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martedì 24 marzo 2015

Kareyce Fotso, tra modernità e tradizione

Una voce unica, che mette assieme il calore del blues e la dolcezza della tradizione musicale africana. La cantante camerunense Kareyce Fotso è questo: una miscela, ben riuscita, di questi elementi, tra modernità e tradizione.
Nata in Cameroun, alla fine degli anni '70 (vi è un pò di femminile mistero sulla sua data di nascita), figlia di uno scultore e di una commericiante, di etnia Bamilekè, cresce poi tra i Beti. Studia chimica e poi cinema, all'Università di Yaoundè, ma la sua vera passione è cantare. Fin da piccola era affascinata dalla voce di Anne-Marie Nzie, che negli anni '40 cantava bikutsi, una musica del Camerun centrale.  Inizia quindi a farlo nei locali e nei cabaret di Yaoundè, per poi, a dal 2001, unirsi ai Korongo Jam con cui danza e canta per oltre 6 anni. A partire dal 2009 approda sulla scena internazionale dopo una tournee in Francia.



Il primo album esce nel 2009 (Mulato) e a questi seguiranno altri due Kwenge (2010) e Mokete (2014). Quest'ultimo, registrato quasi interamente in studio a Yaoundè e uscito nell'aprile del 2014, è un omaggio al suo paese, poichè rappresenta un itinerario tra le varie regioni in cui Kareyce, oltre ad usare ritmi e suoni differenti, canta in otto diverse lingue.

I suoi testi parlano di differenze tra i generi, di relazioni, di violenze e di esilio, senza mai far mancare una piccola dose di umorismo e di amore, estremo, per la vita. Un contagioso modo, facilitato anche dal suo solare sorriso, di raccontare l'Africa in tutte le sue declinazioni.

I suoi concerti dal vivo sono intensi e vitali, a volte persino densi di charme e umorismo. Assieme alla sua chitarra la Fotso suona strumenti della tradizione africana come tamburi o la sanza (uno strumento lamellofono simile alla mbira)

Ecco il sito ufficiale
Ecco una sua intervista
Vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa

giovedì 11 dicembre 2014

Popoli d'Africa: Bamileke

I Bamileke sono un gruppo etnico bantu del Camerun distribuito nella zona nord e ovest, lungo il bacino del fiume Cross. Il loro nome significa letteralmente "quelli che stanno in basso" (nel senso geografico), derivante dall'affermaziione mbale-keo.
Sono stimati essere intorno agli 8 milioni di individui.
Originari del Nord (secondo alcuni sono state trovate tracce nell'area dell'Egitto), nel XVII secolo infatti i Bamileke migrarono verso sud per sfuggire all'islamizzazione.
Oggi sono divisi in diversi gruppi e clan, parlano una lingua semi-bantu e, secondo gli etnolinguisti, possono essere riconosciuti ben 11 dialetti diversi. L'organizzazione sociale prevede una scala gerarchica molto rigida, che a partire dal re, giunge fino al capofamiglia.
Popolo primitivamente di agricoltori (sia gli uomini che le donne lavoravano i campi) e abili cacciatori, sono oggi più dediti al commercio e in generale al mondo del business con grande dinamicità e intraprendenza.
Divisi tra il cristianesimo e l'islam, hanno mantenuto molti legami con un ricco e complesso mondo di rituali che sono sempre accompagnati da maschere, statue (in legno e bronzo, molte di figure animali, tra le quali l'elefante, il bufalo e il leopardo sono rappresentati in modo particolare), musiche e danze. In particolare la presenza di società segrete consentono di preservare e mantenere l'ordine sociale nel regno. Tra le società segrete più attive vi è la Kwifo, letteralmente la notte, intimamente legata al re.
Tra le cerimonie rituali quella legata al culto dei defunti (cerimonia dei teschi) è sicuramente la più sentita dal popolo bemileke.

I villaggi sono costituiti da edifici di forma quadrata con tetto conico, in raffia e bambu.

Tra gli antropologi che maggiormente hanno studiato il popolo bamileke segnalo il camerunense Dieudannè Toukam, autore di un importante testo storico-antropologico.

Ecco un ottimo approfondimento su questo popolo dal blog Trip Down Memory Lane

Ecco alcuni esempi di maschere rappresentanti l'elefante e manufatti bamileke

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa


giovedì 21 agosto 2014

Quando esplode un lago

Questo post l'ho pubblicato sul mio blog Giornodopogiorno - Date che contano, un piccolo prodotto che ricorda i fatti avvenuti nei vari giorni dell'anno. Frammenti di storie e di ricordi, a volte non proprio conosciutissimi.
Trattandosi di un fatto, drammatico e insolito, che riguarda il continente africano, ho deciso di ripubblicarlo su Sancara. Certo non è una data storica per l'Africa. E' senz'altro una data drammatica per chi quel mattino non ha visto più il giorno e per i loro familiari.

Ecco il post di Giornodopogiorno
Pochi forse ricordano quel che accadde la notte del 21 agosto 1986 nel nord-ovest del Camerun. Quella notte morirono soffocati nel sonno 1700 persone (oltre a 3500 capi di bestiame). La scena per molti versi apocalittica avvenne nei pressi del Lago Nyos, un lago vulcanico di grande profondità (oltre 200 metri).
Inizialmente si ipotizzò che a uccidere tutte quelle persone, che non ebbero scampo, fosse stata una nube di anidride solforosa sprigionata da un'eruzione vulcanica sotterranea.
Come avviene per molte cose africane, poco si sa su chi erano le vittime, le loro storie, i sopravvissuti e altre cose che riguardano gli aspetti più drammatici di quella notte.
Invece da subito si iniziò a studiare il fenomeno.
Si scoprì poi che la causa era stata un'enorme nube di anidride carbonica (80 milioni di metri cubi) che si propagò per circa 25 chilometri intorno al lago. La nube fu determinata da un'eruzione limnica (detta anche ribaltamento del lago), ovvero dalla rapida risalita dalle acque profonde del lago di un'enorme bolla di anidride carbonica. Gli studiosi spiegano la faccenda in questo modo: i
primi 40 metri di superficie di acqua del lago sono composti da acqua sorgiva e piovana, i sottostanti 140 metri  sono composti da acqua densamente ricca di anidride carbonica che non si mescola con quella superficiale. Uno smottamento o una variazione climatica possono far risalire improvvisamente in superficie l'anidride carbonica, generando il disastro che avvenne in Camerun.
Il lago fu subito evacuato e dal 2001 (e successivamente nel 2010) sono stati inseriti dei sifoni di sfiato - degli enormi tubi che pescono l'acqua sotto i 40 metri e fanno risalire (sfiatare, o meglio degassare) in superficie una parte di anidride carbonica insieme a grandi quantità di acqua.
Questa operazione, progettata a partire dalla metà degli anni 90, ha trovato anche voci critiche all'interno della comunità scienfifica, le quali sostengono l'inutilità di tale procedura.
Ecco un sito che spiega la tecnica di degassificazione del lago

lunedì 18 novembre 2013

Popoli d'Africa: Fang

I Fang (o Fan) sono un gruppo etnico che vive in Camerun, Gabon (dove costituiscono la prima etnia) e Guinea Equatoriale. Secondo gli etnografi appartengono ad un più vasto gruppo, composto da una ventina di etnie, denominato Beti-Pahuin. Giunsero nell'attuale area geografica intorno al XVIII secolo, provenienti dal Nord-Est (dall'attuale Nigeria), e qui si "mescolarono" (anche con altre migrazioni) alle popolazioni locali. Abili cacciatori e soprattutto guerrieri, erano temuti per la loro aggressività e sospettati di praticare (almeno fino al XVII secolo) l'antropofagia. Parlano la lingua Fang e secondo alcuni studi sono un numero vicino ad 1 milione e 100 mila. Hanno una società priva di capi (nella lingua non esiste nemmeno una parola adatta a definire tale funzione) e la gestione delle funzioni di leader è affidata al più capace (e quindi più influente) discendente della famiglia che ha fondato il villaggio. Vivono in piccoli villaggi, ai margini della foresta, distanti l'uno dall'altro. Sono poligamici.


Coltivano principalmente manioca, mais, banane e palme, sebbene oggi molti sono coinvolti nelle piantagioni di cacao e caffè introdotte dai coloni.
Tra gli animali cacciati ai fini alimentari dai Fang vi è anche un tipo di rana (la rana golia, Conraua Goliah), che può giungere ai tre chili, oggi a rischio estinzione.

La loro religione, il sincretismo Bwitri, incentrato sulla figura di una divinità chiamata Mebe'e (è un monoteismo, con una forte presenza di riti legati agli spiriti degli antenati) culto comune in molte altre etnie dell'Africa Occidentale, fu intaccato dall'impatto con i coloni (tedeschi e spagnoli prima e poi francesi), che spinsero il gruppo verso il cristianesimo a partire dalla metà del 1900.
Tra le loro tradizioni e riti vi è quello di conservare cranio e ossa dei defunti (cosa che ha generato il sospetto di cannibalismo) poichè ritengono che nello scheletro si conservano le forze e le energie del morto.

Sono abili artigiani, le loro sculture di legno (maschere e figure antropomorfiche) sono origini e uniche per la perfezione dell'intaglio e la ricchezza della lavorazione.

Per chi vuole approfondire ecco uno studio dell'Università di Lione sulla lingua e la cultura Fang

Ecco alcune opere in legno degli artisti Fang

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martedì 1 ottobre 2013

Breast ironing: un'inutile e dannosa pratica

L'Africa è il regno indiscusso dei contrasti. Modernità e tradizioni convivono in spazi molto ristretti. Bellezze straordinarie e orrende nefandezze si alternano come in un gioco perverso. Ricchezza e povertà forniscono immagini controverse. Natura incontaminata e baraccopoli, cultura raffinata e inauditi crimini, amore infinito e odio incomprensibile. Tutto questo è Africa.

Una protesta delle bambine, foto dalla rete
In Camerun, ma non solo, si parla da tempo di un'orrenda pratica che è conosciuta come breast ironing (letteralmente, stiratura del seno). Sebbene la pratica abbia origini antiche, è balzata alla cronaca, grazie al lavoro di contrasto delle associazioni di donne del Camerun.
Si tratta del tentativo di bloccare la crescita del seno in età puberale, attraverso l'uso del calore e della pressione. Con legni o pietre molto calde si tenta di "bruciare e comprimere" la ghiandola mammaria al fine di impedirne la crescita. E' una pratica molto dolorosa, pericolosa a causa di complicanze immediate e postume e spesso inutile.

Premettiamo che tale pratica non ha nulla a che fare con la religione o strane credenze ed è quasi completamente slegata dalle condizioni socio-economiche delle interessate. Una pratica diffusa anche in altri luoghi e in altri tempi, attraverso strette e ossessive fasciature.

I motivi che stanno alla base di tale tortura sono quelli, apparentemente nobili, di proteggere le bambine da un precoce sviluppo (la crescita del seno equivale all'essere pronte a praticare sesso) e quindi da matrimoni e gravidanze precoci e da appetiti sessuali (di vario genere e soprattutto dagli stupri) degli uomini. Rimuovendo questo segno di pubertà le mamme (a praticare il breast ironing sono per il 58% le mamme e per il resto ziee, nonne e sorelle) sono convinte di proteggere le figlie.
La precocità dello sviluppo sessuale delle bambine ha fatto anticipare il breast ironing a bambine anche di 9 anni. Una violenza fatta dalle donne sulle donne.

Come in tutte le cose, gli errori legati a pratiche maldestre, finiscono con peggiorare la situazione. L'eccessivo calore oltre ad ustionare la pelle, rischia di creare ascessi e cisti che creano enormi problemi, tra cui l'effetto contrario (lo sviluppo abnorme del seno).

Naturalmente noi tutti gridiamo, a ragione, all'orrore. Dobbiamo però anche avere il coraggio di valutare un fenomeno che è molto più complesso e che investe la società camerunese (e non solo). Nel gesto estremo delle madri vi è il tentativo di proteggere le giovani figlie da violenze ritenute ancora più grandi. Se da un lato è ingiusto che non vi sia una legislatura che condanna la pratica del breast ironing, dall'altra appare ugualmente ingiusto che non vi sia una normativa sull'età del matrimonio ad impedire che bambine di 10 anni siano ritenute sessualmente mature.


Del resto la storia delle violenze sulle donne, fin dai tempi antichi, è infinita e degna della peggior perversione. Dalle cinture di castità medioevali alla riduzione dei piedi o all'allungamento del collo, dalle mutilazioni genitali alla riduzione del seno. Innumerevoli anche le violenze, spesso autoindotte e apparentemente meno innocue (pensate a chili di silicone aggiunti al seno), anche nel nostro mondo. Paure, malvagità, dubbi canoni estetici e credenze religiose: un mix complesso. Non solo in Africa, dove le mutilazioni genitali femminili rappresentano ancora oggi un stupro silenzioso molto diffuso, ma nel mondo intero. Pratiche che spesso non hanno nessun substrato scientifico e divengono solo un'inutile sofferenza per giovani donne.

Come avevamo già scritto parlando delle mutilazioni genitali femminili, l'eradicazione di tale pratiche è affidata alla donne e alle loro associazioni in loco, che vanno sostenute e affiancate nelle loro lotte e nella diffusione del loro messaggio.

Ecco il sito dell'Associazione RENATA (Reseau national des Associations de tantires), maggiormente impegnata sulla sensibilizzazione contro questa pratica e in genere contro la violenza sessuale.

Ecco una completa scheda della GeED

martedì 17 luglio 2012

Benouè National Park

Foto Maremagna
Il parco nazionale di Benouè si trova nel nord-est del Camerun. E' stato istituito nel 1932 come riserva faunistica e nel 1968 è divenuto parco nazionale. Dal 1981 è Riserva della Biosfera tutelata dall'UNESCO. Oggi ha una superficie di 180 mila ettari e il suo territorio (tra i 250 e i 760 metri d'altitudine verso il Monte Garoua, che arriva a 1000 metri) è attraversato per una parte dal fiume omonimo, lungo circa 1400 chilometri.
L'area è un ecosistema di foresta tropicale con ampi spazi di savana.
Tra gli animali che vivono del parco vi sono anche 30 leoni (tra gli ultimi dell'Africa Occidentale) oltre a elefanti, leopardi, rinoceronti neri, iene, antilopi, buffali, ippopotami e coccodrilli.
Il parco è anche un paradiso ornitologico poichè vivono oltre 306 specie di uccelli.

All'interno del Parco, circa 35 chilometri dall'entrata principale, si trova una Camp (Buffle Noir) con alcuni bungalow e un ristorante.
Come avviene in tutte le Riserve della Biosfera del pianeta, la presenza dell'uomo all'interno è prevista e auspicata con attività sostenibili, tra cui il turismo e la ricerca scientifica. Nella'area della riserva le popolazioni locali coltivano il cotone e oltro a cacciare e pescare per la loro sopravvivenza.
Foto dalla rete
Di contro tra le maggiori minacce della Riserva vi è l'abbattimento degli alberi (per farne legna da ardere o per il commercio), gli incendi e la caccia abusiva. Sorprende quindi vedere (e ben pubblicizzato) proprio a ridosso dell'area del parco, una zona dove è possibile fare safari - non quelli fotografici- con tanto di prezzario, numero di capi che è possibile abbattere, armature e foto di "trofei", molto discutibili. Neanche a dirlo, l'area è gestita (come dice la loro pubblicità) da oltre 25 anni da italiani (Ital Big Game Safari). Naturalmente, a scanso di equivoci, tutto rigidamente legale.



Ecco il sito ufficiale del Parco
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venerdì 11 maggio 2012

Parco Nazionale di Waza

Foto da Wikipedia
Il Parco Nazionale Waza, nell'estremo nord del Camerun (praticamente nella sottile striscia di terra posta tra la Nigeria e il Ciad), fu creato nel 1934 come riserva di caccia. Si estende su di una superficie di 1.700 km quadrati (170.000 ettari) e dal 1968 è diventato Parco Nazionale. 
Dal 1979 il Parco è divenuto una Riserva della Biosfera. Il Parco è gestito direttamente dallo Stato, attraverso un servizio facente capo al Ministero dell'Ambiente e della Conservazione della Natura del Camerun. Con un altitudine media di 300 metri, il Parco si pone in una zona di confine tra il Sahel e la savana, divenendo un habibat di grande valore per la biodiversità. Nel Parco vivono ancora leoni - sebbene la popolazione stia diminuendo in modo drammatico anche a causa del commercio illegale delle pelli (le ultime stime parlano di una ventina di esemplari) ed elefanti. Naturalmente è possibile vedere altri mammiferi (antilopi e giraffe in particolare) e un numero vicino alle 400 specie di uccelli. Il Parco è aperto dal 15 novembre al 15 giugno, all'interno non vi sono strutture (se non alcuni piccoli villaggi) ed è possibile alloggiare nei dintorni.
Un tempo il parco era un ottimo esempio di buona gestione, che prevedeva anche un buon coinvolgimento delle popolazioni locali. Per dare il metro della situazione all'inizio degli anni '80 vi lavoravano 25 guardia-parchi, che nel 2005 erano diventati 7. Recentemente - grazie alla cooperazione della sezione olandese dell'IUCN - l'Organizzazione Mondiale che si occupa della conservazione della natura - la situazione sembra in netto miglioramento.
Giraffa a Waza (dalla rete)
Inoltre il Parco - le cui acque fanno parte del grande bacino del Ciad - ha risentito negativamente della costruzione della Diga Maga, che ha ridotto notevolmente l'apporto idrico, generando una lenta distruzione delle piante acquatiche e di conseguenza la diminuzione degli animali, in particolare delle antilopi. Recentemente, nel 2002, è stato varato un progetto di reinondazione del bacino idrico presente nel parco al fine di ripristinare quanto più possibile l'habitat naturale. E' chiaro che tutta l'area risente dalla grave "patologia" derivante dell'inesorabile prosciugamento del Lago Ciad.

Ecco la scheda di Birdlife, sugli uccelli del Parco di Waza.
Vi segnalo anche questo interessante articolo del 2009 sul rischio di estinzione dei Leoni dal Parco di Waza, frutto di un'accurato monitoraggio.

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mercoledì 11 gennaio 2012

Popoli d'Africa: Baka

I Baka (chiamati anche Bayaka, Bebayaka, Bebayaga o Bibaya) sono un popolo nomade che vive nelle foreste pluviali equatoriali del Camerun,  del Gabon e del Congo. Stando a delle stime (calcolare il loro numero non risulta facile) sono un numero che varia da 30.000 a 40.000 individui. Appartengono a quel vasto gruppo di popoli pigmei, per la loro bassa statura. Hanno grandi similitudini con altri popoli pigmei come gli Aka, i Twa e i Mbuti.
Si accampano nella foresta in capanne unifamiliari a forma di igloo, chiamate mongulu, costruite dalle donne con foglie e rami. Restano nella stessa area fino a quando la foresta è in grado di sfamarli, poi si spostano.
Vivono utilizzando quello che la foresta offre, ovvero cacciando (gli uomini) con frecce avvelenate o trappole, e nutrendosi di miele (sono abili raccoglitori) e di altri prodotti come frutti selvatici e funghi. I Baka sono inoltre grande conoscitori delle piante della foresta che utilizzano per produrre i veleni per le frecce ed i medicamenti. Hanno anche delle complesse tecniche di pesca. Hanno uno spirito molto comunitario, percui tutti i prodotti della caccia o della raccolta, vengono divisi tra tutti i nuclei familiari.
Sono animisti e credono in uno spirito della foresta chiamato Jengi. Hanno delle complesse danze rituali che sono accompagnate da canti polifonici e da strumenti a percussione, mentre continuano a praticare un rito di iniziazione che segna l'ingresso di ogni maschio Baka nell'età adulta.
La musica è un elemento di primaria importanza per i Baka, che la coltivano fin dalla tenera età. Del resto, come gli antropologi hanno sempre sostenuto, l'udito e i suoni sono fondamentali per la sopravvivenza nella foresta dove spesso la vista si ferma a poche decine di metri. I Baka hanno la capacità di "ascoltare" la foresta. Il rapporto con la foresta per i Baka è la vera essenza della loro cultura. La foresta offre tutto quello che è necessario per vivere, per conoscere e per credere.
Purtroppo negli ultimi decenni la loro sopravvivenza è fortemente minacciata dalla deforestazione, che da un lato toglie loro i luoghi della loro vita e dall'altra li costringe ad uscire dalle foreste scegliendo una vita più sedentaria (costruscono capanne non lontano dai villaggi delle popolazioni bantu di cui sono spesso vittime di suprusi) che rompe ogni legame con le loro antiche tradizioni.

Tra i maggiori conoscitori del popolo Baka vi è un antropologo italiano,  Luis Devin , che per anni ha vissuto con loro, carpendone i segreti più remoti. A breve uscirà un suo libro (La foresta ti ha. Storia di un'iniziazione, Castelvecchio Editore). Questo è il suo sito riccamente documentato e con stupende immagini.
Tra i primi invece a scrivere sul popolo Baka fu  Lisa Silcock alla fine degli anni '80.

I Baka sono una etnia che per le loro caratteristiche - qualcuno li ha descritti come un "popolo che vive in un limbo tra passato e presente" - hanno sempre destato curiosità ed interesse. Girando per la rete si possono trovare informazioni, immagini, approfondimenti sulla loro musica e sulla loro capacità di adattamento nella foresta. Non manca naturalmente chi cerca di aiutare la loro sopravvivenza. Tra i tanti vi segnalo l'Associazione Dokita, attiva con un progetto in loco, e naturalmente Survival International, che da tempo segue la delicata situazione dei popoli pigmei dell'Africa centrale.

Ecco anche un'altro sito per approfondire la conoscenza del popolo Baka.
Questo interessante articolo di approfondimento sullo sviluppo umano e la cultura tra i Baka.
Oppure questo video di National Geographic del 1988 sui Baka.

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giovedì 25 agosto 2011

E' africano il calciatore più pagato al mondo

Da oggi il calciatore camerunese, Samuel Eto's Fills (nato in Camerun nel 1981) è il calciatore al mondo più pagato. Egli infatti guadagnerà, per i prossimi tre anni, 20,5 milioni di euro all'anno (per capirci dopo di lui Cristiano Ronaldo guadagna circa 12 milioni di euro). A pagare questa folle cifra sarà una modesta squadretta di Machackala, capitale della Repubblica del Daghestan (circa 2,5 milioni di abitanti) conosciuta al mondo perchè confinate con la Cecenia e quindi coinvolta nella guerra di Cecenia che ha travolto l'ex Unione Sovietica dopo il suo crollo.
La squadra in questione si chiama FC Anzhi ed è nata nel 1991 e sei mesi fa è stata acquistata da un magnate russo, il quantacinquenne Suleyman Kerimov, uno degli uomini più ricchi del mondo. Kerimov, dal 1999 nel Parlamento Russo (la Duma), e', tra le altre cose, uno degli azionisti del colosso energetico Gazprom e di una delle più grandi banche d'affari russa, la Sberbank. Secondo la rivista Forbes possiede un patrimonio di 17,8 miliardi di dollari. Qualcuno forse ricorda che nel 2004 Kerimov aveva tentato di comprare la squadra di calcio della Roma.
Samuel Eto's, considerato uno dei migliori giocatori al mondo, quando aveva 15 anni fu prelevato dal suo paese e portato nelle giovanili del Real Madrid, giocando poi nel Majorca, nel Real Madrid, nel Barcellona e infine nell'Inter. Nella sua carriera ha vinto quasi tutto. Per ora nessun africano ha potuto vincere un mondiale per nazioni.
Oltre allo stipendio del calciatore, che ricordiamo è netto, l'Anzhi ha anche pagato complessivamente circa 27 milioni di euro all'Inter per l'acquisto del cartellino.
C'e ancora un particolare di quest'affare che merita di essere raccontato. Poichè il  Daghestan è ritenuta ancora un'area pericolosa, il calciatore (come del resto i suoi compagni di squadra) vivrà a Mosca (che dista 1600 km) raggiungendo Machackala solo nel week-end della partita.
Fin qui la cronaca sportiva.

Credo che a qualsiasi persona questi numeri, in un momento storico ed economico particolare come questo, fanno riflettere. Inutile sottolineare che lo stipendio di Samuel è 1000 volte quello di un dipendente medio (20.000 euro annui netti), che vi sono quasi un miliardo di individui nel mondo che vivono con meno di 2 dollari al giorno (ovvero 750 dollari all'anno, circa 500 euro all'anno) o che con gli stessi soldi in Camerun si mantiene mezza popolazione per un anno.
Non è nemmeno mia intenzione criticare il calciatore, che legittimamente cerca di capitalizzare al massimo i 15-20 anni di carriera.
La questione però non può lasciarci indifferenti. Dobbiamo avere almeno l'onestà di dire che vi è qualcosa che in questo sistema mondo non funziona.

Vi sono giovani, in tutto il mondo ,che dedicano la loro vita allo studio, alla pratica della loro professione riuscendo magari ad incidere significativamente per il futuro del mondo, che ovunque reclamano un futuro che non intravedono nemmeno.
Vi sono uomini e donne, e purtroppo bambini, che lavorano 15 ore al giorno per un pezzo di pane.
Vi sono persone che vendono il proprio corpo, i propri figli o un pezzo del loro organismo per poter sopravvivere.
Vi sono bambini che quando nascono sanno già che non supereranno i 5 anni.
Vi sono esseri umani che muoiono perchè non hanno da mangiare.

Poi leggo su Forbes che l'origine della ricchezza di Kerimov è "self made", si è fatto da solo. Allora vi è una speranza per tutti.




martedì 29 marzo 2011

Libri: Passione d'Africa

Claude Njikè-Bergeret scrive questo libro autobiografico nel 1997 (Ma passion africaine), che viene poi tradotto in Passione d'Africa e pubblicato in Italia nel 1999 da Mondadori nella collana Ingrandimenti.
Un libro piacevole, ben scritto, che oltre tutto trasmette un'amore incondizionato per l'Africa e per la sua gente.
La storia è sotto molti aspetti semplice. Claude è figlia di missionari francesi protestanti e fino a 13 anni vive in Camerun dove nasce il 5 giugno 1943. Ritornata in Francia, si laurea, vive gli intesi anni sessanta, si sposa ed ha due figli. Ad un certo punto della sua vita , trascorsi orami 18 anni dal suo ritorno in Francia, abbandona tutto e, richiamata appunto da un amore intenso per la terra, delle sue radici in Camerun.
Si innamora e sposa, entrando nel suo harem - cosa che per una bianca rappresentava una novità assoluta - il re dell'etnia Bamilekè, Njike Pokam Francois, da cui avrà due figli. Alla sua morte resterà a gestire un'azienda agricola.

Il libro inoltre ha il pregio di essere stato il primo ad approfondiamento la cultura del popolo Bamilekè, i cui studi antropologici sono successivi alla pubblicazione del libro della Bergeret.

Al suo primo libro ha fatto seguito Le sagesse de mon village (2000) e Agis d'un seul coeur (2009), entrambi non ancora tradotti in italiano.

Curioso il fatto che il libro non sia mai stato tradotto in inglese (lo è, invece, in tedesco).


Per chi volesse approfondire vi segnalo questa recensione di Maria Vittoria Sbordoni per la rivista Piroga

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mercoledì 2 marzo 2011

Popoli d'Africa: Igbo

Gli Igbo (o Ibo) costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici africani, con oltre 45 milioni di persone. Abitano in Nigeria ( 17% della popolazione nell'area del sud-est), in Camerun e in Guinea Equatoriale.
Parlano la lingua Igbo, e molti dialetti ad essa correlati, della famiglia delle lingue del Niger-Congo. Oggi, la maggior parte parla inglese.
Nelle aree rurali gli Igbo vivono di agricoltura.
Oggi la maggior parte degli Igbo sono cristiani, sebbene vi sia una piccola comunità ebraica. Nel passato professavano una religione monoteistica chiamata odinani - una serie complessa di miti e tradizioni - che riconosceva in Chukwu il grande spirito creatore.
Sono maestri nella fabbricazione di maschere e statue in legno, mentre le donne dipingono con una tecnica chiamata uli e che è stata abbandonata a partire dagli anni '70. Inoltre sono grandi musicisti - il genere più diffuso è l'highlife (una musica, e danza, popolare nata in Ghana agli inizi del 1900) - con una grande quantità di strumenti tradizionali come l'udu,(strumento a percussione in ceramica o argilla, suonato soprattutto dalle donne), l'ekwe (strumento a percussione in legno, con un foro rettangolare), l'igba (un tamburo cilindrico con pelle di animale), l'opi (strumento a fiato simile al flauto) e l'ogene (una grande campana di metallo).
E' stato un popolo che ha subito , tra il XVII e il XVIII secolo, pesantemente la tratta degli schiavi, infatti oggi negli Stati Uniti si trovano discendenti degli Igbo che organizzano movimenti di riscoperta della cultura e della lingua igbo.
Fino al contatto con i coloni inglesi gli Igbo avevano una struttura societaria basata sul concetto della comunità, in cui non vi erano re o capi, quella che qualche studioso ha definito "una democrazia tribale strutturata". Con l'arrivo degli inglesi si è sviluppato un senso più gerarchico della struttura della società ed è cresciuto il senso identitario di appartenenza etnica, prima molto tenue.
Tra le antiche caratteristiche dell'etnia Igbo vi era quella di un'originale misurazione del tempo in cui l'anno era diviso in 13 mesi. Ogni mese aveva 7 settimane composte di 4 giorni e l'ultimo mese dell'anno aveva un giorno in più per arrivare a 365 giorni l'anno.
Gli Igbo sono stati conosciuti nel mondo poichè furono, dal 1967 al 1970, protagonisti di un tragico tentativo di seccessione che porta il nome di Guerra del Biafra e che come ho avuto modo di ricordare in un mio post fu una tragedia di proporzioni enormi che causò circa 3 milioni di morti, metà dei quali, per fame.
Una ferita che è ancora aperta.

Tra gli Igbo maggiormente conosciuti vi sono Nnamdi Azikiwe, primo Presidente della Nigeria, deposto con un golpe il 15 gennaio 1966; lo scrittore Chinua Achebe (considerato il padre della letteratura anglofona africana) e il poeta Christopher Okigbo (morto durante la guerra del Biafra); l'attore Chiwetel Ejiofor (American Gangster e Inside Man) e i calciatori Nwankwo Kanu e Stefano Okaka.


Vi segnalo questo blog in italiano e inglese che si occupa di cultura Igbo.
Vi segnalo anche il libro L'altra metà del sole giallo della giovane scrittrice di etnia Igbo Chimamande Ngozi Adichie, che oltre ad essere un bel romanzo, ripercorre nel dettaglio la genesi della guerra del Biafra e la cultura Igbo prima di quel triste evento.

Vai alla pagina di Sancara Popoli d'Africa

mercoledì 20 ottobre 2010

Musica: Manu Dibango, il leone d'Africa

Manu Dibango (vero nome Emmanuel N'Djokè Dibango) è un sassofonista e vibrafonista camerunese nato a Douala il 12 dicembre 1933 di etnia Yabassi. Sviluppa uno stile jazz fusion, in cui coniuga funky e musica tradizionale camerunese.
Musicista estremamente versatile ha esplorato diversi stili musicali, dal jazz al reggae, dal soul al blues, dallo spiritual all'electro music, dal funky alla musica tradizionale africana.
Nel 1949 si trasferisce a Marsiglia, poi a Parigi. Ha iniziato la sua carriera di musicista in Belgio e a Parigi negli anni '50 suonando nei club jazz. Negli anni '60 è in Congo con gli African Jazz di Joseph Kabasele (Le Grand Kalle), che aveva conosciuto a Bruxelles, all'Anges Noir Club, nel 1960 quando Kabasele faceva parte della delegazione dei leaders congolesi ch negoziavano l'indipendenza. Nel 1963 fonda una sua band in Camerun. Il successo internazionale (in particolare negli Stati Uniti) arriva nel 1972 quando incide il suo primo singolo Soul Makossa (da alcuni critici considerato il primo album di disco music della storia).
Da allora collaborerà con artisti della World Musica fra cui Fela Kuti, Herbie Hancock, Bill Laswell, Bernie Worrell, Art Blakey, Ladysmith Black Mambazo, Don Cherry e Eliades Ochoa.
Nel 2005 compone la colonna sonora del cartone animato "Kirikou e gli animali selvaggi" di Michael Ocelot.
Nel 1989 Manu Dibango, assieme alla giornalista di Le Monde, Danielle Rouard, pubblica una autobiografia intitolata " Trois kilos de cafè". Il titolo deriva da un'episodio raccontato da Emmanuel che quando nel 1949 lasciò il Camerun per la Francia, mandato dai genitori a studiare, aveva in valigia solo tre chili di caffè, per pagarsi l'affitto.

Manu Dibango muore a Parigi il 24 marzo 2020 a seguito di un polmonite da Coronavirus, aveva 86 anni.






Nella sua autobiografia Manu Dibango scrive questa frase che forse meglio esprime il suo percorso musicale e artistico.
"Mozart non m'impedisce di essere africano. Il continente non ha bisogno di spirito di parrocchia; dispone dell'arcobaleno di tutti i regimi che esistono sullo scacchiere politico. La mia "versatilità" tanto condannata non mi preoccupa affatto. Mi piace la contaminazione. Sono un esploratore nato".

Sito ufficiale di Manu Dibango

sabato 7 agosto 2010

1960-2010, cinquanta anni d'indipendenza

Oggi 7 agosto 2010 è il 50° anniversario dell'indipendenza della Costa d'Avorio (dal dominio francese). In realtà il 1960 porterà all'indipendenza ben 17 stati africani. Si comincerà con il Camerun il 1 gennaio 1960 per finire, il 28 novembre 1960 con la Mauritania.
L'ordine cronologico sarà Senegal, Togo, Madagascar, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), Somalia, Dahomey (oggi Benin), Niger, Alto Volta (oggi Burkina Faso), Costa d'Avorio, Ciad, Repubblica Centroafricana, Congo, Gabon, Mali, Nigeria e Mauritania.
Di questi 14 si staccheranno dalla Francia, uno dal Regno Unito, uno dal Belgio e uno, la Somalia, in parte dall'Italia e in parte dal Regno Unito.
In quell'anno, il 1960, nel mondo, vi sarà anche l'indipendenza di Cipro (16 agosto).

In un solo anno, gli stati africani indipendenti passeranno da 9 a 26.

Fino al 1960 erano 9 gli stati africani indipendenti: Etiopia (da quasi 2000 anni), la Liberia (dal 1847), il Sudafrica (dal 1910), l'Egitto (dal 1922), la Libia (dal 1951), il Sudan, il Marocco e la Tunisia (dal 1956) e il Ghana (dal 1957).

L'ultimo paese africano a raggiungere l'indipendenza è stata l'Eritrea (24 maggio 1993), fino ad allora parte dell'Etiopia. Nel mondo l'ultimo paese "nato" è il Montenegro (3 giugno 2006).

Aggiornamento 2011: il 9 luglio 2011, è diventato il Sud Sudan l'ultimo paese nato in Africa e nel Mondo.

A distanza di 50 anni - periodo relativamente breve per una struttura statale - la situazione di questi paesi è alquanto complessa. Alcuni vivono situazioni di guerra franca da decenni (ad esempio la Repubblica Democratica del Congo) , altri hanno delle strutture statali fragili e in balia di prese di potere non democratiche (ad esempio il Niger, il Madagascar, la Guinea Bissau) e aktri ancora appartengono, seppur nelle difficoltà tipiche dell'Africa, a paesi con strutture statali solide (ad esempio il Senegal, uno dei pochi paesi africani che non hanno vissuto un colpo di stato). Infine la Somalia, che vive da 20 anni in uno stato di totale anarchia (nel colpevole silenzio della comunità internazionale). Il cammino dell'Africa è ancora lungo e difficile.