Pagine

mercoledì 30 aprile 2014

Mare Nostrum, vita loro

I Romani, nel loro massimo splendore, dominarono, nonostante non fossero dei grandi navigatori, il Mediterraneo. Lo fecero conquistando le terre che su di esso affacciavano e coniarono il termine Mare Nostrum, proprio a sottolineare di essere "i padroni del Mediterraneo".

Oggi il Mediterraneo è un mare dove affacciano 4 stati della "vecchia" Europa (Spagna, Francia, Italia e Grecia), 4 stati dell'ex Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Montenegro), l'Albania, la Turchia, tre stati del medio-Oriente (Siria, Israele e Libano), 5 stati africani (Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco) e dove insistono due stati insulari (Malta e Cipro). Insomma, 20 stati sovrani, di tre distinti continenti. Il concetto del Nostrum deve essere visto in un senso più complesso e plurale.


In questo mare,  dal 1994 hanno perso la vita oltre 7000 persone, che in vario modo e per varie ragioni tentavano di passare dal Sud o dall'Est della sponda Mediterranea, verso il Nord. 

Di immigrazione si parla da sempre. Ci si indigna quando avvengono tragedie come quelle dell'ottobre 2013, quando centinaia di cadaveri di disperati furono visti sulle coste di Lampedusa. Si innescano assurde polemiche, come quelle di chi crede di poter fermare il flusso migratorio, inconsapevoli che come l'acqua che scorre dai monti, nulla può fermarlo.

In questi giorni la discussione verte su due temi: 800 mila profughi sulle coste libiche che sarebbero pronti a sbarcare in Italia e sulla missione militare Mare Nostrum (ma non è di tutti questo mare?), in scadenza e costosa.

Facciamo un po' di chiarezza. Lo scorso anno (2013), in Italia sbarcarono 42.925 persone (oltre il 300% in più del 2012), di questi 27.314 dalla coste libiche.
Oltre un quarto di questi disperati (insisto che chiamarli emigrati significa dare nobiltà al loro gesto), 11.307 erano siriani, 9.834 eritrei, 9.263 somali, 2.618 egiziani, 2600 nigeriani , 1058 maliani e 879 afgani.

In tutti questi paesi (Siria, Somalia, Egitto, Nigeria, Mali, Eritrea e Afghanistan) sono in corso guerre, guerre civili o gravissime violazioni dei diritti umani. Insomma, sono persone che scappano, da situazioni per molti di noi inimmaginabili. In questi paesi la vita vale meno che zero.

Nel corso dei primi mesi del 2014, sono già sbarcati circa 25 mila persone (di cui circa 20 mila, tratte in salvo dalla missione Mare Nostrum) è chiaro che non essendo cambiate (in positivo) le situazioni nei paesi di origine il numero degli arrivi è destinato ad aumentare.
Aumentare non significa che saranno 800 mila! fare allarmismo, oltre ad essere pericoloso, si giustifica in due modi: da un lato la campagna elettorale in corso per le Europee e dall'altra la necessità di rifinanziare la missione militare. Nulla che risolverà il problema!

Sono oltre 33 milioni i profughi nel mondo, ovvero coloro i quali scappano da da guerre e persecuzioni, alcuni di loro vivono da decenni in campi profughi, assistiti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)

Se il 25% dei profughi in Italia è siriano, vediamo i numeri. Nei tre anni di guerra in Siria (oltre 150 mila morti), sono 2,5 milioni i profughi usciti dal paese. Di questi oltre un milione sono in Libano, altri 600 mila in Turchia, un'altro milione in Libano, 230 in Iraq, 140 in Egitto. Altri ancora, ma parliamo di "briciole", si sono spinti oltre verso la Libia e ancor meno verso l'Italia. Ma del Libano, dove i profughi siriani sono passati da 18 mila (del 2012) a 1 milione del 2014 chi ha mai parlato? Il Libano è giunto prepotentemente alle attenzioni dei media, solo per un illustre profugo sistemato in un lussuoso albergo di Beirut.

La missione militare Mare Nostrum era nata nell'ottobre 2013 sulla scia delle drammatiche scene dei morti annegati. Il suo scopo non era, come qualcuno strumentalmente continua a dire, respingere i profughi, bensì assisterli e salvarli in mare.

