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martedì 29 novembre 2011

Il Gbofe di Afounkaha

La musica Gbofe della comunità Tagbana (circa 180 mila persone che vivono nel nord-est della Costa d'Avorio) è suonata principalmente nel villaggio di Afounkaha in Costa d'Avorio. In realtà con il termine Gbofe si identifica sia lo strumento musicale, un corno traverso, sia la composizione che comprende musica, canti e danze.
Il corno Gbofe è costruito da particolari radici coperte di pelle di vacca. Sei strumenti, di differenti misure (tra i 50 e i 70 centimetri) vengono suonati insieme a "riprodurre" le parole della lingua Tagbana. Il coro femminile, "traduce" in suoni in parole, mentre i tamburi segnano il tempo e la gente danza. Il Gbofe è praticato durante le più importanti cerimonie tradizionali.
L'intero complesso Gbofe è stato inscritto tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dell'UNESCO nel 2008 (originariamente nel 2001). Purtroppo a causa dell'esodo dalle zone rurali verso le aree indutrializzate e a seguito della guerra, in molte aree del paese la pratica del Gbofe è completamente cessata. Le giovani generazioni si allontanano dalla tradizione ed è sempre più difficile mantenere in vita pratiche centenarie che rischiano di sparire per sempre.
L'intenzione dell'UNESCO è quella di riuscire, attraverso un opera di sensibilizzizaione e di formazione delle nuove generazioni, a mantenere viva questa tradizione all'interno della comunità Tagbana, che stando ad alcuni studi risalirebbe al XVI secolo.

  




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lunedì 28 novembre 2011

Presentato il rapporto sulle risorse idriche e fondiarie per l'alimentazione

Stamane la FAO ha presentato il Rapporto sullo Stato Mondiale delle Risorse Idriche e Fondiarie per l'Alimentazione e l'Agricoltura (SOLAW). Si tratta di un rapporto di indirizzo che la FAO pubblica, ogni 3-5 anni, e che serve a fornire indicazioni per assumere delle decisioni in merito alle azioni da compiere in tema di agricoltura, alimentazione e risorse idriche.

Il rapporto lancia un serio allarme sul futuro. Nel 2050, ovvero tra meno di 40 anni, vi sarà bisogno di un aumento della produzione alimentare mondiale pari al 70% dell'attuale - il 100% nelle aree in via di sviluppo -  (ovvero circa un miliardo di tonnelate di cereali all'anno e 200 milioni di tonnellate di prodotti di allevamento). 
Poichè nel periodo 1961-2009 la superficie coltivata nel mondo si è estesa del 12%, ma la produzione è cresciuta del 150% grazie ad uno sfruttamento più intensivo delle aree coltivabili. Ma il segnale di allarme è che i tassi di crescita della produzione agricola sono andati rallentando in molte aree del pianeta, costituiendo una seria minaccia alla possibilità di sfamare una popolazione che entro il 2050 avrà toccato i 9 miliardi di individui.
Il rapporto fornisce anche una mappatura dello stato delle terre del pianeta. Il 25% è fortemente degradato, l'8% è moderatamente degradato, il 36% è stabile o leggermente degradato e il 10% è classificato comne in miglioramento. Il restate 20% è costituito da superficie brulle (18%9 e da acque interne (2%).
Il rapporto lancia anche l'allarme idrico. La scarsità d'acqua sta aumentando, così come la salinizzazione e l'inquinamento delle falde. Inoltre nelle zone cerealicole di tutto il mondo il prelievo dalle falde acquifere sotterranee porta alla diminuizione dello stock di scorta delle risorse idriche sulle quali le comunità rurali fanno affidamento.

Il rapporto si conclude con due raccomandazioni per il futuro: migliorare l'efficienza dell'uso delle risorse idriche ai fini  agricoli e di aumentare glki investimenti per lo sviluppo agricolo (intensificazione sostenibile), per la protezione e la conservazione del suolo.

Insomma per chi non l'avesse ancora capito, stiamo lentamente, ma inesorabilmente distruggendo il nostro pianeta, depauperando le risorse più care: acqua e terre fertili.

Ecco alcuni dati essenziali contenuti nel Rapporto SOLAW.
Ecco il Rapporto SOLAW completo

Vi rimando anche a questo approfondimento sul sito Green Report.

venerdì 25 novembre 2011

Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne

Oggi si celebra nel mondo la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Si tratta di una delle oltre 100 giornate che il sistema delle Nazioni Unite ha voluto dedicare al ricordo, alla riflessione e alle azioni su temi che coinvolgono e che interessano la comunità umana. 
Certo scorrendo la lista delle ricorrenze ci si imbatte in tutte le mostruosità umane - di cui la giornata odierna è un alto rappresentante. Dall'olocausto al genocidio del Ruanda, dalla tratta degli schiavi alle descriminazioni razziali, dalle vittime delle mine-anti uomo a quelle delle guerre chimiche, dallo sfruttamento minorile alle vittime delle torture, dalla povertà alle sparizioni forzate. Un campionario di comportamenti umani che fanno inorridire. Naturalmente, le Nazioni Unite celebrano anche i momenti elevati della cultura umana e delle sue capacità (la filosofia piuttosto che la poesia, il volontariato piuttosto che l'insegnamento).
La comunità internazionale dedica quattro giornate alle donne del mondo. La più conosciuta è quella dell'8 marzo, vi è poi quella del 23 giugno dedicata alle vedove, quella del 15 ottobre a sottolineare la condizione delle donne rurali e appunto quella contro la violenza del 25 novembre.
Il 25 novembre fu scelto ufficialmente dalle Nazioni Unite  nel 1999 (con la risoluzione delll'Assemblea Generale 54/134). La data era celebrata, fin dal 1981 dalle donne attiviste, e si riferisce al brutale massacro delle sorelle Mirabal che il 25 novembre 1960 furono assassinate, da ignoti, durante la feroce dittatura nella Repubblica Dominicana di Rafael Trujillo. Patria Mercedes (36 anni), Maria Minerva Argentina (34) e Maria Teresa (24), attiviste della resistenza contro il dittatore, dopo essere state più volte incarcerate e torturate, furono assassinate a bastonate durante il tragitto verso il carcere mentre si recavano a trovare i loro mariti, anch'essi detenuti. Un'altra loro sorella, Dedè, fu l'unica a salvarsi e ancora oggi si occupa di onorare il sacrificio delle sorelle per la libertà e la democrazia.

La situazione delle violenze nel mondo contro le donne è drammatica. Le donne subiscono violenze fisiche, sessuali, psicologiche ed economiche dalla nascita alla fine dei loro giorni. Le Nazioni Unite stimano che il 70% delle donne ha sperimentato nella sua vita una forma di violenza.
La più comune forma di violenza avviene in famiglia (autore il marito/compagno o la sua famiglia). I dati mondiali dicono che tra il 6% delle donne (ad esempio in Giappone) e il 59% (in Etiopia) subiscono o hanno subito violenza sessuale dal proprio partner. Studi effettuati in Australia, Canada, Israele, Sudafrica e Stati Uniti concordano che tra il 40 e il 70% degli omicidi di donne sono compiuti dal partner.
Negli Stati Uniti sono state oltre 500 mila le denuncie per violenze domestiche nel solo 2008. Le violenze riguardano forme diversissime e difficilmente evidenziabili come quelle psicologiche.
Le donne subiscono poi violenze all'interno della loro comunità. Sono forme diversificate che vanno dalle violenze sessuali (negli Stati Uniti 500 violenze sessuali al giorno nel 2008, una donna su 10 è stuprata in Zambia), alla tratta e alla prostituzione forzata, allo stalking e alle violenze sulle lesbiche.

Vi sono poi due forme di violenza che interessano molto da vicino l'Africa in quanto oggi avvengono quasi esclusivamente nel continente: le Mutilazioni Sessuali Femminili e lo stupro nei conflitti bellici.
Per quanto riguarda le Mutilazioni Genitali vi rimando a questo post di Sancara, sottolineando ancora che non vi sono ragioni sanitarie e nemmeno precetti religiosi  che giustificano minimamente questa atroce pratica che coinvonge oltre 130 milioni di donne (soprattutto bambine), quasi esclusivamente africane.
Lo stupro di massa, che avviene durante i conflitti, rappresenta una delle peggiori barbarie che l'uomo sia stato capace di concepire. Come ho già avuto modo di scrivere in questo post, non si tratta dello sfogo ormonale di quattro omini in divisa dopo la battaglia, ma di una vera e propria arma di guerra, concepita a tavolino e tendente a trasformare in modo permanente la struttura sociale, comunitaria e ed etnica di una regione. Non a caso - tolta la drammatica esperienza della guerra in Bosnia - l'arma strupro è stata utilizzata (ed è ancora utilizzata nella Repubblica Democratica del Congo e  in Darfur), in epoca moderna, quasi eslusivamente in Africa dove la componente sociale comunitaria e l'appartenenza etnica contano più che altrove.

Le violenze sulle donne, ovunque avvengono, impoveriscono non solo le dirette interessate, ma la loro famiglia, la loro comunità, la loro nazione.



giovedì 24 novembre 2011

Popoli d'Africa: Borana

I Borana (chiamati anche Borena o Oromo Borana) sono un gruppo etnico che vive al confine tra l' Etiopia del Sud (Oromia) e l'arido nord del Kenya (lungo il fiume Sabaki).
La parola borana potrebbe essere tradotta in "genti del mattino" (boru è traducibile come aurora). Appartengono al vasto gruppo degli Oromo, di cui ritengono di essere "l'etnia primogenita" e di essere gli unici a vivere ancora secondo le antiche tradizioni.
Oggi, a seconda delle fonti, sono un numero variabile tra i 100 e i 300 mila individui, sparsi nei due paesi e divisi in oltre un centinaio di clan.
Parlano la lingua Boraana che appartiene al gruppo delle lingue cuscitiche (lingue parlate in Sudan e nel Corno d'Africa, che ha tra le più popolari l'Oromo e il Somali).
Sono un popolo semi-nomade di allevatori (zebù, vacche, cammelli, capre e pecore) che solo recentemente hanno iniziato a trasformarsi in agricoltori sempre più sedentari.
Vivono in capanne di canne, tenute insieme da argilla e fango. Secondo alcuni studi furono spinti, nel X secolo, dai Somali verso l'attuale Kenya. Il colonialismo e la successiva nascita dei due paesi ha  di fatto diviso in due tronconi il gruppo etnico.
Sono da tempo mussulmani, ed usano ancora oggi costruire le proprie case con la porta rivolta alla Mecca. Ovviamente non mancano riti animisti legati alle tradizioni pre-islamiche.
I Borana hanno attirato l'attenzione degli studiosi poichè ancora oggi mantengono un sistema sociale, basato su classi generazionali, conosciuto come Gadaa, che come sostiene Marco Bassi sul suo libro I Borana " e' diventato un simbolo di un'autonoma identità etnica e politica per i movimenti nazionalisti oromo". E' un sistema che accompagna gli uomini (le donne sono escluse da qualsiasi potere) dall'infanzia all'anzianità attraverso degli "scatti di età" (generalmente 7-8 anni) che consentono dei balzi nella gerarchia sociale. Da prima si ha diritto ad avere un nome, poi a custodire le mandrie, poi ad essere guerrieri ed infine a sposarsi.
Hanno sviluppato inoltre un proprio calendario, che secondo alcuni risalirebbe al 300 A.C., basato sulle osservazioni della luna in congiunzione con sette stelle o costellazioni.
Oltre ad essere stati astronomi capaci, oggi i borana sono provetti ingegneri idraulici. Infatti nelle loro aride terre è sempre più difficile trovare l'acqua (periodicamente sono afflitti da pericolose siccità). Scavano, attraverso un lavoro collettivo accompagnato da canti, pozzi a gradoni (così possono calarsi all'interno per prelevare l'aqcua durante la stagione secca) che arrivano a superare i 30 metri di profondità.
Infine sono ottimi e aggressivi guerrieri.

Ecco il sito di Pino Bollini, un medico che lavora per una ONG locale (CIPAD) con i Borana.

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martedì 22 novembre 2011

Libri: Il nostro quartiere

Scritto dal Premio Nobel per la Letteratura del 1988, l'egiziano Naghib Mahfuz nel 1975 (il titolo originale è Hikayat Haritna) è stato pubblicato in Italia da Feltrinelli, nella collana  I Narratori, nel 1989.
E' forse il libro maggiormente autobiografico del grande scrittore egiziano, una serie di brevissimi racconti (68 per l'esattezza, ed è forse meglio definirle sequenze) che sono legati tra loro dal filo conduttore della quotidianità della vita degli abitanti del quartiere del Cairo, intorno al grande bazar di Khan el-Khalili.
Mahfuz guida il lettore attraverso le tradizioni arabe, gelosamente custodite, e il contrasto con il fascino e le contraddizioni della cultura europea.
Il libro si snoda attraverso le sequenza di fatti - raccontati da un io infantile - che affrontano gli elementi, semplici e complessi, del vivere quotidiano in un grande quartiere che subisce il contrasto tra la realtà e il fantastico, tra le tradizioni e le sue rigide regole e le nuove ed inevitabili trasformazioni che la modernità impone.
Mahfuz ci guida letteralmente in questi vicoli (sia fisici che emozionali) che ci permettono di entrare in un mondo spesso sconosciuto e per noi distante. Il suo linguaggio è ancora attuale e la lettura del libro si rivela un piacevole viaggio immaginario tra emozioni, colori, suoni e profumi.






Nagib Mahfuz nasce da una famiglia piccolo borghese mussulmana a Il Cairo l'11 dicembre del 1911( è morto, sempre nella sua città, il 30 agosto 2006). Si laurea in Filosofia all'Università del Cairo e lavora nell'amministrazione statale (Ministero della Cultura e il cinema). I suoi esordi letterari risalgono agli anni '30 quando inizia a scrivere romanzi storici e solo a partire dagli anni '50 trasforma la sua opera nel romanzo sociale. E' divenuto il maggior narratore della realtà, e delle trasformazioni, del Cairo, raccontandone l'atmosfera con un linguaggio sembre attuale e piacevole. Nella sua vita ha scritto come editorialista del quotidiano al-Ahram e per il cinema. La sua opera gli è valsa, nel 1988, il Premio Nobel per la Letteratura (secondo africano, primo di lingua araba, dopo quello assegnato al nigeriano Wole Soyinka nel 1986).
Sin dal 1978, quando Sadat firmò gli accordi di Pace con Israele, andò in contrasto con i fondamentalisti islamici per il suo supporto all'operato del Presidente. I suoi libri furono banditi in molti paesi arabi sino a dopo la conquista del Premio Nobel. Nel 1989 difese Salam Rushdie dagli attacchi dei fondamentalisti dopo la pubblicazione dei Versetti Satanici definendo l'Ayatollah Khomeini "un terrorista".
Nonostante la protezione della polizia, nel 1994, subì un attentato (fu accoltellato al collo fuori dalla sua casa) che per molti anni gli impedì di usare la mano destra. Nonostante questa menomazione continuò a scrivere fino alla fine dei suoi giorni. Morì nel 2006, a quasi 95 anni.




Ecco un link con una intervista a Nagib Mahfuz del 2002 (a cura di Anna Albertano).


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venerdì 18 novembre 2011

Parco Nazionale di Niokolo-Koba

Il Parco Nazionale di Niokolo-Koba, si trova in Senegal, lungo le rive del fiume Gambia, non lontano dai confini con la Guinea Bissau. Si estende attualmente in un'area di 9130 km quadrati, quasi interamente pianeggianti (il punto più alto è costituito dal Monte Assirik, alto 311 metri). Originariamente, nel 1926, l'area era una Riserva di Caccia, divenuta Riserva Forestale nel 1951 e Riserva Faunistica nel 1953. Fu istituito come parco il 1 gennaio 1954, esteso progressivamente fino all'attuale estensione nel 1969 e nel 1981 inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO e tra le Riserve della Biosfera (vedi scheda UNESCO). L'inserimento nel Patrimonio dell'Umanità è dovuto alla peculiarità dell'esosistema che con la presenza di quattro fiumi (Gambia, Niokolo, Koulontor e Sereko) rappresenta ambiente umido di primaria importanza.
Dal 2007 è stato inserito tra i siti a rischio a causa del bracconaggio, degli incendi, della progressiva perdita d'acqua delle pozze, vitali per gli animali e per un livello di managment piuttosto scarso. Sono in corso programmi per la salvaguardia del sito.
Nel parco vivono oltre 70 specie di mammiferi, 36 specie di rettili e 330 specie di uccelli, oltre che 1500 specie vegetali.
Tra le specie maggiormenti presenti nel parco vi sono antilopi (in particolare Derby Eland - Taurotragus derbianus, la più grande antilope africana), scimmie (babbuini in testa), leoni, leopardi, facoceri, ippopotami e coccodrilli.
Essendo anche una Riserva della Biosfera, vi è una permanenza interna della popolazione locale che è dedicata soprattutto all'agricoltura, alla pastorizia e all'attività turistica. Oltre naturalmente alla ricerca (presente nelle Riserve della Biosfera) il sito è anche sede di una Scuola Forestale che forma guardia parchi.
Negli anni novanta fu tentata un'operazione (finanziata dall'Unione Europea) di mettere in rete Niokolo Koba e il parco Bandia della Guinea, ma i risultati non sono stati duraturi. Le ultime testimonianze raccontano di un parco dove è sempre più difficile vedere i grandi mammiferi. Resta pur sempre un'ambiente, per le sue caratteristiche, da vedere.
Nel parco è possibile alloggiare al Simenti, un lodge sul fiume. Oggi ristrutturato ed accogliente.


Sono stato a Niokolo Koba nel febbraio del 1994. Eravamo partiti, con la nostra macchina, da Bansang (con me Raffaella e l'amico Fabio, che era passato a trovarci). Giungemmo a notte fonda all'ingresso del parco e trovammo un posticino dove dormire nelle vicinanze. Al mattino entrammo nel parco. Contrariamente a quanto accade nei grandi parchi dell'Africa dell'Est non vi era nessun obbligo di avere una guida e si poteva liberamente scorrazzare in macchina per il parco. Le strade, tutte sterrate, erano secche in quella stagione (in Africa occidentale le piogge giungono sul finire di maggio per protrarsi fino ad ottobre). A proprio rischio si poteva scendere e gironzolare a piedi per il parco, cosa che naturalmente facemmo in abbondanza e con grande divertimento. Incontrammo una comunità molto numerosa di babbuini (una quarantina) nei pressi del fiume. Scendemmo dall'auto e ci avvicinammo in silenzio a piedi. Passammo una buona oretta ad osservarli, sempre più vicini, fino a quando il gruppo, probabilmente non più impaurito, iniziò ad avvicinarsi troppo. I maschi adulti non sembravano eccessivamente socievoli e fummo costretti a rientrare in auto. In poco tempo (avevamo un pick-up) l'auto fu giocosamente assalita dai babbuini che si allontanarono solo quando accendemmo il rumoroso motore. A Niokolo Koba vedemmo una gran quantità di gazzelle e antilopi, facoceri, piccoli ippopotami nel fiume, babbuini e scimmie in abbondanza nonchè uccelli di grossa taglia che stazionavano nelle pozze d'acqua. 
Solo al tramonto, giungemmo al Simenti (nella foto) (allora vi erano solo due luoghi ove dormire all'interno del Parco e uno era chiuso). Eravamo gli unici avventori, dormimmo infatti nella grande stanza comune. Guardando oggi il sito dell'Hotel Simenti, la situazione mi sembra molto diversa. Vi era però uno spettacolo stupendo: il tramonto (e il successivo chiarore lunare) dalla terrazza che guardava al fiume. Lo scenario è straordinario e si odono i suoni della foresta pluviale. Quando il buio attanaglia l'orizzonte, la luna illumina gli occhi dei coccodrilli che vivono nel fiume, uno spettacolo straordinario. Passammo i due giorni successivi alla ricerca dei leoni (allora si parlava di poche unità presenti nel parco), che non incontrammo. Fummo fortunati ad incontrare un leopardo. 
Mi è rimasta la sensazione di un luogo, da un punto di vista paesaggistico, di una straordinaria bellezza, ma molto trascurato.




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giovedì 17 novembre 2011

Si apre in Mali la Conferenza Internazionale "Stop the Land Grab"

Si apre oggi 17 novembre 2011  a Nyeleni/Selinguè in Mali, la Prima  International Peasant Conference (Conferenza Internazionale degli Agricoltori Rurali) contro il fenomeno del land grabbing. La conferenza è organizzata dal National Coordination of Farming Organizations (CNOP) del Mali e il Movimento Internazionale Via Campesina.
La conferenza, purtroppo ignorata dei media internazionali, vuole mettere insieme e far dialogare gli agricoltori rurali affetti dal fenomeno del land grabbing con i ricercatori, le Organizzazioni Non Governative e le figure politiche.
Il land grabbbing, letteralmente "accaparramento di terre" è quel fenomeno (di cui Sancara ha parlato in passato) in cui gli stati (ricchi) o le multinazionali comprano (o affittano) grandi appezzamenti di terreno nei paesi poveri per produrre derrate alimentari per i loro bisogni interni. Governi scellerati e corrotti vendono per far cassa (spesso nei propri conti personali), ignorando le esigenze e i diritti alla vita delle popolazioni locali e gli agricoltori. Le organizzazioni internazionali, come la FAO, sono incapaci, strette nelle morse della Banca Mondiale e degli stati membri "ricchi" di prendere decisioni coraggiose  atte ad arrestare un fenomeno che sta dilagando.
Sono già 45 i milioni di etteri di terra oggetto di transizione nel mondo (di cui 30 milioni in Africa). Il 70% della popolazione mondiale (l'80% in Africa) ancora è sfamata dall'agricoltura rurale o familiare.
Nonostante gli appelli e le lotte, la voce dei contadini resta inascoltata, quando non volutamente oscurata. L'obiettivo della Conferenza Internazionale, che si chiuderà il 21 novembre, è quella di stabilire, con il supporto delle Organizzazioni non Governative, delle strategie locali, nazionali e internazionali di lotta ad un fenomeno, quello del land grabbing, che rischia di peggiorare di molto, la già difficile vita, di milioni e milioni di individui nel nostro pianeta.

Approfondimenti: Land Grabbing, di Stefano Liberti, Minimum Fax, 2011 
Il post sul Land Grabbing da Ilfattoalimentare

sabato 12 novembre 2011

Le nuove 7 meraviglie naturali del mondo: un pò di Africa

Da sempre l'uomo si è posto l'obiettivo di catalogare e ordinare le bellezze del pianeta, siano esse naturali che manufatte dall'uomo. Già nel III secolo a.c. fu stilata una lista delle sette meraviglie del mondo (sette, numero molto ricorrente e presente nella simbologia si molte religioni). Quella lista comprendeva opere prodotte dall'uomo la cui bellezza e "potenza" erano ritenute straordinarie e probabilmente ineguagliabili. Purtroppo quasi nessuna di quelle opere è oggi visibilie. Sono andate perse per svariate ragioni, come i Giardini pensili di Babilonia (nella riproduzione in alto), il Colosso di Rodi, il Mausoleo di Alicarnasso, il Tempio di Artemide ad Efeso, il Faro di Alessandria e la Statua di Zeus ad Olimpia. L'unica delle sette meraviglie giunta fino a noi è la Piramide di Cheope a Giza (che era anche la più antica opera tra quelle selezionate al tempo).
Nel 2000, durante i Giochi Olimpici di Sydney, fu lanciato un referendum via internet (da un'organizzazione privata, New7wonders,  non facente parte dell'UNESCO) per stabilire le nuove meraviglie del mondo. Furono selezionate le prime 77 opere votate, che sottoposte a dei giudici internazionali, furono ridotte a 21 che divennero le finaliste. Esse, sottoposte ancora a voto popolare attraverso la rete, divennero il 7 luglio 2007 (simbologia con il numero 7) a Lisbona, le nuove meraviglie dell'uomo. La grande muraglia cinese, il sito di Petra in Giordania, il Cristo Redentore a Rio de Janeiro, la città di Machu Picchu in Peru, il complesso di Chichen Itza im Messico, il Colosseo di Roma e il Taj Mahal di Agra in India. Tra i finalisti vi erano due siti africani le Piramidi di Giza in Egitto e la città di Timbuctu in Mali.

L'organizzazione lanciò poi una nuova campagna per definire le sette meraviglie naturali del mondo, che sono state proclamate, in via provvisoria ieri 11 novembre 2011 (nuova simbologia con i numeri 11). La cerimonia ufficiale sarà all'inzio del 2012. La procedura è stata la stessa e tra le 28 finaliste sono state scelte le vincitrici. 
Tra le sette meraviglie naturali del mondo vi è anche un pezzo d'Africa.

Ecco la lista (non in ordine di votazioni):

- La Foresta Amazzonica ( Sud America)
- La Baia di Halong (Vietnam)
- Le cascate di Iguazu (Argentina/Brasile)
- L'isola di Jeju (Corea del Sud)
- Isole Komodo (Indonesia)
- Il fiume sotterraneo di Puerto Princesa (Filippine)
- La Table Mountain (Sudafrica)

Tra le 28 finaliste vi era anche il Monte Kilimanjaro in Tanzania.

La New7wonder, che ricordo essere una associazione privata non legata all'UNESCO, ha già lanciato la prossima campagna per definire le 7 città più belle del mondo.
E' chiaro che si tratta di un elenco che, sono certo, ognuno di noi potrebbe contestare e proporne uno di alternativo. Così come dobbiamo segnalare alcune critiche (sulla gestione economica) alla New7wonder. Resta il fatto che tante persone nel mondo hanno votato e hanno fatto una scelta.

La Table Mountain è una montagna piatta (lunga quasi tre chilometri e praticamente dritta, con un altezza che supera di poco i 1000 metri nel punto più alto) che sovrasta Città del Capo. E' compresa all'interno del Tales Mountain National Park. Dal 1929 una cabinovia porta da Città del Capo al tavolato piatto in poco meno di 10 minuti di viaggio.


giovedì 10 novembre 2011

Musica: Tchico Tchicaya, "The Golden Voice of Africa"

Tchico Pambou-Tchicaya è un cantante del Congo. Gli affezionati lo conoscono come "la voce d'oro dell'Africa", grazie alle sue qualità sonore e alla capacità di mescolare, in modo sapiente, un quantità di stili e di timbri musicali. Dalla rumba zairese alla salsa, dalla musica caraibica a quella cubana e afro-latina a creare quello stile unico quale è il soukous (stile originario degli anni 30-40 tra le due città, divise da un fiume, di Brezzaville e di Leopoldville, oggi Kinshasa). La sua carriera inizia a Brezzaville (dove nasce negli anni 50) nel 1970 con la band Manta Lokoka. Dal 1972 al 1974 è il cantante solista de Les Bantous de la Capitale. Dal 1977 si trasferisce in Nigeria dove resta fino al 1979 e dove incide 4 album tra cui Jeannot (1979), frutto della collaborazione con Lolo Lolitta. E' in quel periodo gli viene dato il nome di "voce d'oro". E' poi in Costa d'Avorio.
Nel 1983 si trasferisce a Parigi, dove collabora con molti musicisti africani in quel periodo nella capitale francese. Incide album da solo e con la band Les Officiers du Africa Music. Nel 1988 fonda anche l'orchestra Kilimandjaro.
Negli anni '90 si trasferisce in Australia dove fonda la Warako Musica (1998) con il musicista congolese (RD Congo) Passi Jo.



Sicuramente Tchico è uno di quei musicisti africani che non ha "sfondato" nella musica internazionale (come molti altri africani) perchè è rimasto fedele al suo stile e non ha voluto entrare nella grande famiglia della "word music". Di lui si hanno poche notizie, anche cercando nelle rete. Ha collaborato con molti musicisti africani in tre continenti, si è legato o è stato fondatore di innumerevoli gruppi e band con cui ha continuato ad incidere, a far ballare e divertire (e continua a farlo) generazioni di africani, perchè quel che è certo è che in Africa, non solo nella sua patria, è adorato da tutti.



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lunedì 7 novembre 2011

Scontri in Nigeria: tra religione, politica, terrorismo e questioni etniche

In questi giorni si parla molto dell'ultima serie di violenze scoppiate nel Nord della Nigeria e che vedono contrapposte la comunità cristiana e la comunità mussulmana. Quello che spaventa, come spesso accade in Africa, è l'intensità delle violenze che nel giro di poche ore hanno lasciato sul terreno centinaia di vittime, molti dei quali donne e bambini. Gli scontri in Nigeria tra le due comunità risalgono agli anni '50 e spesso la questione religiosa ha rappresentato solo la parte esterna di un groviglio di responsabilità che risiedono nella politica, nella multietnicità e  negli interessi economici in un contesto di diffusa povertà e di situazioni di degrado sociale. Questa miscela rende la situazione sempre di difficile da gestire.
La Nigeria, il più popoloso stato africano, fu colonia inglese fino all'indipendenza avvenuta nel 1960. Il paese, abitato da oltre 200 gruppi etnici, è di fatto nelle mani dei tre principali gruppi etnici:  Hausa (al nord), gli Yoruba (a ovest) e gli Igbo (al sud) che hanno determinato, nel bene e nel male, la complessa storia indipendente della Nigeria.
Durante il periodo coloniale gli inglesi attuarono una politica che privilegiava, da un punto di vista economico, politico e sociale il sud del paese abitato dagli Igbo e in maggioranza cristiano. Nel 1963 i cristiani erano minoranza, rappresentando il 35% del paese (oggi rappresnetano tra il 40 e il 48%). Questa scelta coloniale ha pesato e pesa ancora oggi sulla Nigeria.

In questi 50 anni d'indipendenza la Nigeria ha affrontato una decina di colpi di Stato (a partire da quello del 15 gennaio 1966, che ruppe il sistema lasciato dagli inglesi), ha affrontato una lunga e sanguinosa guerra civile (Guerra del Biafra, 1967-1970), è stata governata per gran parte del tempo dai militari, ha avuto al potere, in epoca recente, un dittatore cleptocrate (Sani Abacha, 1993-1998), ha modificato l'assetto amministrativo innumerovoli volte (dai tre stati federali originali si è giunti agli attuali 36, di cui l'ultimo istituito nel 1996) ed è diventata la nazione africana dove si estrae più petrolio (vedi post su Africa e Petrolio), senza che questa ricchezza si sia trasformata come un vantaggio alle popolazioni locali soprattutto del Nord.

Certo la questione religiosa conta, dal 1999-2000 quando fu inserita in molti stati (una decina) la Sha'ria (sotto la presidenza dell'ex generale mussulmano Olusegum Obasanjo, già attivo durante la guerra del Biafra)  la situazione degli scontri si è accessa ancora di più (nel settembre 2011 a Jos in una settimana si ebbero più di 1000 vittime). E' del tutto evidente che ad innescare le violenze sono spesso episodi "a carattere religioso"  (attentati a chiese, attacchi alle moschee, discriminazioni verso i cristiani, attacchi a pulmini che trasportavano mussulmani e altri episodi simili) in cui le due comunità si contendono il controllo del territorio. Spesso a questi fattori si aggiungono questioni politiche (in concomitanza di elezioni amministrative e nazionali o cambi negli organismi periferici) o questioni etniche (soprattutto nelle aree rurali tra pastori e agricoltori). 
Al punto tale che recentemente (gennaio 2010), in occasione degli ennesimi scontri a Jos (oltre 200 morti in pochi giorni), lo stesso arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyeken (tra gli uomini più attivi nel paese a favore di una pacifica convivenza tra le fedi), ebbe a dire che gli scontri "non sarebbero stati di origine religiosa, ma etnica" e che alla base delle ripetute violenze nel paese ci sia "lo sfondo del disagio sociale e un governo debole non in grado di affrontare il problema". Egli, già in precedenza, (2009) aveva affermato che "le questioni degli scontri in Nigeria si possono risolvere solo se si dimenticano le questioni teologiche e si affrontano i problemi sociali".
E' chiaro che il disagio sociale, la povertà, l'ingiustizia e la disoccupazione diventano il terreno fertile dove seminare l'odio e l'integralismo (di qualsiasi religione) e dove consentire a politici locali incoscienti di cavalcare l'odio e il conflitto per i propri fini personali.

In quest'ultimo episodio è infatti chiamato in causa (ha rivendicato gli attentati) il gruppo integralista Boko Haram (letteralmente "l'educazione occidentale è falsa"), fondato nel 2002, e sulla cui origine vi linko a questo approfondimento su Il Post. Come si vede anche dai fatti descritti quello che è successo - e che la stampa occidentale ha superficialmente inquadrato all'interno degli scontri etnici - è qualcosa di più (vi linko anche questo articolo di Alberto Tundo su Peace Report) articolato e che rischia di destabilizzare ancora di più l'intera regione.

venerdì 4 novembre 2011

Parco Nazionale di Chrea

Il Parco Nazionale di Chrea, è uno dei più piccoli parchi naturali d'Algeria. E' situato nella regione di Blida a circa 50 Km a sud-ovest di Algeri. Prende il nome dalla vicina città omonima.
L'ecosistema del Parco costituisce la grande riserva d'acqua delle città di Algeri, Blida e Medea. nonchè un importate sistema di conservazione di specia vegetali e animali.
Dal 2002 il Parco è inserito nella liste delle Riserve Monndiali della Biosfera dell'UNESCO.
A Chrea, che fu anche uno dei luoghi preferiti dal rivoluzionario Franz Fenon e base del Fronte di Liberazione Nazionale durante la guerra d'Algeria,  vi è anche una delle poche stazioni sciistiche dell'intera Africa. La stazione fu praticamente chiusa nel periodo dal 1992 al 2003, quando l'area divenne una delle maggiori basi della GIA (Gruppo Islamico Armato) durante la recente guerra civile algerina.
Tra gli animali del parco vive anche il Macaco Berbero (Macaca sylvanus), unica specie di primate che vive sopra il deserto del Sahara, di cui avevo già parlato nel post dedicato al Parco nazionale di Djurdjura.
All'interno del parco vivono anche molti esemplari di Cedro (Cedrus atlantica), recentemente minacciati da un'infestazione di insetti del genere Thaumatopoea pitycampa, più nota come Processionaria del pino e che è considerata una delle peggiori minacce alla sopravvivenza delle pinete mediterranee.
Complessivamente sono oltre un migliaio di specie animali e vegetali ospitate nel parco.
La riserva - che complessivamente occupa un'area di 36.985 ettari - svolge molto bene la sua funzione di Riserva della Biosfera. Vi è un centro di ricerca che organizza seminari e studi per gli studenti, vi è un eco-museo e a suo interno vivono oltre 1000 persone occupate per lo più come agricoltori e che appartengono a tre differenti culture: quella araba, quella berbera e quella andalusa. Secondo le classificazioni delle riserve della biosfera, l'area centrale (core) è di 5.706 ettari (riserva integrale e di ricerca), l'area tampone (buffer) dove è previsto il turismo (oltre 10.000 visite all'anno) e le attività eco-sostenibili è di 20.807 ettari, mentre l'area di transizione (abitata) è di 10.471 ettari.

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

giovedì 3 novembre 2011

Cinema: Nata libera

Nata libera (Born Free) e' un film del 1966, tratto dal romanzo autobiografico di Joy Adamson  Nata libera: La straordinaria avventura della leonessa Elsa, scritto nel 1960. Entrambi (il libro prima e il film dopo) furono un grande successo. Il film, diretto da James Hill, fu interpretato da Virginia McKenna (nei panni di Joy) e da Bill Travers (nei panni del marito George) che per girare il film vissero a lungo con i coniugi Adamson, divenendone amici. La storia, ispirata alla realtà, è quella di una coppia di naturalisti inglesi George Adamson (in realtà nato in India da famiglia inglese-irlandese) e Joy Adamson (in realtà Friederike Victoria Gessner, austriaca nata nell'attuale Repubblica Ceca, naturalizzata inglese), che vivono in Kenya, nel Parco Naturale di Meru, in cui George riveste il ruolo di capo guardiano della riserva. Nel 1956 la coppia adotta tre cuccioli di leoni rimasti orfani in seguito all'abbattimeno dei genitori. Due dei cuccioli saranno inviati allo zoo, mentre una leonessa, la più piccola, che sarà chiamata Elsa, sarà cresciuta dalla coppia e da Joy in particolare, divenendo un'amica inseparabile. Elsa una volta cresciuta, sarà non senza fatica, reintrodotta nell'ambiente naturale grazie alla tenacia e alla competenza di Joy, pur senza mai perdere il contatto con loro. Morirà pochi anni dopo di malattia. Il film, frutto degli scritti di Joy, è  girato in Kenya, ed è una piacevole avventura, girata con intelligenza anche in considerazione dei tempi.
Sia il libro che il film hanno avuto dei seguiti, senza naturalmente lo stesso successo. 

Qualche sera fa, ho rispolverato questo vecchio film dalla "mia cineteca africana" e l'ho rivisto, complice il ponte scolastico, assieme ai miei figli. Per noi adulti forse il film risente di tutto il peso dei suoi quasi 50 anni: colori un pò sbiaditi, qualche eccesso di perbenismo e una visione dell'Africa spiccatamente "da uomo bianco". Però mentre lo guardavo apprezzavo il grande sforzo che fu fatto per trasmettere al pubblico l'amore per questi felini, per sottolinearne le difficoltà nelle relazioni e perchè no anche la pericolosità, in un'epoca in cui i mezzi di comunicazioni non erano certo quelli che oggi conosciamo. Poi ho visto gli occhi affascinati dei miei figli, che hanno seguito, incollati al divano, l'evolversi dell'avventura di Elsa con grande curiosità, partecipazione e stupore. Poi guardando i siti internet abbiamo visto le foto della vera Elsa. Da qualche giorno molte delle nostre chiacchierate vertono sui leoni, sugli Adamson e sui parchi naturali dell'Africa.


Come spesso accade il libro e poi il film ebbero il grande merito di far conosce al pubblico un lavoro eccezionale - quello dei coniugi Adamson - che portò non solo a delle conoscenze straordinarie sui leoni e la loro organizzazione sociale (in particolare George studiò fino alla fine dei suoi giorni il comportamento di questi felini), ma diede un forte impulso al tema della conservazione animale in Africa.

George Adamson, "il padre dei leoni",  è considerato da tutti anche uno dei padri della conservazione animale.
Il 20 agosto 1989 George, all'età di 83 anni, fu barbaramente assasasinato, assieme a due assistenti,da un gruppo di banditi somali vicino al suo campo al Kora National Park.
Anche Joy (nella foto in alto con Elsa), che è stata anche una pittrice, era stata assassinata il 3 gennaio 1980 (iniziamente ritenuta uccisa da un leone, in realtà assassinata da un'ex dipendente licenziato).


Ecco alcuni siti dove è possibile trovare foto, documenti e filmati sulla vita di George e Joy Adamson. Consiglio caldamente di esplorarli perchè contengono documenti di una rara bellezza e densi di emozioni.


Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

mercoledì 2 novembre 2011

Presentato il Rapporto 2011 sullo Sviluppo Umano

E' stato presentato oggi dall'UNDP, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di Sviluppo, il Rapporto 2011 sullo Sviluppo Umano (per le questioni generali e le definizioni potete andare al post dello scorso anno di Sancara).
Il nuovo rapporto evidenzia che nonostante un generale progresso medio dell'indice, permangono alcuni aspetti negativi che riguardano la distribuzione del reddito (peggiorato in molte aree del pianeta) ed i danni ambientali che incidono in maniera più significativa sui paesi più poveri. Gli estensori del rapporto sottolineano come in assenza di un contrasto ai danni ambientali ed in definitiva ad un modello di sviluppo più sostenibile, entro il 2050 i progressi fin qui ottenuti potrebbero essere vanificati.


Sono 47 i paesi ritenuti a "sviluppo umano molto alto", tale lista è capeggiata (come lo scorso anno) dalla Norvegia, seguita dall'Australia e dell'Olanda (7° lo scorso anno). Al 4° posto gli Stati Uniti, al 9° la Germania, al 12° il Giappone (primo tra gli asiatici) al 20° la Francia, al 23° la Spagna, al 24° l'Italia (era 23° lo scorso anno), al 28° il Regno Unito, al 30° posto gli Emirati Arabi (primo tra i paesi medio-orientali, ad eccezione di Israele al 17°), al 34° l'Estonia (prima tra i paesi ex-sovietici) e al 44° il Cile (primo tra i sudamericani).

Dal 48° al 94° posto vi sono i paesi ad "alto sviluppo umano", capeggiati dall'Uruguay. In questa lista si trova il primo paese africano, le Seychelles (al 52°posto), seguito dalla Libia al 64°, dalle Maurizio all 77° e dalla Tunisia l 94°.

Dal 95° al 141° posto si trovano i paesi a "medio sviluppo umano", capeggiati dalla Giordania e dall'Algeria. In questa lista vi è anche il primo paese dell'Africa sub-sahariana, il Gabon 106° (93° lo scorso anno).
In questa lista al 101° posto la Cina (era 89° lo scorso anno).

Infine dal 142° al 187° posto si trovano i paesi a "basso sviluppo umano", capeggiati dalle Isole Salkomone e seguiti dal Kenya. In questa lista vi sono ben 36 paesi africani su 53).
Gli ultimi 15 paesi del mondo, in termini di sviluppo, sono africani (Burundi, Niger e R.D. del Congo gli ultimi tre).
Solo la Somalia, per ovvi motivi, non è inclusa nella lista.

E' interessante notare come nell'ultimo quinquennio (2006-2011) i migliori avanzamenti di classifica sono stati  ottenuti da Hong Kong (+14), Cuba (+10), Venezuela e Tanzania (+7). Di contro le peggiori performance negative arrivano dal Kuwait (-8 posti), Finlandia e Dominica (-7) e Samoa e Siria (-6).

In quest'occasione l'UNDP ha aggiunto altri due parametri che sono l'Indice Multidimensionale di Povertà (imp) che valuta l'accesso all'acqua potabile, ai servizi sanitari e ai beni essenziali e l'Indice di Diseguaglianza di Genere (idg) che inserisce la rappresentatività in Parlamento delle donne, gli anni di scolarizzazione a la partecipazione al mondo del lavoro. Inserendo questi nuovi parametri non sono mancate delle sorprese, come lo slittamento indietro di molte posizioni di Stati Uniti (dal 4° al 47° posto) e del Regno Unito.

Vedi il post relativo al Rapporto 2010 sullo Sviluppo Umano

Lo spazio culturale del Yaaral e del Degal

Due volte all'anno, tra novembre e dicembre, alla fine delle grandi piogge, a Diafarabè e Dialloube, due villaggi sul fiume Niger, in Mali, con un rito che risale a più di due secoli fa, si celebrano le feste di Yaaral e Degal. Queste "feste della transumanza", organizzata dal popolo dei Peul, accoglie le mandrie e i greggi al rientro dai pascoli nel momento dell'attraversamento del fiume Niger.
Durante le feste, che si svolgono sempre di sabato, ritenuto il giorno più propizio, avvengono numerose espressioni culturali che in qualche modo danno identità al popolo Peul: si scelgono le mandrie meglio decorate, si nomina il miglior pastore capace di tenere in salute gli animali, si recitano poesie inerenti alla pastorizia e si canta, si suona, si combinano matrimoni e le giovani donne sfoggiano i loro adornamenti e vestiti migliori. Uno degli aspetti più affascinanti è l'attraversamento delle mandrie del Niger. Tutti gli esemplari adulti nuotano, accompagnati dal ritmo dei tamburi proveniente dalle piroghe dei pastori. Nelle piroghe alloggiano anche i vitelli e in genere tutti gli animali non in grado di attraversare a nuoto il fiume. Altri pastori seguono a nuoto le mandrie incitandoli nell'avanzare, solo una volta che tutte le mandrie sono giunte sulla sponda opposta del fiume, la festa può avere inizio.
Lo spazio culturale di Yaarl e Degal è stato inscritto,  nel 2008 (proclamato nel 2005)  tra i Patrimoni Immateriali dell'UNESCO per la sua peculiarità e per il rischio che possa essere perso nel tempo.


E' chiaro che simili feste ed incontri, attirano l'attenzione anche degli altri gruppi etnici presenti nell'area. Infatti oramai da tempo nelle festività sono coinvolti altri gruppi, e in particolare i produttori di riso dell'etnia Marka o Nono, i coltivatori di miglio Bambara e i pescatori Bozo, che hanno reso le festività di Yaraal e Degal un vero e proprio incontro tra le comunità maliane del lungo Niger.

Gli interventi di salvaguardia voluti dall'UNESCO tendono a favorire la ricerca, lo studio e la documentazione su tutti gli aspetti che riguardano i festivals, ad incoraggiare la trasmissione verso i giovani degli aspetti culturali che sottostanno alle festività attraverso la produzione di materiali pedagogici e la formazione degli insegnanti e infine ad aumentare la conoscenza e le opportunità, anche turistiche, che il festival può offrire.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa