turno.


giovedì 4 novembre 2010

Grave situazione umanitaria ai confini tra Kenya e Somalia

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR o UNHCR in inglese) ha lanciato un appello al governo del Kenya perchè blocchi il rimpatrio forzato di più di 8.000 rifugiati somali (la maggior parte bambini, donne e anziani) dal campo di accoglienza Border Point One a Mandera.
La storia è cominciata il 29 ottobre quando l'Alto Commissariato ha lanciato un'allarme perchè a seguito degli scontri tra le milizie del governo provvisorio somalo e i ribelli di al-Shabaab nella città somala di confine Beled Hawo, oltre 7.000 persone erano scappate, trovando rifugio nel camp di Border Point One, a 500 metri dal confine tra Kenya e Somalia, in attesa delle decisioni del governo del keniota.
Il Kenya, stando al report 2010-2011 del Alto Commissariato è il paese dell' East Africa che ospita il maggior numero di rifugiati, in maggioranza provenienti dalla Somalia (oltre 350 mila), ma anche dall'Etiopia e dal Sud Sudan. Nel 2010 saranno spesi, nel solo Kenya, 152 milioni di dollari per i rifugiati (il budget previsto per il 2011 è di 166 milioni di dollari, mentre nel 2009 sono stati spesi 127 milioni).
L'emergenza dei profughi in Kenya è vecchia e grave (del resto la Somalia è in uno stato di anarchia dal 1993, il Sud Sudan è stato in guerra dal 1983 al 2005 e l'Etiopia affronta periodiche crisi soprattutto nella regione dell'Ogaden), al punto che è stato coniato il termine per quella regione di "triangolo della morte" dei rifugiati. Da anni le organizzazioni non governative denunciano la situazione esplosiva dei campi (vedi articolo).

Sempre secondo il rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite, sono oltre 10 milioni in rifugiati del mondo (oltre 2 milioni in Africa) che fanno arrivare a oltre 34 milioni ( richiedenti asilo, rimpatriati, apolidi, sfollati interni) le persone in qualche modo assistite dal UNHCR (oltre 10 milioni in Africa). L''80% di essi sono ospitati in Paesi in Via di Sviluppo, spesso aggravando la situazione interna al paese (quello che è successo dopo il genocidio nel Ruanda del1994 della a zona del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo è l'esempio forse più drammatico).
La stato del rifugiato fu definito già nel 1951 all'Articolo 1 della Convenzione di Ginevra e tutelato dall'Art.14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
Stiamo parlando di persone (la maggior parte donne, bambini e anziani) che improvvisamente sono costrette a raccogliere in fretta e furia i loro averi, abbandonare le loro case e fuggire, oltre i confini, in un altro stato per vivere (per un periodo? per anni? per sempre?) ,quando va bene, in una tendopoli allestita dagli organismi internazionali e dalle organizzazioni non governative. Inutile dirlo che si scappa dalla guerra, dalla fame, dalle violenze e dalle persecuzioni: insomma dalla morte certa.