Gli stessi militari della Marina Militare italiana, hanno dichiarato «Prima di essere militari noi siamo uomini di mare: e per gli uomini di mare il soccorso delle vite umane è la sola, prima e vera priorità». Certo i costi sono enormi (10 milioni di euro al mese)e il soccorso in mare, non può essere una priorità esclusivamente italiana.


L'effetto delle missione, se da un lato ha fatto soccorre circa 20 mila persone da ottobre a oggi, ha purtroppo (e questo è il dramma nel dramma) abbassato i prezzi della traversata, perchè serve meno carburante (il pattugliamento italiano è a 20-30 miglia dalla costa e servono barche meno costose (e sicure!) perchè vengono abbandonate!).

Ora appare evidente che se non si interviene nei paesi di origine, migliorando la sicurezza e la legalità, il fenomeno della fuga non potrà che essere in crescita (altre emergenze umanitari incombono in Africa e non solo). In Libia, ieri uomini armati hanno impedito l'insediamento nel nuovo primo ministro (a seguito delle dimissioni del precedente che era stato oggetto di un attentato). Il paese, dopo che sono stati ripristinati i canali di invio del gas in Europa è stato abbandonato. In Siria la situazione peggiora di ora in ora. La Somalia a distanza di oltre 20 anni dalla guerra civile continua ad essere in balia di gruppi armati ed estremisti. In Eritrea i diritti civili e la repressione attanaglia il popolo, mentre la siccità rende la vita difficile. In Nigeria gli attentati e le stragi si susseguono con impressionante regolarità. E non parliamo del Mali, della Repubblica Democratica del Congo, della Repubblica Centroafricana e dell'Etiopia.


Dimenticavo.... solo pochi mesi fa, una missione italiana, composta da militari ed imprenditoria italiana, a bordo della portaerei Cavour,  portava le eccellenze italiane, in mostra, in 13 porti africani. Tra queste eccellenze le armi pesanti del gruppo della Finmeccanica e quelle leggere della Beretta. Così, per non interrompere il flusso.


Un vecchio post di Sancara, Immigrazione e ipocrisie

martedì 22 aprile 2014

Il Parco Nazionale del Kilimangiaro

Il Parco Nazionale del Kilimangiaro è una della maggiori mete turistiche dell'Africa. La montagna più alta dell'Africa (in realtà è uno stratovulcano con tre coni, il più alto, Kibo,  posto a 5895 metri sul livello del mare), localizzata nel nord -est della Tanzania, ha sempre affascinato l'uomo. 
Il suo picco, ricoperto da neve e ghiaccio perenne, ha simboleggiato l'Africa ed ha ispirato racconti come quelli di Ernest Hemingway nel 1936 (Le nevi del Kilimangiaro). Non vi è dubbio, dalla cittadina di Moshi così come dai parchi limitrofi, lo spettacolo della cima innevata è straordinario. Incute bellezza, grandiosità e rispetto.
E' uno spettacolo che secondo gli esperti è destinato a scomparire. Dal 1912 a oggi il Kilimangiaro ha perso l'82% del ghiaccio perenne e dal 1962 ad oggi il 55%. Un'accelerazione inesorabile.

Diventato parco nazionale nel 1973, il Kilimangiaro è stato inserito all'interno dei Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO nel 1987 (e ampliato nel 2005). Attualmente compre un'area di oltre 75 mila ettari, composta dalla montagna vera e propria e dalle foreste alla sua base. Nel parco vivono 140 specie di mammiferi (tra cui elefanti, bufali, leopardi, babbuini, cercopitechi, colobi e antilopi) e circa 180 specie di uccelli.
La vegetazione, oltre una certa altitudine, è composta unicamente dalle Seneci giganti che rendono il paesaggio estremamente caratteristico e unico.

Assieme alle cause naturali (la diminuzione dei ghiacci), il Kilimangiaro è minacciato da oltre 15 mila turisti che ogni anno percorrono la strada verso la cima. Seppur vi siano 3-4 differenti vie di accesso alla vetta (alcune per esperti), la strade del trekking rimane una sola.
Dal Morangu Gate (1870 metri) verso la Mandara Hut (2700 metri), poi l'Horombo Hut (3720 metri) e infine il Kibo Hut (4750 metri), ultimo rifugio dove iniziare l'ascesa verso la vetta (Gillman Point 5685 metri e Uhuru Peak 5895 metri).

La strada, che diventa veramente faticosa solo nell'ultima ascesa, è una vera e propria "autostrada del trekking". Le soste sono programmate (in 5 giorni si percorre l'intero tragitto) e i "rifugi", in camerate, sono spartani. Tutto il cibo, l'acqua e la legna per il fuoco, vengono portate dalla base. Il ruolo dei "porters", che,  spesso in ciabatte infradito, trasportano sulle spalle e sulla testa, zaini, patate, carote, taniche di acqua e legna, è di fondamentale importanza (per molte famiglie è l'unico reddito garantito). 

Quella dei porters è una storia particolare. Essi sono la vera anima delle ascensioni al Kilimangiaro. Consumano da anni le strade, spesso con equipaggiamenti inadeguati, trasportando pesi impensabili, pagati cifre irrisorie (le guide, che sono coloro i quali assumono i porters, spesso taglieggiano i loro miseri guadagni). Eppure si incontrano sempre sorridenti, il loro saluto "jambo" accompagna, come una musica di sottofondo, le lunghe ore di cammino.

Il trekking non è faticoso (fatta eccezione per l'ultima ascesa), sebbene si percorrono circa 1000 metri di dislivello al giorno, la salita è lunga e graduale. Ecco la ragione per cui il sentiero è diventato un'autostrada affollata. Naturalmente, il fatto che sia accessibile a tutti, non riduce i pericoli (o i fastidi) derivati all'altitudine a partire dal 3700 metri di Horombo Hut. 

Il sito di un progetto per l'Assistenza ai Porters



lunedì 14 aprile 2014

Film sull'Africa: Spiriti del Ruanda

Sono passati 20 anni dal terribile genocidio del Ruanda e proprio in questi giorni, nel 1994, la mattanza era in pieno corso. 
Nel 2004, in occasione del decimo anniversario del genocidio, il regista americano Greg Barker produsse un documentario chiamato Spiriti del Ruanda (Ghosts of Rwanda), che racconta, attraverso le voci di molti protagonisti, quei terribili mesi.
E' un racconto cronologico che inizia nell'agosto 1993, quando le truppe dell'ONU, affidate al generale canadese Romeo Dellaire vengono posizionate nel paese.

Dallaire nei mesi precedenti all'inizio della carneficina tentò di mettere in guardia le Nazioni Unite, perchè era chiaro che qualcosa stava accadendo. La politica non interventista degli Stati Uniti ("non vogliamo un'altra Somalia") e la sottovalutazione degli uffici dell'ONU guidati allora da Kofi Annan (che poi diventerà Segretario generale), lasciarono che gli eventi percorressero strade inaudite. Quando il 6 aprile 1994, con l'assassinio del Presidente Juvenal Habyarimana e poche ore dopo del Primo Ministro Agatha Uwilinglyimane, venne dato il via a quanto da tempo progettato, la Comunità Internazionale fu trovata completamente impreparata.
Già il 10 aprile - dopo che 10 soldati belgi erano stati uccisi nelle prime ore- era chiaro che i militari stranieri sarebbero intervenuti (cosa che fecero) solo per evacuare i bianchi. Degli oltre 250 americani presenti in Ruanda, solo Carl Wilkens, un volontario della Chiesa avventista, restò nel paese, e ancor oggi nutre un forte senso di rabbia nei confronti degli Stati Uniti, il suo paese, che non vollero intervenire.
Il documentario racconta gli eventi attraverso interviste a Laura Lane (allora ambasciatrice in Ruanda), a Madeleine Albright (allora ambasciatrice americana all'ONU, nel 1997 diventata Segreteria di Stato), a Philippe Gaillard, responsabile della Croce Rossa in Ruanda, a Valentina, una delle poche superstiti del massacro nella chiesa di Nyarabuye, a Paul Kagame (allora capo dei ribelli del Fronte Patriottico, ora Presidente del Ruanda), a Kofi Annan e allo stesso Romeo Dallaire.

Il documentario percorre e intreccia storie diverse, tra chi viveva le atrocità nel paese e tentava con ogni mezzo (pochi, a dire il vero) di salvare vite umane e affermava "era come se il resto del mondo fosse sparito", tra chi nelle stanze dei bottoni non capiva o, molto peggio, faceva finta di con capire e a chi pur avendo capito viveva nella totale impotenza e perfino tra i carnefici ( "era come se ci avesse preso Satana. Non puoi dire che sei normale se macelli le persone").

Per settimane e settimane il mondo intero girò intorno alla parola genocidio, che nessuno voleva pronunciare perchè l'Umanità intera si era impegnata con un "MAI PIU'" dopo l'Olocausto. Riconoscere il genocidio (cosa che fu fatta postuma) equivaleva a dover tempestivamente intervenire.

Molte cose non sono ancora del tutto chiare, e forse è ancora necessario indagare per scoprire responsabilità e complicità nell'ultimo genocidio dell'Umanità. Certo spaventano le parole di Romeo Dallaire, quando racconta di aver tentato di negoziare direttamente con i carnefici ancora sporchi di sangue e di avere la sensazione di "non parlare con gli umani, ma con il male".

800 mila, forse un milione di morti massacrati a colpi di macete, ecco cosa accadde in quei 100 giorni.

Romeo Dellaire - che dopo il Ruanda è caduto in una forte depressione, affogata nell'alcol e con due tentativi di suicidio ("vivere con quei ricordi non è possibile"), che era stato mandato con una missione di pace, non smetteva di ripetere "la mia missione è fallita".
Certo è sicuramente fallita, ma è stata la missione dell'intera Umanità a fallire miseramente in Ruanda.

Ecco da youtube l'intero documentario:

Vai alla pagina di Sancara su Film sull'Africa

giovedì 10 aprile 2014

Ebola spaventa oltre l'Africa

L'ultima epidemia di Ebola risaliva al 2012, quando tra la Repubblica Democratica del Congo e l'Uganda fece 50 vittime (degli 88 contagiati). Allora scrissi questo postche altro non era che alcune annotazioni sulla storia di questo virus e delle sue epidemie a partire dal 1976.
La febbre emorragica Ebola è per ora un'esclusiva africana.

Rispetto al passato, la nuova epidemia scoppiata in Africa Occidentale (per ora Guinea e Liberia, 151 casi e 95 morti all'8 aprile) ha delle caratteristiche diverse. La prima che si sviluppa in paesi che non erano mai stati colpiti da Ebola (finora "solo" Uganda, RD Congo, Sudan, Gabon e Costa d'Avorio, quest'ultimo con un unico caso) e che per la prima volta esce dai villaggi, per giungere in una grande città (Conakry, 20 casi e 6 morti).

epidemie di Ebola dal 1976

Ora queste due caratteristiche e il numero dei casi (esiguo) non dovrebbero preoccupare, eppure qualcosa sta seminando panico nella comunità internazionale.

E' chiaro che la questione che maggiormente preoccupa sono i 20 casi registrati a Conakry. La capitale infatti, ha un collegamento aereo diretto con Parigi e Bruxelles (ovvero il cuore, non solo geografico, dell'Europa), oltre che con alcune capitali africane come Dakar, Bamako, Adbijan e Monrovia e alcune grandi città come Casablanca.

E' la paura dell'uscita, per la prima volta nella storia (nel 2012 erano stati registrati una sessantina di casi in Europa tra scimmie esportate), del virus Ebola, dai confini africani, che allarma i governi europei. L'incubo che scrittori e registi fantasiosi hanno per decenni prospettato, rischia di avverarsi.

Il panico rischia di diffondersi (qualora dovesse esserci il primo caso in Europa, la paura rischierebbe di fare più danni della malattia). Per ora in molti aeroporti europei è scattato l'allarme. L'allerta è massima è richiede controlli sanitari su tutti i passeggeri di aerei provenienti da zone infette. La malattia ha un incubazione tra i 2 e i 21 giorni, un'insorgenza aspecifica e non vi sono tests diagnostici. E' facile intuire quanto i controlli possano risultare inefficaci.

Vi è però una ottima notizia, ovvero che, contrariamente alle catastrofiche previsioni cinematografiche, Ebola non si contrae per via aerea (respiro), ma solo per contatto diretto con malati e liquidi biologici.
La differenza è enorme. Per essere più chiari una malattia a trasmissione aerea è l'influenza (a tutti è chiaro quante persone colpisce in forma di epidemia) mentre una malattia a trasmissione diretta è, ad esempio, l'epatite virale (che colpisce poche e mirate persone). Rispetto ad altre malattie a trasmissione diretta più conosciute (compresa l'epatite e l'Aids) la febbre emorragica da virus Ebola ha un'elevatissima e rapida mortalità.

L'origine di Ebola non è chiara (che novità!). Si parla di pipistrelli e di volpi volanti (che vengono mangiati in molte aree rurali), è conosciuta la diffusione tra le scimmie (in particolare scimpanzè e gorilla sono stati seriamente colpiti dal virus) e a partire dal 1976 si conosce il suo effetto sugli uomini.

Il sospetto dell'intervento dell'uomo è in questi casi d'obbligo. Nessuno può ignorare che studi su agenti patogeni legati all'uso bellico (ovvero di armi biologiche) sono stati effettuati (e sicuramente lo sono ancora) a partire dall'antichità, sviluppati nella seconda guerra mondiale e incrementati durante gli anni della guerra fredda. Vi sono fonti attendibili e documenti ufficiali che testimoniano di programmi di sviluppo di armi biologiche letali durante gli anni più drammatici della guerra fredda. Tanto che nel 1972 fu firmata dalle Nazioni Unite una convenzione che vietava l'uso e lo studio di armi biologiche.
Avere qualche sospetto non solo una questione da "complottisti" o da sospettosi: credo sia perfettamente legittimo.

Infine, vale la pena sottolineare che, proprio a ragione del fatto che Ebola ha sempre colpito aree rurali africane (diciamo la verità, dove dei morti non interessava a nessuno) la ricerca su terapie e/o vaccini non ha avuto, in questi quasi 40 anni, nessun carattere di urgenza o di priorità.

Uno dei centri all'avanguardia per lo studio di Ebola è il CIRMF in Gabon

lunedì 7 aprile 2014

Quando iniziarono quei cento giorni

La vita umana vale poco. Lo scopriamo ogni giorno, ascoltando di omicidi e vendette, di follie e catastrofi. Eppure la vita, nel medesimo istante, ha un valore enorme. Lo scopriamo quando minaccia di lasciarci o quando qualcuno a noi vicino esala i suoi ultimi respiri.

In questo apparente controsenso, di amore e odio per la vita, che si delinea quel che accadde, vent'anni fa, in Ruanda. In 100 giorni, a partire proprio da oggi, trovarono la morte quasi un milione di persone, uccise barbaramente dai loro vicini e perfino dai loro amici.

Le testimonianze, raccolte in questi 20 anni di processi e di tentativi di ricostruire la verità, raccontano di come appunto i vicini di casa, gli amici, il prete e comuni cittadini, accecati dall'odio e istigati a dovere, imbracciarono il machete e sterminarono coloro i quali, magari solo la settimana prima, avevano condiviso con loro il pranzo o le preoccupazioni per i figli.

Non vi sono parole per descrivere quel che accadde in Ruanda nel 1994, non vi sono pensieri adatti a comprendere come persone, fino al giorno prima ritenute "normali", possano essere state accecate dall'odio e trasformate nei peggiori carnefici.


Una ferita profonda, inferta alla società ruandese (ma, più in generale all'intera umanità) a cui intere generazioni non basteranno per curarla. 

Ma, se ci fermiamo ad analizzare solo l'aspetto umano, e con esso il valore della vita, riusciamo solo ad accecarci dall'orrore. Furono cento giorni di mattanza, per ogni strada, per ogni vicolo, nelle chiese, nelle scuole e perfino negli ospedali. All'urlo di "schiacciamo gli scarafaggi", violenze inaudite ed irraccontabili, difficili da sopportate perfino per stomaci forti, si scatenarono ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.

Ma mentre questo accedeva, e, come ha affermato il procuratore del Tribunale Internazionale per il Ruanda, Silvana Arbio, "il  mondo stava a guardare", qualcuno già si domandava come era stato possibile.

Oggi si è sempre più convinti che il genocidio poteva essere evitato. Ma, ancora più grave, è che qualcuno non solo chiuse occhi permettendo all'odio di crescere e fare proseliti, ma molto probabilmente pianificò e perfino contribuì a determinare tutto ciò, fin dal'abbattimento dell'aereo che trasportava i presidente del Ruanda e del Burundi (il 6 aprile 1994) e che innescò l'incubo.

E' di questi giorni una durissima accusa del Presidente del Ruanda Paul Kagame (che dalla fine del genocidio, guida il paese) all'amministrazione francese (che, siamo onesti, non è immune da situazioni controverse in Africa, ben oltre i limiti del consentito).

Il genocidio del Ruanda ebbe, come scrive oggi su Repubblica Raffaele Masto, enormi ripercussioni sulla geopolitica dell'area centroafricana, ed in particolare su un paese confinante come l'attuale Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) e lo sfruttamento delle sue enormi risorse.

Per 100 giorni arderà una fiaccola che si spegnerà per sempre alla fine di quei giorni, come centinaia di migliaia di vite umane.

Una testimonianza, Hotel Ruanda

Un ottimo approfondimento di Fulvio Beltrami, su African Voices

mercoledì 2 aprile 2014

La Manden Charter, una delle prime Costituzioni al mondo

Secondo alcuni storici si tratta della più antica Costituzione al mondo. La Manden Charter, emanata a Karukun Fuga (o Kourdukan Fouga) a seguito della battaglia di Krina (1235), rappresenta una testimonianza della cultura mende (mandinga) che, attraverso l'Impero del Mali (o Impero del Manden) governò un'ampia area dell'Africa Occidentale fino al 1645.

l'Impero del Mali (mappa dalla rete)
La Costituzione fu emanata dall'assemblea dei nobili e divenne parte del patrimonio orale della tradizione (di essa si parla nel poema epico di Sundiata). Dal 1890 iniziò una vera e propria raccolta delle tradizioni orali e risale solo al 1967 la prima trascrizione completa della Costituzione.

Essa è composta da 44 editti, divisi per argomento: organizzazione sociale (1-30), proprietà (31-36), ambiente (37-39) e questioni generali (40-44). 
Nel 2009 l'UNESCO ha inserito la Manden Charter tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità da salvaguardare e preservare per le future generazioni.

Scorrendo il testo, si possono scorgere alcune "norme", che sono il segno di una civiltà evoluta (ovviamente per il 1200), capace di imporre regole non solo essenziali per la convivenza pacifica, ma in grado di prospettare un futuro diverso per tutti e di prendersi in carico anche dell'ambiente circostante.

La "carta" dopo aver diviso la società mende in 16 clans e in gruppi di età ed affidato ad ognuno il proprio compito, entra nel merito delle relazioni tra gli individui. Tra le cose di rilievo è bene sottolineare come l'educazione dei bambini, posta come priorità, diviene compito dell'intera società oppure come gli stranieri e gli ambasciatori non possono essere maltrattati nell'Impero.

Vi sono in questa prima parte alcune massime che ben esprimono il pensiero mende. la prima "un bugia che vive 40 anni deve essere considerata una verità" oppure " la vanità è segno di pochezza, mentre l'umiltà è segno di grandezza".

Nella parte dedicata alla proprietà gli estensori sottolinearono come "solo cinque modi permettono di acquisire la proprietà ovvero, l'acquisto, la donazione, lo scambio, il lavoro e l'eredità tutto il resto, senza una convincente testimonianza, pone dei dubbi".

Così come sono da sottolineare gli "articoli" relativi alla salvaguardia dell'ambiente (in particolare dei frutti e dei fiori della natura così come di quelli coltivati) e quelle relative al rispetto.

L'editto 41 pone l'accento  su di un concetto quanto mai attuale soprattutto se concepito come una metafora, ovvero "si può uccidere il nemico (sconfiggere), ma mai umiliarlo". Pensate se questo nobile, e alto, concetto fosse veramente entrato nell'animo umano, quante sofferenze avrebbe evitato in Africa, come nel mondo.

Ecco il testo completo della Manden Charter

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa